Prompt:
Ci aveva parlato la prima volta all'inizio del terzo anno, e per Keith
sembrava
già un miracolo. Diventare suo amico? Non pensava sarebbe
stato mai possibile. Qualcosa
di più, quello era solo un suo desiderio.
Pagina
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prompt.
Numero
parole: 1237.
«Però...
te la cavi bene a cavallo di una scopa. Sei molto bravo.»
Keith
aveva deglutito l’imbarazzo, sforzandosi di mantenere
un’espressione
impassibile e, soprattutto, di non ricambiare il sorriso a trentadue
denti che
Shiro gli stava rivolgendo.
«Grazie»,
si era limitato a rispondere, nella speranza che i suoi compagni
Serpeverde non
lo sentissero. In fondo, Shiro restava pur sempre un Grifondoro.
«Ti
sei allenato molto?»
Keith
strinse con forza la scopa nella mano, fino a sentirne il legno
scricchiolare.
«A
dire il vero no. La mia è una dote innata», aveva
detto, nel disperato
tentativo di non arrossire.
In
verità, era una bugia. Keith aveva passato gli ultimi tre
anni ad allenarsi,
con costanza e resistenza, senza mai abbattersi ogni qualvolta che la
scopa
nemmeno voleva saperne di sollevarsi da terra.
Aveva
iniziato durante il primo anno a Hogwarts, di nascosto da tutti, ogni
sera,
anche sotto la neve e la pioggia. Non lo aveva confidato a nessuno e,
in quel
momento, non seppe spiegarsene il motivo, provò vergogna per
non averlo detto a
Shiro, che ormai frequentava l’ultimo anno e aveva sempre
ammirato chi si
impegnava, chi dava il meglio di sé. Keith lo aveva sentito
spesso dire ai
ragazzini più piccoli: «anche se
l’incantesimo non vi riesce al primo colpo,
non arrendetevi.» E lui... beh, aveva fatto tesoro di quel
consiglio.
Quella
fu la prima volta che Shiro gli avesse mai parlato e Keith si convinse
che
sarebbe stata anche l’ultima, finché non se lo
ritrovò davanti la porta
dell’aula di Pozioni, con le spalle larghe poggiate contro il
muro e lo sguardo
lontano. Appena uscì, Shiro si volse a guardarlo e gli
sorrise.
«Ti
va di passeggiare un po’? Vorrei parlarti.»
Keith
annuì, sentendo una gocciolina di sudore corrergli lungo la
tempia. Camminarono
senza dire nulla per tutto il corridoio e per le scale, fino al parco,
dove
finalmente Shiro prese la parola.
«Sai,
non me la sono bevuta», gli disse, guardandolo con un sorriso
appena accennato,
che rendeva il suo viso dalla mascella forte ancora più
conturbante.
«Cosa?»
sussurrò Keith. All’improvviso si
ritrovò con la gola secca.
«Beh,
non credo che la tua sia una dote innata. Secondo me, ti sei
allenato», rispose
Shiro, «ti ho osservato durante la partita contro Tassorosso
e ho notato come
le tue mosse assomiglino molto a quelle dei più famosi
giocatori di Quiddich
del passato. Le hai solo modificate un po’, con ottimi
risultati direi. La
squadra di Serpeverde, grazie a te, vincerà di certo la
Coppa.»
Keith
era rimasto a guardarlo a bocca aperta. Come accidenti aveva fatto a
capirlo?
Avrebbe voluto ribattere, ma rimase a osservare il proprio viso
allungato
riflesso negli occhi scuri e sinceri di Shiro.
«Keith,
mi piacerebbe molto guardarti mentre ti alleni.»
Keith
sussultò.
«Puoi
vedermi mentre gioco con i miei compagni», rispose,
pentendosene subito. Non
voleva essere scortese, non con lui.
Shiro
si concesse una risata.
«Perdonami,
non mi sono spiegato bene: voglio guardati mentre ti alleni con
me», specificò.
Keith
distolse il viso appena in tempo, prima che una vampata di calore lo
invadesse.
Bofonchiò qualcosa di incomprensibile, preda
dell’imbarazzo. Cosa avrebbero
detto i suoi compagni Serpeverde se lo avessero visto simpatizzare con
Shiro?
Di certo, non l’avrebbero presa bene. Eppure...
Oh,
al diavolo!
«Va
bene, ma a una condizione», rispose infine.
«Quale?»
«Nessuno
deve saperlo.»
Shiro
gli sorrise e, scompigliandogli i capelli, annuì.
«Allora
ti aspetto questa sera dopo cena, va bene?»
Keith
lo guardò in viso. Gli stava sorridendo.
«Va
bene», borbottò e si allontanò da lui,
con il volto in fiamme.
