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Autore: shilyss    25/08/2019    35 recensioni
C'è un segreto che Loki deve scoprire. Uno che lo tormenta e gli farà attraversare persino il tempo. Si può cancellare ciò che è stato? La conoscenza, alle volte, può essere la più crudele delle torture.
Un fruscio leggero della bella e ampia gonna di seta e gli posò le dita sul petto coperto dalla corazza di pelle intrecciata, come aveva fatto in un passato lontano.
“Potresti essere migliore di così. Guardati attorno, Loki. Tutto questo non serve e non ti aiuterà,” disse, facendo scorrere i polpastrelli delicati fin sulla mascella virile e sbarbata, diritta e decisa.
L’ingannatore sorrise a quella lusinga, resa più carezzevole dalla voce dolce di lei, dal suo tocco gentile e lieve, ma non privo di un’insidia celata, anzi, di molte. Gli aveva sfilato un pugnale dalla bandoliera e ora tentava di trafiggerlo, di colpirlo al fianco.
La disarmò con un gesto rapido e fulmineo, afferrandola per i polsi sottili.

[post Avengers: Infinity War] [Loki/Sigyn]
[ ♦ Storia Vincitrice del contest "Elisir, pozioni e distillati" indetto da wurags sul forum di Efp, a pari merito. ♦ ]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Loki, Sigyn, Thor
Note: Lime, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3

Sotto il velo

 

 

If it takes forever I will wait for you
For a thousand summers I will wait for you
Till you're back beside me, till I'm holding you
Till I hear you sigh here in my arms

Anywhere you wander, anywhere you go
Every day remember how I love you so
In your heart believe what in my heart I know
That forevermore I'll wait for you

 

The clock will tick away the hours one by one
Then the time will come when all the waiting's done
The time when you return and find me here and run
Straight to my waiting arms

(Connie Francis, I will wait for you)

 

 

Il dio dell’inganno era tornato indietro nel tempo così tante volte da perderne il conto. Aveva studiato ogni possibile variante, ipotesi, coincidenza, per poi mutarla e osservarne gli effetti, scoprendo, così, gli inganni nascosti nelle varie linee del tempo. Da qualche parte, le Norne, ironiche e impietose, dovevano aver sorriso, osservando i suoi tentativi di rintracciare col seiðr il nodo giusto. Alla fine, però, era riuscito a scoprire quel segreto che lo tormentava.

Finalmente aveva il nome dell’incantesimo recitato da Sigyn sulle labbra. Eppure il suo trionfo era amaro, sapeva di fiele: si ritrovò a pensare a una triste coincidenza. Lui, il dio dell’inganno, doveva pagare sempre sulla propria pelle il peso atroce e terribile della verità nella sua forma più cruda e spietata, come quando le sue origini erano saltate brutalmente fuori, incrinando per sempre ogni certezza, infiammando fino all’esasperazione il suo innato cinismo. In fondo, la menzogna, alle volte, non è altro che un dolce velo che copre gli orrori e le brutture di una realtà amara, sporca, ignobile.

Questo è l’ultimo viaggio che intraprenderò per ritrovarti, perché sfidare il tempo è rischioso, debilitante, doloroso, persino.

Chiuse un momento le palpebre, tentando di scacciare via i pensieri cupi che gli serravano la testa. Non era più così sicuro che sarebbe riuscito a portare a termine la sua missione disperata. Una parte di Loki, quella di mago, era ammirata dal talento dimostrato da Sigyn nell’uso del seiðr, ma un’altra valutava con occhio critico gli effetti che una magia troppo potente aveva avuto sul fisico esile e sulla mente sveglia della giovane strega. Gli rimaneva una sola domanda a cui dare una risposta plausibile e soddisfacente: perché.

La conoscenza era una fonte di liberazione, ma il suo peso era gravoso. Apriva lo spiraglio su altre considerazioni che la mente lucida dell’ingannatore non poteva ignorare o far finta di non considerare. Con la testa febbrilmente immersa in un mare di sospetti e illazioni, decise di porre fine a quella ricerca sfiancante e senza fine, domandandolo all’unica creatura a conoscenza di tutto, la sola che si era detta disposta a stringere con lui un patto, un accordo: Hela, la signora dei morti. Deglutendo e senza conoscere ancora quale fosse il tassello mancante più importante di tutti, si domandò se l’avrebbe convinta un’ultima volta.

 

 

 

I ricordi, a volte, sono una tortura dolorosa, specie se dolci. Per gli Æsir, incapaci di dimenticare – di perdonare – questo era ancora più vero. Ecco perché, avvolto nel suo mantello color notte, Loki si ritrovò a pensare con risentimento a una delle innumerevoli sere passate con lei, ormai lontane nel tempo e nello spazio, introvabili se non nella propria memoria.

