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Autore: Beauty    12/08/2019    2 recensioni
Nel mondo delle favole, tutto ha sempre seguito un preciso ordine. I buoni vincono, i cattivi perdono, e tutti, alla fine, hanno il loro lieto fine. Ma le cose stanno per cambiare.
Quando un brutale omicidio sconvolge l'ordine del Regno delle Favole, governato dalla perfida Regina Cattiva, ad indagare viene chiamato, dalla vita reale, il capitano Hadleigh, e con lui giungono le sue figlie, Anya ed Elizabeth. Attraverso le fiabe che noi tutti conosciamo, "Cenerentola", "Biancaneve", "La Bella e la Bestia"..., le due ragazze si ritroveranno ad affrontare una realtà senza più regole e ordine, in cui niente è come sembra e anche le favole più belle possono trasformarsi nel peggiore degli incubi...
Inizia così un viaggio che le porterà a scoprire loro stesse e il Vero Amore, sulle tracce della leggendaria "Pietra del Male" che, se nelle mani sbagliate, può avere conseguenze devastanti...
Il lieto fine sarà ancora possibile? Riusciranno Anya ed Elizabeth, e gli altri personaggi delle favole, ad avere il loro "e vissero per sempre felici e contenti"?
Genere: Avventura, Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo VIII
 
The Girl in the Box
 
 
 
Questi, un giorno che stava affacciato alla finestra, vide, sul
terrazzo del re di fronte, una bella ragazza bianca e rossa come
una mela che si lavava e pettinava al sole. Lui rimase a
guardarla a bocca aperta, perché non aveva mai
visto una ragazza così bella.
La ragazza, però, appena si accorse di essere guardata
entrò in una mela e sparì. Il re se n'era innamorato.
 
I. Calvino, La ragazza mela
 
 
 
ERA PASSATA PIU' DI MEZZ'ORA, ci avrebbe scommesso mille dollari e una merendina.
La paura era scemata abbastanza da permetterle di indugiare in pensieri stupidi, nonostante la tensione ancora si tagliasse con il coltello.
I soldati avevano terminato di gozzovigliare, i due che avevano lasciato la cucina erano tornati. Navarre non aveva avuto più problemi nel mantenere l'ordine dei suoi, ma Elizabeth pensò che fosse per via del fatto che i soldati erano stati impegnati ad appropriarsi di tutto ciò che in quella casa aveva un valore.
La ragazza sentiva il tintinnio dell'argenteria, gli strappi delle stoffe, e lo spiraglio fra lo stipite della porta e la testa di Cenerentola permetteva a Elizabeth di scorgere le credenze svuotate.
Entreranno anche qui quando avranno finito?
Cercò di attirare l'attenzione di Cenerentola tirandola per una manica, ma la ragazza le afferrò le dita e se le sciolse di dosso con calma e infastidita decisione. Elizabeth si sentì offesa a non essere presa in considerazione. Si guardò intorno: c'era polvere dappertutto, ragnatele spuntavano agli angoli del soffitto e contro ai muri erano impliati scope, secchi e strofinacci.
Elizabeth tirò ancora la manica del vestito di Cenerentola. L'altra si girò a guardarla con l'aria di chi avrebbe voluto darle uno schiaffo.
- Entreranno anche qui?- sussurrò.
- E io come faccio a saperlo?
Elizabeth avvampò, mortificata. Cenerentola riprese a sbirciare dallo spiraglio, mentre in cucina la baraonda continuava. Elizabeth si sollevò sulle punte, e senza che facesse nulla l'altra ragazza si voltò di nuovo e le fece cenno di stare zitta.
Le venne in mente sua sorella. Anya la zittiva spesso. Anche quando Elizabeth sentiva di avere qualcosa d'intelligente da dire. E anche quando non c'era alcun bisogno di zittirla.
(Liz, ora basta! Tu torni a casa con me e non discutere!)
Se non poteva uscire da quello sgabuzzino e nemmeno porre domande, poteva analizzare con calma quel che era accaduto. Erano trascorse poche ore dalla loro separazione, ricordava di essere stata risucchiata da un vortice...ma s'era completamente scordata della freccia.
Qualcuno aveva scagliato una freccia, ed era stata quella ad aprire quella specie di passaggio segreto, Portale, o quel che era. Non eravamo sole, allora...; e con ogni probabilità chi aveva scoccato quella freccia non aveva buone intenzioni.
Sperò che, chiunque fosse l'arciere, non avesse trovato Anya.
I soldati proseguivano con la loro opera di sciacallaggio. Elizabeth si avvicinò alle spalle di Cenerentola, si alzò in punta di piedi e le posò una mano sul braccio per vedere meglio: la bionda se la scrollò di dosso.
Elizabeth, irritata, fece un passo indietro. Non guardò dove andava, e inavvertitamente urtò una scopa con un gomito.
S'innescò l'effetto domino.
La scopa cadde colpendo uno spazzolone, che a sua volta cozzò contro dei secchi allineati in fila. Dallo sgabuzzino il fracasso riecheggiò fino alla cucina.
Cenerentola le rivolse uno sguardo a metà fra l'accusatore e il disperato.
- Cos'è stato?!- proruppe il capitano Navarre.
Dei passi affrettati raggiunsero lo sgabuzzino in pochi secondi; a Elizabeth si mozzò il respiro in gola quando la luce invase il ripostiglio e sulla soglia si stagliò la sagoma alta e scura di un soldato.
Non fece in tempo a formulare un pensiero che Cenerentola scattò in avanti. Affondò il coltello nel petto del soldato, trafiggendogli lo stomaco. Quello emise un grugnito di dolore, premendosi una mano contro l'addome e indietreggiando con passo barcollante. Cenerentola lo colpì nuovamente, affondando la lama nella coscia. Il soldato finì in ginocchio di fronte a lei. Elizabeth vide il sangue sgorgare dalle ferite: velocemente, il liquido rosso vivo divenne nero come la pece.
Come inchiostro.
- Corri!- gridò Cenerentola.- Scappa!
Elizabeth cercò una via di fuga, ma subito capì che non ce n'erano. In un attimo, gli altri quattro soldati furono loro addosso.
- Prendetele!- urlò quello che Cenerentola le aveva indicato come il capitano Navarre. Due soldati afferrarono Elizabeth per le braccia e la scaraventarono a terra, e poco dopo anche Cenerentola venne spinta in ginocchio da un altro soldato che provvide anche a toglierle il coltello di mano e a gettarlo sul pavimento.
- E queste chi sono?!
- Sopravvissute. Si nascondevano, le sgualdrine.
- Che ne facciamo di loro, capitano?
Navarre si massaggiò il mento e misurò lo spazio intorno a loro con passi lenti e cadenzati. Elizabeth era finita con una guancia premuta contro il pavimento. Il foulard di Cenerentola le era scivolato via dal capo, e i capelli biondi le coprivano il volto. Uno dei soldati le teneva le braccia intrappolate dietro la schiena. Elizabeth sentiva invece la pressione di un ginocchio in mezzo alle proprie scapole.
Accasciato a terra era anche il soldato che Cenerentola aveva colpito. Si teneva entrambe le mani sullo stomaco e un altro soldato stava cercando di allacciare la cintura sopra la ferita alla coscia, a mo' di laccio emostatico. Rantolava ed era pallido come un lenzuolo.
- McArthur - uno dei soldati scattò sull'attenti quando Navarre lo chiamò.- Torna dagli altri e porta qui il medico, di corsa!- McArthur uscì e il capitano, dopo una breve occhiata al soldato ferito, ne dedicò un'altra, altrettanto rapida e quasi incurante, alle due ragazze.- Ammazzatele dopo che avete finito con loro, non sono di alcuna utilità. Non sporcate, non siamo animali.
Elizabeth volse disperatamente lo sguardo nella direzione in cui il soldato aveva gettato il coltello. Non era lontano, ma loro due erano impossibilitate perfino a muoversi, se avessero tentato di raggiungerlo i soldati l'avrebbero prelevato o allontanato definitivamente.
Elizabeth si morse il labbro e iniziò a piangere e a mugolare.
Uno dei soldati afferrò Cenerentola per i fianchi e la fece girare supina. Era chiaro che riteneva di poter gestire una donna scalciante da solo.
Si sbagliava.
Prima che potessero fermarla, Cenerentola sferrò un calcio alla gamba del soldato, che cadde a terra. La bionda approfittò dell'attimo di sgomento per lanciarsi sul coltello.
- Idioti!- ruggì Navarre.- Fermatela!
Elizabeth compì un grande sforzo per riuscire a sollevare la schiena, ma subito il soldato che la teneva bloccata la ricacciò faccia a terra. Tentò comunque di agitare le braccia per liberarle.
Cenerentola, stringendo saldamente l'impugnatura del coltello, si portò in ginocchio e piantò la lama nella spalla del soldato che teneva imprigionata Elizabeth. La ragazza si ritrovò subito libera. Si rimise in piedi il più velocemente che poteva – e maledisse il suo peso, se fosse stata più magra avrebbe avuto uno scatto maggiore.
- Corri!- le strillò Cenerentola; si era rialzata a sua volta, aveva dato un pugno sul volto di un soldato e teneva il braccio disteso e il coltello di fronte a sé, pronta a piantarlo nel torace di chiunque le si fosse gettato addosso.
Era riuscita a posizionarsi in modo da dare le spalle a Elizabeth, così che anche lei fosse protetta.
Navarre aveva il volto chiazzato di rosso in più punti.- Incapaci...!- Elizabeth lo sentì ringhiare; un attimo dopo, si gettò su Cenerentola e cercò di afferrarle i capelli e il polso della mano che impugnava l'arma. La ragazza scattò di lato aggrappandosi ai bordi del tavolo.
Elizabeth corse in suo aiuto.
- Che stai facendo?! Scappa, ho detto!
Navarre e un altro soldato corsero loro incontro. Cenerentola afferrò il tavolo e gliela rovesciò addosso con l'aiuto di Elizabeth. Il capitano venne colpito in pieno, cadendo a terra; il tavolo gli finì sopra, bloccandogli una gamba.
Cenerentola afferrò Elizabeth per un braccio e la trascinò fuori dalla cucina di corsa. La ragazza si accorse che la compagna zoppicava, e abbassò lo sguardo sulle sue gambe: il polpaccio destro era attraversato da un lungo taglio, una striscia di sangue rosso che si mischiava a una sostanza nera.
Elizabeth e Cenerentola udirono le urla di Navarre alle loro spalle, e i passi in corsa dei soldati. Le due uscirono dalla casa e dal giardino, dove Elizabeth rallentò: sia perché il suo fisico non le permetteva di correre a lungo, sia perché non aveva la più pallida idea di dove andare.
Cenerentola la guidò nella direzione opposta da cui era giunta poche ore prima. Elizabeth si ricordò che forse, lì fuori, potevano esserci ancora degli orchi, ma non ne videro.
I confini di Hagenheim erano vicinissimi, li superarono in un paio di minuti. Elizabeth riusciva a scorgere la foresta di fronte a loro.
Lì forse potremo seminarli; ma era comunque distante.
E i soldati erano alle loro calcagna.
 
