Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: LazyBonesz_    09/08/2019    1 recensioni
“Questa canzone mi faceva pensare a te”, mormorò il ragazzo, contro un mio orecchio quando la musica cambiò. Mi concentrai sul testo. Ascoltammo la canzone in silenzio fin quando, verso la fine, Eren non parlò nuovamente, quasi cantando.
“But I just cannot manage to make it through the day without thinking of you, lately.”
Accennai un breve sorriso e mi sporsi verso di lui, senza aprire gli occhi. Riuscii a baciare le sue labbra piene e sentii il sapore delle lacrime su di esse.
“Eren”, sussurrai confuso. Sollevai le palpebre e vidi qualche goccia salata sulle sue guance. Però sorrideva.
“Sono felice, non preoccuparti. E penso che ti dedicherò un’altra canzone perché questa è fottutamente triste”, mormorò e decisi di bloccare la sua parlantina con un altro bacio. Un altro ancora e ancora un altro finché non ci addormentammo con le labbra stanche ma i cuori felici.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Los Angeles- 27 dicembre 2019 

Levi 

Eren era poggiato alla sua auto e continuava a farmi sorrisi positivi e cenni con la testa per convincermi a suonare quel dannato campanello. Presi un profondo respiro e lo feci, sentendomi un idiota per essere così a disagio, dopotutto era casa mia. 

Mio zio, Kenny, aprì la porta e mi rivolse un sorriso stanco ma allo stesso speranzoso. Dietro di lui vidi Isabelle, l’assistente sociale che aveva avuto me come incarico. Avevo parlato con i responsabili del centro della mia decisione e successivamente avevano mandato Isabelle da mio zio per affrontare una chiacchierata sulla questione. 

“Ciao, Levi”, disse Kenny per poi farsi da parte e farmi entrare. Feci un passo dentro casa e l’odore dell’abitazione mi investì. Erano passate poche settimane da quando me ne ero andato e non credevo che quel luogo potesse mancarmi così tanto. Isabelle mi fece un sorriso, “bentornato”, disse subito dopo. 

“Chi ti ha accompagnato?”, chiese Kenny dopo aver chiuso la porta. Entrammo nel salone e mi sedetti sul divano.  

“Eren.” 

“Il ragazzo con gli occhi verdi?”, mi domandò Isabelle e io aggrottai la fronte, chiedendomi come facesse a saperlo. Annuii semplicemente e lei mi dedicò uno sguardo compiaciuto. 

“Ne sono contenta”, disse poi, rendendomi ancora più confuso. Forse Eren ne sapeva qualcosa, glielo avrei chiesto più tardi. 

Mio zio prese posto al mio fianco mentre Isabelle si sedette sulla poltrona vicino al divano, iniziando a farmi domande sul perché avessi deciso di tornare a casa. 

“Credo sia la cosa migliore per me superare la... situazione stando a casa mia”, borbottai, non sapendo bene cosa dire. 

“Levi, non basta tornare a casa per mettere in ordine le cose. Hai bisogno di essere seguito da qualcuno, mi hanno detto dei tuoi problemi a contenere la rabbia e anche del calo dei voti. Ne sei consapevole di queste cose?” 

Strinsi i pugni, odiavo queste conversazioni e odiavo parlare dei miei sentimenti ma Isabelle aveva ragione. 

“Ho deciso di andare in terapia, da un privato”, mormorai, sentendo lo sguardo sorpreso di Kenny su di me. Isabelle ne sembrò contenta e liberò un veloce sorriso. 

“Nei prossimi giorni tornerò per valutare la situazione e per parlarti dei vari terapisti.”

“Ho già deciso dove andare”, dissi, sollevando poi lo sguardo su mio zio, “da Mikasa. È la sorella di Eren”, continuai verso Isabelle. 

“È una persona che conosci? Forse potrebbe funzionare rispetto agli psicologi del centro.” 

“Si ma è ancora una tirocinante...”

Isabelle mi guardò perplessa, “questo potrebbe complicare le cose.”

“Sento che è la cosa migliore per me, mi faccia provare”, dissi velocemente, sperando che Isabelle accettasse. La donna sospirò e alla fine annuì, sembrando però ancora dubbiosa. 

“Affronteremo un colloquio con lei per parlarne. Se non dovesse funzionare accetterai un terapista scelto da me?”, propose. 

“Va bene”, risposi riluttante. Isabelle annuì nuovamente e si alzò dalla poltrona. Kenny la imitò e si salutarono, con una stretta di mano. 

“Va bene, Levi, probabilmente tornerò domani per riparlare di questa scelta. Potresti darmi, magari stasera, il numero di Mikasa? La chiamerò io.” 

“Si, d’accordo. Allora, arrivederci”, borbottai, alzandomi dal divano per salutarla. 

“Okay, ci vediamo domani.”