Sigyn era sdraiata sul suo letto, nuda, con i capelli biondi sciolti sulla schiena. La luce calda delle fiamme che crepitavano nel caminetto le illuminava la pelle dorata, esaltando le forme delicate e sinuose dei fianchi e della schiena. Si puntellava sui gomiti, tormentandosi con i polpastrelli un labbro – lo stesso che Loki, pochi minuti prima, aveva assaporato con una serie di lunghi baci ora lenti e perfidi, ora avidi e sfrontati. Davanti a lei, giaceva aperto lo scopo della sua visita notturna, tramutatasi invariabilmente in altro: un tomo che il dio degli inganni aveva opportunamente sottratto alla biblioteca di Odino e che ancora non aveva intenzione di rendere. Si era messa a sfogliare le pagine in cerca di chissà che formula, porgendogli domande, facendo considerazioni argute, discutendo con lui di teorie e congetture. Era un’interlocutrice acuta e brillante, del resto.

Loki, steso accanto a lei, si deliziava per il modo inconsapevolmente sensuale con cui Sigyn arricciava leggermente la bocca quando rifletteva su qualche concetto astruso, ammirando la grazia delicata con cui piegava le gambe e le incrociava. L’ingannatore spiegava, annuiva, concordava, correggeva, ascoltava e, nel far questo, finiva inevitabilmente per carezzarle distrattamente la pelle levigata e morbida finché, fintamente offeso del fatto che lei concentrasse le sue attenzioni principalmente sul libro e non su di lui, non aveva iniziato la sua spietata rappresaglia, posando la bocca ironica e beffarda sulle curve dolci e rotonde di cui non si era ancora saziato. Sigyn aveva riso, quando lui si era avventato sui suoi fianchi, non aveva potuto fare a meno di lasciarsi sfuggire un sospiro basso, mentre la lingua bugiarda dell’Ase giungeva a sfiorarle la schiena sensibile ed esposta, aveva smesso totalmente di dedicarsi al libro, nel momento in cui Loki era riuscito a raggiungere i seni piccoli e sodi e il collo. L’Ase l’aveva sentita vibrare e tendersi, nonostante fosse intrappolata sotto di lui e, di nuovo, l’aveva desiderata con forza nonostante fino a pochi istanti prima parlassero di tutt’altro. Certo, già allora il loro rapporto era stato guastato da incomprensioni e litigi, ma la strega era sempre stata una conquista troppo difficile e ambita per lasciarsela scappare a causa di un inutile fraintendimento circa il suo non rapporto con Sif o con altre. L’aveva voltata con un gesto deciso per ammirarne ancora il corpo snello e ben fatto, sfiorare e saggiare le labbra dolci e morbide, che rispondevano ai suoi baci tentando e concedendo, negando e offrendo. Sigyn.

Lei gli aveva sfiorato il volto con le mani delicate, era arrivata a cingergli il collo attirandolo ancora più vicino a sé e il libro era stato presto dimenticato, rimanendo l’unico testimone dei loro sospiri rotti, frenetici, mescolati.

Avrebbe dovuto rintracciare in quelle antiche notti di passione trascorse a rotolarsi nel letto con lei, il seme della tragica sete di sapere che sarebbe stata capace di condurla alla follia? O individuare allora la misura di ciò che Sigyn avrebbe, un giorno, immolato in nome di una relazione sconsiderata, criticata da tutta Asgard?

Scoprire la verità in ogni sua forma richiedeva il pagamento di un prezzo esoso. Sigyn aveva recitato un incantesimo proibito, mentre lui era impegnato a combattere Thanos. Lo aveva fatto per tutelarlo, vinta dal timore di perderlo. Si trattava di un baratto nero, oscuro, difficile da stipulare, ma la dea della fedeltà era una maga abile e perseverante: aveva sopperito alla forza con l’abilità e la pazienza. Tra gli effetti collaterali connessi a quella particolare formula, c’era l’insorgere di una possibile demenza, sebbene non nelle forme imprevedibili e schizoidi manifestate da Sigyn. Si era trattato di un sacrificio dettato da un eccesso di zelo, dalla paura annichilente che il Titano incuteva in ogni creatura dell’universo, lei compresa. In poche parole, aveva cercato inutilmente di proteggerlo.

Sì, doveva essere andata così.

La ragazza aveva saputo della vendetta di cui Thanos era in cerca; probabilmente, non gli era servito altro per agire. Loki emise dei lunghi respiri, lenti e profondi: era stato torturato a lungo dal folle conquistatore. Per giorni, anzi, settimane intere. Un incubo da cui era riuscito a fuggire a stento: lo avevano ritrovato a vagare per le spiagge che circondavano la nuova Asgard ricostruita in preda al delirio, febbricitante, ferito. Aveva impiegato mesi a riprendersi completamente. Le sofferenze patite durante la prigionia erano state tante e tali che la sua mente si era incastrata, rammentando dettagli sparsi, niente di più. Particolari agghiaccianti che lo sorprendevano nel cuore della notte, facendogli sbarrare gli occhi nel buio, dolorosi come lame affondate nella carne e poi girate. Un senso d’oppressione lo avvolse, ma lo ignorò.

