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Autore: Nao Yoshikawa    20/08/2019    13 recensioni
Crowley e Azraphel si erano trovati a metà strada fra il buio e la luce, nel confine dove entrambi potevano coesistere. E poi era successo. Era successo che la luna si era innamorata del calore del sole e che il giorno aveva ceduto alla bellezza della notte. Nel momento in cui entrambi lo aveva realizzato, avevano anche capito che un grave peccato era stato commesso. Aleggiava sulle loro teste la disperazione, ma la consapevolezza non era bastata. Sapevano che prima o poi sarebbero stati separati.
Cap 2:
Come faceva la luce ad esistere nel buio? Demoni ed angeli erano rispettivamente cattivi e buoni, senza eccezioni. Ma Azraphel sapeva che come in Crowley esisteva uno spiraglio di luce, in lui esisteva una punta di oscurità. L’aveva capito nel momento in cui si erano incontrati. Forse loro erano l’eccezione. Forse erano la frase sbagliata scritta nella storia del mondo, che qualcuno avrebbe poi cercato di cancellare.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Belzebù, Crowley, Gabriele, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2
 
Probabilmente quella sera avrebbe fatto molto, molto tardi.
Ma lasciare una persona bisognosa al suo destino non era giusto. Non con poca fatica lo aveva portato dentro la biblioteca, per evitare di lasciarlo in mezzo alla strada.
Non contava che riprendesse di nuovo i sensi, per questo quando accadde se ne sorprese.
Vide la persona che aveva salvato sgranare gli occhi e prendere un profondo respiro, come se fosse rimasto in apnea per molto tempo. E poi lo vide mettersi immediatamente seduto, con lo sguardo confuso.
«Meno male, ti sei svegliato. Non ti muovere, ok? Ho già chiamato aiuto.»
«…Eh?» quello finalmente parlò. «Oh, no. Avresti fatto meglio a non chiamare nessuno, che mi lascino in pace. No, io me ne vado.»
Che razza di reazione era quella? Lo aveva aiutato e adesso voleva andare via come se niente fosse? Non era una cosa saggia da fare.
«Ma…aspetta! Dove vuoi andare? Tu sei… ubriaco?» Azraphel abbassò la voce.
Crowley – perché questo era il suo nome, che non gli aveva ancora rivelato - afferrò i suoi occhiali da sole, indossandoli.
«No. Non lo sono», rispose leggermente stizzito. «Se vuoi che ti ringrazi… grazie. Ma qui non posso proprio stare.»
«Non eri venuto per vedere me?»
«Per vedere te? Io neanche ti conosco!»
Già, per l’appunto. Probabilmente ciò che aveva detto prima era stato causato dal troppo alcol in circolo. Ma che lo conoscesse o meno non aveva importanza, Azraphel non era proprio capace di non aiutare il suo prossimo, per quanto indisponente e difficile quest’ultimo potesse essere.
«Almeno lascia che ti accompagni.»
«No, ho la mia auto qui… da qualche parte. Dove l’ho messa? Ah, la troverò», disse Crowley con noncuranza. «Adesso me ne vado.»
Azraphel provò ad aggiungere altro, senza però riuscirci. Era successo tutto così velocemente che in realtà neanche se ne capacitava, alcune persone ti sfioravano l’esistenza e poi passavano dritte, magari per poi scomparire per sempre.
Uscì un sospiro dalle sue labbra. Aveva ancora la netta sensazione che quella persona, di cui ancora non conosceva il nome, l’avesse già incontrata. Magari doveva solo ricordare, ma i ricordi erano un inganno, sfumavano e si perdevano, lasciando più con dubbi che con certezze.
Si disse che non era né il momento né il luogo adatto per pensare a certe cose e che la sensazione perenne di vuoto, lì dove si trovava il cuore, sarebbe presto scomparsa, dopotutto ci aveva a che fare soltanto da tutta la vita.
Si estinguerà la notte per lasciar posto all’alba, la vita per lasciar posto alla morte. E poi tutto ricomincerà ancora e ancora, tutto da capo.
Era forse normale avere il presentimento che la propria vita stesse per finire?
Ma sarebbe passata anche quella sensazione e avrebbe finto che non fosse mai esistita.
 