Isabelle si voltò e Kenny l’accompagnò alla porta. La donna uscì e mio zio tornò da me, rivolgendomi un sorriso, “sono felice che tu sia tornato.”

“Vado a mettere apposto le mie cose”, dissi, facendo un cenno con la testa al borsone che avevo lasciato alla porta. Era strano e piacevole al tempo stesso stare a casa mia. 

“Sono stato da uno psicologo mentre non c’eri e ho deciso di continuare ancora per un po'”, raccontò mio zio, “non capivo perché non volessi parlarmi e te la prendessi per ogni cosa che dicevo. Non dovevo trattarti come se fossi debole anche se non ho mai pensato tu lo fossi.” 

Rimasi immobile davanti a lui, curioso di sapere dove volesse andare a parare. 

“Ho capito che ti dava fastidio far pena ma non era intenzionale il mio comportamento. Ho perso mia sorella, Levi. È stato orribile anche per me.” 

Mi morsi il labbro inferiore, sentendomi un dannato egoista. Avevo messo la mia sofferenza al primo posto quando anche Kenny doveva stare male quanto me. Mi ero infuriato con lui quando avrei dovuto trattenermi e cercare di sistemare le cose. 

“Mi dispiace”, ammisi con grande sforzo e abbassai lo sguardo sulle mie scarpe. Kenny emise un sospiro e poggiò una grande mano su una mia spalla, “lo so che non si possono controllare le proprie reazioni dopo certi eventi ma cerchiamo di avere un rapporto decente. Lo so che possiamo farcela.” 

Era così strano sentirlo parlare in modo serio per tanto tempo. Neanche il suo tono sembrava appartenergli e la cosa mi infastidiva ma mi limitai ad annuire. Per andare oltre dovevo contenere la mia rabbia e sfogare la sofferenza in un altro modo, magari parlando con Mikasa. E dovevo capire che non ero l’unico a stare fottutamente male. 

Mi voltai e presi il mio borsone, portandolo al piano di sopra. Passai davanti alla camera di mia madre e sbirciai dentro, trovando tutto in ordine. Avrei voluto vedere lei sul letto, magari mentre leggeva un libro. Strinsi il borsone fra le mani, sentendo una profonda tristezza assalirmi, assieme alla voglia di distruggere quella camera per far finta che mia madre non fosse mai esistita. Magari non sarei stato così male. 

Morsi con forza il mio labbro inferiore e andai verso la mia camera dove lasciai il borsone. Presi il cellulare e mandai un messaggio ad Eren, dicendogli che avevo bisogno di uscire un po’ quella sera. Ero contento di me stesso per essere riuscito a tornare a casa ma era difficile non rimanere triste davanti ai ricordi che la mia mente portava a galla. 

Il mio amico mi rispose con un orario e accennai un sorriso davanti a quel messaggio. Era merito di Eren se ero riuscito a fare dei grandi passi avanti nonostante il terrore di non potercela fare. Speravo solo che le cose fra noi due continuassero così per sempre. 
 

**********


Erano le sette di sera, era buio e faceva freddo. Mi strinsi nella mia giacca in jeans e raggiunsi velocemente l’auto di Eren, buttandomi sul sedile di fianco al suo. 

“Wow, che figo che sei”, commentò il mio amico, facendomi alzare gli occhi al cielo. 

“Ti do un pugno”, borbottai, cercando di capire dove stessimo andando quando Eren mise in moto, guidando in modo poco preciso. Quel ragazzo faceva tutto ciò che gli saltava in mente senza pensare alle conseguenze. 

“Ah, una volta mi basterà per tutta la vita.” 

“Sei proprio patetico”, mormorai divertito. 

“Quanto siamo dolci stasera”, mi prese in giro e allora gli diedi un leggero colpo per non farlo distrarre, dopotutto ne andava della mia stessa vita. 

“E delicati”, concluse, svoltando in una via di un quartiere abbastanza trasandato. Iniziai a chiedermi se volesse farmi del male in un vicolo. 

“Hai intenzione di vendicarti rubando la mia roba e lasciandomi qua?” 

“Oh si, sarebbe proprio divertente vederti nudo per strada.” 

“Sarebbe eccitante, per te”, dissi, abbassando il tono della mia voce senza saperne il motivo. Guardai Eren che mi rivolse una strana occhiata con la quale rabbrividii piacevolmente. Mi piacque sentire i suoi occhi su di me come se volesse davvero spogliarmi. 

“Ah, ehm, siamo arrivati”, disse poco dopo, arrossendo leggermente così distolsi lo sguardo, sentendomi in imbarazzo. Eren fermò l’auto e scese da essa così lo seguii. 

Camminammo su uno stretto marciapiede ed entrammo in un condominio che non mi ispirava per niente. Puzzava ed era sporco ma non dissi nulla. Eren suonò a un campanello e ci aprì una ragazza dai capelli corti e che sembrava più grande di noi di qualche anno. 