 

 

Il regno di Hela era oltre un fiume dalle acque scure e torbide: in esse si potevano vedere gli spiriti dei dannati che gemevano disperati, trasportati dai flutti; Loki attraversò il ponte di pietra che univa le due rive e gettò un’occhiata sprezzante alle anime perse nel loro annaspare. Lamentandosi, esse tendevano le loro braccia bianche verso la superficie, mentre mulinelli arcani le trascinavano nel fondo. Il dio degli inganni pensò che l’angosciante scena gli ricordava Sigyn: esattamente come i resti incorporei trascinati dalle onde, soffriva persa in un gorgo da cui lui, che pure era il potente dio degli inganni, non riusciva a trarla fuori. Quante notti insonni aveva passato consultando i libri faticosamente racimolati in lungo e in largo per i Nove Regni dopo la distruzione di Asgard? L’antica sapienza degli Æsir era andata irrimediabilmente perduta nel rogo immenso generato da Surtur e Loki aveva tentato di recuperarla con tutte le sue forze, in cerca com’era di un modo per annullare o mitigare gli effetti di quell’incantesimo. Aveva sempre creduto di essere uno dei più potenti maestri di magia di tutti i Nove Regni – dell’universo intero – ma, alla fine, non gli era rimasto altro da fare che scendere in Helheim[1], per avere una possibilità, una soltanto, di riavere al suo fianco la sfrontata e curiosa strega che gli aveva promesso una fedeltà eterna senza pretendere nulla in cambio. A lui, Loki di Asgard, che a quel tipo di amore non aveva mai creduto, pur ritrovandosi, suo malgrado, ad attraversare il tempo e a visitare il regno dei morti, per lei.

Si disse che la soddisfazione non era nella sua natura; non poteva accettare di aver fallito e di non essere in grado di salvarla dall’abisso in cui si era volutamente gettata. Convincendosi di questo serrò la mascella e proseguì diritto oltre il ponte, augurandosi che Hela gli mostrasse la metà rosea del suo volto[2].

 

Il Regno dei Morti era avvolto da una coltre fitta e pesante di nebbia. Con passi alteri e uno sguardo particolarmente guardingo, Loki Odinson s’incamminò attraverso quel velo denso, oltre cui intravide le anime dei dannati scrutarlo con i loro occhi ciechi e forse maligni. Gli parve che tra le orbite vuote e nere ci fosse persino qualcuna delle sue numerose vittime, ma lui era il dio degli inganni, il principe di Jotunheim e di Asgard; qualunque morte avesse inflitto nel corso della sua giovane vita di Ase, non provava alcun rimpianto. Gli inorgogliva il petto, anzi, che quegli sguardi senza tempo si posassero su di lui. Le ombre non intravidero nulla del sottile compiacimento del fiero guerriero, perché Loki volle arrivare al cospetto di Hela con la sua faccia più impassibile. Era furba, lei. E, sebbene lo adorasse, non avrebbe concesso invano i suoi favori. Era per la sua mente brillante e la scaltrezza che Odino l’aveva resa signora assoluta di quel posto.

Il castello di Helheim sbucò dal nulla, all’improvviso: la soglia era vastissima, affinché le anime potessero entrarvi in gran numero; le torri bronzee, innaturalmente alte, svettavano su un cielo plumbeo e perennemente coperto. L’ingannatore rivolse un’occhiata alle guglie decorate con cupi mostri alati e poi, con passo elegante, varcò il pesante portone.

 

Hela l’aspettava. Glielo lesse nei suoi occhi, verdi come i propri. Assisa sul suo trono ricoperto di drappi neri, con le ciocche corvine che le coprivano parzialmente il viso, tamburellava con le dita sottili sul bracciolo del suo scranno color pece.

“Loki di Asgard, ti aspettavo già da molte ore” disse, rivolgendogli il suo lato di ragazza.

“Allora perdona il mio ritardo, nobile signora. Ho viaggiato attraverso il tempo troppo a lungo, ma non invano,” spiegò con un sorriso tirato, memore del loro primo incontro. “Ho il nome, finalmente. E tu sai cosa ti chiederò, adesso.”

Hela inclinò leggermente il capo, rivelando ancora più del viso bellissimo. “Hai viaggiato molto, dio degli inganni, lo so. Così tanto da sapere che la trama filata dalle Norne non sempre si può disfare. In qualunque linea temporale esistente, lei pronuncerà l’incantesimo e perderà la sua mente,” sentenziò. “Ora lo sai.”

“L’ho scoperto a mie spese, sì,” ammise Loki, avvicinandosi a passi lenti al trono. “Grazie al tuo suggerimento l’ho sperimentato in tutte le sue varianti.”

Si rese lucidamente conto che, nonostante il segreto non fosse più tale, con tutta probabilità, nemmeno lui sarebbe riuscito a mutare il passato aggiustando, così, il proprio presente, risanando la dea della fedeltà. Quello era, evidentemente, un male immutabile – ineluttabile. La parola gli provocò una fitta dolorosa.

La regina di Helheim gli mostrò la parte del volto marcia e consumata. “L’onniscienza non mi appartiene, figlio di Laufey, bada a ciò che dici. Non potevo sapere. Dovevi tentare. Io ti ho indicato l’unica via percorribile.”

