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Autore: Mari_Criscuolo    15/08/2019    1 recensioni
Leila (Ella) ha 22 anni e vive a Napoli, ma, dopo la laurea triennale in psicologia, si trasferisce a Roma, per continuare il suo percorso di studi.
Sofia, sua amica da otto anni, ha deciso di seguirla.
Entrambe mosse dalla stessa chimera: lottare per la propria felicità.
Ella ha compiuto una scelta che ha fatto soffrire molte persone.
Nonostante non ne se ne sia mai pentita, sa che ogni decisione comporta delle conseguenze e lei sta ancora scontando la pena che le è stata imposta.
È convinta di essere in grado di affrontare ogni difficoltà la vita le metterà sul suo cammino, perché l'inferno lo ha vissuto, deve solo trovare il modo di non ritornarci.
Una ragazza con le sue piccole manie e le sue paure.
Una ragazza che usa il sarcasmo e l'ironia per comunicare il suo affetto e, allo stesso tempo, proteggersi da chi si aspetta, da lei, cose che non può e non vuole fare.
La sua famiglia, Sofia con suo fratello Lorenzo e, infine, un incontro inaspettato, la sosterranno nella sua scalata verso la tanto agognata libertà.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo aver svuotato tutti gli scatoloni e aver posato le valigie sotto il letto, la camera era finalmente pronta.
 
Ella tirò la piccola corda del carillon a forma di pera, che aveva appeso in alto a destra della testiera del letto in ferro battuto.
 
La melodia, che iniziò a diffondersi, le riportò alla mente la ninna nanna che aveva inventato suo nonno per lei quando era nata.
 
Quando era triste o aveva bisogno di rilassarsi, chiudeva gli occhi e canticchiava quelle poche frasi che componevano il testo.
 
Si appoggiò con la spalla destra allo stipite della porta per ammirare il risultato del suo lavoro.
 
Sul trapuntino ceruleo erano posizionati tre semplici peluche a cui era emotivamente legata.
 
La libreria, che era stata montata vicino nell’angolo della parete destra tra il suo letto e la scrivania, era stata riempita di libri. Nelle mensole più in altro aveva riposto quelli per gli esami che già aveva superato, ma che avrebbero potuto tornarle utile; immediatamente sotto, aveva lasciato due scaffali vuoti per quelli che avrebbe dovuto comprare in vista dell’inizio dei corsi; mentre negli ultimi tre, si trovavano i grandi classici della letteratura che non aveva ancora avuto il tempo di leggere.
 
La scrivania era decisamente troppo in ordine per i suoi standard. Sul piano si trovavano una semplice lampada grigia, due bicchieri di vetro, che in precedenza avevano contenuto delle candele comprate da Ikea e una lavagna magnetica mensile di medie dimensioni.
 
Mancavano ancora la collezione di tazze con le stampe dei quadri di Van Gogh, da posizionare su una delle tre mensole fissate sul muro parallelamente alla scrivania e il puzzle della grande onda di Kanagawa, che aveva completato e fatto incorniciare l’estate appena trascorsa.
 
Purtroppo non era riuscita a portarli con sé, ma avrebbe sicuramente trovato l’occasione considerando che non era nulla di urgente.
 
Il suono del campanello fece scattare Marta che si liberò dei vestiti che aveva tra le mani, lasciandoli ricadere nella valigia, per poi dirigersi correndo verso la porta.
 
Era Cristina.
 
Ella lo aveva intuito dall’enorme sorriso impaziente e gioioso che aveva incurvato le sue labbra e contagiato i suoi occhi di una luce vivida, che intravedeva solo quando si parlava di lei.
 
Si pulì le mani sul pantalone della tuta grigio e seguì Marta per andare a salutare la sua amica.
 
Dal punto in cui si trovava, vide Lorenzo appoggiato allo stipite della porta della cucina.
 
Quando si accorse della sua presenza, alzò lo sguardo e la scrutò per qualche istante senza proferire parola.
 
