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Autore: candidalametta    28/07/2009    1 recensioni
di solito le regole per un ottimo triangolo è il silenzio. o quanto meno, i partecipanti, per imperscutabili motivi creano legami in cui amore e odio si intersecano. è questo da equilibrio, in un modo o nell'altro. ma cosa succede quando in questro triangolare rapporto tutti si amano e nessuno vorrebbe fare soffrire l'altro? la risposta è facile, soffrono tutti, indistintamente. è solo una storia, brevi pezzi di quello che assurdamente vero continua ad accadere. racconti del buio di una stanza, dove continuo a soffrire più di quanto riesca ad esprimere
Genere: Introspettivo, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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È ancora presto, stavolta non mi hai neanche dato il tempo di sistemare la borsa, me l’hai strappata dalle mani stordite per gettarla da qualche parte mentre spegnevi la luce nella camera delle imposte già serrate. Disteso sul letto hai giocato a lungo con i miei capelli, scendendo ogni tanto a disegnare il profilo della scollatura, pensieroso. Il tuo sguardo troppo vago sui contorni di qualcosa di non definito. Accarezzavi un ricordo, stringendo a volte gli occhi un uno sguardo di sottile irritazione, come se non ti piacesse una simile compagnia nella tua testa.
Non volevo venire, non ho più nulla da fare in questa camera buia, è sua ormai, è la sua vita che si sta legando alla tua e io vorrei solo sparire.
All’improvviso ti alzi, percorri di fretta i metri fino all’interruttore accecandomi mentre resti immobile al centro della stanza.
“cosa, cosa mi chiedo”
Non posso che restare in un angolo, sperando che la crisi passi in fretta, che il nervosismo ceda il posto alla razionalità. Ma sei furioso, cammini rigido per i pochi passi disponibili, la fredda luce della lampada nella stanza ancora sigillata.
“che cos’è che manca? Cosa? Ho fatto di tutto, andava tutto liscio fin quanto … è come se avessi qualcosa che mi blocca”. Per un attimo mi fissi, come se io, inerme ancora seduta, avessi la soluzione, ma ricominci a muoverti scuotendo la testa a mandare via un pensiero che sembra assillarti, agitando il capo, perso nei tuoi pensieri.
“ero li, l’avevo tra le braccia, ero pronto per”, “per favore smettila”, le parole sbocciano dalle mie labbra prima che abbia il potere di fermarle. Non hai neanche voglia di sorridere della mia preghiera. “mancava così poco, bastava solo … forse ero stanco, perché eravamo li e …”, “ti ho detto di finirla”, urlo, senza che riesca a contenermi. Intrappoli le mie spalle tra le dita lunghe, “cosa c’è? Non vuoi che ti racconti cosa abbiamo fatto?”, scuoto il capo inorridita, “non vuoi conoscere il mio punto debole? Quanto mi sia sentito ridicolo? Cosa sia andato storto perché la lasciassi intatta nel mio letto?” sorridi crudelmente, “in questo letto?”.
Mi alzo di scatto lasciandoti imperterrito a ridere di me, ma i tuoi occhi sono già neri di odio; ridi di te stesso.
“non sono riuscito a farlo lo hai capito?” parli alle mie spalle, ma posso intuirlo il tuo ghigno di denti scoperti, “l’ho capito che eravate in procinto di fare sesso, non c’è bisogno che continui a ripeterlo” mormorai esasperata. Ti irrigidisci un secondo prima i continuare calmo, “l’amore, stavamo per fare l’amore, ‘sesso’ è piuttosto riduttivo non trovi?”
Vedi le mie spalle tremare o forse immagini soltanto quanto possa fare male in questo momento la morsa nel mio petto perché continui con voce sottile, quasi dolce.
“non vuoi sapere quanto sia fragile in realtà?”