Loki rise tra sé e sé e annuì. Le parole della signora dei morti parevano non averlo convinto del tutto.

“Hai ragione, saggia signora. Col nome del maleficio in mano, però, so a chi si è rivolta Sigyn. So a chi chiedere il favore di annullarne gli effetti,” ragionò. “Liberala dalla follia in cui è precipitata. Sciogli le rune che ha pronunciato. Ha invocato te, ora lo so e posso chiedertelo. Sono disposto a stringere un accordo,” decise, allargando le braccia con fare sicuro.

Hela sorrise debolmente, mostrandogli, allo stesso tempo, entrambi i volti. “Non voglio né posso accontentarti, Loki di Asgard. Se lo facessi, la dea della fedeltà precipiterebbe in un incubo decisamente peggiore di quello in cui è intrappolata adesso.”

Il dio degli inganni impallidì visibilmente e poi sparì, rivelandosi nient’altro che un’illusione perfetta.

Prima che potesse anche solo pensare, Hela si ritrovò una delle lame sulla carotide. L’Ase, quello vero, era alle sue spalle. Non poteva morire, ma soffrire sì e lui lo sapeva. “Cosa dici? Come lo sai?” sibilò furioso.

“Oh, Loki,” sospirò quella tristemente, nonostante l’arma che le premeva sul collo. “Tu non ricordi più nulla, ma, a questo punto, dovresti sapere.”

Un brivido corse lungo la schiena dell’ingannatore; i suoi sensi di lupo captarono il pericolo imminente, legato, una volta di più, alla conoscenza.

“Thanos ti ha torturato a lungo prima di ucciderti.”

La stretta che Lingua d’Argento esercitava sull’elsa del pugnale vacillò appena.

“Non è possibile,” rispose di getto, ma la cicatrice che aveva sul collo iniziò a tirare più del solito. Era il dio degli inganni, del resto: sapeva distinguere fin troppo bene il vero dal falso. Conosceva le leggere pause o le incrinature nella voce legate alle menzogne e, in quel preciso frangente, Hela non mentiva, affatto.

“Tuo fratello ti trovò delirante e scosso dalla febbre; credette che i racconti tremendi circa la tua morte fossero falsi, nient’altro che un depistaggio messo a punto dai tirapiedi del Titano. Asgard era stata distrutta, lo schiocco aveva dimezzato metà dell’universo e lui era preda delle sue ombre e dell’idromele… non poteva sopportare anche il tuo fantasma. Non indagò oltre.”

La voce di Hela era un sussurro gentile, pietoso. Loki abbassò la lama del pugnale.

“Non si chiese come avessi fatto a fuggire. Non te lo sei mai chiesto davvero nemmeno tu,” proseguì con una certa benevola stanchezza nella voce. “La verità, dio degli inganni, è che non lo hai fatto: Thanos ti ha ucciso e Sigyn… ha preso una decisione drastica. Ecco qual era il segreto che dovevi scoprire da solo.”

 

 

Era un dolore lacerante, che la divorava seccando tutto quello che c’era in lei. Persino le lacrime. Sigyn aveva smarrito la speranza: le era rimasta addosso solo una veste logora e strappata – la fedeltà donata a un uomo che non l’aveva ascoltata e, crudele, tronfio, fiero, era andato a farsi torturare e ammazzare da un Titano Folle.

Non era morta quel giorno, ma dopo, quando aveva scoperto come. La sofferenza le si era congelata nell’anima.

A volte, chiudeva gli occhi e ricordava com’era fare l’amore con lui: labbra che si sfioravano, lambendosi ora lente e leggere, ora ansiose e disperate, dita che si cercavano intrecciandosi in strette spasmodiche, urgenti, frenetiche. Così si erano avuti senza remore sui letti sfatti in cui rimaneva impresso l’odore della loro pelle, nelle radure dei boschi dove si stendevano dopo aver spinto i loro cavalli in una folle gara di velocità. Si erano catturati a vicenda, per poi fondersi e diventare una sola cosa, unendo bocche, sospiri, corpi, anime e battiti del cuore. Solo che l’infinita dolcezza di un ricordo baciato da una passione eterna e struggente, che spezzava le vene, era stato spazzato via dalle immagini, impossibili da cancellare, di Loki e di quello che gli avevano fatto.

Ecco perché Sigyn non riusciva a trovare consolazione. Il suo cuore si era svuotato totalmente, riempiendosi con i resti martoriati del suo unico ed eterno amore dagli occhi brillanti e il sorriso furbo.

E dimenticare era impossibile. La ragazza serrava le palpebre e continuava a vedere il suo corpo massacrato e senza vita, torturandosi con domande perfide che non avrebbero mai avuto risposta rimanendo lì, nella sua testa, a pungerla per sempre: aveva sofferto?

