Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: summers001    10/08/2019    1 recensioni
BriennexJaime | Fix-it | Multichapter breve
Dal testo:
“Oh, cammini di nuovo.”
“Ne sembrano tutti così sorpresi.”
E rubò un sorriso da Brienne. Jaime la guardava sorridere e ne rimase incantato. Non se la ricordava sorridere. O forse sì, in una di quelle tante notti a Grande Inverno, quando aveva scoperto che la barba sul collo le faceva il solletico, così tanto da farla contorcere prima di scoppiare a ridere a crepapelle.
“Siamo abituati a pensarti morto.” Brienne rispose acida con una frecciatina, lanciata apposta perché ferisse, ma non in profondità. Dopo un lungo silenzio alzò persino gli occhi per controllarlo.
“E tu hai visto anche i morti camminare, di cosa ti stupisci?”
Brienne rise di nuovo involontariamente. Si coprì la bocca per nasconderlo, ma Jaime pareva attendere proprio quella reazione con gli occhi che non la lasciavano un secondo e la controllavano. “Smettila!” lo supplicò.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Brienne di Tarth, Jaime Lannister
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'From beginning to the end'
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Capitolo 2
 
 
Da dopo la guerra, durante la ricostruzione, si respirava un clima di maggiore libertà ad Approdo del Re. Ce n’era così tanta che la gente pensava di avere il diritto di sputarla in faccia a Brienne. La fredda, impassibile Brienne.

“Sei dura con lui.” Pensava Podrick Payne che di recente, forte della sua nuova posizione a servizio del re, aveva cominciato ad esporre più spesso la sua opinione.

“Soffre molto.” Le raccontava Tyrion Lannister.

“Era meglio per tutti quando scopavate!” si era permesso di aggiungere Bronn, senza che gli fosse richiesto.

“Gli uomini commettono errori. Questo li rende uomini.” Aveva detto una volta invece il re Bran durante uno degli incontri del consiglio, guardandola dritta dritta negli occhi.

Tutti a prendersi cura del povero, dolce, ferito Jaime Lannister. E pensare che quando si lamentava che l’intero regno lo odiasse gli aveva pure creduto! A volte Brienne rimaneva a guardarlo dal sua postazione su un balcone, mentre zoppicava qua e là, con suo fratello o con Bronn. Altre volte si imponeva di non farlo mai più, di lasciarlo perdere, di dimenticarlo. Ma come avrebbe potuto dimenticarlo adesso da vivo, quando non era riuscita a farlo neanche quando lo credeva morto?
 “Hai tutti i diritti di sentirti ancora ferita, di decidere di perdonarlo oggi, domani o mai.” Quelle erano state le uniche parole confortanti che aveva ricevuto Brienne e venivano da Lady Sansa, l’unica che avesse capito il suo stato d’animo. Le aveva messo una mano sulla spalla e le aveva parlato col viso vicino al suo. Dopo quel giorno Brienne si sentì legittimata ad odiare Jaime, come se fosse stato un ordine proveniente dall’alto: se persino la Lady di Grande Inverno non sarebbe mai riuscita a perdonare Jaime Lannister, che speranze aveva lei?

Si ripeteva che lo odiava, oh quanto lo odiava. Sapeva che stava cercando di convincersi da solo, ma sembrava in quei mesi l’unico modo per rammendare il suo cuore ferito. Per lo meno riusciva ad addormentarsi la notte senza più versare una lacrima e le sembrava così di aver fatto un passo avanti.
 
***
 
Da quando Jaime aveva cominciato ad uscire dalla sua stanza, Brienne aveva preso ad evitare i piani più bassi, ma a guardarli dall’alto. E sapeva esattamente a che ora del giorno farlo, perché una mattina lo vide di lontano nei nuovi giardini della fortezza rossa, degli spazi verdi con numerose nuove piante e dei sentieri lisci su cui il re potesse passeggiare agilmente anche in solitudine. Jaime aveva scelto quello come terreno di prova. Si era portato appresso suo fratello e Pod, lo stesso Pod che per anni aveva seguito Brienne, che invece si tenne lontana dalla scena senza intromettersi.