 
 
***
 
 
 
LADY MARIAN SI SVEGLIO' DI soprassalto, disturbata prima da un gran fracasso quindi dalle grida dei prigionieri. C'impiegò comunque qualche secondo per raccapezzarsi. S'era assopita poco dopo la partenza della Regina Cattiva, stremata dall'immenso dolore che il sortilegio di clausura le aveva procurato.
Si stroppicciò gli occhi con le nocche. Il baccano fuori dalla cella proseguiva, ma qualcos'altro attirò per prima cosa l'attenzione di lady Marian.
E' sparita.
Non ebbe il minimo dubbio sul fatto che non se lo fosse sognato, l'aveva vista eccome.
La scritta incisa nella parete era sparita.
Avrebbe voluto avvicinarsi per sincerarsene meglio, ma ormai era sveglia e non poteva più ignorare quella confusione. Quando si girò verso la porta, vide che Cassius era sparito. Lady Marian avanzò verso le sbarre della finestrella e vi ci si aggrappò per sbirciare cosa stesse accadendo là fuori.
Sgranò gli occhi e scattò di colpo all'indietro quando di fronte a lei una guardia venne abbattuta da un pugno, mentre un'altra, afferrata per la gola da una mano grossa e possente, fu scaraventata contro la parete opposta.
Un istante dopo, i suoi occhi ne incontrarono un altro paio, gialli e luminosi, che in una frazione di secondo ridivennero di un color castano chiaro. Lady Marian riconobbe chi c'era dall'altro lato delle sbarre.
- Eric!- esclamò.
Il Cacciatore boccheggiò, guardandola quasi incredulo.
- Lady Marian...- soffiò, come se non fosse certo di cosa stava vedendo. La ragazza annuì con vigore. Il volto del Cacciatore si aprì in un sorriso sollevato, mentre si avvicinava alla finestra della cella e prendeva le mani della ragazza fra le sue.- Siano ringraziate le forze del Bene!- mormorò, baciandone il dorso.- Vi credevamo morta...
- Lo so...- sospirò lady Marian.- Ma voi cosa ci fate qui? La Regina ha imprigionato anche voi?
Si rispose da sola. Eric era decisamente malconcio, con il volto stravolto, gli abiti stracciati e sporchi qua e là di polvere e sangue.
Le guardie stavano accorrendo dall'entrata dei sotterranei. Il Cacciatore guardò in quella direzione, ma non scappò.
- Non temete...ora vi faccio uscire di qui...- afferrò le sbarre della cella e tirò con tutte le sue forze, ma la porta non si scardinò com'era accaduto poco prima; non era nemmeno riuscito a divellere le sbarre. Riprovò, ma fu costretto a ritrarsi in preda al dolore; si guardò le mani: erano arrossate, era come se le avesse posate su delle braci ardenti.
Le guardie si stavano avvicinando.
- E' magica...- disse lady Marian; la Regina ha pensato proprio a tutto per tenermi chiusa qui.- C'è un sortilegio di clausura. Non si può fare nulla.
- No! Lasciatemi riprovare, sono sicuro che...
- C'è un sortilegio di clausura, vi ho detto, sarebbe comunque inutile. Ascoltate...- si affrettò a dire Marian.- La Salvatrice è arrivata, la Regina lo sa e ha sguinzagliato il Primo Ministro per trovarla...non so cosa voglia fare, ma la dovete trovare prima voi...
Il Cacciatore processò l'informazione. Più che sulla Salvatrice, il suo pensiero andò al Primo Ministro, di cui conosceva l'abilità nella caccia.
Ha smesso di cacciare animali per cacciare esseri umani.
- Dovete trovarla!- ripeté lady Marian; gli spinse il polso oltre le sbarre.- Dovete trovarla prima che lo faccia lui! E ora andate! Stanno arrivando!
- Non vi lascio qui...!- in fondo, sapeva che non avrebbe cavato un ragno dal buco, ma il Cacciatore provò nuovamente – e inutilmente – a scardinare la porta.
- Ve l'ho già detto, non potete fare nulla! La Regina non vuole che io lasci questa cella. Le servo per qualcosa, ma non so cosa...ha detto qualcosa sull'essere la prima, ma...- scosse il capo.
(Senza cuore è la Regina, solo il Vero Amore salverà la prima bambina)
I passi avevano iniziato a scendere le scale.
- Andate, ora! Ditelo al Principe Filippo, ditelo alla Resistenza!
Il Cacciatore non sapeva bene come avrebbe fatto a eseguire ciò che Marian gli chiedeva. Ora era un Uomo Lupo, e in passato aveva visto cosa accadeva a quelli come lui. Forse la Resistenza non lo avrebbe nemmeno ascoltato.
Baciò ancora la mano di Marian.
- Resistete. Tornerò a liberarvi, ve lo prometto.
Si allontanò dalla cella, e riprese a correre. Uscì dal corridoio delle prigioni e si trovò di fronte a una lunga scalinata di pietra, che iniziò a salire correndo, ma dopo soli pochi gradini tre soldati gli bloccarono il passaggio. Una delle guardie sguainò la spada; il Cacciatore afferrò l'arma prima che si abbattesse su di lui. Si ferì le dita, ma riuscì comunque a voltarla in posizione orizzontale e a spingerla contro il soldato, il quale cadde a terra travolgendo anche il suo compagno. La terza guardia gli si avventò contro, ma Eric lo colpì in viso mandandolo a sbattere contro il muro.
Li superò e percorse velocemente un centinaio di gradini, senza avvertire fatica o stanchezza.
Il Lupo è forte.
Arrivò fino a un pianerottolo dove c'era una finestra. Eric comprese di essere uscito dai sotterranei quando vide che essa dava sul fossato del castello. Quando la reggia di Lindorm era divenuta più una fortezza che un palazzo reale, intorno ad essa era stato scavato un largo canale collegato direttamente con le fognature delle prigioni. Lady Marian, cinque anni prima, era riuscita a trafugare la nuova planimetria della reggia e l'aveva consegnata a Jean-Baptiste Beaumont, che l'aveva studiata e spiegata a tutti – in previsione di un attacco che non s'era mai verificato.
(La profondità è...insolita per un fossato. Sarebbe interessante sapere se l'acqua è dolce o salata)
(Perché?)
(Perché se è così profonda...ed è salata...)
Il Cacciatore decise che non si sarebbe gettato in acqua, non poteva sapere se Jean-Baptiste ci avesse visto giusto o no, ma non voleva scoprirlo senza prima conoscere l'effettiva forza del Lupo. Svoltò l'angolo, e si vide arrivare contro altri cinque soldati. Si preparò a fronteggiarli, ma poi udì alle sue spalle i passi delle guardie che aveva stordito, e che si erano riprese fin troppo in fretta.
Non so se ce la faccio. Non ce la faccio.
Cercò una via di fuga che non fosse la finestra, pur sapendo che non ce n'erano.
(Perché se è così profonda...ed è salata...)
Sfondò il vetro. Salì con un balzo sul davanzale, chiuse gli occhi e saltò giù.
Ebbe la percezione di un brandello della sua camicia che si staccava, tirato dalla mano di una guardia. Poi, si ritrovò sott'acqua.
(Perché se è così profonda...ed è salata...)
Spalancò gli occhi. Galleggiava, non toccava né vedeva il fondo ma la superficie era vicina. Non attese di scoprire cosa ci fosse là sotto. Nuotò fino a riemergere con il capo e parte del busto, facendosi strada verso la riva prima che gli arcieri venissero avvisati.
Annaspò mentre si trascinava fuori dal fossato. L'acqua gli aveva lasciato un sapore sgradevole sulle labbra. Sapore di sporco e...
Sale.
L'aveva scampata, ma non era ancora al sicuro.
Era riemerso in prossimità del ponte levatoio. Era già stato abbassato, presto Thorne avrebbe sguinzagliato un manipolo di soldati perché lo catturasse. Il Cacciatore corse sotto l'asse di legno e si accucciò dietro a una delle rocce che ne sostenevano il peso.
Restò in ginocchio, con ancora il sapore del sale sulle labbra. Il Lupo aveva anche un olfatto straordinario, scoprì: fiutò la presenza dei cavalli e dei cani da caccia ancor prima che il ponte cominciasse a tremare sotto il peso degli zoccoli in corsa.
Eric abbassò la testa e si accovacciò raggomitolandosi su se stesso. La sensazione di avvertire tutti quegli odori – il pelo dei mastini e il manto e le criniere dei cavalli, il cuoio delle divise della Guardia Reale, perfino il dopobarba che alcuni soldati avevano spruzzato sul viso – quasi lo distrasse dalla paura di essere scoperto.
Il Lupo è forte, ha un olfatto straordinario...che altro può fare?
Un leggero crack lo fece sobbalzare. Era troppo lieve perché qualcun altro oltre a lui avesse potuto sentirlo; Eric guardò in basso: aveva calpestato con lo stivale un nido composto da ben cinque uova bianche e dalla forma ovale, schiuse.
L'olfatto del Lupo ci mise un attimo a identificare a quale animale appartenessero.
(Perché se è così profonda...ed è salata...)
(Costa stai cercando di dirci?)
(C'è la probabilità che nelle fogne e nel fossato vi siano dei coccodrilli del Mare di Celts)
La cavalleria aveva attraversato il ponte, ora il legno non tremava più. Il Cacciatore attese ancora, rimanendo in allerta. Faceva dardeggiare lo sguardo fin dove poteva per captare movimenti strani, umani o animali che fossero, e intanto cercava di richiamare alla mente la planimetria della reggia.
Ascoltò il proprio respiro e i battiti del suo cuore nelle orecchie. Vide un rialzo del terreno a pochi metri da lui, e poiché gli sembrava che quel rialzo avesse anche una coda e delle zampe, scelse di andare nella direzione opposta.
L'ambiente circostante somigliava molto a come Jean-Baptiste l'aveva ipotizzato. Il Cacciatore prese a camminare affondando gli stivali nel terreno cedevole e tenendo ginocchia e schiena piegati, la testa bassa. Doveva fare attenzione che non ci fossero né coccodrilli né guardie, e in più continuava a voltarsi per accertarsi che la montagnetta di terra con zampe e coda fosse ancora lì dov'era e immobile.
Avanzò semi-accovacciato fra i sassi e l'erba sporca di fango. La cima del pendio che conduceva al fossato era circondata da massi piantati nel terreno e incastrati uno contro l'altro. Non sarebbe stato difficile per qualcuno sporgersi e vederlo, ma era pur sempre una protezione, ed Eric cercò di sfruttarla più che poteva. Prese a tastare il terreno con la punta delle dita prima, con il palmo della mano poi.
Deve essere qui; aveva riconosciuto il punto in cui si trovava – ricordava che fosse nei pressi del fossato e a pochi metri da un pozzo...Eric vide quest'ultimo sopra la sua testa, in direzione est; ebbe un tremore quando gli parve di vedere un'ombra muoversi dietro a esso, ma poi niente si mosse più e si disse che se l'era immaginata – e cercava di rintracciare la X a carboncino che Jean-Baptiste aveva tracciato sulla planimetria.
 
Le mani di Jean-Baptiste Beaumont erano sottili e morbide e con dita affusolate. Più abituate a disegnare che a lavorare. Eric rimaneva sempre incantato di fronte all'abilità e all'eleganza con cui quelle mani scrivevano e tracciavano linee e schizzi che a poco a poco si tramutavano in complesse mappe e progetti architettonici.
Lui sapeva spaccare la legna, cacciare e compiere lavori di fatica molto meglio di quanto non avrebbe fatto Jean-Baptiste, che probabilmente non aveva mai lavorato in vita sua, ma provava lo stesso una certa invidia alla consapevolezza che, lui, non sarebbe mai riuscito a impugnare una penna o un carboncino con la medesima maestria.
La mano sinistra di Jean-Baptiste tracciò una secca e decisa X in un punto della planimetria della reggia di Lindorm.
- Ne sei certo?- Tristan Beaumont era in piedi alle spalle di suo fratello, a braccia conserte, e scrutava dall'altro la planimetria che il più giovane si stava dannando per studiare; inizialmente tutti credevano che la bocca tirata e le sopracciglia aggrottate di Tristan fossero un segno di una sua scarsa fiducia nelle capacità di Jean-Baptiste; poi però avevano capito che era la sua espressione di tutti i giorni.
- Lo sono - Jean-Baptiste guardò prima Tristan, poi Eric, poi ancora il Principe Filippo e abbracciò con un'intera occhiata il manipolo dei capi della Resistenza radunato intorno al tavolo.- E' qui...
Cancellò la X a carboncino e la sostituì con un cerchio, al cui interno era inscritto un triangolo, a sua volta contenente un cerchio più piccolo.
- Non sono sicuro che ve ne siano altri, ve lo saprò dire dopo che avrò esaminato meglio la planimetria - di nuovo, Jean-Baptiste guardò tutti loro da dietro i suoi occhiali dalla forma ovale.- Ma sono sicuro che qui ci sia un Portale.
 