«Ti hanno cacciato dalla cucina?” Chiese Ella sorridendo.
 
«Era da molto che non si vedevano. Ho pensato volessero qualche minuto per salutarsi senza intrusi.»
 
Si avvicinò a lui e, afferrandogli una mano, lo trascinò con lei.
 
«Avranno tutta la serata per stare insieme.»
 
Se avesse voluto, Lorenzo avrebbe potuto opporsi, considerando la poca forza che Ella esercitava nello stringergli la mano, eppure non lo fece perché troppo sorpreso dalla spontaneità del suo gesto.
 
«Piccioncine, stanno arrivando i guastafeste. Rimandate a quando sarete fuori di qui quello che state facendo.»
 
Le parole di Ella riempirono la stanza ancor prima che vi entrasse.
 
Sofia aveva un braccio poggiato sulle spalle di Cristina, avvolgendola amorevolmente per tenerla stretta contro di sé.
 
Tuttavia si staccò dall’abbraccio per andare incontro ad Ella.
 
Erano all’incirca della stessa altezza quindi non avrebbe dovuto sforzarsi ad alzarsi sulle punte per salutarla.
 
«Cavolo Ella, quanto mi era mancato il tuo umorismo» disse stringendola con forza.
 
Cristina era molto affettuosa e, sebbene fosse timida, riusciva a legarsi e a stringere amicizia molto velocemente se la si sapeva mettere a suo agio.
 
Nonostante Ella fosse diffidente con la maggior parte delle persone, le era risultato così semplice affezionarsi a Cristina che si stupì di questo suo lato, fino a qualche tempo fa sconosciuto.
 
Ma quello era stato un caso raro poiché, sin dalla prima volta che la vide, in lei riconobbe la sé stessa di molti anni prima, quando aveva paura persino di alzare lo sguardo da terra.
 
«Lo so, una volta che mi conosci non si può più fare a meno di me. Sono come la droga.»
 
Se qualcuno l’avesse vista dopo così tanto tempo, probabilmente non l’avrebbe riconosciuta.
 
Qualcosa era rimasto, ma adesso si sentiva più vera di quanto lo fosse stata allora.
 
«Direi più come un ronzio fastidioso.»
 
La voce di Lorenzo fece allontanare Cristina, che si diresse verso di lui per poter chiudere il giro di saluti.
 
«Ha parlato il soprammobile.»
 
Ella incrociò le braccia al petto fingendosi offesa per poi voltarsi verso Sofia che, colta alla sprovvista, non era riuscita a trattenere una risata.
 
«Cosa?» chiese confuso Lorenzo non cogliendo il significato di quel commento.
 
«Niente, lascia perdere. È una lunga storia» rispose Sofia facendo cadere il discorso. «Prendo la giacca e andiamo» aggiunse, per poi scomparire nel corridoio.
 
Andava di fretta quella sera e non poteva biasimarla.
 
Ella conosceva la sensazione, quando non vedeva chi amava da troppo tempo si sentiva vuota, come se avesse lasciato una parte di sé nel cuore di chi non avrebbe potuto avere al suo fianco.
 
Non poteva fare altro che contare i minuti che li avrebbero separati.
 
Per Sofia quel momento era una conquista e aveva bisogno di iniziare a viverlo fino in fondo, recuperando tutto il tempo che i suoi genitori le avevano tolto.
 
«Voi cosa farete stasera?» chiese Cristina.
 
«Io mangerò un tramezzino e andrò a letto» rispose Ella, coprendosi la bocca per mascherare uno sbadiglio.
 
«Tra poco ho appuntamento con degli amici.»
 
Anche Lorenzo sarebbe uscito ed Ella avrebbe trascorso la prima sera in una nuova città completamente sola.
 
L’idea non le dispiaceva.
 
Quando era particolarmente stanca non sopportava le persone e il loro chiacchiericcio, la innervosivano terribilmente.
 