Tutti i giorni scorrevano gli uni uguali agli altri, in un fiume inarrestabile. Per l’ennesima volta nel corso della sua vita, la notte avrebbe ceduto il suo posto al giorno, ed allora sarebbe tutto ricominciato, senza alcun cambiamento.
Nonostante fosse tornato tardi a causa di quell’imprevisto, Azraphel aveva aperto la libreria presto, come sempre. E si prospettava essere una giornata tranquilla, senza ulteriori intoppi come quello della sera precedente. Eppure la sensazione che aveva addosso gli suggeriva tutt’altro. Ma soprattutto, aveva fatto bene a lasciare andare quel tipo? Lo aveva trovato in condizioni pietose, ma si era rifiutato di farsi aiutare ulteriormente. Forse si preoccupava troppo, se avesse avuto almeno il modo di sapere se stesse effettivamente bene, forse sarebbe stato un po’ più tranquillo. Aveva appena finito di sfogliare un libro di storia. Quest’ultima lo affascinava, l’idea di sapere cosa fosse successo nel mondo, quando ancora non c’era, era interessante. Quel venerdì mattina non aspettava visite. Eppure qualcuno si presentò comunque alla sua porta.
«Salve, cosa…?»
Solo successivamente sollevò lo sguardo e con grande stupore si ritrovò ad indicare la persona che  era entrata.
«Tu! Tu sei vivo!»
Crowley fece una smorfia.
«Non dovrei esserlo, forse?»
«Sì, è solo che… ti davo per disperso, te ne sei andato sulla tua auto e credevo non ne saresti uscito vivo. Meno male», sospirò, con una mano sul cuore. «Ti sei ricordato dov’ero?»
«Ero un po’ ubriaco, ma non fino a quel punto, Azraphel.»
Quest’ultimo si irrigidì. Era certo di non avergli detto il suo nome, come poteva conoscerlo?
«Come fai a sapere come mi chiamo?»
«Me l’hai detto tu.»
«No, io non…»
«Sì, me l’hai detto tu», tagliò corto, guardandosi intorno. «Sono venuto qui per sdebitarmi. Alla svelta, perché odio avere debiti.»
«Non ce n’è bisogno…», si zittì, rendendosi conto di non conoscere ancora il suo nome.
«Crowley»
«Crowley? Non mi è nuovo.»
«Già, appunto. Allora, che devo fare?»
«N-niente. Ho detto che non è necessario.»
«Non mi guardare così, non ci sto provando e non ho cattive intenzioni.»
Azraphel non sapeva cosa dire davanti ad una persona così particolare. Non lo aveva conosciuto nella maniera più convenzionale possibile, ed anche adesso non capiva proprio come prenderlo. Eppure non pareva pericoloso, in un certo senso gli veniva quasi istintivo fidarsi, per qualche assurdo motivo che non sapeva spiegarsi.
«Io non ho mai pensato questo, ma va bene. Dico sul serio, non hai alcun debito nei miei confronti… non mi conosci neanche.»
Non si sentì convinto mentre pronunciava quelle parole. Forse perché Crowley mandava in malora le sue sicurezze, aveva un modo di approcciarsi confidenziale, per certi versi anche agitato. E ciò, anziché inquietarlo come avrebbe dovuto essere, lo incuriosiva e nulla più.
«Ti piace il sushi?» domandò Crowley come se nulla fosse.
Questo forse era un po’ inquietante, ma non abbastanza da intimorirlo tanto da rifiutare.
«Sì, molto, perché?»
«Allora stasera andremo. Scommetto che l’idea ti piace, vero?»
Azraphel alzò un dito e fece per dire qualcosa. Crowley era pazzo?  O era solo molto sicuro di sé? O lo stava prendendo in giro? Se lo domandò, per poi capire che non aveva importanza. Non riusciva a temerlo, né ad allontanarlo.
C’era un qualcosa di già vissuto. Qualcosa di lontano e irraggiungibile.
Cosa è che ho dimenticato?
 