Il Portale era nascosto piuttosto bene, ma non da un sortilegio. Dalla natura.
Nessuno l'aveva usato in così tanto tempo che felci e arbusti vi erano cresciuti tutt'intorno nascondendolo. Eric li strappò via: uno strato di bronzo rotondo chiudeva quello che sembrava un tubo fognario, da cui un tempo doveva sgorgare acqua sporca. Su di esso, vi era il simbolo del Portale.
Sentì il cuore più leggero, tanto che gli venne da sorridere.
Era libero.
Era libero.
Premette il palmo contro il cerchio.
 
- Vostra Maestà...il...il Cacciatore è fuggito.
Il capitano Thorne era pallido come un morto e faticava a mantenere la posizione dell'attenti. Si vedeva che sudava freddo e poco ci mancava che bagnasse i pantaloni e si mettesse a piangere come un bambino.
Omuncolo.
Omuncolo. Era stato il primo aggettivo che le era venuto in mente dopo averlo ascoltato parlare per la prima volta, anni prima, alla reggia di Wyvern. All'inizio della Purgatura, prima del massacro delle Terre Fiere, prima ancora che lei diventasse la regina. Anche a quel tempo le era sembrato un omuncolo.
Tante cose cambiano...la mediocrità no.
Tuttavia, la Regina Cattiva non si mostrò stupita o turbata dalle parole del soldato. Sapeva già cos'era successo. Aveva osservato tutto dal suo specchio.
- Lo so.
Thorne deglutì talmente forte che si fece sentire anche a tre metri di distanza.
- Invierò altri soldati a cercarlo.
- Avevate il dovere d'impedirgli di scappare, e avete fallito. Ora il compito di catturarlo spetterà al capitano Navarre.
Dallo specchio, la Regina Cattiva vide la mascella del capitano contrarsi; il pezzo di labbro mancante si piegò in una smorfia deforme, e l'intera figura del soldato s'irrigidì.
- Vostra Maestà...
- Sparite dalla mia vista, Thorne!- dalla gola della Regina uscì un sibilo come quello di una vipera. Thorne fece un inchino rapido e maldestro, e uscì dalla stanza più veloce di un felino selvatico.
Rimasta sola, la Regina tornò a guardare lo specchio. Sogghignò.
E così credi di essere scappato...non sai ancora che la tua vera prigione è dentro.
Poco importava che fosse fuggito da Lindorm. Quel palliativo di libertà non sarebbe valso per il Lupo. Se ne sarebbe accorto alla prossima luna piena.
Quell'idea gliene fece balenare in mente un'altra.
Il Primo Ministro aveva fallito, aveva catturato una ragazza ma s'era lasciato sfuggire l'altra. Con un po' di abilità, sarebbe riuscita a sfruttare il Cacciatore per risolvere il problema.
Forse può essermi utile già adesso...
Ogni Portale conduceva in un luogo preciso.
Fino a questo momento...
 
La pozza d'acqua stava penetrando nel terreno allargandosi intorno al pozzo e bagnandole la gonna. Ida s'era gettata in ginocchio non appena aveva visto quell'uomo sfondare la finestra e gettarsi nel fossato, e lì era rimasta...di fatto lasciandolo scappare.
Aveva lasciato scappare un prigioniero.
Oh, per tutti i Traghettatori...sono una criminale! Se mi beccano, altro che di nuovo a Brema con mamma e papà, mi sbattono dentro e buttano la chiave!
Le tornò in mente quel povero ragazzo. Quello da cui l'avevano mandata perché lo lavasse, quando la moglie di Larsen era ancora incinta...le avrebbero fatto fare la stessa fine?
Tu non hai visto niente!
Scattò in piedi e recuperò il secchio. Le tremavano le mani ma provò comunque a calarlo per tirare su l'acqua, con il rischio che le cadesse dentro al pozzo.
Tu non hai visto niente, va bene?, si ripeté mentre tirava la corda per issare il secchio. Tu eri qui a farti gli affari tuoi, e se te lo chiedono, tieni chiusa quella boccaccia...era un Portale, quello?
Scosse il capo come a voler scacciare ogni pensiero riguardante quell'incidente dalla sua testa. Non erano affari suoi. Non avrebbe fatto la fine di Maxime Beaumont.
 
 
 
***
 
 
 
New York, 2015. Ore 9:00 a.m.
 
 
 
AVEVA ROVISTATO IN TUTTO L'APPARTAMENTO, ormai, e ancora non aveva trovato niente. Non solo niente di rilevante, proprio niente. Greg stava cominciando a sudare freddo.
Non posso tornare da lui a mani vuote, e mentre lo pensava le mani le strinse a pugno, trovando i palmi sudati. C'è un accordo. E gli accordi andavano rispettati. Altrimenti...
Cercò di non pensarci e riportò la propria concentrazione sul suo obiettivo.
Come se fosse facile...
C'erano troppi pensieri che lo distraevano, e Richard Hadleigh con la sua condanna della memoria di sua moglie non lo stava aiutando.
Greg aveva passato al setaccio l'intero appartamento di Anya e della sua famiglia, ed era giunto alla conclusione che quello non fosse un appartamento, bensì un santuario. L'atmosfera era talmente anonima e asettica da risultare disorientante.
Era tutto minuziosamente pulito e ordinato. Ogni cosa era dove doveva essere, non c'era un granello di polvere su un mobile né una cornice storta appesa al muro.
A Greg era tornata in mente casa sua, caotica, con le pelli d'orso gettate alla rinfusa ovunque, i suoi giocattoli di legno e i coltelli e le pietre affilate con cui Zorek scuoiava la selvaggina e tagliava la carne, il fuoco sempre acceso per scaldarsi...poi aveva scacciato via ogni reminiscenza, ed era tornato a esplorare l'appartamento.
Aveva trovato pochissime altre fotografie oltre alle due in salotto – una sul comodino del padre, con un'Anya e una Elizabeth ancora piccole con addosso abiti estivi e sedute sul muretto di un giardino che non conosceva, probabilmente quello della casa di Briarwood; una appesa alla parete del corridoio e ritraente la sola Elizabeth a cinque anni, con uno zainetto di Barbie in mano e un grembiule scolastico, e gli occhi rossi di chi ha appena pianto; e un'altra, sempre in corridoio, in cui c'era soltanto Anya a mezzo busto, talmente scazzata che neanche guardava l'obiettivo e aveva pure addosso gli occhiali da sole, così a spregio – e basta.
Non una cartolina, non il poster di un concerto, e nemmeno una foto che ritraesse le due ragazze insieme con il padre. Diamine, neppure qualche fotografia più allegra alla spiaggia, o in montagna, o a una festa...!; sembrava che quella famiglia non fosse mai stata da nessuna parte, che non avesse mai fatto una gita insieme, che gli Hadleigh non fossero mai usciti una sera per andare al cinema o a mangiare una pizza.
Greg aveva sperato di avere maggior fortuna nella camera delle ragazze. Lì, i poster di David Bowie e di Freddie Mercury, i cosmetici e i libri, davano un tocco di personalità, ma ancora il ragazzo si ritrovò con un buco nell'acqua. Nessun oggetto strettamente personale e, soprattutto, niente che potesse in alcun modo ricondurre alla signora Hadleigh.
Il marito doveva aver fatto terra bruciata del suo ricordo, l'aveva bandito da quella casa. Non ci voleva molto a capire che fosse stato lui.
Greg un paio di volte dovette soffocare il panico, calmarsi e imporsi di continuare la ricerca. Solo un oggetto gli serviva, no? Un oggetto l'avrebbe trovato...si poteva fingere che il passato non fosse mai esistito, ma fra finzione e realtà c'era una grossa differenza.
Aveva lasciato la camera da letto di Richard Hadleigh per ultima. Non aveva niente di diverso dalle altre stanze, lo stesso arredamento asettico e anonimo, un letto in ferro a mezza piazza – il paparino non si porta donne in casa, e mi sa che neanche spera di farlo – e un comodino con annessa lampada e un armadio di legno marrone scuro, in contrasto con le coperte e il cuscino bianchi, effetto ospedale. Sembrava la camera di un novantenne.
Greg non trovò un beneamato accidenti nei cassetti del comodino, sotto il letto e sotto il cuscino – per qualche ragione s'era convinto che nel suo patetismo il capofamiglia dormisse con una foto della moglie sotto il guanciale, ma evidentemente era troppo anche per lui – poi aprì l'armadio. Anche gli abiti erano da vecchio, camicie bianche con cappotti, pantaloni e giacche scure. Greg li fece passare a uno a uno. Stava per mettersi a frugare in ogni tasca per la disperazione, quando lo sguardo gli cadde su una pila di camicie e maglioni: sembravano impilati uno sopra l'altro, ma il ragazzo vide spuntare sotto di essi l'angolo di qualcosa. Sembrava cartone.
Greg spostò i panni e scoprì lo scatolone nascosto sotto a essi. Era di dimensioni medie, dalla forma cubica, e non era sigillato con del nastro adesivo. Quando il ragazzo l'aprì, lo scoprì pulito, e così anche gli oggetti al suo interno; si sarebbe aspettato che fossero ricoperti di polvere, invece Richard Hadleigh doveva maneggiarli spesso.
La prima cosa che gli capitò in mano fu un mazzo di fotografie tenute insieme da un elastico. Greg le fece scorrere: ognuna riportava poche parole scritte sul retro.
La prima era parecchio vecchia, e ritraeva una coppia giovane. L'uomo aveva i capelli color biondo sporco così come la barba; aveva un'espressione stanca e provata, come di chi ne aveva passate troppe, ma che sorrideva felice come chi, invece, tutti i suoi guai se li era lasciati alle spalle. Aveva gli occhi azzurri come il cielo alle spalle sue e della donna attorno alle cui spalle avvolgeva un braccio; entrambi erano vestiti in maniera leggera, lui con dei jeans e una camicia bianca dal colletto largo e a maniche corte, lei con una gonna bianca a righe rosse, ques'ultime dello stesso colore della maglietta attillata. Al collo portava un fazzoletto candido e sul capo teneva un cappellino di paglia. Le scarpe da tennis di lei erano inadatte al paesaggio in cui si trovavano – una specie di dirupo roccioso che dava su una distesa di sabbia, probabilmente un deserto. Il sole li colpiva in pieno, soprattutto il viso della donna, che teneva gli occhi semichiusi e il sorriso era increspato. Lei era più giovane di qualche anno del compagno, aveva i capelli castani e dei boccoli sfatti, mentre alcuni crini erano appiccicati alla fronte.
Greg voltò la fotografia.
 
 
Alexander e Zelima
Phoenix, Arizona
1975
 
 
In un angolo in basso, un'aggiunta in penna recitava:
 
 
Grazie al tuo Dio siamo tornati
a New York!!!
 
