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Autore: zappolo70    23/08/2019    4 recensioni
ATTENZIONE: storia già pubblicata fino al capitolo VII ora completata (12 capitoli). Si avvisa che TUTTI i capitoli sono stati rimaneggiati e sono stati aggiunti riferimenti temporali per aiutare a seguire più agevolmente il dispiegarsi della storia.
La storia propone un what if inusuale e grande come una casa. Una rilettura personale della storia di Oscar e Andrè che mantiene grossomodo l’ossatura della storia e l’evoluzione temporale, anche se non fedelmente per esigenze narrative, stravolgendone però l’interpretazione alla luce di un presupposto nuovo.
Buona lettura a chi vorrà cimentarsi.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: I personaggi di Lady Oscar non mi appartengono e sono proprietà esclusiva di Ryoko Ikeda.

 

XI - 14 Luglio 1988

E’ ancora lì, accovacciata sul pavimento, la schiena appoggiata alla parete fredda. Non sa quanto tempo sia trascorso, le pare di aver passato in rassegna tutta la sua vita, la loro vita.

«Domattina sarò fuori dalla tua vita come desideri».

Già. Ma cosa ne poteva sapere lui di cosa desiderasse lei se aveva passato gli ultimi tredici anni a tenerlo all’oscuro? Dal giorno che aveva posato le proprie labbra sulle sue non aveva mai più fatto ciò che desiderava, solo ciò che a parer suo andava fatto.

A parer suo. Gli aveva tolto ogni possibilità di scelta, libero arbitrio aveva detto Fersen. E forse aveva ragione. Aveva alterato la percezione della realtà di Andrè operando come il più spietato dei censori, come gli avesse fatto leggere un libro strappandone le pagine salienti.

Tutto ciò che aveva fatto l’aveva fatto per il suo bene, ma il risultato non aveva nemmeno la parvenza della felicità sul volto di lui, distrutto da troppo dolore, da troppo amore.

Allunga la mano a raccogliere il lembo strappato della camicia rigirandoselo tra le dita.

E se anche Fersen avesse avuto ragione, metterlo in condizione di scegliere avrebbe voluto dire rivelargli di averlo ingannato per gli ultimi tredici anni della loro vita. Come avrebbe potuto perdonarla?

No, il perdono non era ciò a cui poteva ambire, ma avrebbe quanto meno potuto mettere fine alle menzogne. Se ne sarebbe andato comunque, ma sarebbe stato più sopportabile che fosse per l’inganno che aveva perpetrato ai suoi danni piuttosto che lasciargli credere che lei fosse di un altro.

Si risolve ad alzarsi dal pavimento, non si cura di cambiarsi la camicia, infila la porta e si dirige verso la stanza di lui, a piedi scalzi, senza fare alcun rumore.

Rimane ferma sulla soglia, il battente è solo socchiuso e produce un leggero cigolio quando lei lo spinge per entrarvi e per chiuderselo poi alle spalle.

Impossibile che lui non l’abbia sentito, eppure rimane immobile. Ne scorge la figura stagliata contro la finestra che filtra la luce dell’alba, la fronte e i palmi aperti appoggiati contro il vetro freddo, la schiena nuda, leggermente protesa in avanti.

Sul pavimento accanto al letto una borsa da viaggio ancora semivuota.

Fa un passo nella sua direzione.

«Cosa ci fai qui? Cos’altro vuoi?». Ha capito che è lei, non c’è nessun altro sveglio a palazzo.

Nessuna risposta. Un altro passo.

«Se sei venuta ad accertarti che io mantenga la parola puoi stare tranquilla. Me ne andrò tra un paio d’ore, aspetto che mia nonna si svegli per salutarla».

Ancora nessuna risposta. Altri due passi.

«Parla Oscar, dì quello che devi dire e lasciami solo. Sono ancora ubriaco, sono stanco, ho una valigia da fare e sono un po' giù di corda, per usare un eufemismo».

Lei fa un ultimo passo, poi l’abbraccia, preme una guancia sulla sua schiena e le mani sul suo petto.

Lo sente irrigidirsi, i muscoli contrarsi al suo tocco.

«Ti prego Oscar, non così. Ti prego, lasciami. Non ce l’ho con te, non sono arrabbiato con te, non è colpa tua se tu non mi...».

«Ti volevo anch’io. Ti volevo più di qualunque cosa. Ci sei sempre stato solo tu. Lui non è mai stato nei miei pensieri, né nel mio cuore».

La risposta di lui ha il tono di una supplica, non c’è traccia della rabbia di prima. La voce arrochita dalle emozioni di un contatto che il suo corpo non può ignorare.

«Perché mi dici queste cose? Non ti accorgi del male che mi fai? Non sei credibile Oscar, non è quello che ho visto io in questi anni. So che mi vuoi bene, so che vorresti che io rimanessi, ma non posso più fingere di essere ciò che non sono. L’amico che vorresti al tuo fianco non c’è più da molti anni ormai. Se mi tocchi così mi uccidi».

