Disclaimer:
I personaggi di Lady
Oscar non mi appartengono e sono proprietà esclusiva di
Ryoko Ikeda.
X - Aprile
1779 - 14 Luglio
1988
La
dipartita del conte contribuì in realtà a
cambiare la dinamica tra loro. La
messinscena di Oscar risultò meno gravosa, essendo rimasta
orfana di un attore,
seppure inconsapevole, a cui non doveva più rivolgere
sguardi furtivi o parole
d’ammirazione. Dal canto suo Andrè si
sentì in un certo qual senso sollevato
dall’uscita di scena di Fersen e cercò cautamente
di accorciare le distanze,
tornando a interpretare il ruolo dell’amico di sempre. Oscar
accolse di buon
grado questo nuovo equilibrio che, sia chiaro, non era nato
dall’oggi al
domani, piuttosto era frutto di anni trascorsi al ritmo alternato di
cavalcate
liberatorie, risate condivise, bevute tristi, tanti silenzi e poche
parole.
Nove anni
per la precisione. Tanto impiegò il conte a fare ritorno
dalla sua regina.
Un altro
cuore che si era rifiutato di piegarsi alla ragione.
In quegli
anni Oscar si era augurata che quel compromesso tra lei e
Andrè, giocato su un
delicato equilibrio, potesse durare in eterno, rappresentava
l’unico modo di
poterlo avere vicino pur non avendolo veramente. Ma ultimamente si era
resa
anche conto che così lui non sarebbe mai stato libero,
avrebbe continuato a
vivere nella sua ombra senza darsi la possibilità di essere
amato come
meritava. Da un’altra.
Il ritorno
di Fersen le offriva la possibilità di scrivere
l’ultimo atto di una pantomima
durata fin troppo, avrebbe significato infliggere un colpo mortale al
suo cuore
già ferito, come un cacciatore che mettesse fine
all’agonia della sua preda.
Straziante il solo pensiero. Ma inevitabile.
Quando le
corse incontro per salutarlo con tutto l’entusiasmo che era
stata capace di
fingere, la luce del tramonto non le impedì di cogliere la
reazione di Andè,
che vide cercare sostegno nel tronco della grande quercia, guardandola
correre
incontro all’altro con un sorriso che da troppo tempo mancava
sul suo viso.
Lei
invitò
il conte a rimanere a palazzo qualche giorno e trascorse quanto
più tempo poté
con lui, mentre Andrè li osservava in disparte. Consumarono
i pasti insieme e
conversarono amabilmente. Quando lo invitò a battersi con
lei alla spada Andrè,
seduto sul bordo della fontana, affondò una mano
nell’acqua stringendola a
pugno, la mascella serrata.
Più
tardi
Fersen le confidò che l’indomani si sarebbe recato
in visita a Versailles, per
rivederla, perché la lontananza da lei era stata
l’esperienza più dolorosa
della sua vita, che lui ci aveva provato a dimenticarla, ma il suo
cuore non ne
aveva voluto sapere.
Oscar
conosceva già il motivo del suo ritorno e non ne rimase
sorpresa.
Decise che
gli avrebbe impedito di commettere lo stesso errore una seconda volta.
Di lì a
qualche giorno si sarebbe tenuto un ballo a Versailles alla presenze
dei
regnanti a cui lui avrebbe sicuramente partecipato: la tensione
palpabile tra
loro sarebbe stata sotto gli occhi di tutti. E stavolta un passo falso
avrebbe
potuto essere fatale a entrambi. Decise che l’avrebbe
obbligato a danzare di
nuovo per tutta la sera con lei che questa volta si sarebbe presentata
sotto
mentite spoglie.
Forse lui
l’avrebbe guardata con occhi diversi. Aveva udito Nanny
dipingerla bellissima a
Therese. Forse avrebbe distolto la sua attenzione dalla regina, forse
l’avrebbe
guardata con desiderio, forse quel desiderio avrebbe acceso qualcosa
anche in
lei, forse sarebbe stati salvi. Tutti e quattro.