 
Chissà perché ho la sensazione che si tirassero i piatti un giorno sì e l'altro pure!, sbuffò Greg.
La seconda fotografia ritraeva la stessa donna, in abiti diversi, invernali, nella cucina di una casa che Greg non conosceva. Sorrideva sempre con il suo sorriso increspato e aveva un bambino di circa due o tre anni che reggeva con un braccio.
Di nuovo, il retro della fotografia aveva delle brevi informazioni.
 
 
Zelima e Rick
casa nostra a New York
1977
 
 
La manciata di fotografie seguenti mostravano sempre la donna, Zelima, in compagnia dell'uomo della prima foto e del moccioso, con solo il bambino – che aveva sempre due o tre anni, oppure era addirittura più piccolo – in diverse parti della casa, oppure a New York. Greg le fece passare velocemente.
Arrivò a un'immagine più interessante. Stavolta Greg riconobbe subito lo sfondo: era la spiaggia di Long Island. Greg ci stava spesso, quando non ne poteva più del suo tugurio e non doveva stare appresso a quella stronzetta della Hadleigh, quando voleva respirare un po'. L'uomo della prima foto, Alexander, era in costume da bagno semidisteso su un telo da spiaggia, e teneva le braccia intorno al busto nudo di un ragazzino di circa quindici anni, che rideva.
Greg riconobbe il ragazzino come il bambino in braccio alla donna, e grazie ai lineamenti più adulti lo identificò come un Richard Hadleigh adolescente.
La foto successiva mostrava di nuovo Alexander in compagnia del figlio, il quale era più grande e indossava un outfit simile a quello che aveva Anya nello scatto in salotto.
 
 
Alexander e Rick,
giorno del diploma
1993
 
 
Un altro appunto in penna all'angolo in basso della foto.
 
 
Ottimo lavoro, ragazzo!
Sono orgoglioso di te.
 
 
La foto dopo aveva lo stesso schema, sempre Alexander Hadleigh con il figlio. Stavolta Richard aveva vent'anni o poco più, sembrava nervoso, ed entrambi erano in piedi su una bassa scalinata di marmo bianco. Hadleigh junior indossava dei jeans, una camicia e un maglione scuro con sopra un cappotto marrone – e Greg si stupì di questo quando girò la fotografia e lesse la dedica.
 
 
Alexander e Rick
New York
1996
 
Tanti auguri a te
e a Christine per il vostro
matrimonio!
 
Papà
 
 
Greg aveva imparato le usanze che gli umani avevano per quanto concerneva i loro matrimoni. Erano eventi che duravano anche una giornata intera, più d'una se avevi sfiga, in cui gli sposi avevano l'abitudine d'invitare anche altra gente ad assistere e doveva esserci per forza una persona autorizzata per legge a celebrare le nozze, non c'era l'unione del sangue, e tutti dovevano agghindarsi come per una festa. Era piccolo quand'era successo, ma ricordava bene come suo fratello Zorek se ne fosse uscito dalla loro hus la mattina per cacciare, e fosse tornato la sera con un taglio sulla mano e dicendo che s'era sposato. E di come suo padre prima si fosse incazzato perché Zorek aveva rimediato solo un capriolo, e poi avesse tranciato via la gamba del suddetto capriolo e l'avesse regalata alla moglie di Zorek come regalo di benvenuto nella famiglia.
Avevano passato la notte di nozze fuori casa e il giorno dopo Zorek, suo padre e sua madre s'erano messi a costruire una nuova hus dove suo fratello e la sua sposa potessero abitare. La moglie di suo fratello aveva ricevuto altre zampe d'animale dai vicini come regalo per il suo matrimonio, e dopo era finita lì.
Greg non aveva mai capito perché gli umani ritenessero importanti tutte quelle quisquilie che facevano quando due della loro razza si sposavano. Ma proprio per questo si stupì quando vide Richard Hadleigh vestito con abiti normali, non certo come uno sposo. Tuttavia, si sentì rincuorato perché, da come aveva capito, gli umani scattavano le fotografie anche alle spose, quindi ne avrebbe di sicuro trovata una con la signora Hadleigh.
Con suo grande sollievo, anche se non del matrimonio, la foto successiva ritraeva proprio Christine, e anche tutte quelle dopo.
Erano state scattate nel corso di alcuni anni, lo si capiva dal lieve mutamento dei lineamenti del viso della signora Hadleigh, da adolescente a donna. Compariva in diverse pose, in diversi luoghi, da sola o con altre persone: in una sola con Alexander, in altre con il marito, in altre ancora con una o entrambe le sue bambine. Sorrideva sempre.
Greg doveva ammettere che avesse proprio un bel sorriso, con denti bianchi e dalla forma regolare, e labbra rosse e carnose. Negli scatti in cui si trovava in spiaggia era abbronzata, ma negli altri si poteva intuire che avesse una carnagione pallida. I capelli erano neri come l'ebano, folti e lisci e lunghi fino alla vita.
Certo che era proprio una bella donna, dovette ammettere Greg. Anya le somigliava, ma non era graziosa quanto lei. Christine Hadleigh era alta di statura e aveva un fisico formoso e provocante, come quello di una spogliarellista o dell'attrice di un film che a Greg era capitato di vedere in TV qualche mese prima, una rossa che interpretava una ragazza ricca che durante una crociera s'innamorava di un biondo povero in canna che di mestiere faceva il pittore – finiva che la nave affondava e lui moriva.
Perché vuole un oggetto di questa donna? Che se ne fa?
Non gli era mai capitato di porsi domande in merito in quei quattro anni – lui gliel'aveva detto, fare domande non è il tuo compito, caro – tranne in quelle poche, sporadiche e svogliate volte che subito accantonava. Lui aveva ragione, fare domande non era il suo compito, e in fondo non gli era mai veramente interessato.
Ma adesso, qualcosa se lo chiedeva. Conosceva la storia di Christine Hadleigh come l'avevano raccontata giornali e telegiornali all'epoca dei fatti. Che se ne fa di un oggetto di una pazza?
Sapeva che una fotografia della donna sarebbe stata sufficiente; invece, riavvolse gli scatti nell'elastico e li ripose nello scatolone, continuando a rovistarci. A quanto pareva Hadleigh aveva conservato lontano dagli occhi delle figlie un bel po' di effetti personali della mogliettina fuori di testa. Greg trovò alcuni braccialetti di bigiotteria colorati, una versione rovinata de Lo strano caso del Dr. Jekyll e di Mr. Hyde – sulla prima pagina c'era scritto Christine Mason, anno scolastico 1992/1993 – dei fermagli per capelli, una camicia da notte bianca ripiegata, un portagioie di plastica, con una chiave e un lucchetto e due oggetti avvolti in vecchia carta di giornale.
Greg svolse il primo. Era uno specchio ovale, con il manico e il bordo nero in cui delle rose e spine rampicanti tridimensionali si avvolgevano una sulle altre. Il vetro era rotto, e in un punto in basso un frammento era mancante. Il ragazzo vide riflesso il suo volto deformato dalle sembianze umane e lo posò a terra.
Il secondo oggetto avvolto nella carta di giornale era un quaderno che sulle prime a Greg fece prendere un mezzo colpo, tanto era simile ai libri umani del mondo da cui proveniva. Poi si accorse che il cuoio marrone della copertina era in realtà finto cuoio e che le pagine erano solo vecchie, non antiche. Un nastro rossi sbiadito lo teneva chiuso, ma Greg sciolse il nodo con facilità.
Alcune pagine era staccate e c'era un quantitativo enorme di fogli e biglietti infilati fra di essi.
Lo aprì sulla prima pagina.
 
 
21 marzo 1989
 
   Tanti auguri a me, suppongo.
   Oggi compio 11 anni. Sheila mi ha organizzato una festa, ma non è che sia andata tutta 'sta favola...
   L'idea era d'invitare i miei compagni di scuola, ma è stata un po' un'idea del cazzo, a conti fatti. Non per niente è stata di Sheila. Io manco volevo.       Però Sheila ha detto che ero quella nuova, e che sarebbe stato “carino” invitare i miei nuovi compagni di scuola alla mia festa di compleanno. Le ho spiegato che passato il mese dall'arrivo una smette automaticamente di essere “quella nuova” e diventa una stronza come tutte le altre, ma Sheila ha detto che stronza lo sono davvero, se sparo queste stronzate.
   Nel caso ci fosse un'entità superiore che sbircia oltre la mia spalla – non si spia! – o nel caso mi trovassero morta e questo diario andasse agli archivi degli sbirri, Sheila è mia madre, ma lei non vuole che la chiami “mamma” perché dice che la fa sentire vecchia. Comunque alla fine della storia la stronza che spara stronzate si è rivelata lei, perché alla festa non è venuto nessuno.
   Non che me ne freghi qualcosa, eh. Solo che mi scoccia che Sheila abbia buttato via i soldi per la torta e abbia perso una nottata intera di sonno per scrivere i bigliettini.
   Io le avevo detto che di feste non ne volevo e che quelli erano tutti dei gran pezzi di merda, ma lei non mi ha ascoltato. Abbiamo litigato – anche se in realtà ha fatto tutto lei da sola – e alla fine m'ha pure tirato una sberla.
   “Tanto non si presenterà nessuno!” le ho urlato, mentre lei metteva i suoi addobbi del cazzo e tirava fuori dal frigo la sua torta del cazzo. Alla fragola, oltretutto, quando lo sa benissimo che a me fa schifo; quando gliel'ho detto, mi ha risposto che era quella meno cara e di non rompere il cazzo.
   “Facciamo così! Se per caso alla fine si presenta qualcuno ti pesto a sangue davanti a tutti, così impari!” ed è andata al piano di sopra a truccarsi e a cambiarsi il vestito.
   La sua festicciola del cazzo doveva iniziare alle tre, ma alle cinque ancora non c'era nessuno e io ero là seduta come un'imbecille di fronte a quella merdosa torta alla fragola che si stava squagliando. Alle sei è stato chiaro che non sarebbe arrivato nessuno.
   Allora Sheila ha cominciato a fare tutta la smielosa.
   “Oh, tesoro, mi dispiace tanto!”
   “Sto cazzo che ti dispiace, l'idea è stata tua, se non fosse stato per te non sarebbe mai successo!” le ho risposto; in genere quando le rispondo così mi prende per i capelli e mi trascina sul pavimento fino in camera mia, ma stavolta non l'ha fatto. E' da un po' che si comporta in modo strano, in effetti...non vorrei avesse ricominciato a bucarsi di nuovo, e che cazzo!, è uscita dalla riabilitazione solo da sei mesi! L'assistente sociale ha detto che se ci ricasca stavolta le tolgono la potestà genitoriale, e io finirò in un merdosissimo istituto.
   Gesù, lo so che non prego tanto e che bestemmio spesso, ma fa' che Sheila non ricominci a bucarsi. E che quella troia dell'assistente sociale non scopra che batte i marciapiedi – lei crede che mamma percepisca l'assegno statale di disoccupazione...che sì, è vero, ma tecnincamente sarebbe una truffa, perché dice che sta cercando lavoro.
   Comunque, dicevo, non mi ha riempito di cazzotti come fa di solito quando rispondo male, anzi, è corsa subito al telefono. Io credevo che c'avessero tagliato la linea ma a quanto pare no, vabbé. L'ho sentita borbottare per un quarto d'ora, poi è tornata in cucina trotterellando come una Miss Piggy ubriaca, tutta sorridente. Porca troia, neanche quando era strafatta si comportava così.
   “Indovina? La festa si fa comunque! Ho invitato tutte le mie amiche, ci divertiamo alla faccia di tutti quei coglioni!”
   Okay, le amiche di Sheila non sono male, questo lo riconosco.
   Tempo mezz'ora e sono arrivate tutte insieme. Tiffany, quella che sta con quel vecchio perché spera che muoia presto e che le lasci tutti i soldi; Lola, che è quella che batte con Sheila sulla 161esima Strada; e Patricia, che invece riceve i clienti in casa – lo so perché ho abitato da lei mentre Sheila era in riabilitazione.
   Ci siamo fatte questa.
 