Il suo cuore si congelava nel dubbio, pregando inutilmente le Norne che la morte fosse sopraggiunta prima del resto, corrosa dal dubbio che, invece, la sua tempra robusta di principe di Asgard e di Jotunheim l’avesse, invece, tradito, concedendogli la morte solo al termine di una spaventosa, lenta, tragica agonia. E ogni volta che ci pensava, il respiro le moriva in gola, il cuore perdeva un battito, lo stomaco si contraeva in uno spasmo doloroso. Così si ritrovava a sfiorare il ventre vuoto, condannato a rimanere freddo, a non ospitare mai i figli che avrebbe voluto dargli.

Come si può sfidare il Titano dopo aver perso due gemme e un’armata proponendogli un altro, palese, inganno, puntandogli un secondo dopo una lama affilata al collo? Odiava Loki e lo amava al tempo stesso, perché era stato arrogante, troppo sicuro di sé, impavido, ironico, magnifico e non l’aveva ascoltata e, forse, nemmeno mai amata. Desiderata sì, persino troppo, con una foga da conquistatore di cui erano stati testimoni muti i loro letti ormai gelidi, dimentichi di quando la ghermiva e faceva scorrere la lingua e le labbra sulla sua pelle tremante, sensibile, smarrendola e perdendosi in lei.

 

A Hela, che le chiese perché fosse giunta al suo cospetto, Sigyn rivolse un sorriso debole e sicuro. “Sono morta, mia signora. Sono morta, ma cammino ancora sulla terra. Liberami da questa pena.”

Le spiegò che era il dolore, a tormentarla, più di tutto il resto. Si era innamorata di un principe degli Æsir; aveva messo in conto, fin dal primo momento, che sarebbe finito macellato su un campo di battaglia, col corpo steso a terra, le braccia abbandonate spalancate in un abbraccio gelido, ma il resto no, e proprio quello era l’inaccettabile quadro che vedeva davanti agli occhi da quando si alzava al mattino al momento di coricarsi e anche oltre. E allora, nelle notti insonni in cui persino le lacrime si sarebbero trasformate in una benedizione, s’immaginava la morte solitaria che l’aveva ghermito al termine delle spaventose sofferenze, perché era troppo facile pensare che Thanos non avesse infierito su di lui quand’era ancora vivo.

Con Thor non aveva mai parlato di tutto questo. I dettagli li aveva scoperti per caso, quando i suoi occhi erano ancora capaci di inumidirsi e il pianto rigava le sue guance ogni sera. Il figlio di Odino aveva scelto di chiudersi nel silenzio e di stordirsi col sapore speziato dell’idromele e del vino più robusto, consolandosi dalla sconfitta più amara con una vendetta che aveva dimostrato tutta la sua vacuità nel momento stesso in cui si era compiuta, senza lasciargli nessun appagamento.

La vita si era interrotta sul filo che aveva cucito le labbra di Loki impedendogli di gridare, ponendo fine a una vita d’inganni e di bugie, nella pelle segata dalle catene e bruciata dal veleno urticante di una bestia immonda e spietata, dotata di una pazienza infinita.

Sigyn non aveva potuto fare nulla per salvarlo o alleviare il suo dolore, nessuna cosa. Lui era morto e a lei avevano tolto via il cuore, costringendola a vivere ogni giorno nella sua testa il supplizio toccato al traditore che aveva amato più di ogni altra cosa.

 Leggeva, ricamava, parlava e, a un tratto, pensava alle sue labbra sottili e beffarde, increspate in un sorriso ironico e perfetto; le stesse che l’avevano baciata e amata così tante volte da perderne il conto ed erano state cucite dal Titano.

“Sono morta,” disse a Hela, perché, col cuore congelato e l’anima svuotata, non riusciva nemmeno a raccontare, a spiegare, la desolazione in cui si trascinavano i suoi giorni da fantasma che respirava.

La signora dell’Oltretomba inclinò il capo, scrutandola attentamente, ascoltando il dolore del suo spirito tormentato, annichilito, seccato. Le Norne avevano tessuto insieme i fili del destino del dio dell’inganno e della fedeltà, unendo i loro spiriti diversi eppure complementari, stabilendo, per loro, l’esistenza di un legame capace di resistere persino alla sua falce, meraviglioso e allo stesso tempo terribile: uno non poteva sopravvivere all’altra, semplicemente.

Non le disse – e Sigyn, per parte sua, non chiese – nulla delle ultime ore di Loki, se fossero state spaventose o meno. C’era un riserbo particolare sulle anime trapassate, in Hel. Parlò d’altro: dell’incantesimo che avrebbe potuto cancellare il nome del dio dell’inganno dal libro dei morti se l’universo, nel frattempo, fosse stato scosso da un sussulto particolare, del prezzo che ogni desiderio o incantesimo portava immediatamente con sé.

Sigyn, incapace persino di provare freddo al suo cospetto, ascoltò ogni parola. Il suo destino era alleviare le sofferenze del dio dell’inganno, come tante volte aveva fatto nella perduta Asgard che non c’era più, quando lo cercava al termine di una battaglia per sanare, con unguenti e attenzioni, il suo corpo ferito, per ascoltare le magnifiche storie, né false né vere, che lui le raccontava per incantarla, le labbra astute piegate in un sorriso furbo, perenne.