Potersi riposare in tutta tranquillità era ciò che di più bello potesse desiderare.
 
«Tutte serate entusiasmanti. Non vi preoccupate per me. Starò bene, tutta sola e depressa.»
 
Ella indossò una maschera di dispiacere.
 
La fronte corrugata, gli occhi tristi e il piccolo broncio, che increspava le sue labbra piene e rosate, le donavano un aspetto tenero.
 
Lorenzo non impiegò troppo tempo per abboccare alla sua esca.
 
«Se vuoi, posso rimanere.»
 
Ella si voltò verso di lui e gli rivolse un sorriso dolce, accorgendosi di quanto fosse sempre stato gentile nei suoi confronti.
 
Sebbene stesse scherzando e avrebbe voluto continuare il piccolo gioco intrapreso, preferì chiudere tutto sul nascere per non esagerare.
 
«Sto scherzando. Andate e divertitevi, non ho bisogno di compagnia.»
 
«Sicura? Non lo dici solo per farmi uscire?»
 
Non aveva mai immaginato che Lorenzo potesse essere così premuroso.
 
Nonostante lo conoscesse da molto tempo, non aveva mai potuto instaurare un’amicizia.
 
Aveva attribuito il motivo alla differenza di due anni che li separava e che lo aveva portato a trasferirsi per intraprendere gli studi universitari di legge, circa cinque anni prima.
 
«Ella dice sempre quello che pensa.» Sofia fece capolino nella cucina, poggiando una mano sulla spalla del fratello per rassicurarlo.
 
«Esatto. Se sono qui è perché so badare a me stessa e non ho bisogno di un baby sitter. Se la casa dovesse andare a fuoco, vi prometto che chiamerò i pompieri. State tranquilli» disse infine, rivolgendogli un sorriso innocente.
 
«Potevi fare di meglio per convincermi.»
 
«E perdermi la tua espressione terrorizzata? Non avrei mai potuto.» Si scrutarono con sguardo serio fin quando entrambi non esplosero in una risata che contagiò anche Sofia e Cristina.
 
«Adesso andate via prima che perda la pazienza.» Ella ritornò seria e aspettò che la casa fosse vuota per tirare un sospiro di sollievo.
 
Per quanto volesse bene ad ognuno di loro, a volte sentiva l’impellente necessità di rimanere sola per provare un totale senso di pace.
 
Dopo aver mangiato un tramezzino al prosciutto crudo, decise che sarebbe andata a dormire presto.
 
Si sentiva fisicamente distrutta, eppure erano già trascorse quasi due ore da quando aveva indossato il pigiama e si era infilata sotto le lenzuola pulite.
 
Interminabili minuti in cui non aveva fatto altro che girarsi e rigirarsi senza riuscire a trovare la posizione giusta o a rilassarsi.
 
Anche se aveva le palpebre chiuse, la sua fronte era contratta e le vene delle tempie pulsavano velocemente, provocando un graduale aumento del suo mal di testa.
 
Aveva sempre avuto problemi ad addormentarsi, ma degli ultimi mesi la situazione era peggiorata.
 
Aveva sonno, ma non riusciva a dormire e più ci provava più si innervosiva e più si innervosiva più le veniva mal di testa e più questo aumentava più non riusciva a dormire.
 
Si innescava un circolo vizioso che si ripeteva ogni notte sempre uguale, fino al punto in cui la sua mente iniziava a vagare nei meandri più oscuri che facevano nascere in lei il desiderio di sbattere la testa contro uno spigolo fino a perdere i sensi.
 
Forse quello sarebbe stato l’unico modo che le avrebbe reso possibile riposare senza alcun tipo di problema.
 
Ormai la sua vita era un cerchio chiuso che non riusciva a spezzare.
 
Si girò sul fianco destro per l’ennesima volta, poiché quello sinistro si era intorpidito a causa del suo peso e adesso le doleva.
 