Seimila anni prima, giardino dell’Eden
 
L’inizio del mondo era bello. Perché c’era sempre il sole e mai troppo caldo o troppo freddo, mai nulla di troppo o troppo poco. Azraphel non ricordava esattamente il momento in cui aveva iniziato ad esistere, ma ricordava invece quando aveva iniziato a vivere. Quel motivo era un segreto troppo grande per non essere custodito, almeno fin quando fosse stato possibile. Si era macchiato del più orribile dei peccati. Un angelo avrebbe dovuto essere giusto, sincero, onesto e tante altre cose che non gli confacevano. Lui non lo era e poteva farsene una colpa solo fino ad un certo punto. Perché dall’altro lato – e Dio non lo avrebbe mai perdonato per questo – era anche felice di aver scoperto tutto il bene e tutto il male dell’amore.
«Ti ho trovato, angelo
Azraphel si voltò a guardarlo con gli occhi sgranati. Quel pazzo, incosciente, tanto quanto lui.
«Crowley, che fai qui? Ti caccerai nei guai.»
«Più di così? Mi sembra difficile. È inutile preoccuparsi, siamo già dannati. Ci scopriranno presto.»
«E la cosa non ti preoccupa affatto?»
Era il tramonto sull’Eden, in quell’istante. Crowley si volse a guadare il sole morente, pensieroso, come se stesse soppesando la risposta da dare.
«Sono portato a credere che non potranno separarci. Chiamala illusione o come vuoi, non importa. Quando questa storia è cominciata, sapevamo come sarebbe finita.»
«In mia difesa posso dire di aver provato a resistere. Ma tu… tu mi hai tentato…»
«Ti prego, hai ceduto subito, non aspettavi altro», lo stuzzicò. Azraphel distolse lo sguardo, arrossendo lievemente.
«Non parlare di queste cose blasfeme…»
«Va bene, non ne parlo. Ma non intendo andarmene così. Io sono venuto qui per te, non merito forse un trattamento di riguardo?»
Come faceva la luce ad esistere nel buio? Demoni ed angeli erano rispettivamente cattivi e buoni, senza eccezioni. Ma Azraphel sapeva che come in Crowley esisteva uno spiraglio di luce, in lui esisteva una punta di oscurità. L’aveva capito nel momento in cui si erano incontrati.  Forse loro erano l’eccezione. Forse erano la frase sbagliata scritta nella storia del mondo, che qualcuno avrebbe poi cercato di cancellare.
L’angelo socchiuse gli occhi e gli si avvicinò.
«Saremo dannati.»
«Come se ne avessi paura. Ascoltami bene, perché non lo ripeterò una seconda volta. Affronterei qualsiasi punizione, mi farei uccidere mille volte, se questo servisse a tenerti vicino a me. E sia chiaro, questo non lo farei per nessun altro.»
Azraphel sorrise.
«Lo so», soffiò. Non era stata una scelta. Forse quello era il loro destino ineffabile, impossibile da fermare o anche solo da comprendere.
Fu Crowley il primo a chiudere gli occhi. Certi istinti non erano propri degli angeli, dei demoni. Erano impulsi che non avrebbero dovuto provare, però esistevano.
Si avvicinò e delicatamente lo attirò a sé.
«Bene, allora vedi di non dimenticarlo.»
Lo baciò. Di tutte le volte in cui lo aveva fatto, oramai aveva perso il conto. Quello era l’esatto attimo dove luce e ombra sgusciavano l’uno verso l’altro per stringersi in un abbraccio. Le loro labbra si sfiorarono, mentre il sole moriva.
 
 
 