Hela si sporse appena verso di lei, mostrandole la sua parte di volto benigna, di ragazza.

“Accetti?”

Ecco cos’era successo.

 

 

Loki deglutì a vuoto. La dea della fedeltà aveva deciso di pronunciare un incantesimo proibito e terribile, che le aveva devastato irrimediabilmente la mente, al solo scopo di saperlo vivo. Cercò la cicatrice parzialmente nascosta sotto il colletto della corazza di pelle intrecciata, sfiorandola. Credeva di essere sfuggito alla furia del Titano, ma non era vero.

Non era sopravvissuto grazie alla sua astuzia, no. Era stato qualcos’altro a liberarlo dalle grinfie di Thanos, così potente da sopravvivere persino alla morte e infrangere il vincolo che legava le anime a Hel. Non ne pronunciò il nome – le parole gli rimasero incollate al palato.

Capì di avere le mani legate, strette in ceppi impossibili da spezzare: salvandola dal destino misero in cui era precipitata, l’avrebbe condannata a un dolore capace di risucchiarle il cuore, che lei non aveva potuto sostenere. L’aveva persa – si erano persi – e l’unica cosa che gli rimaneva da fare era accettare i suoi sorrisi di bambina, l’astio di cui lo faceva oggetto, lo slancio d’amore che durava sempre troppo poco, ricordando che quello era stato il prezzo pagato da Sigyn per cancellare l’orrore di una tortura tremenda, forse meritata, ma che lei non era riuscita a tollerare.

Pur di proteggerlo, si era condannata lei stessa. Il segreto sarebbe dovuto rimanere tale.

Chiuse gli occhi, serrando le palpebre di fronte a quella che gli sembrava un’oscena ingiustizia. Sarebbe stato meglio tornare e sapere che l’aveva dimenticato e la sua vita era andata avanti. Vederla crescere i figli di un altro, com’era nella natura delle cose accadesse, era più sopportabile che avere contezza dell’annichilente dolore capace di prosciugare Sigyn e di spingerla ad alleviare a ogni costo il suo, di dolore. Maledisse le Norne, che l’avevano costretta a reggere in eterno un bacile colmo del veleno capace di corroderlo, versato sulla sua carne per punirlo delle sue molte malefatte – inganni e trame perpetrati con astuzia e coscienza, che non era capace di rinnegare nemmeno in quel momento – e maledisse lei, sua anima affine, sua devota sposa in eterno, sebbene nessun vincolo ufficiale li legasse. 

Hela aveva descritto il dolore di Sigyn con poche, semplici, parole, ma l’Ase aveva immaginato ugualmente ogni sussulto del cuore della strega dai capelli d’oro.

Era morto e lei aveva sacrificato ogni cosa per riportarlo indietro. Non l’avrebbe mai perdonata, per questo.

“Non avremmo dovuto mai incontrarci,” constatò con amarezza. “Lei avrebbe avuto una vita più felice.”

L’altra scosse il capo. “Avrebbe avuto una vita grigia, senza amore.”

“Dicevi di non essere una veggente.”

“E non lo sono. Ma qui, seduta sul mio trono, ascolto – ho ascoltato ogni cosa fin dall’alba dei tempi. Vuoi tornare indietro ancora e cancellarla dal tuo passato?” Hela sorrise. “Non ne hai più la forza e poi, in fondo, non sarebbe nella tua natura fare una cosa del genere. Dico bene? Tu non sai rinunciare a niente, dio degli inganni.[3]

Loki ragionò in fretta, tentando di elaborare una strategia. “Ti propongo un altro patto, mia signora. Un accordo,” disse con voce il più possibile incolore, posizionandosi nuovamente di fronte a Hela.

La regina increspò le labbra in una smorfia scuotendo la testa, volgendosi verso Loki con la parte di viso scheletrica, mangiata dai vermi. “Se annullassi l’incantesimo, tu moriresti e Sigyn soffrirebbe, ancora e di nuovo. Quindi cosa vuoi da lei, Loki?”

“Guarirla.”

“Il prezzo per l’incantesimo che ti ha strappato alla morte è stato la sua mente. È riuscita a recitarlo, a invocarmi in modo abbastanza potente da sciogliermi il cuore, perché ti amava. Ecco il motivo per cui Sigyn non ricorderà mai più cos’ha fatto per te, cosa sei stato per lei.”

Il passato che tante volte aveva visitato e ricordato, per lei, non sarebbe esistito più, anzi, era già svanito.

“A meno che…” esordì l’Ase. Un ghigno furbo gli increspò le labbra sottili. “Mi correggo: ti propongo una scommessa, Hela. Ci sei stata amica, fino a questo momento.”

“Ho accontentato un’anima infelice. Credevo che sarebbe morta, invocando una magia tanto oscura; in quel caso, le avrei concesso il sereno oblio di chi dorme in eterno. Invece è sopravvissuta – è più forte di quanto pensassimo entrambi, credo.”