La leggera luce che filtrava dalla finestra la infastidiva.
 
Sapeva si trattasse di una stupida fissazione, ma, quando doveva dormire, la stanza doveva essere rigorosamente immersa nel buio più totale.
 
Niente luci soffuse, niente ombre, nessuno spiraglio, solo silenzio ed oscurità.
 
Per sua fortuna, Sofia non aveva problemi di questo genere quindi si adattava facilmente a tutte le assurde manie di Ella, come il dover lasciare la porta socchiusa al punto in cui, quando la si accostava, si doveva sentire il lieve rumore che la serratura produceva toccando il telaio.
 
In caso contrario, molto spesso non riusciva a rilassarsi e addormentarsi.
 
Erano piccole stranezze su cui rifletteva abitualmente e che spesso divertivano le altre persone.
 
Lei era tante piccole manie e aveva imparato ad amaresi partendo proprio da quelle ridicole imperfezioni, poiché erano ciò che le permettevano di distinguersi dal resto del mondo.
 
Eppure non si sentiva unica, ma solo diversa esattamente con tutti gli altri.
 
Non le importava cosa pensassero le persone intorno a lei quando scoprivano qualche sua stravaganza, non permetteva più a nessuno di metterla in soggezione per ragioni così insignificanti.
 
Ella aveva compreso che tutti potevano parlare di tutti e chi lo faceva era solo perché non aveva ancora imparato ad accettarsi.
 
Preferiva ignorarli, dal momento che era più facile ridicolizzare e sminuire gli altri per i loro difetti, che mettere sé stessi in luce per i propri.
 
Aveva sperimentato che era molto più soddisfacente prendersi poco sul serio, quindi era la prima a fare dell’autoironia e anche se non tutti riuscivano a comprendere questo suo modo di essere, la divertiva passare per menefreghista semplicemente perché non le importava delle opinioni superficiali di chi non la conosceva.
 
Allungò il braccio sul comodino per sbloccare il telefono.
 
L’ora segnava l'una e mezza e il cervello era ancora in piena attività
 
Dal momento che Sofia non era ancora tornata, probabilmente perché aveva deciso di rimanere da Cristina, poté sbuffare sonoramente.
 
Cercò di concentrarsi sul suono che le gocce di pioggia producevano quando colpivano la finestra.
 
Solitamente questo trucco funzionava.
 
Era una melodia che la rilassava il più delle volte, ma non aveva fatto i conti con la sfortuna che, quella sera, aveva deciso di accanirsi e concentrare tutto il suo potere su di lei.
 
Infatti, il suo udito era abbastanza sviluppato da riuscire a percepire chiaramente i rumori che provenivano dal piano superiore.
 
Per quanto, a volte, le fosse utile riuscire ad ascoltare senza sforzi le conversazioni che avevano luogo in altre stanze, nella maggior parte dei casi era una condanna.
 
A quanto pareva, stavano mettendo in scena un concerto, poiché distingueva nettamente la base strumentale di Stain’ alive.
 
Evidentemente questo supplizio non era abbastanza, perché il tutto era condito da una voce così poco intonata da riuscire a distruggere un brano con una sola strofa.
 
Decise che l'indomani sarebbe andata a parlare con il condomino che abitava l'appartamento superiore.
 
Se le cose avessero continuato a seguire questo sentiero o fossero peggiorate, un esaurimento nervoso sarebbe stato inevitabile.
 
Per scongiurare l’irritazione che stava iniziando a cresce sempre di più dentro di lei, capì che sarebbe stato meglio alzarsi.
 
Diede un calcio alle coperte con un movimento veloce per allontanarle dal suo corpo e spingerle ai piedi del letto.
 
Si sedette sul bordo e poggiando i piedi a terra, una volta a contatto con il pavimento freddo, rabbrividì per il freddo.
 
L’impulso a sbadigliare fu inevitabile, così come il sospiro scocciato che lo seguì.
 