Il cavaliere si mise in piedi con l’aiuto delle stampelle, poi una alla volta le abbandonò. Dapprima parve incerto, quasi stesse per cadere. Si poggiò ad una grande fioriera di pietra e rifiutò l’aiuto di chiunque altro. Uno sforzo dopo l’altro tornò nella posizione di partenza e Brienne si ritrovò a fare il tifo per lui: avanti Jaime, non mollare, cammina, cammina. E Jaime camminò. Seguirono poi gli applausi e le grida di giubilo di Tyrion e Pod.

Brienne si stupì e non poteva non sorridere e battere le mani, complimentandosi con lui ma da sola. Ad un tratto però fu certa che lui l’avesse notata e si allontanò.

Lo incontrò di nuovo qualche giorno più tardi, questa volta nei corridoi bui prima di cena.
“Oh, cammini di nuovo.” Fece Brienne stranamente felice ed orgogliosa, come se le importasse di nuovo qualcosa di lui. O meglio, come se avesse smesso di pretendere che cos non fosse.

“Ne sembrano tutti così sorpresi.” Rispose Jaime, che comunque faceva leva più su una gamba che sull’altra, zoppicando pur senza stampelle. L’allegria con cui le rispose però rubò un sorriso a Brienne. Jaime la guardò sorridere e ne rimase incantato. Non se la ricordava sorridere. O forse sì, in una di quelle tante notti a Grande Inverno, quando aveva scoperto che la sua barba sul collo le faceva il solletico, così tanto da farla contorcere prima di scoppiare a ridere a crepapelle.

“Siamo abituati a pensarti morto.” Brienne rispose acida con una frecciatina, lanciata apposta perché ferisse, ma non in profondità. Il sorriso ormai sparito, ma dopo un lungo silenzio alzò persino gli occhi per controllare di non aver esagerato.

“E tu hai visto anche i morti camminare, di cosa ti stupisci?” continuò lui lungo quella scia, sapendo bene come lei avrebbe reagito a quella risposta. E Jaime non lo faceva perché Tyrion gli aveva suggerito che per conquistare una donna bisogna farla ridere, nei momenti opportuni ovviamente. Jaime lo faceva perché voleva vederla ancora con quel pizzico di allegria sul viso, perché aveva appena scoperto che donava una ingiustificata allegria anche a sé stesso. Egoista, stupido Jaime, sempre a fare le cose giuste per i motivi sbagliati!

Brienne rise di nuovo involontariamente. Saltellava dalla Brienne solare a quella acida tra una battuta e l’altra. Si coprì la bocca per nasconderlo, ma Jaime pareva attendere proprio quella reazione con gli occhi che non la lasciavano un secondo e la controllavano. “Smettila!” lo supplicò, ma lui sentiva “ti prego, continua”.

Si ritrovarono allora con gli sguardi incatenati l’uno nell’altro, verde nel blu. Jaime la guardava con intensità, con aspettativa, come se stesse attendendo qualcosa che desiderava da morire, come un bambino il giorno del compleanno. E Brienne voleva darglielo quel qualcosa, qualunque cosa fosse, ma era vuota dentro. Si era sentita ferita per così tanto tempo che non sapeva più se ce l’aveva quel qualcosa. Oh, quanto sarebbe stato dolce dimenticare tutto e tornare ad amarlo e desiderarlo con tutta sé stessa! Eppure non ce la faceva. Distolse lo sguardo, chiese scusa e si allontanò, persino nella direzione sbagliata.

Da sola nel suo letto quella sera, Brienne pianse di nuovo, come pianse tutte le notti a Grande Inverno. Pianse per Jaime che la guardava con gli stessi occhi con cui lei lo guardava prima che tutto iniziasse (o finisse). Pianse perché lo amava, neanche si ricordava da quanto. E forse anche lui la amava, ma non era abbastanza.

Ripensò alle parole di Lady Sansa: hai tutto il diritto di sentirti ferita, di perdonarlo oggi, adesso o mai. Sentiti ferita allora Brienne, diceva a sé stessa. Piangi. Piangere per un uomo non è da deboli, né da forti, stai solo ammettendo che lo ami ancora.
 
***
 
Solo alcune settimane dopo lo ritrovò nel cortile del castello con Pod.