“Ora che so cos’è successo e perché, non ti chiederò di cancellare ciò che è stato, né di ridarle quello che ha sacrificato,” spiegò Loki sicuro. “Non ricorderà nulla, ma potrebbe essere di nuovo lei,” spiegò. “Donale un futuro libero dalla follia, tieniti ciò che già ti immolò. Otterrò di nuovo quello che mi concesse una volta. Ne sono certo.”

La regina gli mostrò la parte del volto bellissima, di ragazza.

“Come sei sfrontato e sicuro di te! Allora, che cosa mi offri in cambio, Loki di Asgard?”

 

 

 

Il fiordo, al tramonto, era una distesa placida, incantevole. Le montagne, nascendo dalla spuma del mare, si fondevano con l’acqua. Sigyn sedeva sulla riva, con una cartella di cuoio piena zeppa di fogli sulle ginocchia. Da quando si era ripresa dalla lunga e tremenda febbre che l’aveva costretta a letto per settimane, sentiva sempre più spesso il bisogno di disegnare, di mettere su carta impressioni, volti, paesaggi. Prendeva in mano una matita e, semplicemente, la sua mano iniziava a tratteggiare forme fantastiche, spazi reali, bozze di particolari, studi anatomici di varia natura. A volte replicava la meravigliosa natura che la circondava, soffermandosi sull’eterea bellezza di un fiore, sulla maestosità di un albero o sullo splendido panorama su cui si affacciava la nuova Asgard. Altre, si divertiva a fissare sul foglio alcuni semplici frammenti di vita quotidiana. C’erano dei momenti, però, in cui disegnava palazzi e castelli di un mondo che, le dicevano, non esisteva più. In mezzo a tutti i suoi schizzi, un volto in particolare emergeva fin troppo di frequente. Sigyn lo replicava con incredibile precisione anche quando il soggetto ritratto non era presente. E questo, la confondeva.

 

Loki la trovò così, persa in quel passatempo antico che, per lui, era carico di ricordi, ma alla ragazza, ormai, non evocava niente. Era accaduto e basta: una mattina la dea della fedeltà si era risvegliata in un mondo di sconosciuti.

Le si sedette accanto e lei lo lasciò fare, nascondendo però, con cura, il disegno che stava tratteggiando.

Era la sua Sigyn, ma in qualche modo era diversa. Nei suoi occhi grigi e rotondi non c’era più l’antica dolcezza con cui lo guardava, ma una diffidenza ben nota, che l’ingannatore aveva conosciuto quando lei, nel delirio, credeva di essere sua prigioniera. Forse, una parte della donna lo pensava ancora, nonostante lui le avesse offerto più volte la possibilità di andarsene. Allo stesso modo, non sapeva dire per quale ragione un segno bianco le macchiasse la pelle candida della mano: anche quel sacrificio era stato dimenticato, così come le notti trascorse insieme, i lunghi baci, le lacrime. Ogni cosa era svanita per sempre e lei era lì, intoccabile e ignara degli incantesimi d’amore di morte che entrambi avevano recitato una per l’altro e viceversa.

Il passato, per lei, era un racconto privo di significato, la storia di un’altra persona in cui non riusciva a riconoscersi. Non era quella di un tempo, non lo sarebbe stata mai più. Loki aveva consegnato a Hela le sue insegne e promesso cospicui doni – tra cui la bandoliera carica di pugnali affilati – e questo era stato il guiderdone necessario non per riavere accanto a sé la dea della fedeltà, ma per liberarla dalla pazzia. Del suo passato, Sigyn non ricordava nulla e qualunque riferimento agli anni trascorsi e dimenticati le provocava crudeli emicranie.

La ragazza si chinò per accarezzare un gattino che aveva preso a girarle attorno e miagolava in cerca di cibo, tentando di conquistare le sue attenzioni. Guadagnò un paio di carezze sulla testa e tra le orecchie, che ricambiò sfregandosi sulla sua gonna. Consapevole, forse, della necessità di ammaliare anche lui, l’animale s’azzardò a strusciarsi contro i suoi stivali. Loki tollerò con un certo qual distacco le accattivanti attenzioni feline.

“Puoi tenerlo,” le concesse. “Sei libera di fare ciò che vuoi.”

Lei gli rivolse un’occhiata lunga e attenta, come se potesse cogliere la reale portata di quell’affermazione.

“Ti andrebbe di raccontarmi alcune delle tue storie?” gli domandò.

Il dio degli inganni si morse le labbra. Si chiese se tutto quello che stavano vivendo non fosse che un ciclo, uno di molti, che si sarebbe avvicendato ad un altro e poi ad un altro ancora, destinato a finire sempre nel medesimo modo.

“Molte delle cose che si dicono su di me sono false o sbagliate,” rise.

Lei si fece ancora più seria di quanto già non fosse. “L’altro giorno sono andata alle rovine giù alla collina. Ho sentito dei discorsi strani. Mi hanno detto che hai viaggiato fino a Helheim, portando indietro con te un grande tesoro. Mi sembrava di ascoltare una fiaba.”

Gli occhi verdi di Loki brillarono. “L’ho sentita raccontare anche io, una volta.”