Sotto c'era una fotografia ritraente quattro donne adulte e una bambina. Christine Hadleigh indossava una camicetta gialla su cui c'erano delle macchie di candeggina, e aveva le labbra piene di braccialetti e le dita occupate da anelli. I capelli neri erano tenuti in ordine da un cerchietto rosa, ed era truccata – ombretto azzurro e rossetto color Borgogna.
Dietro di lei, una donna sui ventisette o ventotto anni, con un abito corto, attillatissimo, dalla scollatura abbondante e ricoperto di perline, le teneva le braccia intorno alle spalle e una guancia premuta contro la sua. Aveva dei lunghi capelli biondi con una ricrescita castana, un viso allungato e pieno di lentiggini, e gli occhi verdi come quelli di Christine: Greg intuì da quest'ultima caratteristica che dovesse essere la madre, Sheila. Intorno a loro, sorridenti o che ridevano, c'erano le tre donne che Christine aveva identificato come Tiffany, Lola e Patricia.
Guardavano l'obiettivo. Di fronte a loro, sulla tavola, c'era una torta alla fragola mezza sciolta con su undici candeline accese.
 
   Patricia mi ha regalato degli orecchini di plastica, quelli a forma di ciliegia che avevamo visto al mercatino la settimana scorsa con lei e Sheila, Tiffany mi ha regalato un cerchietto nuovo e Lola ha detto che non ha avuto tempo di comprarmi il regalo, ma che il mese prossimo mi porterà a fare shopping con lei e potrò sceglierne uno.
   Sheila invece mi ha regalato una cosa strana. Ho proprio paura che si buchi ancora.
   Ha tirato fuori dalla borsa cinque foglietti di block-notes colorati d'azzurro con il pennarello. Al centro c'erano dei numeri scritti in penna, da 1 a 5.
   Sheila ha detto che sono dei “Buoni Sheila”.
   “Valgono un anno. Praticamente sono come dei piccoli desideri, hai capito?”
   Non avevo capito un cazzo e gliel'ho detto”
   “In pratica, facciamo finta che tu vuoi qualcosa, okay? Qualcosa che di solito io non voglio fare, o non voglio che tu faccia...fino all'anno prossimo, quando vorrai qualcosa del genere, avrai a disposizione questi cinque “Buoni Sheila”...li potrai usare per ottenere quello che vuoi”
   “Usali bene!” ha ghignato Patricia.
   A me sembrava un'idea cretina, ma non gliel'ho detto.
   La torta faceva cagare, si capiva perché costava poco.
   Abbiamo messo su i Pink Floyd e Sheila ha spostato il tavolo così potevamo ballare, poi ha stappato una bottiglia di tequila che Lola s'era portata da casa.
   E qui arriva la parte bella.
   Alle sette passate, ha suonato il campanello. Sheila e le ragazze erano ubriache. Niente d'insolito, eh, succede sempre quando sono insieme, solo che stavano ballando mezze nude fra la cucina e il salotto, c'era la musica a palla e loro non erano in grado di aprire la porta, quindi sono andata io.
   Mi sono ritrovata di fronte Mary Wilson con sua madre.
   Mary aveva l'aria di voler essere ovunque tranne che qui. Sua madre aveva un sorriso falso che però è crepato non appena ho aperto la porta e ha sentito i Pink Floyd sparati a manetta.
   Ha cercato di recuperare.
   “Ehm...tu devi essere Kathryn”
   “Christine” oca!
   “Tanti auguri, Christine!”
   Madonna che falsa!
   Ho guardato quell'ameba di Mary Wilson; era rossa come se le fosse andato di traverso qualcosa, manco mi guardava in faccia fra un po'. Aveva in mano una borsa di plastica colorata, di quelle in cui si mettono i regali. Me l'ha praticamente tirata addosso.
   “Buon compleanno, Christine!” s'è mangiata le parole mentre lo diceva, quasi non avevo capito.
   “La festa era quattro ore fa” ho detto io.
   La mamma di Mary è sembrata abbastanza scazzata, probabilmente si aspettava che la ringraziassi per il regalo. Piuttosto me lo ficco in culo, guarda, avrei voluto dirle.
   “Lo so, ma Mary aveva lezione di pianoforte, non poteva venire. Però ci teneva comunque a passare e a darti il suo regalo” io la vedevo che continuava a cercare di sbirciare dentro per vedere che cosa stava succedendo, stavo per mandarla affanculo, quando a un certo punto la faccia di Mary s'è illuminata.
   Il che è una gran cosa, di solito sembra un cadavere.
   “La festa non è ancora finita!” e ha guardato sua madre. “Posso entrare un attimo? Cinque minuti!”
   Stavo per dirle di no, però la signora Wilson mi ha preceduta.
   “Devi andare a letto presto, stasera, Mary, domani hai lezione di tennis...”
   Ed è stato a quel punto che è successo.
   Sheila stava ballando sul tavolo mezza nuda da mezz'ora. E' saltata giù e s'è affacciata sulla porta in mutande e reggiseno, ubriaca marcia e con una bottiglia di vino aperta in mano.
   “Ciiiiiaaaaooooouuuu!” no, giuro, ha fatto proprio così e io mi stavo pisciando sotto dal ridere! “Tu devi esshereh...un amicO...ahehm...volevo dire...un'amica di Chrishtine...shalve shignorah...!” ha ululato in faccia alla madre della Wilson. Deve anche averle dato un'alitata perché gli occhi già schifati di quel pezzo di legno hanno strabuzzato e lei ha boccheggiato. “Perché non entra dentroooooouuuu...” e ha perso l'equilibrio finendo quasi addosso a quella fica sfondata. “Shi fasciamo due chiacchiereh fra adulte mentre le pampine giocano...”
   “Spiacente!” ha gracchiato quella e ha dato uno strattone al braccio di Mary così forte che, no, davvero, sul serio, giuro che ho creduto che glielo staccasse. Pure gli occhiali a momenti le cascavano. “Ma abbiamo ospiti a cena. Andiamo, tesoro!” e s'è trascinata dietro quella merdina ammuffita di sua figlia. Poi, siccome nemmeno mentre se ne andava Mary la piantava di guardare verso di noi, le ha dato un altro strattone perché si voltasse.
   “Inaudito!” l'ho sentita dire. “Lasciare a una donna simile una bambina...inaudito!”
   Che se lo ficchi in culo, il suo inaudito.
   Morale della favola, dopo un po' Tiffany e Patricia e Lola se ne sono andate e Sheila s'è addormentata sul divano. Ho dato una pulita e ho aperto il regalo di Mary.
    Ed eccolo qui. Un cazzo di diario segreto.
   Okay, punto in più per Mary per non avermi comprato una di quelle robe iperglicemiche rosa e infiocchettate, si vede che aveva paura che glielo rompessi sulla testa, ma come cazzo le è venuto in mente?
   Anche se lei mi sa tanto del tipo che scrive le sue puttanate su un quadernetto tutto infiocchettato.
   Vabbé, comunque non lo userò. C'ho scritto solo per stavolta perché sono qua che m'annoio, in TV non c'è niente di bello e c'è Sheila che russa qui di fianco a me, e la scena di stasera mi sta ancora facendo spisciare.
   Detto questo, addio mio non-diario. A mai più rivederci.
 
Greg inarcò le sopracciglia e voltò la pagina.
Era scritta, e cominciava con la medesima data.
 
21 marzo, 1989
 
   'Fanculo, questa è davvero l'ultima volta che scrivo.
   Ma è successo di nuovo, e devo dirlo a qualcuno...
 
Una rapida scorsa alle altre pagine gli diede la conferma che Christine Hadleigh aveva, a discapito dei suoi propositi, continuato a scrivere il suo diario. Greg fece per continuare a leggere, ma dal corridoio provenne il suono dello scatto di una serratura.
Cazzo!
S'immobilizzò e iniziò a sudare freddo.
Il rumore di una porta che si apriva, dei passi pesanti e stanchi sul pavimento, e poi la porta che si richiudeva.
- Anya?
Cazzo!
Greg s'infilò senza pensare il diario nella tasca dei pantaloni, poi raccattò lo specchio e il portagioie e se li strinse al petto. Ficcò il resto dentro lo scatolone e vi mise sopra i vestiti alla bell'e meglio, poi richiuse le ante. Scivolò supino sotto al letto.
- Anya? Liz?
Greg cercò di respirare piano mentre ascoltava i passi di Richard Hadleigh muoversi per la casa. Lo udì prima dirigersi verso la cucina, poi in salotto, infine percorrere il corridoio con lentezza.
Greg si premette una mano sulla bocca.
- Ragazze? Siete in casa? Sono...tornato prima. Possiamo...possiamo parlare un po'?
I passi dell'ispettore andarono nella stanza delle figlie. Poi, con la coda dell'occhio, Greg vide le scarpe dell'uomo affacciarsi sulla soglia del letto, oltre l'orlo della coperta.
Cazzo, cazzo, cazzo, cazzo, cazzo...!
Si premette ancora di più il palmo sulle labbra per attenuare il suono del suo respiro, mentre continuava a seguire i movimenti delle scarpe. Le vide misurare il perimetro del letto fino al comodino, poi si fermarono. Hadleigh sospirò. Qualche secondo dopo, Greg sentì il tu-tu tu-tu di una segreteria telefonica.
Hadleigh sospirò nuovamente, un sospiro più stanco e profondo.
Greg riprese a seguire i movimenti delle sue scarpe indietro lungo il perimetro del letto e fino alla porta, e poi udì i passi dell'ispettore ripercorrere a ritroso il corridoio. Tirò un sospiro di sollievo quando udì la porta aprirsi e richiudersi.
Attese qualche minuto. Poi, quando fu sicuro che Hadleigh se ne fosse andato, strisciò fuori dal letto con ancora il portagioie e lo specchio rotto premuti contro il torace.
Poteva bastare, si disse. Lui ne sarebbe stato soddisfatto.
Lo spero.
 