Finalmente non nascondeva più il viso dietro barba e capelli. Aveva ripreso peso, non era più quell’uomo trasandato e distrutto, che si era consumato in un letto. La sua vita era un po’ meno sottile, le spalle un po’ più larghe, le gambe un po’ più forti. Il biondo ancora ben visibile risplendeva al sole, come se Jaime fosse fatto d’oro, come se fosse nato per rifulgere.
Stava duellando con Pod con un paio di brutte spade di legno che chissà da dove erano saltate fuori. A Brienne non piaceva allenare neanche il suo precedente scudiero con le spade di legno.

Gocce di sudore gli imperlavano il viso e con le labbra il cavaliere si mordeva la lingua per mantenere la concentrazione. Parava bene ed attaccava altrettanto bene. Era elegante nelle sue mosse, seppur ancora dondolasse su un piede più che sull’altro. Aveva quel tipo di mosse che imparano i cavalieri d’alto rango prima di soltanto pensare di divenire cavalieri.
Pod attaccava, ci provava goffamente ad essere un po’ più aggressivo, con passo incerto e la mano timorosa, rendendo facile invece per Jaime parare quel colpo mal assestato con notevole anticipo, dimostrando di non aver mai perso prontezza nei riflessi. I due parevano addirittura divertirsi.

“Pod, che diavolo stai facendo?” fece Brienne per ridare un ordine alla situazione, cercando di nascondere quella punta di invidia che aveva sentito sulla lingua.

I due si voltarono contemporaneamente per appena il tempo di constatare la presenza della donna e poi ricominciare. Questa volta fu Jaime che con un paio di colpi mancini costrinse il giovanotto ad indietreggiare. Le spade si incrociavano con rumori sordi.
“Pratica con ser Jaime,” rispose Pod “ser Brienne.” Aggiunse poi in una forma di cortesia, ripetendo goffamente la parola ser, come se gli suonasse male in bocca la ripetizione.

“Non ti girare.” Gli suggerì Jaime attaccandolo, ignorando completamente la donna cavaliere.

Brienne li guardò indispettita. “E tu, ti eri appena rimesso in piedi.” Fece questa volta a Jaime che non trattenne un sorriso soddisfatto mentre combatteva, senza distrarsi. Questo era il Jaime di cui tutti si ricordavano, quello che affrontava persino i draghi, veniva sconfitto, ma poi si rialzava sempre. Il leone dei Lannister.

“E zoppica ancora!” aggiunse invece il ragazzo mentre parava un colpo, in un buffo tentativo di un ammirato elogio.

“Questo non ti fa fare bella figura, Pod.” Lo bacchettò lei, facendo ridere Jaime, distraendo ulteriormente Pod che perse la concentrazione definitivamente e la spada di legno, finendo a terra con una punta scheggiata al collo.

L’uomo buttò via l’arma e guardò verso Brienne soddisfatto. Sorrideva compiaciuto aspettando forse una qualunque forma di ricompensa o complimento, facendo uscire fuori il bambino viziato di casa Lannister, amato dal papà.

“Ti ha lasciato vincere.” Commentò solo Brienne a braccia conserte.

“Cosa? Pod!” lo ammonì lui, ma ancora allegro, come se anche un allenamento avesse avuto il potere di ridargli il sorriso, farlo tornare il Jaime di un tempo, anche se in scala o in brutta copia.

“Dovrebbe allenarsi con avversari più forti, non più deboli.” Gli disse lei indicando Pod con un cenno del capo e raccolse una di quelle spade, decisa a buttarle via in favore delle letali lame di metallo e del clangore del loro duellare.

Pod nel frattempo si corrucciò col collo in avanti e le mani basse prima di scappare via, lasciando soli i due cavalieri, come gli era stato intimato gentilmente e senza alcuna minaccia da Tyrion e Bronn. Tentennò sperando di cogliere qualche stralcio di conversazione mentre si volatilizzava.