Quando
scese la grande scalinata di palazzo fasciata nell’abito da
sera che Nanny
aveva confezionato per lei se lo ritrovò davanti, muto, gli
occhi sgranati per
un istante che si abbassarono immediatamente al pavimento. Non
proferì parola.
Nell’aiutarla a salire in carrozza le strinse la mano appena
un po' più del
necessario. Non le disse che era bellissima, i suoi occhi avevano
già parlato
per lui. Per la prima volta in tanti anni non
l’accompagnò.
Lo vide
superare la carrozza in sella al suo cavallo lanciato al galoppo e
superare i
cancelli della tenuta in una nuvola di polvere per poi scomparire alla
vista.
«Perdonami»
sussurrò lei al vento mentre si asciugava
una lacrima che
non aveva saputo trattenere.
Al ballo
non durò fatica a farsi notare dal conte che dopo qualche
sguardo d’intesa
ruppe gli indugi e la invitò a danzare.
Colse un
tremito sulle labbra della regina che li osservava ostentando
indifferenza, non
fosse stato per la mano chiusa a stringere un lembo
dell’abito vaporoso che
tradiva tutt’altro stato d’animo.
Oscar non
fece fatica a riconoscere negli occhi dell’altro i segni del
desiderio e al
momento se ne compiacque, ma non vide altro che desiderio fisico e
delusa
constatò che lei non aveva provato neppure quello.
Addirittura
la mano di lui poggiata alla sua vita la infastidiva, non avrebbe
saputo dirne
la ragione. Poi le venne in mente un’altra mano, una mano che
non aveva mai
visto ma che sapeva esistere impressa su un cartoncino bianco nel
risguardo di
un libro proibito. Una mano posata in vita a significare
inequivocabilmente
possesso, almeno secondo Hortence.
Non stava
già più ascoltando le parole che lui le stava
rivolgendo, qualcosa a proposito
della somiglianza tra lei e “il suo migliore
amico”, quando Oscar comprese
l’assurdità del proprio piano. Non avrebbe mai
potuto essere quello il suo
posto, si divincolò dalle braccia del conte in un movimento
troppo repentino
che la fece incespicare nei propri passi e rischiò di farla
rovinare a terra se
non fosse stato per lui che la sorresse facendole ristabilire
l’equilibrio. Si
scambiarono un ultimo sguardo, fu certa che lui l’avesse
riconosciuta, prima
che lei riprendesse la sua corsa verso l’esterno, oltre le
enormi finestre fino
a ritrovarsi alla fontana antistante il salone delle feste.
Ansimante
appoggiò i palmi sul marmo freddo del bordo e si sporse a
guardare il proprio
riflesso disturbato dell’interferenza di piccoli centri
concentrici là dove le
lacrime salate si erano mischiate all’acqua dolce.
Raccolse
alla bell’e meglio la stoffa ingombrante delle gonne e si
mise a sedere sul
bordo, il capo rivolto all’indietro, lo sguardo al cielo
pieno di stelle.
«E
adesso?».
Così
assorta non si avvide della presenza dell’altro che le si era
seduto accanto, i
gomiti sulle ginocchia e le mani intrecciate poggiate alla fronte.
«Perchè
Oscar? Cosa vi ha portato tra le mie braccia stasera?».
Un
sospiro.
«L’amore».
In
un moto di stupore si girò a cercarla ma lei aveva ancora lo
sguardo
rivolto verso l’alto.
«Io
non mi sono mai accorto che ...»
«Non
per voi Fersen. Non potrei mai amarvi, non mi è mai stato
più chiaro
di così».
Lui
rimase palesemente confuso.
«Allora
perché? Se non provate nulla per me ….
perché proprio io?».
Lei
infine lo aveva guardato ed era rimasta a lungo in silenzio prima di
parlare.