 
***
 
 
- PRENDETELE!
Navarre e i suoi le stavano raggiungendo. Elizabeth si voltò senza smettere di correre: c'erano solo il capitano e altri due soldati, ma loro due erano comunque sole, disarmate e, per quanto riguardava Cenerentola, ferite. La bionda riusciva a correre a fatica a causa del taglio sanguinante sulla gamba, e già iniziava a rallentare la corsa. Elizabeth da parte sua sentiva i polpacci doloranti, respirava a fatica e iniziava a sentire dolore alle cosce e alla milza.
Quasi non si era accorta che avevano raggiunto i confini della Foresta Incantata e che ora stavano correndo in mezzo agli alberi, con la fatica ulteriore di dover aggirare quelli e le rocce.
Improvvisamente, Cenerentola crollò in ginocchio sull'erba con un gemito.
Elizabeth si fermò e la raggiunse, afferrandola per un braccio.
- Alzati!- quasi implorò.
- No...lasciami qui, vattene via...
Elizabeth provò ancora a tirarla in piedi.
- Forza, alzati...
- Ho detto vattene!
Elizabeth non si mosse. Non sapeva perché se la prendesse così tanto: Cenerentola era solo un personaggio delle fiabe, in fondo, si sarebbe quasi potuto dire che non fosse reale, e in ogni caso a conti fatti neppure la conosceva; ma sentiva che non poteva abbandonarla lì.
- Eccole!
Elizabeth si sentì afferrare le spalle e venne allontanata a forza da Cenerentola. Non fece in tempo a vedere cosa ne fu di lei, perché uno dei soldati la spinse violentemente a terra. Sentì una mano inguantata avvolgerlesi intorno alla gola, premendole la nuca contro l'erba.
- Ordini, capitano?
Cenerentola venne atterrata a sua volta, e un soldato le premette il torace e la guancia contro il suolo. Avvertì una lama fredda graffiarle la giugulare. I secondi che intercorsero prima che il capitano Navarre parlasse le sembrarono durare secoli.
- Uccidetele.
Elizabeth trattenne il fiato, sentendo il cuore balzarle via dal petto; non riusciva a pensare a nulla, vedeva solo la spada del soldato alzarsi sopra di lei, e presto anche quella vista venne appannata dalle lacrime.
Chiuse gli occhi.
La stretta intorno alla gola cessò. Una frazione di secondo dopo, sparì anche la lama, e insieme ad essa il soldato. Elizabeth lo vide sbalzare di lato, fluttuando a mezz'aria per mezzo istante prima di finire contro lo stesso capitano Navarre. I due uomini caddero a terra con un tonfo sordo unito allo sbatacchiare del ferro delle loro armature.
Elizabeth alzò lo sguardo: sopra di lei c'era un uomo di circa quarant'anni, dalla corporatura massiccia, con addosso un cappotto marrone rovinato. Il volto era ricoperto da graffi e tagli.
Il soldato che tratteneva Cenerentola si distrasse per guardare il suo compagno e il capitano accasciati al suolo; l'uomo sconosciuto approfittò del momento e lo afferrò per il bavero della cotta, sollevandolo di peso. Il soldato lasciò la presa ai polsi di Cenerentola.
Il Cacciatore gli strinse con forza la mano intorno alla gola, tanto che il soldato si ridusse a un gracchiare soffocato nel tentativo di respirare; Eric aumentò ancora la stretta, tenendolo sollevato a mezz'aria. Presto, gli occhi del soldato divennero vitrei, il volto cianotico, la lingua prese a penzolare fuori dalla bocca; Elizabeth vide il Cacciatore lasciare cadere il suo corpo svenuto.
Cenerentola ansimò sollevandosi in ginocchio; guardò lo sconosciuto, e la sua espressione si dipinse di terrore quando scorse Navarre alle sue spalle alzarsi e brandire la spada. Urlò, ma il capitano fu più veloce della sua voce, e colpì il Cacciatore un attimo prima che si scansasse, ferendolo di striscio a un fianco. Eric strinse i denti per il dolore, mentre i suoi occhi ebbero una scintilla di giallo brillante; si voltò a una velocità innaturale, animalesca, e bloccò il braccio di Navarre prima che questi affondasse un secondo colpo. Il Cacciatore fece inclinare la spada verso il suo avversario, e spinse il capitano lontano da sé.
La lama andò a sbattere contro il viso del soldato.
Navarre barcollò, cadde in ginocchio e cominciò a urlare come un animale al macello mentre lasciava cadere la spada e si portava entrambe le mani a coprire l'occhio sinistro. Dalle fessure fra le sue dita cominciò a spillare sangue.
Navarre ansimava e ringhiava come una bestia ferita; puntò l'occhio sano contro il Cacciatore: incontrò due iridi gialle, spaventose, le cui pupille erano ridotte a due lunghe e strette fessure.
L'altro soldato s'era alzato ed era caracollato al suo fianco, disarmato; tirò il capitano per la casacca, incitandolo ad andarsene. Navarre continuava a emettere versi rabbiosi e sofferenti, ma non se lo fece ripetere.
Solo quando non li vide più, Elizabeth ricominciò a respirare. Cenerentola appariva incredula e sconvolta. Entrambe si volsero all'uomo sconosciuto.
Eric non parve accorgersi dei loro sguardi. Ansimò, mentre gli occhi tornavano al loro naturale colore e le pupille ridiventavano rotonde. Soffocò un gemito e si portò una mano al fianco ferito che aveva preso a spillare sangue rosso scuro che in un attimo divenne nero. Il Cacciatore si voltò a guardare le due ragazze; boccheggiò, come se volesse dir loro qualcosa; invece, si accasciò al suolo.
Gettò il capo all'indietro mentre si lasciava crollare disteso sull'erba. Cenerentola si alzò e si lanciò verso di lui, provando a sostenerlo per le spalle, ma il peso era eccessivo per lei, e poté solo rallentare la caduta ed evitare che il capo dell'uomo sbattesse a terra.
Il Cacciatore chiuse gli occhi, ormai privo di sensi.
 