Dandosi una spinta con le mani poggiate sul materasso, si alzò e si diresse in cucina.
 
Pensando che bere una camomilla avrebbe potuto aiutarla a rilassarsi, mise l’acqua a bollire.
 
Dopo averla versata in una tazza e aspettato cinque minuti che l’infuso fosse pronto, buttò la bustina del cestino e si andò a sedere sul divano.
 
Accese la televisione in cerca di qualche serie da guardare per trascorrere la nottata, almeno fin quando il sonno non avesse imposto la sua presenza.
 
«Sei sveglia?» Nel silenzio in cui era immersa, quella voce la sorprese facendola sobbalzare per la sorpresa.
 
«Mi dispiace, non volevo spaventarti.» Si scusò Lorenzo entrando nel suo campo visivo.
 
La luce della cappa, sopra il piano cottura, illuminava la stanza il necessario per distinguere i contorni della sua figura.
 
Aveva dei pantaloni della tuta che scendevano morbidi sui fianchi e una canotta nera che gli fasciava il torace.
 
La faccia era stravolta così come i suoi capelli arruffati dal cuscino.
 
«Tranquillo. Non credo sia mai morto nessuno in questo modo.» Lasciò scivolare sul divano la mano che si era portata al petto.
 
«Comunque sì. In questo palazzo ci sono condomini molto esuberanti» disse rispondendo alla domanda di Lorenzo, che si stava incamminando lentamente nella sua direzione.
 
«Non hai idea di quante volte gli ho fatto presente il problema.»
 
«A quanto pare, senza ottenere nessun risultato.»
 
«In genere prova a fare la persona educata per una settimana, due al massimo, ma passato un determinato periodo di tempo se ne dimentica e ricomincia il fracasso. Speravo non lo notassi.» Si portò una mano tra i capelli scuri e, in un gesto svogliato, li tirò all’indietro forse nel tentativo di dargli una sistemata.
 
Arrivato in prossimità del divano si sedette accanto a Ella, riducendo notevolmente la distanza che li separava.
 
Adesso erano così vicini che poteva distinguere, senza alcuna difficoltà, il leggero velo di barba che ricopriva la sua mascella.
 
«Impossibile, ho il sonno leggero e tardivo.» La frase che aveva appena pronunciato aveva un sapore amaro e ricolmo di rassegnazione.
 
«Per questo non riesci a dormire?» chiese curioso.
 
«In parte. Tu, come mai ancora in piedi?»
 
«Insonnia.»
 
La sua risposta la indusse a sorridere.
 
«Oh, che bello!» Si lasciò sfuggire quella esclamazione del tutto spontanea e, solo dopo aver visto l’espressione di stupore mista a confusione sul volto di Lorenzo, si rese conto che senza una spiegazione quel commento avrebbe potuto risultare alquanto strano.
 
«Cioè, mi dispiace per te, ma almeno mi sento meno sola e disperata. Quando non riesci a dormire pensi sempre che sei l’unica al mondo ad essere così sfigata.»
 
Ed era vero.
 
Nonostante sapesse quanto fosse insopportabile la mancanza di sonno, non riusciva a dispiacersi.
 
«Un po’ egocentrico come pensiero.»
 
Lorenzo aveva ragione.
 
Sentirsi soli durante il giorno era piacevole, ma esserlo durante la notte creava un senso di vuoto angosciante che sembrava incolmabile.
 
«Lo so, ma è il nervosismo a giocare un ruolo fondamentale. Vedi gli altri dormire beatamente e non puoi fare a meno di chiederti il perché non potresti esserci tu al loro posto.»
 
«È per questo che ti sei preparata una camomilla?» le chiese, rivolgendo lo sguardo alla tazza che Ella teneva stretta tra le mani.
 
«La leggenda vuole che serva a rilassarsi, ma è più un’abitudine. Non credo sia realmente utile a qualcosa perché, se considerassimo quanta ne bevo, dovrei dormire per un mese senza avere problemi.»
 
