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Autore: zappolo70    23/08/2019    5 recensioni
ATTENZIONE: storia già pubblicata fino al capitolo VII ora completata (12 capitoli). Si avvisa che TUTTI i capitoli sono stati rimaneggiati e sono stati aggiunti riferimenti temporali per aiutare a seguire più agevolmente il dispiegarsi della storia.
La storia propone un what if inusuale e grande come una casa. Una rilettura personale della storia di Oscar e Andrè che mantiene grossomodo l’ossatura della storia e l’evoluzione temporale, anche se non fedelmente per esigenze narrative, stravolgendone però l’interpretazione alla luce di un presupposto nuovo.
Buona lettura a chi vorrà cimentarsi.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: I personaggi di Lady Oscar non mi appartengono e sono proprietà esclusiva di Ryoko Ikeda.

 

IX – Aprile 1775 – Aprile 1779

 

Così erano andate le cose. Questa era stata la genesi del suo piano. Ma persino la saggezza degli anziani non è infallibile, e il suo amore per lei si era dimostrato inossidabile pur nella  convinzione – e come poteva essere altrimenti ? – di non essere corrisposto.

Tredici lunghi anni, tanto era durato l’inganno. Attuarlo era stato relativamente facile, seppure oltremisura doloroso. Era bastato assicurarsi che lui la vedesse mentre lei guardava l’altro ora rapita, ora sognante, spesso malinconica. L’aveva lasciato trarre le sue conclusioni. Lei dal canto suo metteva in scena una finzione per metà: tanto le sue espressioni erano genuine quanto lui ne travisava il significato. Si perché ora che la forza dell’amore e l’impeto della passione non le erano più sconosciuti, guardava con sincero trasporto gli occhi di colui che ne era tormentato capendo fin nel midollo cosa stesse provando. Non erano sguardi d’amore i suoi, semplicemente manifestavano una profonda empatia per quelle due anime che condividevano con lei e Andrè un destino tanto simile. E così la malinconia che talvolta traspariva dagli occhi di Fersen diventava anche un po' la sua. E la passione. E la tristezza. Li aveva osservati da vicino, aveva visto il loro legame crescere e l’amore divampare al punto da non poterlo più contenere, fino ad obbligarli a rispondere al richiamo della carne che reclama la carne. E loro avevano obbedito. Avevano fatto una scelta diversa dalla sua. Giurerebbe persino di aver capito esattamente quando fosse successo, perché la mattina seguente gli occhi di entrambi brillavano di una luce nuova, che non gli aveva mai visto.

Paradossalmente doveva essere avvenuto proprio la notte in cui aveva obbligato il conte a ballare con lei tutta sera, in alta uniforme, per dissipare i pettegolezzi che cominciavano pericolosamente a circolare a corte. In altre parole per proteggerla. Era stata una sua idea. Aveva voluto mostrare a Fersen quale sarebbe stata la strada più saggia da percorrere, la stessa che aveva imboccato lei stessa, proteggere l’altro a costo della propria infelicità.

Ma loro avevano scelto altrimenti e lei ricorda di essersi sentita confusa. Quale amore poteva dirsi davvero tale se era disposto a mettere in pericolo l’altro? Eppure … aveva percepito un senso di ineluttabilità che l’aveva fatta vacillare. Quella sera, mentre volteggiavano nella sala delle grandi feste sotto gli occhi di tutta la nobiltà riunita, aveva visto da vicino il dolore del conte nello sforzo sovrumano di tenere gli occhi nei suoi, mentre avrebbe voluto cercarne altri per farle sapere  che lui era ancora suo, che niente avrebbe potuto dividere due anime nate per essere unite.

E quella notte stessa deve averglielo dimostrato.

Oscar ne rimase impressionata. Mise a lungo in discussione la bontà della propria scelta, arrivò quasi ad invidiare la pienezza della felicità che leggeva sui volti di entrambi, frutto di una complicità nuova, un’intimità che lei aveva invece voluto precludere a se stessa. Forse il rosso poteva riuscire ad ingannare il nero dopotutto.

Poi arrivò l’annuncio. Erano i primi di Aprile del 1779, e Fersen le confidò che sarebbe partito per l’America. Le disse che non poteva più restare accanto alla sua regina, che i pettegolezzi sussurrati, erano diventati cattiverie dapprima asserite e poi urlate ai quattro venti.

Si sentì investire da una tristezza infinita. Aveva sperato potesse esistere un’altra possibilità con un epilogo diverso, aveva sperato un giorno di poter cambiare strada, invece la sua si era rivelata alla fine l’unica soluzione possibile e anche Fersen aveva dovuto capitolare e adeguarsi. 

Quella sera chiese ad Andrè di portarla in qualche bettola di Parigi a bere.

Lo voleva vicino, ma si avvide subito dell’errore. L’equivoco era prevedibile, gli occhi mesti di lui erano quelli di chi si era trovato costretto contro la propria volontà a guardare impotente la propria donna soffrire per non essere corrisposta da un altro.

Bevve quanto più poté per stordirsi, perché la vista le si annebbiasse e non fosse costretta a distinguere così nitidamente l’espressione ferita di lui, le spalle leggermente incurvate, gli occhi bassi sul calice mezzo vuoto.

Si diede della stupida per l’errore grossolano. La rabbia che sentì salire trovò facile sfogo quando un avventore si lasciò andare a un commento di troppo. Fu come un invito a nozze, pugni e calci volarono insieme a seggiole e sgabelli. Ne presero tante e ne diedero altrettante, fino a ritrovarsi esanimi pancia a terra sul pavimento di legno sporco e maleodorante.

Stava imponendo a se stessa di rimettersi in piedi, quando si era sentita sollevare da braccia forti, quelle di lui di cui riconobbe il profumo, che la prese in braccio e se la strinse contro più che poteva. Le venne da piangere, commossa da quel gesto che diceva tutto il suo amore che nemmeno la presenza di un altro uomo nel suo cuore era riuscito a scalfire.

Finse di essere addormentata e si accoccolò meglio contro il suo petto forte, in ascolto dei battiti del suo cuore contro la sua guancia. Non gli era più stata così vicina da allora. Poi lui si fermò di colpo e lei pensò che fosse esausto e che l’avrebbe svegliata per farla proseguire sulle sue gambe. Invece furono le sue labbra morbide quelle che sentì premere sulle sue in un bacio casto, ma di una tenerezza inaudita. Quanto avrebbe voluto rispondere a quel bacio e allacciargli le braccia intorno al collo, invece fu come dirgli addio una seconda volta. Giunta a casa, nel suo letto, pianse per davvero. Pianse per lui, pianse per Fersen, per la regina e pianse per se stessa.

  
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