 
***
 
 
ANYA VENNE SVEGLIATA DA UN calcio nella colonna vertebrale. Tossì e si contorse per il male.
- Alzati!- le intimò rabbiosamente il Primo Ministro.- Alzati, muoviti!
Anya grugnì, puntellando i gomiti sul terreno. Il sole le bruciò gli occhi. Intuì che dovesse essere mattina.
Si era addormentata solo un paio d'ore prima, sfinita da tutte quelle emozioni e quell'avventura che definire poco piacevole sarebbe stato un cortese eufemismo; era rimasta sveglia tutta notte fino a che la stanchezza non aveva preso il sopravvento, sveglia a rimuginare sull'intera situazione senza trovarvi una via d'uscita. Aveva quasi totalmente accantonato l'incredulità del trovarsi davvero nel Regno delle Favole, e i suoi problemi principali in quel momento erano: trovare sua sorella; e, ancora più prioritario, trovare il modo per sottrarsi alle grinfie di quel bastardo.
Bastardo che era rimasto sveglio tutta notte, senza dare mai il minimo segno di stanchezza...e senza mai perderla di vista.
- Mi hai sentito?! Ho detto di alzarti!
Senza attendere oltre, il Primo Ministro la prese per il collo della maglietta e la tirò su. Anya si trovò accovacciata sull'erba, con i polsi e le caviglie ancora legati. L'uomo la squadrò per un lungo istante, prima di portarsi una mano alla cintura; sguainò un pugnale affilato, e Anya si sentì morire dal terrore quando si chinò su di lei, ma l'urlo le morì sulle labbra quando vide che aveva solo tagliato le corde intorno alle sue caviglie.
Il Primo Ministro si rialzò, le strinse il braccio e la fece alzare.
- E ora cammina!- abbaiò, cercando di spingerla in avanti. Anya digrignò i denti, irrigidendo i muscoli e puntando i talloni a terra. Cercò di divincolarsi ritraendo il braccio versi di sé, ma il Primo Ministro la trattenne. La strattonò.
- Ho detto di muoverti!
- No!- Anya arretrò per quanto la presa del suo carceriere glielo permettevano.
Il Primo Ministro le diede un altro strattone, tale da farla barcollare.
- Vedi di smetterla di ribellarti e iniziare a camminare, o giuro che ti spezzo le gambe!
- No!- la ragazza strillò nuovamente, come una bambina che faceva i capricci, iniziando a colpirlo al torace e alle spalle con i pugni con la poca forza che i polsi legati le consentivano. Il Primo Ministro le afferrò la gola, spingendola indietro e sbattendola contro il tronco di un albero lì accanto. Anya si mangiò un urlo quando la sua schiena cozzò contro la corteccia; un attimo dopo, sentì il peso dell'uomo che le stava premendo il proprio corpo addosso.
Alzò le mani legate come a volersi difendere, ma anche quelle si ritrovarono bloccate fra il proprio petto e il torace del suo carceriere. Anya si rese conto di essere busto contro busto, fianchi contro fianchi; non riusciva nemmeno a muovere le gambe, intrappolata in quella posizione.
L'uomo le piantò l'avambraccio di traverso contro la gola.
- La facciamo finita, sì o no?
Il Primo Ministro ansimò, sollevandò gli occhi azzurri su quelli verdi della ragazza. Quasi fu sorpreso di trovarvi evidenti tracce di paura. Aveva dimostrato di sapersi difendere, in fondo, ma era ancora troppo facile. La guardò meglio: era pallidissima, con la fronte sudata e tremava.
Non c'era gusto e non c'era onore. Era come ammazzare un cervo già ferito da qualcun altro, o un cinghiale finito nella tagliola di altri cacciatori. Non corretto, non onorevole.
Anche le prede hanno il diritto di potersi difendere.
Non aveva mai soprasseduto su questo, non l'avrebbe fatto adesso. Doveva solo trovare il modo di truffare lo specchio.
Guardò la corteccia alle spalle della ragazza. La linfa che zampillava da essa e scendeva lungo il tronco emetteva di tanto in tanto dei luccichii dorati. Il Primo Ministro aggrottò le sopracciglia. Usò la mano libera per toccare la linfa.
Subito questa si sciolse e sulla punta delle sue dita rimase solo una polverina dorata che di tanto emanava un luccichio.
Polvere di fae.
Dopo che lo realizzò, improvvisamente ai suoi sensi balzarono una serie di dettagli che la notte prima, al buio, gli erano sfuggiti: anche gli altri alberi intorno a loro erano coperti di linfa recante polvere di fae, così come le foglie, e persino l'erba.
Magia fae...
- Lasciami andare...- la voce di quella ragazza era un soffio.- Toglimi le mani di dosso!
Sembra un pulcino spaventato eppure riesce ancora a fare l'arrogante!
Si staccò da lei. Magia fae...; lo specchio non poteva mostrare ciò che era protetto con la polvere di fae. Lo aveva saputo dalla Regina Cattiva in persona: la polvere di fae era l'unica barriera che le impediva di raggiungere la Resistenza; senza di essa, lo specchio le avrebbe già mostrato dove si trovavano i ribelli.
Forse posso approfittarne...
Il tempo stringeva, e la Regina era stata chiara: voleva teste e cuori di tutt'e due le ragazze, e lui doveva portarglieli. Teste e cuori di entrambe. Non poteva ritornare al castello di Lindorm a mani vuote o con solo metà del lavoro fatto.
Doveva ancora trovare l'altra ragazza e aveva per le mani quella sciacquetta che con il suo ribellarsi e tirare calci e pugni l'avrebbe solo rallentato e gli avrebbe reso il compito più difficile. Il problema era che non aveva idea di come fare per farla stare buona. Ammazzarla, non voleva, non indifesa com'era; se le avesse fatto talmente male da ridurla al silenzio, non solo l'avrebbe resa ancora più indifesa, ma si sarebbe trasformata in un peso morto che l'avrebbe ostacolato ancora di più.
L'unico modo era tirarla dalla sua parte. Ma come?
Non poteva mostrarsi gentile e galante adesso, dopo averla imprigionata e maltrattata per una notte intera. Doveva tentare un'altra strada per ingraziarsela...magari fingendo un malinteso...mentendole sulle sue vere intenzioni...
D'altronde, il tempo che restava prima della Luna di Sangue era poco, e lui aveva a che fare con una potenziale Salvatrice, disposta a qualunque cosa – ci scommetteva – per ritrovare l'altra ragazza; se era la Salvatrice, era anche una notevole scorciatoia per la Pietra del Male.
E poi, per quel che ne sapeva, l'altra candidata poteva anche essere finita nella portata principale di un orco scampato alla Purgatura, o nella casa di qualche megera. Se al posto di due ragazze avesse riportato alla Regina solo una possibile Salvatrice, ma con essa anche qualche Chiave che conducesse alla Pietra...
Forse aveva delle buone possibilità di cavarsela, in questo modo. Si trovava in un luogo pullulante di magia fae, lì la Regina Cattiva e il suo specchio non avrebbero potuto vederlo. E se era vero che la Resistenza si proteggeva con la polvere di fae, forse anche i ribelli erano vicini.
Sorrise fra sé, facendosi coraggio.
E' ora d'iniziare la scena.
Il Primo Ministro estrasse di nuovo il pugnale dalla cintura. Accostò la lama alla guancia della ragazza, con la punta premuta contro lo zigomo.
- Vediamo se avrai ancora voglia di ribellarti, dopo che ti avrò cavato un occhio...
Fece salire lentamente la punta del coltello verso il bulbo oculare. Anya gridò, serrando gli occhi in un ultimo, disperato tentativo di autodifesa.
Poi, sentì improvvisamente la lama arrestarsi nel suo percorso, quindi il freddo del pugnale scivolare via dalla guancia; riaprì gli occhi: l'uomo di fronte a lei era concentrato sulle sue mani. Le afferrò i polsi e tagliò le corde con decisione. Anya avvertì la piacevole sensazione del sangue che riprendeva a fluire in modo normale. L'uomo si allontanò da lei di qualche passo e le diede le spalle. Anya inspirò per calmare il battito cardiaco ma senza staccare gli occhi da lui.
Il Primo Ministro si chinò a raccogliere il proprio arco e la faretra; si stava comportando come se lei non fosse stata lì. Anya sbatté le palpebre, in piena confusione: prima la trattava peggio d'un cane, la legava e la picchiava, poi dal nulla decideva di liberarla e fare finta che non fosse accaduto niente?!
Tutta la sua razionalità le urlava di colpire quel tizio con la prima pietra che le fosse capitata in mano, girare i tacchi e scappare da lì veloce come il vento, ma a quanto pareva l'incredulità aveva avuto la meglio sulle capacità d'obbedienza del suo sistema nervoso.
Il Primo Ministro vide con la coda dell'occhio che la ragazza non s'era mossa, e sogghignò fra sé. Si girò a guardarla con studiata lentezza.
- Sei ancora qui? Se non ho capito male, non avevi molta voglia di seguirmi...
- Ma...ma che...- balbettò Anya.- Che cosa...?
- Ti devo le mie scuse. Evidentemente non sei una spia.
Alla ragazza caddero le braccia. Una spia?! Era per questo motivo che l'aveva imprigionata e malmenata?! Solo per questo?!
- Brutto figlio di una grandissima puttana!- strillò, dimenticandosi che avrebbe dovuto essere già lontana da lì da un pezzo, invece di stare urlando contro un personaggio delle favole.- Hai idea di quello che hai fatto, pezzo di merda?! Una spia? Mi hai riempita di cazzotti solo perché pensavi che io fossi una spia mandata da chissà chi, maledetto stronzo?!- Anya gli andò incontro a passo di carica, alzando una mano pronta a colpirlo in pieno volto, ma il Primo Ministro le bloccò il polso prima che il pugno si abbattesse su di lui. Le girò il braccio dietro la schiena, imprigionandola, e Anya lanciò un urlo di dolore e protesta.
- In effetti, hai ragione - sorrise il Primo Ministro.- Sono stato veramente stupido a credere che una ragazzina ridicola e patetica come te potesse essere veramente una spia, ma fidati, sono stato gentile con te. Se così non fosse stato, tu a quest'ora giaceresti in un angolo della Foresta Incantata con una freccia piantata nel petto.
Anya si divincolò dalla stretta senza alcuna fatica; era chiaro che lui avesse voluto lasciarla andare, realizzò con frustrazione.
- E' per questo che hai scoccato quella freccia? Eri tu, vero? Mia sorella è scomparsa per colpa tua!
- Credevo che anche lei fosse una spia.
- E di chi?
- Di chiunque. Chiunque avrebbe potuto inviare una spia, specialmente la Regina.
- Eh?
Il Primo Ministro la superò con passo deciso, nascondendo un sorriso compiaciuto.
- Ora che ho appurato la verità, sei libera di andartene.
Anya ci restò di merda. Era assurdo! Fece dei bei respiri profondi, cercando di ragionare. La voglia di rompere il muso a quello stronzo era fortissima, ma ora doveva restare lucida. Le aveva detto che poteva andarsene. Certo, ovvio che se ne sarebbe andata, doveva essere pazzo a credere che sarebbe rimasta con lui! Doveva trovare Elizabeth...
Elizabeth, che in quel momento era chissà dove...
- Devo...devo trovare mia sorella...- mormorò, non sapendo bene se stesse parlando a se stessa...oppure se in lei ci fosse il desiderio inconscio di essere ascoltata.
- Buona fortuna, allora.
- L'ho persa di vista quando quell'albero...
- Si può sapere perché mi stai dicendo queste cose?- il Primo Ministro incrociò le braccia al petto.- Credi che m'interessi qualcosa di te e di tua sorella? Non spererai che ti dia una mano?- inarcò un sopracciglio, rivolgendole un sorrisetto beffardo.
Anya si corrucciò.
- Ma stai scherzando?! Io non voglio niente da te!
- Meglio così, perché io non ho tempo da perdere. Ho cose più importanti da fare, e la Pietra del Male non sta lì ad aspettarmi...
- La Pietra del Male? Intendi...ti riferisci a quella della profezia?
Il Primo Ministro nascose nuovamente un sorriso soddisfatto fingendo di sistemare il pugnale alla cintura.
- Non sei ottusa come pensavo. Bene, visto che sai di cosa parlo, ti renderai anche conto che non posso stare qui a perdere con te...
- Perché t'interessa tanto?
- Non è affar tuo. Sei ancora qui?
Anya, quasi per istinto, si guardò alle spalle.
- Chi sei?
- Non vedo perché dovrei dirtelo - il Primo Ministro iniziò ad allontanarsi. Era sempre stato bravo a inscenare quelle commedie per ottenere quello che voleva. Sogghignò quando sentì la voce di quella ragazza richiamarlo con un aspetta un attimo! che recava tracce non poi così sottili di disperazione.
- Cosa vuoi ancora?- l'apostrofò.
- So come trovare la Pietra del Male, se è questo che t'interessa - dichiarò Anya; in altre condizioni si sarebbe defilata prima di subito, ma in quel momento sentiva di avere bisogno di aiuto più che mai. Per quanto la storia della spia avesse un retrogusto ben poco chiaro che non la convinceva per niente, a conti fatti quel tizio non l'aveva ammazzata, la stava lasciando andare e sembrava sapere il fatto suo...e lei doveva trovare Liz. E dopo doveva trovare la strada di casa.
L'aveva maltrattata per una nottata intera, e adesso doveva fare affidamento su di lui. Uno sconosciuto pure stronzo. Era parecchio frustrante, ma non c'era altro modo.
Non era più a New York, dovette ammettere a malincuore, e dopo tutto quello che era accaduto doveva andarci piano con l'avventura.
Aveva già avuto due brutte esperienze a fare di testa sua nel bosco. Tre, se si contava quella che stava passando. Non poteva permettersi di cercare Liz da sola – se anche fosse riuscita a scampare Biancanevi assassine e licantropi assatanati, non aveva né soldi né l'abbigliamento adatto per un trekking nella foresta, e peggio ancora non aveva una pista da seguire.
Era anche possibile che Elizabeth fosse tornata a New York. Che ne sapeva lei di come funzionavano quei passaggi nelle pareti e negli alberi? Come loro erano arrivate, Liz poteva essere tornata...ma ancora, non poteva saperlo. Magari era a New York, e magari da qualche altra parte. In balia di chissà chi.
Ho bisogno veramente di aiuto.
- Ti propongo uno scambio!- affermò con forza; le sembrò una mossa intelligente, dubitava che quello l'avrebbe aiutata per buon cuore.- Io ti aiuto a trovare la Pietra del Male, e tu mi dai una mano a cercare mia sorella.
- Come fai a sapere come trovare la Pietra del Male?
- Conosco la profezia.
- Anch'io. E la conosce metà della Foresta Incantata.
- Posso comunque aiutare.
- Ho chiesto forse il tuo aiuto?
Anya si gelò. Non si aspettava una risposta del genere. E aveva l'impressione che quel bastardo avesse capito che lei era in difficoltà, ma si stava divertendo a torturarla. Che pretendeva? Che si mettesse in ginocchio e implorasse?
Liz vale pure questo...
Il Primo Ministro sospirò, ma aveva l'aria divertita. Era sempre così: con la giusta abilità, non avevi più bisogno di dare la caccia alla tua preda; sarebbe stata la tua preda a venire da te.
- Le regole sono queste...
- Che cosa? Regole? Non sono un cane, non puoi pretendere che...
- Le regole sono queste - rimarcò l'uomo.- Quando troveremo la Pietra, sarò io a prenderla e a decidere come usarla. Nel frattempo, non m'intralciare. Stai al passo, parla solo se strettamente necessario e fai quello che ti dico io.
- E mia sorella?
- La cercheremo strada facendo. Tu intanto tieni gli occhi aperti, non si arriva alla Pietra del Male senza Chiavi.
- Come la cercheremo mentre...
- Un'altra parola e l'accordo salta.
Anya si zittì, sentendo le mani bruciarle.
Il Primo Ministro le fece cenno di seguirlo. Lei ubbidì, imbronciata. Non le importava niente della Pietra del Male, per quello che la riguardava quel figlio di buona donna se la sarebbe pure potuta ingoiare, non le interessava.
Continuò a seguirlo per qualche minuto, stanzo mezzo metro dietro di lui, quando il suo cervello elaborò una domanda a cui non aveva pensato prima: chi era quell'uomo?
Si trovava nel Regno delle Favole, quello doveva essere per forza il personaggio di qualche fiaba. Ma chi?
- Tu chi sei?- chiese.
- Ero un prigioniero della Regina Cattiva, sono scappato qualche giorno fa.
Anya s'imbronciò ancora di più. Non era quello che voleva sapere. Tentò un'altra via.
- Come ti chiami?
L'uomo le lanciò un'occhiata in tralice.
- Ha importanza?
- No, ma volevo un modo per chiamarti che non fosse stronzo senza nome.
Lui sospirò e accelerò il passo.
- Chiamami Vincent.
Vincent, ripeté mentalmente Anya, tentando di richiamare alla memoria tutto quel poco che sapeva su favole e fiabe. Era Elizabeth l'esperta di libri, non lei; e il nome Vincent non le diceva niente.
Il Primo Ministro, intanto, si congratulò con se stesso.
Ora siamo alla pari.
 
 
***
 
 
New York, 2015. Ore 10:00 a.m.
 
 
 
ERA RIUSCITO AD AFFITTARE UN appartamento ad Harlem, quattro isolati più in là rispetto a dove abitavano gli Hadleigh. Ovviamente s'era sempre premurato di non far arrivare la cosa alle orecchie di Anya, o quella rompicoglioni sarebbe stata capace di pensare di aver a che fare con un vero stalker.
Greg parcheggiò la moto un attimo prima che cominciasse a piovere. Il cielo si era notevolmente scurito, sembrava quasi notte, e nel tempo che il ragazzo impiegò a salire le scale e a raggiungere l'ultimo piano del condominio, era scoppiato un violento temporale.
Il monolocale che aveva affittato era stato ricavato rimettendo a nuovo una mansarda, per questo era a prezzo stracciato. Greg vi si trascinò dentro e si buttò sul materasso posato direttamente sul pavimento. Era una sola stanza, escluso il bagno, e c'erano pochi mobili: una TV anch'essa posata sul pavimento, un angolo cucina che non utilizzava mai e un frigorifero. Di fronte al letto, un grande specchio a muro lo guardava dormire.
Greg fissò la propria immagine per un attimo, poi recuperò il piatto di carne che aveva messo a scongelare prima di uscire: erano tre salsicce crude. Ne prese una con le mani e cominciò a masticarla mentre posava sul materasso il diario di Christine Hadleigh, lo specchio e il portagioie.
Aprì quest'ultimo.
L'aveva preso nella speranza di trovarci dentro qualcosa da rivendere, ma ne restò deluso.
Ne estrasse un portachiavi a forma di mela rossa, probabilmente un portafortuna. Il portagioie, per il resto, era pieno di pezzi di carta. Greg trovò diversi biglietti d'auguri per la nascita di Anya ed Elizabeth, e una fotografia ritraente una Christine Hadleigh adolescente in compagnia di un'altra ragazza, piuttosto bruttina, con i capelli biondi tagliati a caschetto e degli occhiali rotondi.
C'era una dedica scritta in pennarello nero.
 