«Perché
noi dobbiamo proteggerli. Volevo impedirvi di commettere una
sciocchezza. Mi sono finta innamorata di voi perché lui
capisse che è tempo di
volgere il suo cuore altrove. Per un momento ho anche pensato che io e
voi
avremmo potuto colmare
la solitudine che ci accomuna, ma solo ora mi avvedo di
quanto ridicola fosse quest’idea. Ad ogni modo Fersen, dovete
rinunciare a lei,
datemi retta. Per Dio, lei è la Regina di Francia e ...»
«E
lui?»
Lei
abbassò lo sguardo sulle proprie scarpe che disegnavano
segni incomprensibili
nella ghiaia.
«Lui
non ha un titolo».
«Capisco.
Dunque anche voi soffrite per un amore impossibile. La vostra
rivelazione d’altro canto non mi stupisce. Ho sempre pensato
che tra voi ci
fosse un rapporto speciale». Perspicace.
«Già».
«Non
vi ho mai ringraziato apertamente per l’amicizia che mi avete
sempre
dimostrato, ma più di ogni cosa vorrei ringraziarvi
perché da voi non mi sono
mai sentito giudicato, nonostante sapeste di noi sin
dall’inizio.
Ma
permettetemi di dissentire: nove anni fa sono fuggito da lei come un
ladro, senza nemmeno salutarla, soprattutto senza metterla a parte
della mia
decisione. L’ho fatto per proteggerla, proprio come dicevate
voi poco fa. Anche
a me era sembrata la cosa più saggia da fare. Sono tornato
perché in tutti
questi anni non c’è giorno che io non abbia
sentito di averla in qualche modo
tradita. Le ho tolto la possibilità di decidere. Ognuno
dovrebbe essere messo
in condizione di poter scegliere. E’ il libero arbitrio a
distinguerci dagli
animali. Ditemi Oscar, dareste la vita per lui non è
vero?».
«Si».
Lo aveva affermato senza esitazione lei, mentre lui aveva annuito.
«Allora
dovreste accettare che lui possa fare la medesima scelta. Morire
per voi piuttosto che vivere senza di voi».
«Per
quanto ne so io, l’amore porta solo a una lenta
agonia», gli risponde
lei laconica.
«Non
voglio credere che lo pensiate veramente, scambierei tutto il resto
della mia vita per i pochi momenti rubati vissuti con lei. Datemi retta
Oscar,
chiedete a lui quale strada sceglierebbe e imboccatela
insieme».
«Lui
non lo sa. Non l’ha mai saputo».
Lui
aveva sussultato. «Volete forse dire che non gli avete mai
rivelato i
vostri sentimenti? Da quanto tempo gli nascondete il vostro
cuore?».
Lei
aveva annuito impercettibilmente. «Tredici anni».
«Amica
mia, non so come siate riuscita a portavi dentro un peso
così grande
per tutto questo tempo. Avreste potuto aprirvi con me, avrei custodito
gelosamente il vostro segreto, come potete star certa farò
ora che mi avete
accordato la vostra fiducia. Ma promettetemi di riflettete su quanto vi
ho
detto. Se dopo così tanto tempo il suo amore per voi
è ancora immutato, credete
davvero che la farsa che avete inscenato questa sera sarà
sufficiente a farlo
desistere?».
Quella
stessa notte lo aspettò alzata. Arrivò che
albeggiava, ubriaco come
l’aveva visto poche volte, triste come ormai lo vedeva sempre
più spesso. Lui non
aveva omesso di ricordarle il fallimento della sua serata, per ferirla.
Ma lei
l’aveva ucciso comunicandogli che da allora in avanti avrebbe
fatto a meno di
lui. E lui l’aveva uccisa a sua volta, vomitandole addosso
tutta la sofferenza
che aveva dovuto sopportare, straziandola con un ultimo bacio pregno
dell’amore
che non era mai stato libero di dire e infine comunicandole che quella
mattina
stessa sarebbe uscito per sempre dalla sua vita. L’obiettivo
era raggiunto, il
cuore in frantumi.