Jaime scrutò Brienne, quasi come se lei lo stesse sfidando. Seguì i suoi passi, la guardò evitare il suo sguardo, rendersi impegnata mentre lui non faceva altro che osservare. “Continui a ferirmi ogni volta che puoi.” Notò poi lui “Significa che conto ancora qualcosa per te.” Si fece coraggioso ammettendolo. Per anni si erano guardati e sfidati senza dire niente, per anni avevano fatto solo questo, non potevano ricominciare d’accapo. Per anni fino a quando, complice l’alcol e l’euforia di aver sconfitto la morte, Jaime non aveva abbassato la guardia e si era avvicinato a lei. Per la verità le si era arreso molto prima senza rendersene conto, come gli fu poi chiaro.

Jaime raccolse la sua spada giocattolo da terra. Si fece girare l’elsa nel palmo della mano: era leggera, così diversa dalla sua di acciaio Valyriano. Ne ricordò dopo mesi il peso, assaporandone il ricordo. Giocò ancora un po’ prima di improvvisare con tracotanza “Voglio sconfiggere te, Brienne.”

A Brienne scappò uno sorriso di scherno e bonariamente divertito. “Ti ho battuto quando eri sano come un pesce. Che speranze hai adesso?” gli chiese. Provava imbarazzo, ne era cosciente. Probabilmente le sue guance si erano imporporate facendola apparire debole ai suoi occhi, solo una donna. Si chiuse dietro sopracciglia aggrottate e sguardo duro. Teneva l’arma bassa intanto, indifesa, che la tradiva, come ogni qual volta che si trovava con lui. Le fu chiaro allora perché aveva provato quella cocente repulsione verso le innocue spade di legno.

Jaime alzò l’arma e toccò quella di Brienne con un colpo debole ed un passo zoppicante. “Non mi hai mai battuto.” Rispose parando le sue battute taglienti.

Brienne si allontanò.
La luce di mezzogiorno cominciava ad essere troppa e l’estate, finalmente alle porte, aveva portato con sé l’afa di Dorne. La calura le offuscava la vista e le faceva sudare la fronte. La disidratazione sciolse le briglie al suo stoico contegno e la portò a rispondere alla provocazione. Affondò la sua spada e fu così veloce e violenta che Jaime Lannister si ritrovò disarmato e col culo nella sabbia sporca. Avrebbe voluto chiedergli scusa, dirgli che non sapeva cosa le fosse preso, ma era fin troppo chiaro ad entrambi che aveva voluto fargli del male.

“Domani.” Decise Jaime asciugandosi la fronte “Di nuovo.” Aggiunse rialzandosi da terra “Finché non avrò vinto.”

Allora le fu chiaro che quello che lui stava cercando era esattamente quello che aveva appena ottenuto: una punizione, combattendo per ottenere l’assoluzione.
“Jaime,” cominciò Brienne preoccupata. “Non ti farò del male.” Gli disse e s’arrese. L’imbarazzo scomparve e con sé portò via anche le formalità. Lanciò via la spada ed alzò le mani in segno di resa “E poi perché ci tieni tanto?”

“Forse perché conti ancora qualcosa per me.”
 
***
 
Jaime ci riprovò davvero nei giorni successivi.
Tutti i giorni, ad orari differenti fino a trovare nel tramonto il momento perfetto, si faceva trovare nei cortili con due spade di legno. Brienne, che non lo guardava più con lontana indifferenza da una finestra, gli passava anzi accanto e lo ignorava. Giorno dopo giorno la tentazione di alzare lo sguardo per cercare il suo viso si faceva sempre più forte, finché non ci provò e gli occhi li alzò per davvero. Trovò i suoi verdi che vagabondavano lungo la figura di Brienne e quando si incrociarono Jaime sorrise quasi imbarazzato. Sembrava persino dolce ed innocente, lo stesso Lannister che di peccati ne aveva una lista piena. Eppure pareva sinceramente dispiaciuto.
Per quanto tempo Brienne avrebbe dovuto sopportare il fardello di quel rifiutato perdono, che ormai pareva pesare su entrambi?
All’improvviso le parole che poco tempo prima le erano state di conforto cominciarono a sembrarle fredde o pesanti. Lady Sansa era una persona poco incline al perdono, plasmata in questo modo dalle vicissitudini.
Brienne sapeva invece di volerlo perdonare.
 