Il volto di Lorenzo si illuminò per la sua piccola affermazione divertente.
 
«Allora, stasera diventeremo compagni di bevute» asserì, alzandosi dal divano per dirigersi verso il piano cottura.
 
Ella si voltò nella sua direzione.
 
«Dovrebbe essere rimasta dell’acqua calda nel bollitore.»
 
«Perfetto.»
 
Lo osservò trafficare tra gli scaffali e i mobili e, ad ogni movimento, i muscoli si flettevano per poi rilassarsi subito dopo.
 
Dal suo sguardo sembrava molto concentrato ed era abbastanza buffo, considerando che si trattava solo di una camomilla.
 
«Questa è una tra le cose che non dovrebbero mai mancare in casa» disse Ella mentre Lorenzo si posizionava nuovamente al suo fianco con la tazza tiepida.
 
«Quali sono le altre?» chiese dopo aver bevuto un sorso.
 
«Caffè e antidolorifico» rispose fiera della sua scelta.
 
«E tutto il resto?»
 
«Superfluo.» Ella scrollò le spalle realmente convinta della sua affermazione. Non aveva pensato ad altro.
 
«Come faresti senza carta igienica?» La domanda era semplice ed evidenziava un’ovvia necessità, eppure risultò estremamente divertente tanto che, dopo essersi scambiati un’occhiata, esplosero in una risata che li portò a lacrimare.
 
Le era sempre piaciuto piangere per il troppo divertimento e, dopo un periodo buio, acquistava ancora più valore.
 
«Ora che mi ci fai pensare, probabilmente dovrei ampliare la lista.»
 
Riuscì a dire, solo dopo aver ripreso fiato ed essersi calmata quel tanto necessario per formulare una frase che risultasse comprensibile e con troncata dagli sghignazzi.
 
Come accade di solito che dopo ogni tempesta ritorna la quiete, allo stesso modo, dopo quell’esplosione di ilarità, la stanza ricadde nel silenzio.
 
Tuttavia, lo percepiva in modo meno pesante da come la opprimeva prima che arrivasse Lorenzo a farle compagnia.
 
«Ti ha più contattata?» Non serviva specificare la persona a cui faceva riferimento la sua domanda.
 
Ella si voltò verso di lui e le parve fosse in imbarazzo.
 
Lo intuì da come aveva portato la mano dietro il collo per grattarsi la nuca, nel tentativo di scacciare il disagio.
 
«So che non sono affari che mi riguardano, però non posso fare a meno di essere preoccupato. Se non vuoi parlarne lo capisco, non sei obbligata a rispondere.»
 
Il suo penoso tentativo di giustificarsi e la sua curiosità la fecero riflettere.
 
Non era da lui essere tanto impacciato e soprattutto a disagio. Indubbiamente l’argomento per cui chiedeva una spiegazione non era leggero, tuttavia c’era qualcosa che nascondeva e credeva anche di aver intuito di cosa si trattasse.
 
«Sofia cosa ti ha raccontato?»
 
Lo osservò e dal suo comportamento capì che aveva fatto centro.
 
La sua domanda lo aveva fatto irrigidire sul posto, inducendolo ad abbassare lo sguardo.
 
Generalmente, la reazione spontanea del corpo era la chiave per arrivare alla verità, bastava prestare molta attenzioni ai gesti e ai movimenti.
 
Anche se avesse mentito, lei avrebbe riconosciuto la realtà dei fatti e avrebbe avuto la possibilità di metterlo alle strette.
 
«Non è scesa nei dettagli.»
 
Sapeva che si trattava di un tentativo di sminuire ciò che era accaduto e le bastò rivolgergli un’occhiata torva per farlo cedere.
 
«Va bene, lo ammetto. Mi ha raccontato più o meno tutto, però non è colpa sua. Sono stato io ad essere insistente.»
 
Non era arrabbiata.
 
