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Autore: Il filo di Arianna    12/08/2019    1 recensioni
Cosa accadrebbe se un giorno vi capitasse di voler scrivere una vostra storia omaggiando alcuni grandi autori che hanno giocato un ruolo fondamentale nella vostra formazione?
Dal modernismo inglese, a Italo Calvino, passando attraverso la preziosa lezione di Gabriele d'Annunzio. Così nasce Monica. Così nasce la sua storia.
La mia è una mano insignificante rispetto a quella di questi grandi, quindi non ho alcuna pretesa; direi solo quella di condividere con voi il frutto di un pomeriggio di fantasia alla ricerca del sé.
Perché in questi anni dove ciascuno si sente perso, per una ragione o per un'altra, in qualcosa di più grande delle proprie forze, forse è bene seguire il percorso di Monica, una donna tradita, come tante altre, che nella disperazione riesce a ritrovare un senso alla propria vita.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Piove.

Di una pioggia fitta che confonde la vista, ma, stranamente, non inzuppa i vestiti. Monica non riesce a vedere ad una palmo dal suo naso. Non scorge più il vecchio in sella al suo cavallo, nemmeno il suo bagliore. È sola. Per qualche strana ragione sa di esserlo, in questo mondo al di là di ogni spazio e di ogni tempo, forse sospeso tra le due forme a priori della sensibilità, le due necessarie condizioni attraverso cui conosciamo gli oggetti.

Ascolta.

Il rumore della pioggia che cade su un pavimento composto di nuvole. E’ quasi impercettibile. Sembra che ogni singola goccia affondi in quella superficie compatta su cui poggiano improvvisamente i piedi della donna. Ne è avvolta. Come se fluttuasse, nemmeno lei saprebbe dove.

Ascolta, ascolta.

Monica si lascia cullare dalla ritmicità del suono che costituisce la sua unica realtà. Si perde nel contemplare la pioggia, simbolo di quella purificazione sperata, desiderata. Eppure non ne è sfiorata, quella compie il suo destino senza preoccuparsi del nuovo abitante giunto a sconvolgere il suo mondo di necessità.

A Monica pare di essere avvolta in un bozzolo di cotone. Le sembra di essere quel piccolo fagiolo che da bambina avvolse in una tenera bambagia sperando che in poco tempo attecchisse, germogliasse, desse frutto. Anche io vorrei morire per germogliare a nuova vita. Oggi, da adulta, non ricorda il risultato di quel timido esperimento infantile, eppure desidera sperare che tutto fosse andato per il meglio. Forse così potrebbe infiammarsi di una timida speranza. Monica desidera questa timida speranza a sconfiggere le tenebre, l’occulto che per anni l’hanno avvolta.

Piove.

Dannata pioggia che non le concede di bagnarsi, di lavare via il suo peccato. Quella favola bella - o meglio, Monica aveva sperato che divenisse tale - in realtà non era stata altro che occulto, inferno: nulla a che spartire con la purezza, la bontà, dell’ideale di bellezza. Si era illusa. Per una volta nella vita aveva creduto che avrebbe potuto godere un estratto di paradiso anche su questa terra. Non aveva affatto capito che in quel modo l’avrebbe soltanto perso. È mito, è storia, è racconto.

In questi istanti Monica prova la frustrazione dell’impotenza. Desidera con tutta se stessa quel perdono non ancora concessole dalla natura, purtroppo poco incline a salvare le sue creature dai propri errori. La colpa le scurisce l’anima. Un pennello imbevuto di tinte fosche a rovinare la luce abbagliante della sua tela.

 Allunga un braccio, sperando che questo possa infrangersi nel flusso continuo dell’acqua che scorre: gocce di ugual misura che attendono in ordinata fila il loro inesorabile infrangersi. Per rinascere a nuova vita. Tuttavia una di queste - mentre le altre hanno deviato il loro corso, come a rispondere ad una legge millenaria, per non sfiorare il braccio della donna - unica nota di una musica inafferrabile, inconoscibile per le orecchie umane, che “trema, si spegne, risorge, trema”, per non spegnersi più, la sfiora. Sfiora e quindi bagna la sua pelle completamente asciutta. Improvvisamente, alla prima sorella ribellatasi al suo fatale destino se ne aggregano altre, prima qualcuna soltanto, poi sempre più, così che la pioggia tutta, in breve inonda i vestiti, il corpo, l’anima di Monica.

Un pennello con setole nuove ridipinge di acqua di mare, trasparente e pura, la tela, cancellando i segni di un destino che pareva irreversibile. 

“E piove su le tue ciglia nere,
sì che par tu pianga,
ma di piacere”

Quel piacere che nasce solo dalla consapevolezza di essere finalmente perdonati. Monica perdona se stessa, la sua colpa, il suo peccato. Riscrive, in quest’atmosfera protetta, quell’antico mito: la nuova Eva ha avuto il coraggio di chiedere, penitente, la remissione dei propri errori. Il serpente l’ha ingannata, eppure ella è stata capace di vincere quel maledetto inganno. È un nuovo mito, una nuova storia, un nuovo racconto: la riconquista dell’Eden.

E Monica, questa volta, non si vergogna del pianto liberatorio che le sgorga dall’intimo di sé.





Angolo autrice:
Ecco a voi il penultimo capitolo. Sono consapevole della sua brevità, tuttavia spero di essere riuscita, nonostante la sua lunghezza, a trasmettere le traboccanti emozioni che ho provato nel scriverlo. Il nostro percorso alla ricerca di sé sta giungendo alla conclusione: mi auguro che fin qui il viaggio di Monica abbia stimolato in voi qualche riflessione. Se vorrete condividerla con me, sarete sempre i benvenuti.
A presto.
P.S. Sotto le righe di questo capitolo non possiamo non intravedere la lezione di "Oceano Mare" di Alessandro Baricco, oltre che quella magistrale di Gabriele d'Annunzio con la sua "Pioggia nel pineto"
  
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