Era sempre il tramonto, soltanto di qualche millennio più avanti. Lo stesso cielo e lo stesso sole, poi tutto il resto era diverso, mutato. Azraphel aveva intenzione di vederci chiaro in tutto ciò. Da quando aveva incontrato Crowley una strana sensazione gli si era attaccata addosso senza dargli tregua, senza contare che quel tipo non gliela raccontava giusto, doveva esserci una spiegazione dietro dei modi di fare tanto strani. Difatti, arrivò a pensare che non a caso dovesse essere capitato nella sua biblioteca, la sera prima, e che davvero era venuto fin lì per cercarlo.
Ma cosa era Crowley per lui? Non lo conosceva, non sapeva niente. L’appuntamento, che non era un appuntamento,  era al Sushi Tetsu alle sette e mezza. Azraphel non era neanche sicuro che lo avrebbe trovato lì.
E invece, con sua grande sorpresa, fu esattamente dove avrebbe dovuto essere. Crowley si era levato gli occhiali da sole – almeno lì – e nel vederlo gli aveva fatto un cenno.
«Ciao. Sei qui da molto?»
«In verità sono appena arrivato.»
Azraphel si sedette, rigido e composto e guardò dritto negli occhi il suo interlocutore. Aveva le iridi di un particolare castano quasi dorato, cosa che lo portò a chiedersi perché si ostinasse tanto a coprirli.
«Bene, penso che tu mi debba delle spiegazioni. Chi sei? Perché hai voluto vedermi?» domandò, gentile ma impaziente. «Ieri sera mi hai detto “Ti ho trovato”, poi però hai detto di non conoscermi. Ebbene? Ci siamo visti da qualche parte e io non mi ricordo di te?»
Crowley ascoltò le sue domande, senza interromperlo, ma anche senza guardarlo, troppo impegnato a giocherellare con l’asta dei suoi occhiali.
«Il problema è proprio questo», disse dopo un attimo di pausa. «Che io non lo so. Non so se ti ho già incontrato. Però…so chi sei.»
«…Sei uno stalker?»
«Diamine, no!» sbottò, spazientito, per poi sospirare. «Io vedo delle cose. Sento delle cose, nella mia testa. E il tuo nome, il tuo viso, mi tormentano. So per certo che non sono sogni, troppo lucidi per esserlo. Ma è tutto frammentario. Avrei voluto cercarti, ma non sapevo come, fin quando ieri sera… non ti sono comparso davanti.»
Azraphel iniziò a credere che forse aveva sbagliato a giudicare e che probabilmente Crowley – sebbene non sembrasse pericoloso – non  doveva essere del tutto sano di mente. Non c’era logica in ciò che diceva.
«Non so cosa dire, io non… non ti ho mai visto. Forse tu…? Forse hai bisogno di aiuto.»
«Eh, no. Non provare a trattarmi come se fossi pazzo», disse sollevando un dito. «Io sono molte cose, ma non sono pazzo.»
Azraphel si massaggiò una tempia. No, infatti, forse pazzo sarebbe divenuto lui a furia di starlo a sentire.
«D’accordo, ma mettiti nei miei panni. Cosa faresti se uno sconosciuto venisse da te a dirti… queste cose?»
«Sono proprio uno sconosciuto? Non ti è familiare niente di me?»
Voleva rispondere di no, ma sarebbe stata un’enorme bugia. Era certo di non averlo mai visto, eppure non era del tutto indifferente. C’era qualcosa, una voce che aveva dimenticato, una triste storia che era stata cancellata, la costante sensazione che mancasse un pezzo fondamentale nella sua esistenza.
«Mi spiace… penso che mi ricorderei, se ci fossimo incontrati.»
Crowley sbuffò, alzando gli occhi al cielo. Sembrava agitato, impaziente, come se stesse cercando qualcosa che non riusciva però a trovare.
«Non sono pazzo, ma lo diventerò così. Sì, impazzirò di certo, non c’è dubbio», mormorò assorto, come se stesse parlando a se stesso. Poi cambiò nuovamente espressione, tornando ad essere tranquillo. «Non importa. Ho sbagliato, temo. Non troverò mai quello che cerco.»
E per un attimo, ad Azraphel parve che i suoi occhi si fossero velati di qualcosa simile alla malinconia.
«Cos’è che cerchi?»
Crowley scosse stancamente il capo.
«Qualcosa che ho dimenticato.»
Fu una delle esperienze più strane, particolari che avesse mai vissuto. Azraphel si chiese come si potesse essere così inquietati e al contempo attratti da una persona. Perché sì, indubbiamente Crowley aveva qualcosa che lo attirava, che fosse per la malinconia del suo sguardo o per ciò che diceva, non avrebbe saputo dirlo. E poi si era aggiunta, alla lunga lista di sensazioni strane, quella che se avesse provato ad allontanarlo, si sarebbero ritrovati comunque. Per caso. O magari non tanto. E magari neanche quell’incontro era stato un caso.
Ad una certa, Crowley aveva smesso di parlare di ciò che non riusciva a ricordare, l’aveva messo da parte, cercando di non badarci. Ma il pensiero era nella sua testa, era sempre lì.
Avevano iniziato a parlare di argomenti normali, a riconoscersi, senza saperlo, per la millesima volta, ignari che sarebbero morti in maniera violenta, per poi rinascere e dimenticare tutto.
«Quanti libri possiedi?» domandò ad un tratto Crowley, sorprendendolo.
«Quanti? Non saprei. Molti…?» domandò Azraphel in certo.
«Hai libri che parlano della reincarnazione?»
Quella domanda lo sorprese, di nuovo.
«Immagino di sì. Vuoi che lo cerchi per te?»
«Mi servirebbe sì. Io non leggo, tuttavia ci sono delle cose che devo cercare di capire», poi sorrise. «Lo so, ancora  pensi che io sia fuori di testa, vero? Lo pensano tutti. Ma se sapessi quello che ho qui dentro» e si indicò proprio la testa. «Scommetto che daresti di matto anche tu.»
Azraphel si schiarì la voce. Aveva pensato che avesse qualche rotella fuori posto diverse volte, probabilmente perché quello che diceva non aveva il benché minimo senso. O almeno, solo una parte di lui era convinto di ciò.
«Io non penso tu sia pazzo, ma nel sentirti parlare capisco che sei diverso da qualsiasi alta persona. Non avevo mai incontrato nessuno come te.»
Crowley si passò stancamente una mano tra i capelli, con un sorriso ironico stampato in viso.
«Magari fosse così facile per me affermare lo stesso. Va bene, d’accordo. Allora ricominciamo da capo. Io sono Crowley, piacere .»
E gli tese una mano. Azraphele sentì la sua voce interiore dirgli: “Non farlo. Perché se adesso lo fai, non potrai più tornare indietro”.
La ignorò. In quale guaio di così grande portata avrebbe mai potuto cacciarsi, dal momento che erano solo due persone che si stavano conoscendo, di nuovo?
«Piacere mio», sussurrò, stringendogli la mano. Non si staccarono subito come in genere avrebbero fatto due persone comuni. Le persone in genere la chiamavano deja-vu, la sensazione di aver già vissuto un dato momento. Crowley ebbe la certezza più che mai che tutto ciò che sentiva, tutto ciò che era nella sua testa, in qualche  modo assurdo e incomprensibile, era reale, e che non era pazzo come tutti dicevano.
Capì che Azraphel era il qualcosa che forse doveva trovare, anche se ancora non capiva il perché.
 