Se glielo avesse detto sin dall’inizio avrebbe evitato tutti quei patetici sforzi di nascondere qualcosa inutilmente.
 
Si era interessato a come stesse reagendo e a come si sentisse, non c’era nulla di male.
 
«Non è un problema se ti ha spiegato la situazione, ma non capisco perché tu non lo abbia chiesto a me.»
 
«Temevo ti saresti chiusa in te stessa o che farti rivivere tutto sarebbe stato troppo doloroso. Non volevo ferirti più di quanto non fossi già.»
 
La sua voce era distorta dal dispiacere e il volto rivolto leggermente verso il basso gli conferivano un’aria contrita.
 
«Tu pensi troppo.»
 
Tutti la trattavano come se si potesse rompere da un momento all’altro e probabilmente sarebbe successo, ma Ella avrebbe sempre saputo come rimettere insieme i suoi pezzi e ripartire.
 
Forza non era la capacità di non cadere, ma significava frantumarsi avendo il coraggio di ricostruirsi.
 
«Mi dispiace. Avrei voluto chiamarti, però non ho avuto il coraggio di dirti che in realtà sapevo più di quanto tu mi avessi raccontato qualche mese fa.»
 
Poteva capire le sue ragioni. Probabilmente, al suo posto anche lei non avrebbe saputo quale sarebbe stato il modo migliore di agire.
 
Tutta questa situazione stava mettendo in luce quanto lei gli stesse a cuore e quanto le volesse bene.
 
«Sta tranquillo, capisco la preoccupazione.»
 
Ella appoggiò una mano sulla sua per rassicurarlo e con il pollice iniziò ad accarezzarne delicatamente il dorso.
 
Si perse a osservare i cerchi concentrici che stava disegnando con le dita e Lorenzo non aveva intenzione né di spostare la mano né di parlare.
 
Entrambi in silenzio in attesa che Ella trovasse il coraggio di dire qualcosa.
 
Chissà quante altre volte avrebbe dovuto farlo, eppure sperava che ogni volta sarebbe risultata più semplice della precedente
 
«L’ho sentito tre giorni fa.»
 
«Perché lo hai sbloccato?»
 
«Ho dovuto. Aveva iniziato a tormentare Marta, quando si è reso conto che non avevo intenzione di cambiare idea. La contattava praticamente tutti i giorni, come faceva con me all’inizio. Stava esaurendo lei, invece che me e non era giusto.»
 
«Non è giusto nemmeno che distrugga te per un suo capriccio.»
 
Ella interruppe il contatto, portandosi una mano tra i capelli per spostare all’indietro i ricci scuri, che chiudevano la sua visuale.
 
«Lo so, ma è un problema mio e sto imparando a gestirlo.»
 
«Davvero?» Lorenzo voleva accertarsi che non stesse cercando di sminuire il suo stato d’animo.
 
Era una situazione complicata e lei, con quel suo corpo minuto, sembrava così fragile.
 
Avrebbe voluto proteggere sia lei che la sorella da tutte le difficoltà che erano state costrette ad affrontare, ma poteva solo accompagnarle per rendere il loro percorso meno tortuoso.
 
«Ci sono ancora momenti in cui vacillo e cado, però sto imparando a mantenere il controllo, per quanto possibile.»
 
«Cosa intendevi quando hai detto che provava a convincerla?»
 
«Sofia non te lo ha detto?»
 
«Non sapevo avesse iniziato a scriverle. Ha sviato il discorso quando le ho chiesto il motivo per cui avessi deciso di sbloccarlo.»
 
Con il senno di poi, non aveva sbagliato ad omettere questa parte.
 
Alcune cose era meglio non rivelarle.
 
Alcuni segreti non dovrebbero vedere la luce del sole.
 
«Probabilmente non voleva farti preoccupare. Chiedeva consigli su come riconquistarmi e se lo avessi potuto sbloccare. Voleva informazioni sulla mia vita, del tipo se mi stessi sentendo con qualcuno, se fossi ancora innamorato di lui. Cose da stalker, insomma.»
 