***
 
Per tutta la giornata Brienne aveva pensato a Jaime. Tra i vari impegni pensava a lui: mentre programmava le difese del re al suo prossimo viaggio in mezzo al popolo; mentre ascoltava Tyrion e Bronn discutere al consiglio come se fossero in una taverna; mentre addestrava i prossimi cavalieri; a pranzo, a cena. Jaime era diventato un pensiero fisso. Se lo immaginava con quella triste spada di legno in mano che la aspettava nel cortile tra la polvere, un mezzo sorriso stampato in faccia e baciato dal sole. Spiava spesso attraverso le finestre ed i balconi per cercarlo. Batteva irrequieta il piede a terra aspettando il momento in cui avrebbe potuto lasciare i suoi impegni. Stringeva le mani al ricordo della sua mano che la sfiorava facendole venire la pelle d’oca e di quell’imbarazzo misto a gelosia che l’aveva preso quando se l’era ritrovato alla porta.

Amava Jaime. Lo amava più del suo stesso tradimento, più del dolore che aveva provato a saperlo morto e della gioia che aveva nascosto quando l’aveva rivisto vivo e vegeto. Lo amava più di tutte quelle emozioni messe insieme e voleva tornare da lui, combattere, duellare o qualunque altra cosa avesse voluto fare.

Arrivato il tramonto, si ritrovò a correre per raggiungere i giardini. Lo trovò di spalle seduto su un muretto con le due spade di legno abbandonate per terra sulla polvere gialla. Il sole che scompariva sull’orizzonte gli indorava i capelli. I suoi lineamenti erano nascosti e non poteva vederlo.

“Ciao.” Si annunciò Brienne con voce ferma e decisa.

La schiena di Jaime si irrigidì per la sorpresa. La riconobbe subito, ma si girò lo stesso e strizzò gli occhi per poterla vedere.  “Ciao.” rispose facendole eco.

Brienne strinse la fodera della spada che gli aveva portato. Era la sua, quella col leone nell’elsa, perfettamente identica a Giuramento, appesa invece come sempre alla sua armatura. Gliela mostrò perché la riconoscesse e gliela lanciò.

Jaime l’afferrò al volo, ne saggiò di nuovo il peso nella mano. La guardò prima di sfoderarla. Il riflesso aranciato misto al ghiaccio dell’acciaio valyriano gli si proiettò sul viso, dando al suo sorriso un luccichio addirittura pericoloso.
Era lui il cavaliere che un giorno Brienne aveva cominciato prima ad ammirare, poi a guardare, a cercare ed alla fine ad amare. Senza dire una parola impugnò Giuramento ed incrociando i piedi sferrò un primo attacco lento, di riscaldamento.
Jaime parò subito e poi si fece avanti con passi puliti. Attaccò da un lato, poi dall’altro. Ci mise tutta la forza di cui era capace senza trattenersi, mentre Brienne alternava difesa ed offesa ed era così bello, così liberatorio che quasi si sentì rinato, forte, felice. Sudava e gli piaceva da morire affondare la spada, fingere con forza, allontanarsi per poi ricominciare. Sferrò altri due colpi e Brienne parò ancora in un gioco di difesa. Le loro forze si eguagliavano e l’acciaio sferrava con rumore acuto e stridente.

Brienne si ritrovò di fronte a lui con le spade incrociate, a spingere contro le sue spinte, tentennando e sudando per rimanere in piedi. Poi alzò gli occhi. Jaime era lo stesso di Grande Inverno: non quello quasi stupito, impaurito, il leone preso alla sprovvista che non sapeva quando e se parlare; non quello paralizzato o sopraffatto. Era quello che le diceva di bere, che giocava in taverna, che provava a metterla in imbarazzo togliendole l’armatura, sfiorandola, baciandola. Era quel Jaime che aveva una luce diversa negli occhi, quel Jaime che pareva averla incatenata col sorriso, quello addirittura commosso. Il Jaime che aveva conosciuto a Grande Inverno, in cui si rispecchiava e vedeva in lui il suo stesso trasporto.