Quell’appuntamento
divenne una costante nelle settimane successive. Keith non riusciva a
capire
come mai Shiro, che aveva dimostrato da subito
un’abilità nel volo e nel
Quiddich straordinaria, non fosse nella squadra della sua Casa. Nel
giro di
mezz’ora non solo aveva segnato diverse volte, ma aveva anche
trovato il
boccino d’oro, senza che mostrasse la minima fatica. Keith,
invece, era un
bagno di sudore nonostante l’aria fosse fredda.
«Le
tue mosse mi sono del tutto estranee», gli disse, una volta a
terra, con il
fiato corto.
«Le
ho, diciamo, “inventate” io»,
confessò Shiro e gli sorrise.
«Perché
non sei nella squadra di Grifondoro?»
«Ci
ho giocato, ma ho lasciato l’anno in cui sei arrivato
tu.»
Keith
sbatté le palpebre, perplesso.
«Perché
hai rinunciato? Con un giocatore come te non c’è
partita», gli disse.
Shiro
rise.
«Ti
ringrazio per il complimento, ma ho lasciato per concentrarmi sugli
studi. Il
mio sogno è di diventare Auror», rispose e
guardò la cupola di stelle sopra di
loro.
Rimasero
in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri.
«Credo
sia arrivato il momento di ritornare al castello»,
sussurrò Shiro.
«Sì»,
convenne Keith, che sentiva il sonno gravargli sugli occhi.
Rientrarono
insieme, senza che nessuno parlasse, per poi separarsi davanti al
portone.
Fu
in una notte simile a quella, dove uno spicchio di luna brillava alto,
che
Shiro gli fece una domanda che lo spiazzò.
«Tu
cosa desideri fare dopo Hogwarts?»
Keith
lo chiese a se stesso, ma non trovò alcuna risposta. Rimase
a osservarlo
confuso, muovendo le labbra senza che alcun suono ne venisse fuori.
Shiro
rise e, come era solito fare, gli scompigliò i capelli scuri.
«Sei
solo al terzo anno, è presto per poter decidere.
Però, lascia che te lo dica,
secondo me hai la stoffa per fare qualsiasi cosa tu voglia»,
gli disse.
Keith
arrossì e sentì le farfalle nello stomaco.
«Tu
credi?» chiese.
«Ti
ho osservato tanto, sai? Non so come te la cavi con le materie, non
essendo
nella stessa Casa, ma in te ho visto un’infinita forza di
volontà, che secondo
me ti condurrà lontano.»
«Non
so se anch’io vorrò diventare Auror. Forse
opterò per una carriera in banca»,
sussurrò, abbassando lo sguardo.
Shiro
incrociò le braccia sul petto e scosse la testa.
«La
decisione è tua, ma secondo me la Gringott non fa per te e
non perché tu non
sia capace.»
Keith
lo guardò negli occhi.
«E
allora perché?» gli chiese, ma Shiro gli sorrise e
non rispose.
Alla
fine, divennero amici quasi inseparabili. Ogni volta che avevano del
tempo
libero, lo passavano insieme e Keith divenne molto più
loquace e allegro, tanto
che chiedeva costantemente consiglio a Shiro per svolgere al meglio i
compiti
che gli venivano assegnati.
Eppure,
quell’amicizia che si protrasse fino alla fine
dell’anno, a Keith non bastava.
Un giorno, quasi per caso, si ritrovò a pensare che sarebbe
stato bello se
fosse diventata qualcosa di più, in futuro. Shiro non era
solo un esempio da
seguire, per lui, non era un semplice amico. Era il suo primo amore. Fu
per
questo che, il giorno stesso della fine della scuola, gli chiese di
incontrarsi
in un posto defilato del parco e, raccolto il proprio coraggio, gli si
accostò
e gli diede un leggero e inesperto bacio sulle labbra. Shiro non si
mosse, ma
quando Keith si staccò, gli scompigliò i capelli
con un sorriso triste.
«Keith,
io ti voglio bene, ma per me sei come un fratello. Niente di
più», gli disse
con dolcezza, provocandogli un moto di dolore e disperazione che non
riuscì a
nascondere. Ormai, lui per Shiro non aveva più segreti.
«Shiro,
io ti...»
«Non
dirlo», lo interruppe, «conserva quelle parole per
chi le merita davvero. Io
sarò sempre tuo amico, ma nient’altro.»
Shiro
gli passò di nuovo una mano fra i capelli e senza aggiungere
altro si
allontanò, lasciandolo da solo con le proprie lacrime.
Angolino
dell’autrice:
Ciao
a tutti,
è
la prima volta che scrivo in questo fandom e spero che come primissimo
esperimento
(è davvero la prima fanfiction che scrivo su Shiro e Keith)
non lasci troppo a
desiderare.
Ogni
commento sarà sempre ben accetto!
Senza
pretese,
Elly