Quella che doveva essere una battuta divertente per alleggerire la pesantezza del discorso, risultò così deprimente da aumentare le cariche negative presenti nell’aria.
 
«Sa che ti sei trasferita?»
 
«Non gliel’ho detto apertamente, ma credo lo abbia intuito guardando i social.»
 
«Quindi non te lo ha chiesto?» Nonostante sapesse che parlare e sfogarsi le avrebbe fatto bene, tutte quelle domande stavano iniziando a renderla irrequieta.
 
Quella giornata sembrava infinita e avrebbe tanto voluto che anche Lorenzo lo capisse.
 
«Lo ha fatto, ma gli ho semplicemente risposto che la mia vita non gli riguardava più e che mi doveva lasciare in pace.»
 
Se c’era una cosa di cui Ella andava fiera, era il suo essere sempre schietta e il saper parlare senza mezzi termini.
 
Dritta al punto per non lasciare spazio ai fraintendimenti.
 
«Comunque, potevate astenervi almeno per qualche tempo.»
 
Ella apprezzava il fatto che Lorenzo cercasse di darle consigli, ma, per quanto ci avesse provato, avrebbe potuto comprendere solo vagamente come che il dolore l’aveva portata a reagire e a ragionare.
 
Era stata temprata e adesso era fiera di come stava reagendo, forse per la prima volta dopo tanto tempo.
 
«E fare il suo gioco? L’ho lasciato per non farmi più controllare, per ritrovare la mia libertà e poi cosa faccio? Vieto a me stessa e a chiunque mi stia intorno di fare ciò che vuole, per una persona che non merita nemmeno un mio pensiero. Gli ho dedicato già la disperazione di troppi mesi. è giunto il momento di andare avanti e smetterla di privarmi di ciò che voglio.»
 
«Hai ragione, ma è comunque una situazione particolare.»
 
«Non c’è bisogno che me lo ricordi e non pretendo che tu capisca come mi senta, però dovete accettarlo perché è così che andranno le cose d’ora in avanti.»
 
Il suo tono era risultato più seccato di quanto avesse voluto.
 
Il tumulto interiore si stava espandendo sempre di più e temeva sarebbe sfuggito al suo controllo se la conversazione non avesse preso, al più presto, una piega diversa.
 
«Sono sempre stato dalla tua parte. Io e Sofia ti staremo sempre vicina e, se si dovesse presentare, faremo in modo che si dimentichi di te una volta per tutte.»
 
Lorenzo posò una mano sulla guancia sinistra di Ella e, con il pollice, cancellò una lacrima solitaria che stava scivolando indisturbata.
 
Rimasero immobili mentre Ella cercava di tranquillizzarsi, riordinando le sue emozioni nel miglior modo possibile.
 
«Sei diventato un mafioso?» Pensò che una battuta sarcastica avrebbe potuto alleggerire la tensione e riportare la calma.
 
Era una carta che, molto spesso, usava come jolly in situazioni come quelle.
 
«Hai presente i segreti oscuri di cui abbiamo parlato oggi? Però non dirlo a Sofia.»
 
«Ho la bocca cucita.» Unendo pollice e indice, Ella fece scorrere le dita sulla lunghezza delle labbra per rafforzare la sua promessa.
 
Il discorso era stato troncato e, per quanto sapesse che quella dell’amico era solo premura nei suoi confronti, gli fu grata per aver ascoltato la sua supplica silenziosa.
 
«C’è qualcosa in particolare che vorresti vedere?» chiese Ella dopo qualche istante, mentre con il telecomando scorreva la lista di serie televisive.
 
«Che ne dici Friends? Niente di troppo impegnativo.»
 
Seguendo l’esempio di Ella, anche Lorenzo rivolse lo sguardo verso la televisione.
 
«Aggiudicato.»
   
 
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