 
Per la mia amica Mary,
brindiamo a noi e all'inizio
di una nuova vita!
 
 
Gran bella vita che hai avuto, proprio...
Certo, non che lui potesse vantare il contrario.
Greg allontanò quei pensieri pericolosi e continuò a frugare nel portagioie. Trovò un biglietto spiegazzato e rovinato, tanto che le parole scritte risultavano quasi illeggibili.
Il ragazzo riuscì comunque a decifrarle.
 
 
Finestra, ore 24
Rick
 
 
Greg non ci capì niente, e lo gettò via.
Un secondo biglietto, su cui le lettere erano scritte con una calligrafia femminile, Greg intuì fosse stato inviato a Christine dalla Mary Wilson del diario e – presumeva – della fotografia.
 
 
Perché tu possa sempre
specchiarti e vederti
bella!
 
 
Questo deve essere stato inviato con lo specchio...era un altro regalo, allora.
Un regalo ben poco apprezzato, visto com'era stato trattato.
Greg prese lo specchio. Rimase a fissare la propria immagine riflessa...poi, dall'altro specchio, provenne qualcosa che lo fece trasalire e sobbalzare sul materasso.
Una risata canzonatoria, acuta e beffarda, riempì lo squallido monolocale. Una voce cominciò a recitare una strana filastrocca.
- Chissà chi lo sa, il mio nome qual sarà. Lo so soltanto io, che Tremotino è il nome mio.
Greg s'irrigidì. Guardò se stesso nello specchio, certo che presto sarebbe apparso un altro volto.
E così fu.
- Ti sono mancato, Fiodor?
 
 
***
 
 
New York, 2015. Ore 11:30 a.m.
 
 
 
LA SIGNORA WOODMAN RABBRIVIDI', SPEGNENDO la televisione non appena il talk show mandò in onda un altro servizio sui bambini scomparsi. Non si faceva altro che parlare di loro, al telegiornale, alla radio, sui giornali...e ora c'era anche chi avanzava l'ipotesi che fossero caduti in mano a un'organizzazione criminale che trafficava in organi, o di un serial killer, per non parlare delle continue allusioni alla pedofilia.
La signora Woodman scosse il capo e tornò a concentrarsi sul pollo che stava tagliando per il pranzo di quella sera, costringendosi a non lasciarsi prendere dalle sue paranoie. Era sempre stata molto sensibile, sin da ragazza, e la maternità l'aveva resa ancora più incline alla commozione facile, oltre che iperprotettiva e, come suo marito sosteneva, eccessivamente apprensiva.
Non osava nemmeno pensare a cosa fosse potuto accadere a quei piccoli angeli: Sally Crane, Sarah Hammonds, Joey Mitchell e quelli che erano stati ribattezzati dalla cronaca e dal pubblico come i due fratellini di Little Italy, Katie e Toby MacPherson. Povere gioie.
E come se non bastasse, quella mattina stessa era avvenuta un'altra scomparsa: Jenny Marsh, di dieci anni.
L'immagine di una bambina con i capelli biondi annodati in una coda e il naso cosparso di lentiggini aveva già fatto il giro di tutti i programmi televisivi, e il giorno dopo sarebbe stata certamente sui cartoni del latte e sulle pagine del New York Times, insieme a tutte le altre.
A quanto pareva, la piccola Jenny era sparita nientemeno che negli spogliatoi della palestra che frequentava, dopo aver terminato una lezione di nuoto insieme ad altre bambine della sua età. Le quali avevano detto che Jenny si era allontanata un attimo dal gruppo per andare al suo armadietto a prendere un asciugamano. Non era uscita dallo spogliatoio, ne erano certe.
Eppure, dal momento in cui Jenny Marsh aveva svoltato l'angolo oltre le file degli armadietti, nessuno l'aveva più vista.
La signora Woodman s'impose di non pensarci. I bambini scomparsi erano già sei...e lei sperava solo che una cosa del genere non accadesse mai a suo figlio...
Un pianto interruppe il silenzio, facendola sobbalzare. La signora Woodman lasciò cadere il coltello sul pavimento per la sorpresa e lo spavento. Chiuse gli occhi, portandosi una mano al cuore e traendo un profondo respiro. Si diresse in fretta nella direzione da cui proveniva il pianto, rimproverandosi di avere i nervi a fior di pelle.
Entrò nella cameretta di suo figlio, solo per trovarlo in lacrime seduto al centro del suo lettino.
La signora Woodman si avvicinò alle sbarre, sorridendo rassicurante.
- Cosa c'è, amore della mamma? Perché piangi?
Suo figlio Thomas, Tommy, aveva dieci mesi, non era ancora in grado di camminare se non gattonando e non parlava, ma lei comunicava sempre con lui come se fosse un adulto, fatta eccezione per i continui versetti e coccole che gli riservava.
La signora Woodman aveva quarantatré anni, suo marito quarantacinque, e pur avendo da sempre desiderato un figlio, ormai disperavano di poterne avere uno, fino a che non era nato Tommy.
Il bambino continuava a piangere; la signora Woodman tentò invano di calmarlo, ma doveva esserci qualcosa che non andava, realizzò. Provò a tastargli la fronte con una mano, ma non pareva avesse la febbre. La donna prese a guardarsi freneticamente intorno alla ricerca del problema, e sorrise quando lo trovò.
- Ecco qui! Era per questo che piangevi? Perché ti era caduto “Bobo”?
Gli porse un orsacchiotto di peluche e, proprio come aveva previsto, il bambino smise subito di piangere, afferrando il pupazzetto con allegria e regalando alla madre un sorriso sdentato. La signora Woodman ricambiò con tenerezza: “Bobo” era in assoluto il giocattolo preferito di suo figlio; si trattava di un vecchio orsacchiotto che aveva perso buona parte della sua imbottitura, malandato e spelacchiato, e che aveva ormai solo uno dei due bottoni che fungevano da occhi. Ma Tommy lo adorava, e non se ne separava mai.
La signora Woodman posò un bacio sulla fronte del bambino.
- Ecco, è tutto a posto adesso. Vero, tesoro mio?
Tommmy non diede segno di averla udita. Fissava attentamente un punto di fronte a sé. La signora Woodman seguì il suo sguardo: suo figlio teneva gli occhi puntati sull'armadio a due ante di fronte al lettino.
- Cosa c'è, Tommy? Perché guardi l'armadio?
Il bambino non distolse lo sguardo. La signora Woodman fece spallucce e si rialzò.
- Ora la mamma torna di là a preparare la cena, poi torna da te e facciamo la pappa, d'accordo?
La donna si voltò, rivolgendo a suo figlio un ultimo sorriso prima di uscire e chiudere la porta. Tommy rimase solo nella camera. Non aveva smesso di guardare l'armadio e di stringere il braccio di “Bobo” in una mano.
Per diversi minuti non accadde nulla.
Poi, dall'armadio cominciò a provenire un debole scricchiolio, che si fece via via più forte.
Tommy emise un versetto senza senso, continuando a guardare il mobile. Lo scricchiolio cessò di colpo, e nella stanza tornò il silenzio.
Tommy...
Oltre le ante chiuse provenne un sussurro. Tommy si aggrappò alle sbarre del lettino per sostenersi, tirandosi in piedi sul materasso.
Tommy...Tommy...
Il bambino strinse “Bobo” fra le dita. Si udì di nuovo uno scricchiolio, e le ante dell'armadio si aprirono un poco. Oltre osse non si vedeva nulla, solo il buio.
Tommy...Ciao, Tommy...
Quella che lo stava chiamando era le voce di una bambina. Tommy iniziò a saltellare su e giù sul materasso, regegndosi alle sbarre del lettino.
Tommy...vieni a giocare con noi, Tommy...
Stavolte la voce era chiaramente quella di un bambino. Thomas Woodman ridacchiò allegramente, agitando “Bobo” su e giù con il braccio.
Vieni a giocare con noi, Tommy...siamo tanti bambini, qui...ti divertirai, Tommy...
Lo scricchiolio si ripeté, le ante dell'armadio si aprirono ancora di più. Dentro non c'erano bambini, ma dallo spiraglio si scorgeva solo oscurità.
Ci sono tanti giocattoli...Tommy...non avere paura, Tommy...è bello qui, Tommy...
Ora le voci erano più d'una; voci di bambine, di bambini, che si confondevano, si sovrapponevano l'una con l'altra, lo chiamavano. Tommy iniziò a ridere.
 
 
Uno due tre,
l'Uomo Nero viene per te.
 
 
La voce di una bambina, quella che aveva parlato per prima, iniziò a canticchiare. Tommy smise immediatamente di ridere e saltellare, tornando d'un tratto serio, lo sguardo puntato sull'armadio e “Bobo” stretto fra le manine.
Le ante si aprirono ancora di più.
 
 
A b c,
guarda alle tue spalle, lui è lì.
 
 
La filastrocca proseguì, e le ante si aprirono ancora.
Tommy...Tooooommyyyyy...
Le voci ora erano più confuse, strascicate. Non umane.
 
 
Sotto il letto, in cantina,
l'Uomo Nero si avvicina.
Fa paura la sua voce,
al tuo cuore stringi la croce.
Apri gli occhi, stai in allerta,
lui è sotto la coperta.
 
 
Le ante continuavano ad aprirsi.
Tommy...
Ora non c'era più traccia delle voci dei bambini, ma chi lo stava chiamando aveva una voce profonda, cavernosa, orribile.
Al bambino iniziarono a salire le lacrime agli occhi.
 
 
Resta sveglio, non dormire questa notte, attento, attento!
Lui è dietro l'angolo del tuo letto.
Attento, attento, non puoi scappare.
Attento, attento, lui sta per arrivare.
La mamma dice “Vai a letto, bel bambino!
Dormi tranquillo sul tuo cuscino!”
 
 
Tommy scoppiò a piangere. Le ante dell'armadio si spalancarono di colpo, lasciando che l'oscurità entrasse nella cameretta.
 
 
Bugia, bugia,
l'Uomo Nero ti porta via!
 
 
“Bobo” cadde abbandonato a terra.




Angolo Autrice: Non tutto il male viene per nuocere.
Il mio computer mi ha abbandonata dopo cinque anni di onorato servizio. Ora è in rianimazione, e nell'attesa e nella speranza di recuperare tutti - e dico TUTTI - i file scritti lì sopra, ho preso in prestito quello di mio fratello e mi sono concentrata su ciò che avevo in chiavetta: questo capitolo.
Ringrazio chi mi segue e Fan of the Doors per aver recensito.
Un grazie speciale va a Sylphs (lei sa perché) e a Phoebe Moon per l'entusiasmo e il supporto e per queste bellissime immagini.
Un aesthetic su Cappuccetto Rosso:




Due aesthetic su Anya e Liz:

 

    

E infine, la copertina della storia:



Vi lascio qui il link alla pagina EFP di Phoebe Moon https://efpfanfic.net/viewuser.php?uid=247417


Grazie per contiCinuare a seguirmi :). Ci vediamo al capitolo IX "The Boogieman".
Un bacio,
Beauty
  
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