Quegli occhi la turbarono. No, non era lo stesso, non era vero, non lo era mai stato. Lui se n’era andato, era morto, ma poi non lo era più ed ancora non era tornato. Brienne non era mai stata abbastanza importante per lui neanche per farle sapere da qualcun altro che era in vita.
Brienne fece uno e poi sempre più passi indietro, interrompendo il duello. Le due spade si separarono bruscamente,  Jaime aggrottò la fronte confuso, poi guardò l’altra lasciar cadere l’arma a terra sollevando una nuvola di polvere giallognola che quasi pareva essere nel deserto.
“Scusa.” bisbigliò Brienne indecisa. Teneva gli occhi bassi, quasi fosse in imbarazzo o cercasse di nascondersi. Ciuffi di capelli biondi le caddero sulla fronte, chiudendola quasi fosse una tenda.

“Brienne?” chiese Jaime preoccupato, addirittura spaventato. Una parte di sé, che cercava di non ascoltare, gli stava dicendo che era arrivato alla fine, che con lei aveva chiuso, che non voleva rivederlo mai più. La raggiunse a grandi falcate, provò la tentazione di sollevare la mano e prenderle il viso per consolarla, asciugare le lacrime, ma lei non avrebbe voluto e rimase allora in piedi imbarazzato, cercando i suoi occhi ed ascoltando i suoi singhiozzi che gli pugnalavano al cuore.

Brienne sentiva la sua calda presenza, vedeva la sua ombra, di nuovo il Jaime di Grande Inverno. Inutile nascondersi pensò. Sollevò allora lo sguardo al cielo per ricacciare dentro le lacrime. Il tramonto la illuminava di rosso ed arancio.

“Brienne?” chiese di nuovo Jaime e nella sua voce c’era attesa, ansia, addirittura timore.

Brienne tornò in sé, riprese contegno, un respiro profondo per non tentennare e poi parlò. “Non posso.” confessò “Non ce la faccio.” continuò. “Scusa.”

Eccole allora quelle parole di cui Jaime aveva avuto paura. Era stato vigliacco ed egoista e stava pagando il conto con l’affetto dell’unica persona che avesse mai contato qualcosa dopo Cercei.
Fece un cenno col capo: capiva, se lo aspettava. Anche se, forse per via di Tyrion o per l’imbarazzo che ancora leggeva in Brienne, una piccola parte di sé sperava che avrebbe potuto riaverla indietro, riconquistarla dimostrandole quanto contasse lei per lui e quanto stronzo invece lui fosse e fosse stato. Bella mossa, capì alla resa dei conti.
La guardò voltarsi per andare via. Giuramento era ancora a terra, abbandonata, restituita. Ecco cosa si prova ad essere lasciato indietro nella neve o nella polvere. “Brienne?” la chiamò di nuovo, mentre la voce di lei che gli chiedeva scusa poco fa gli risuonava ancora nella testa. Aspettò che lei si girasse appena per continuare. “Mi arrendo.” Disse solo e poteva significare invece tante cose: nel duello, nella vita, con lei.

Brienne rimase bloccata un po’ più a lungo, quasi in attesa che le parole di Jaime si trasformassero in realizzazione. Poi abbassò la testa ed andò via, questa volta per davvero.
Ora è davvero finita.
 
***
 
La stanza di Jaime aveva perso l’odore nauseabondo degli ultimi mesi spesi in quel doloroso preludio della morte, tra il dolore e l’autocommiserazione. La luce delle stelle entrava dall’unica finestra piazzata nell’angolo in alto. Le lenzuola erano pulite, il caminetto spento, l’aria riscaldata dal dolce tepore estivo della sera e le mura profumavano di salsedine. Le sue stanze si erano sempre affacciate sul mare, quando per evitare il fetore della città, quando per sentire l’odore di libertà. Il rumore delle onde che si infrangevano inerti contro le mura lo calmava.

Non c’erano chincaglie, seta o vezzi disseminati nel suo ambiente. A Jaime di oro e gioielli non era mai importato molto, forse perché ne aveva sempre avuto a tonnellate. Tutto quello di cui gli era sempre importato era Cercei. Persino dei suoi figli, del sangue del suo stesso sangue non gli era mai importato in ugual misura. O meglio, se dell’oro non gli importava perché ne aveva in gran quantità, dei suoi figli non gli importava perché non erano mai stati realmente suoi. Non si era mai permesso di pensare a Geoffry, Myrcella e Thomen come suoi. Qualche volta di questo pensiero ne aveva addirittura avuto paura. Un po’ come quando aveva cominciato ad aver paura di pensare a Brienne, fino a che non aveva preso a farlo sempre più spesso, ignorando volutamente le motivazioni dietro alla sua ossessione.