Lei sta piangendo lacrime silenziose, le sente bagnargli la schiena e pensa che è la prima volta che usa un tono tanto dolce con lui.

«Tu hai visto ciò che io volevo farti vedere. Hai passato una vita intera a proteggermi, per una volta ho voluto farlo io, ma ho sbagliato tutto».

Adesso ha tutta la sua attenzione. Non capisce il senso delle sue parole. Fa per girarsi, lei oppone resistenza, lo stringe più forte a sé ma lui non ha intenzione di continuare questa conversazione dandole le spalle. Le prende le mani ancora appoggiate al suo petto e scioglie dolcemente l’abbraccio girandosi poi a fronteggiarla. Lei ha portato le braccia lungo i fianchi, ha ancora indosso la camicia strappata, il volto è rigato di lacrime e lui pensa di non averla mai vista tanto indifesa.

«Cosa stai cercando di dirmi Oscar? Proteggermi da cosa?».

Lei allarga le braccia e lo guarda dritto negli occhi.

«Da me. Da noi. Ho dovuto farti credere di essere innamorata di un altro».

Lui comincia a capire. Serra i pugni lungo i fianchi, ma si sforza di mantenere la voce calma.

«Perché?».

Lei percepisce il cambiamento, è preparata.

«Era pericoloso. E’ pericoloso. Troppo. Tua nonna, la servitù intera, persino Hortence. I tuoi sentimenti non sono un segreto per nessuno qui a palazzo. Nessuno tranne mio padre. Ti amo Andrè, credo di averti sempre amato. Volevo solo proteggerti».

Lui fatica a metabolizzare la portata di quella rivelazione: lei lo ricambia da sempre, così dice, ma non si è fatta scrupolo di ingannarlo per anni. Per anni l’ha guardato spegnersi un poco alla volta, giorno dopo giorno, sotto il peso di un sentimento che aveva sempre creduto a senso unico.

Non sa se ha più voglia di farci a pugni o farci l’amore. No, vorrebbe schiaffeggiarla, decisamente. Ma non alzerebbe mai un dito su di lei, nemmeno sull’onda della rabbia che ora sente montare dentro, incontenibile.

Porta un braccio al fianco di lei e, con un movimento brusco, la scosta dalla traiettoria che lo porta oltre la soglia della stanza, prima con passi malfermi, poi correndo lungo il corridoio e fuori dalla porta di servizio che porta alle stalle.

Lei non lo ferma, non fa una mossa. Sapeva che se ne sarebbe andato comunque. Sapeva che aveva il diritto di farlo. Si siede sul letto quando capisce che le gambe non la reggono più e si porta le mani al viso. E’ uscito dalla sua vita solo da pochi istanti e il vuoto che sente è già incolmabile. 

Si scopre il viso e si guarda intorno nella stanza come a voler imprimere nella mente ogni particolare di quell’ambiente, per tanti anni il loro rifugio, da oggi simulacro di ciò che non è più.

Osserva le tre mensole di legno stipate di libri, ma non trova ciò che cerca, che era sicura di trovare. Poi un altro particolare nella stanza cattura la sua attenzione. La borsa da viaggio giace ancora sul pavimento, mezza vuota. Le si accovaccia accanto, solleva un lembo di stoffa bianca, una sua camicia. Prima di riporla se la porta al viso e ne ispira l’odore buono di lui. C’è anche una scatola di legno intagliata, dentro i risparmi di una vita. Infine lo vede: La Nouvelle Héloise, accoccolato sul fondo. Ne accarezza la copertina rigida e ne gira il risguardo, dietro vi trova esattamente ciò che si aspettava di trovare. Loro due visti con gli occhi di lui, bellissimi. La mano di lui là dove Hortence le aveva raccontato, a cingerle la vita.

Non può essersene andato senza nulla. Forse non tutto è perduto. Forse non è troppo tardi.

L’alba sta lasciando spazio al giorno e lei si accorge di indossare ancora la camicia strappata e di essere scalza. Indossa velocemente la camicia di Andrè che le va decisamente larga e l’ampio scollo lascia intravedere più di quanto la decenza comandi. Infila il disegno nella fusciacca dei pantaloni e si avvia verso l’uscita di servizio che porta alle stalle. E’ sicura che rimedierà un paio di stivali che possano calzarle. Solitamente lei e Andrè ne tengono in stalla un paio di scorta per quando tornano troppo inzaccherati per entrare a palazzo senza farsi sgridare da Nanny.

Impiega più di quanto ci metterebbe lui a sellare Caesar e posizionare i finimenti, poi lo sprona al galoppo e lo dirige senza esitazione verso un punto preciso, là dove tutto è cominciato.

  
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