Nota dell’autrice
Miracolosamente anche il secondo capitolo (il primo vero e proprio in realtà) è venuto fuori. Alla domanda: “Quindi Crowley ha recuperato la memoria?”, rispondo “nì”. Ci sono delle cose che ricorda sulle sue vite precedenti, ma sono frammentarie e prive di collegamenti. Si ricorda di Azraphel, sa che in qualche modo devono essersi conosciuti, anche se non sa come, dove e perché. E tutto ciò sta facendo non poco male alla sua salute mentale. Azraphel invece zero totale, non ricorda niente, ma le sensazioni alle volte sono più forti dei ricordi. Quindi Crowley dovrà trovare il modo intanto di capire e chiarire i suoi dubbi, e poi trovare il modo di spiegarli ad Azraphel, senza farsi prendere per pazzo, cosa che stava già accadendo. Quindi sì, è stata tirata in ballo la reincarnazione, che non è assolutamente sbagliato come concetto, anzi, il punto è proprio quello, solo che ancora non lo sanno. Lo so, è complicata come situazione, ma io ho una passione per queste cose… poi sì, è molto angst, quindi ci vado a nozze proprio.  Ringrazio tutti coloro che hanno recensito il prologo, spero che l’idea alla base vi piaccia. A presto!
 
 
   
 
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