Giuramento era abbandonata in un angolo, l’unico gioiello in quella angusta camera. Tornava a guardarlo in continuazione. L’unico gioiello che avesse mai posseduto l’aveva donato a Brienne.
Jaime si addormentò e si risvegliò vuoto più e più volte senza mai togliere gli occhi da quella spada. Cosa avrebbe dovuto farsene adesso? L’avrebbe tenuta con sé forse. Avrebbe indossato la sua e quella di Brienne insieme o magari a giorni alterni. Aveva importanza?
Chiuse di nuovo gli occhi ascoltando il rumore e l’odore del mare perché lo cullassero.

Si svegliò di soprassalto quando la porta si aprì all’improvviso, riportandolo alla triste realtà. Confuso, si ritrovò Brienne in carne ed ossa che a grandi falcate camminava verso di lui. Arrabbiata, gli si bloccò davanti. Jaime credette che stesse per dargli uno schiaffo e rimase allora fermo in attesa, per riceverlo. Non volle neanche chiudere gli occhi per attutire il colpo, aspettò che arrivasse e facesse male.

Invece non accadde. Non arrivò niente.

Brienne se ne stava in piedi davanti a lui e tremava, come se fosse arrabbiata o stesse piangendo  e Jaime maledisse di non aver acceso quel diavolo di camino per poterla vedere meglio. Stava per domandarle cosa stesse succedendo, per tirarsi su e fare qualcosa, ma fu lei a parlare per prima ed esordì con “Ti odio.”

Le tremava la voce, stringeva i pugni e con i piedi non riusciva a star ferma cambiando posizione continuamente. Jaime sentì i suoi singhiozzi ed in quel momento, con quella poca luce, Brienne le sembrò piccola. Avrebbe voluto alzarsi, abbracciarla, consolarla e proteggerla, ma anche lui rimase impalato, nervoso. “Non è vero.” Riuscì solo a dire.

“Ti odio.” attaccò allora lei di nuovo.

Alla nuova disperata richiesta di aiuto, Jaime si tirò su e la raggiunse. Provò ad abbracciarla prima di essere spintonato via.
“Ti odio.” Fece di nuovo e gli corse incontro per strattonarlo ed allontanarlo ancora, prima di perdere freno alle lacrime e prenderlo a pugni disperati sul petto  “Ti odio, ti odio, ti odio.”

Jaime si lasciò colpire, la lasciò sfogare fino a quando non le cadde tra le braccia, fino a quando non si trovò a terra con il suo corpo accucciato contro, la giacca bagnata delle sue lacrime. No, non doveva versarne più. Non più, non più. Non più, piccola, dolce, cara Brienne. La tenne stretta, la accarezzò, la guardò con occhi dolci e colpevoli, sapendo di essere la malattia e la cura del suo cuore. Le poggiò le labbra sulla fronte fino a che i singhiozzi di lei finirono. Piccola, dolce, amata Brienne.

Si addormentò con lei tra le braccia, seduti a terra, accasciati tra una parete ed il camino spento, con l’aria della sera a tenerli freschi, il respiro dell’altro a tenerli caldi ed il rumore del mare a tenerli calmi come una ninna nanna.


 


Angolo dell'autrice
Scusate il ritardo! La gente va in ferie e chi rimane deve lavorare il doppio degli altri ç_ç
Dicevamo, che ve ne pare? Io sono particolarmente soddisfatta di questo capitolo. Adoro l'angst, anche se questo mi pare si fosse capito, e scriverne ancora mi rende felice xD il prossimo penso sarà il penultimo, a seconda di quanto viene lungo. 
Dunque, dunque, fatemi sapere che ne pensate, se i personaggi sono ancora IC, se ho scritto strafalcioni... Non so. 
Ci vediamo al prossimo capitolo :*
  
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