“Oh, finalmente ci presenti il tuo fidanzato”, disse la strana ragazza, facendomi sbuffare. 

“A malapena siamo amici”, borbottai, mentendo. Non capivo perché tutti vedevano qualcosa in più fra me ed Eren. 

Il mio amico sorrise imbarazzato, grattandosi la nuca. 

“Come vi pare, io sono Ymir. Quei due che ti fissano sono Connie e Sasha.”

Guardai oltre la ragazza e vidi due altre persone. 

“Levi”, dissi semplicemente ed entrai in quello che sembrava un monolocale. Un forte odore di erba mi fece arricciare il naso e mi provocò una smorfia. Ora capivo perché Eren stesse fumando quella famosa sera. 

Mi sedetti su un vecchio divano, cercando di toccare il meno possibile qualsiasi cosa la dentro e mi guardai attorno. Ymir viveva nel casino e la cosa non sembrava importarle. 

“Sembra che Eren sia meno asociale. Sei la seconda nuova persona che ci presenta in pochissimo tempo”, mi disse quello che doveva chiamarsi Connie. 

“In realtà eravamo molto amici anni fa”, spiegai. 

“Non ci aveva mai parlato di te”, disse Sasha. Lanciai un’occhiata a Eren che alzò le spalle, arrossendo leggermente. 

Ymir decise di cambiare argomento e mi spiegò, mentre girava una canna, come si giocava a D&D. Sinceramente non mi aveva mai ispirato quel gioco ma decisi di lasciarmi andare per una volta. 

Durante la partita mi proposero anche di fumare ma rifiutai categoricamente ogni volta, decidendo, però, di bere qualcosa. 

Verso le nove ero quasi sul punto di ubriacarmi ed Eren se ne accorse, fermandomi la mano mentre bevevo un altro bicchiere di birra. 

“Poi dovrò portarti in braccio”, disse con una risata, guardandomi come se fossi molto divertente in quel momento. La testa mi girava ma dovevo ammettere che quel gioco era molto meglio da brillo. 

Osservai Eren, aveva gli occhi rossi per via del fumo ed era leggermente sudato. Era fottutamente attraente. 

“Devo prendere dell’aria”, borbottai, volendo allontanarmi dal mio amico che, ironia della sorte, volle seguirmi a tutti i costi. 

Uscimmo nel minuscolo balcone di Ymir e finalmente respirai aria pulita, riuscendo a calmare leggermente il mio stato d’animo. 

Eren si appoggiò alla balaustra e mi guardò intensamente, mordendosi il labbro inferiore. 

“Che vuoi?”, domandai con arroganza, cercando di non tremare davanti ai suoi occhi così belli. Che idea stupida bere con lui vicino. 

“Sono felice di esserti amico”, mormorò lentamente e con voce roca, facendomi rabbrividire. Il mio corpo mi stava tradendo con tutte queste stupide sensazioni. 

“Anche io, ora rientriamo”, dissi poco sicuro della mia scelta. Mi voltai, sentendo un capogiro per il gesto, e mi sforzai di tornare dentro il monolocale. 

Le mie gambe mi sorreggevano malamente e fu facile per Eren avvolgere le sue braccia attorno al mio bacino. Sentii il suo petto contro la mia schiena e il suo respiro contro un mio orecchio. 

Chiusi gli occhi e sospirai, sentendomi completamente incapace di reagire in modo decente. La verità è che mi stava piacendo quell’abbraccio. 

La bocca di Eren premette sul mio collo e si mosse piano, lasciando una scia di baci umidi per cui fremetti. Inclinai il viso e gli lasciai più spazio, non riuscendo a fermarlo. Ogni suo bacio mandava scosse verso il mio basso ventre, rendendomi sempre più accaldato e sensibile. Neanche la sentivo l’aria fresca sulla mia pelle. 

“E-Eren”, mugolai quando i suoi denti morsero la mia carne pallida. Sollevai una mano verso il mio viso e la portai sulla mia bocca per non gemere quando succhiò la mia pelle. 

Due secondi dopo realizzai cosa stesse facendo e, bruscamente, mi allontanai. 

“D-devo andare a casa, Kenny sarà preoccupato”, borbottai, volendo tutto tranne che stare da solo nella mia camera. Eren mi fissò confuso poi annuì, sembrando quasi per nulla turbato dalla mia reazione. 

Questo mi ferì leggermente ma non glielo diedi a vedere. 

Decidemmo di tornare a piedi, poiché lui non era per nulla in grado di guidare e le nostre case non erano troppo lontane. 

Avevamo salutato velocemente gli altri e avevo cercato di evitare lo sguardo indagatore di Ymir, sperando di non aver nessun segno sul collo. E sperai, ma non completamente, che Eren non si sarebbe ricordato del suo piccolo flirt. 

 
   
 
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