“Forse è colpa sua …”, sospiri, “si, è solo colpa sua, mi sono emozionato talmente ad averla così disponibile che … chi l’avrebbe mai detto che si sarebbe lasciata spogliare con tanta facilità”. Rimango con le braccia conserte e la testa reclinata, se sapessi dove sono le mie cose scapperei immediatamente. Mi avvolgi, le mie braccia ancora rigide di tormento strette al mio corpo. Barriera impotente alla ricerca di una protezione che non posso avere da nessun altro, il mio dispetto a fare da spessore tra di noi. “incredibile che sia così sensibile non trovi? Che mi basti la sua vicinanza da rendermi abbastanza innocuo da non riuscire ad averla … ma è solo una questione di tempo” mi sfiori il viso con aria concentrata, studiando i tratti del mio volto, “ci vuole del tempo per abituarsi alle cose belle, forse ho passato troppo tempo senza”. Una lacrima scende silenziosamente sul mio viso scontrandosi con le tue dita sottili ancora su di me, la osservi perplesso sulla punta dell’indice, la goccia traslucida del mio dolore tra le tue mani da pianista. Perché so che questa non è che un’altra cattiveria gratuita nei miei confronti, per ricordarmi ancora che io non sono bella, che non lo sarò mai quanto lei.

Porti il dito alle labbra, la assaggi curioso come se fosse una cosa rara, “di solito piangono troppo lontane per capire bene come funziona”, respiro lentamente mentre controlli che non ve ne siano altre, “voglio capire … fallo ancora”. Alzo lo sguardo pieno di sfida pronta a non darti quest’ennesima soddisfazione, “no”, sorridi, “come sarebbe a dire no”, poggio una tempia sulla spalla guardandoti truce, “no”. Mi cingi più forte, stringendomi con determinazione, non è un abbraccio, ma una morsa letale. Sciolgo le mie braccia per guadagnare qualche centimetro che ovviamente recuperi. Pigiata contro il tuo corpo, come una seconda pelle ne indovino i rilievi e le insenature, ogni muscolo teso, il respiro ancora sulla soglia di una calma pronta a svanire, i tuoi fianchi contro i miei. Qualcosa che avresti voluto provare come lei, che adesso hai qui, con me.
La reazione incontrollata del tuo corpo che, inaspettatamente, mi vuole. Senza dubbio.
Alzo in viso per guardarti, incredula della mia scoperta, mentre mi scruti con lo sguardo severo oltre il dispetto, gli occhi neri che trapassano i miei pensieri mettendoli a nudo. “devo capire come fai”, mi stringi ancora, e so che non ti riferisci più alle lacrime.
Un altro spessore nei tuoi jeans vibra, prendi il cellulare senza mollare la stretta del mio corpo che non cerca più di liberarsi, “ciao cara”. Sento solo il bisbiglio della sua voce dentro il microfono, “ma certo che ho voglia di vederti … ora? … si sarebbe bello ma … sei giù?... ma certo sali pure che domande!”. Afferri la mia borsa dietro la scrivania, dove l’avevi nascosta e mi trascini fuori dall’appartamento, nell’aprire la porta fai scattare l’interruttore del portone quattro piani più in giù, mi sospingi verso il primo gradino delle scale che continuano a salire in terrazza. Mi lanci la sacca sgualcita, “nasconditi! E appena entra vattene”, il mio sguardo lucido non riesce neanche a farti pensare ad un altro modo di mandarmi via. Mi scombini appena i capelli con aria divertita, nascosto nell’ombra del tuo antro riesco solo a intuire il risolino di compiacimento per questa piccola avventura. Il senso dell’umorismo del caso a volte è ancora più esasperante del tuo.
“non vorrai mica farti vedere qui vero? Lo sai cosa penserebbe … e noi non vogliamo che stia male vero?”. Salgo fino al pianerottolo trascinandomi quasi con i suoi passi leggeri che corrono da un piano all’altro. Dalla stretta tromba delle scale riesco a vederla; lei che si getta tra le tue braccia con allegria sincera mentre la sollevi da terra per lo slancio. La sento domandare entusiasta, “ti è piaciuta la sorpresa? Sei contento di vedermi?”, non la lasci andare, stretta ancora al tuo corpo, “molto contento”.
Ride imbarazzata, scoprendo che non è solo un modo di dire, ed entrate chiudendo la porta così lentamente che sento un indistinto rumore di baci. Scendo con gli occhi annebbiati dalle e le gambe instabili, una morsa al ventre come un conato di nausea repressa, penso che stavolta non sarai impreparato davanti al suo corpo, mentre corro velocemente davanti quella porta.
  
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