“È falsa? Sembra che la conoscano tutti,” replicò lei. “Ma ogni versione pare sia diversa dall’altra. Tu quale conosci? Raccontamela, per favore.”

“Perché?” domandò aggrottando le sopracciglia.

Gli occhi di Sigyn si fissarono su un punto indefinito del vecchio muro di pietra antica. “La trovo bella. E poi, nessuno ha saputo dirmi come finisce.”

Loki sospirò e scostò lo sguardo da lei. “Perché non ha una fine. Dicono che ho attraversato cento ponti e cento fiumi, cento montagne e cento valli, per giungere, infine al cospetto della regina degli inferi. Le dissi ti donerò le armi magiche degli Æsir, ti svelerò i loro segreti, ti porterò tutte le reliquie di tutti i Nove Regni, perché tu possa diventare la più potente tra i Sovrani. Ma lei non si impietosì e allora insistetti. Dissi risanerò il tuo corpo, affinché sia fresco come una rosa in entrambi i lati; accrescerò il tuo potere conducendo a te eserciti e popoli, finché sarai più potente di quanto non sia stato Odino; ti consegnerò la spada con cui Sigurd uccise il drago, ti porterò il corno da cui beve Utgardha Loki; viaggerò per te attraverso tutti i Nove Mondi, e cercherò ogni reliquia, ogni tesoro, ogni incantesimo, e tutto questo sarà tuo; e continuai, offrendo tutto quanto c’era di bello e prezioso nell’Universo intero. Ma nessuna cosa sembrava convincere la dea degli inferi a restituirmi ciò che avevo perso[4].”

Sigyn fu scossa da un brivido intenso e profondo, che le sembrò essere l’eco di qualcosa di antico. Un dolore sordo, annichilente, disperato, che le fece scivolare una lacrima calda e muta sulla guancia. “È molto triste. Cosa volevi che ti restituisse?”

Loki la soppesò a lungo, prima di rispondere.

“È solo una storia, forse.”

 

Il dio dell’inganno non l’avrebbe saputo mai, ma il disegno che Sigyn aveva nascosto con cura era un suo ritratto. L’ennesimo che si era ritrovata a fargli quasi per caso, mentre era sovrappensiero, spinta da un bisogno senza nome né spiegazione. Il volto affilato di Lingua d’Argento, replicato con incredibile precisione, emergeva dall’insieme dei tratti morbidi carico di una vividezza incredibile.

Certi incantesimi d’amore e di morte sopravvivono al tempo, al destino, alle menzogne, a ogni cosa. Rimangono attaccati alle anime e urlano prepotenti anche quando vengono nascosti. Sigyn strinse con forza la cartella di cuoio che conteneva i suoi disegni e, da sotto le ciglia nere, gli rivolse un’occhiata incredibilmente seria. “Noi ci conoscevamo già? C’è mai stato qualcosa, tra di noi?”

Il dio dell’inganno stirò le labbra in un sorriso e le sfiorò una ciocca di capelli, pensando a come lei lo baciava nelle fredde notti d’inverno della perduta Asgard, gettando il capo leggermente all’indietro e infilandogli le dita tra i capelli scuri. Le lambì le labbra stupite e incerte che, più memori di lei, risposero al contatto con la delicatezza che l’Ase aveva quasi dimenticato e stava ritrovando ora. Vivevano in un luogo davvero crudele, in un mondo spietato, in un universo devastato, ma, nonostante ciò, il dio dell’inganno scese sul collo, inspirò il suo odore e tornò sulla bocca già carica di domande. Rispose al bacio dolce di Sigyn, che non sapeva e non ricordava, ma, in qualche modo, percepiva e sentiva cosa c’era stato, tra loro. Indugiò e temporeggiò, perché per lui il tempo non aveva più significato, in fondo, e voleva gustarsi quell’istante per cancellare tutte le attese e le ricerche che gli avevano sfibrato l’animo inquieto. E allora prolungò con sottile perfidia quel momento, fino a che il sole non s’inabissò nel fiordo.

Gli incantesimi d’amore e di morte non possono cancellare il passato e, nemmeno, celarlo per sempre.

 

 

 

Fine

 

 

Note autore:

Questa minilong ha una genesi travagliata per molte, tante ragioni. L’idea di Loki che cerca di recuperare Sigyn a qualsiasi prezzo mi è sempre piaciuta tantissimo; se vi dovessi dire tutte le opere che hanno ispirato in qualche modo la minilong finirei l’anno prossimo, dato che questa idea mi gironzolava in testa dal… 2015, ebbene sì. L’occasione per scriverla e definirla è dovuta al contest “Elisir, pozioni e distillati” indetto da wurags sul forum di Efp. Il pacchetto che ho usato è il Veritaserum (eh eh eh, con Loki, che ironia!): secondo le direttive, la storia doveva basarsi su un segreto nascosto con cura che poi viene rivelato. A tenerlo, ovviamente, qui è Sigyn: recita un incantesimo proibito per far tornare Loki dal regno dei morti e, come conseguenza, perde la ragione. Ovviamente, il peso del sacrificio di Sigyn è il motivo stesso per cui Loki non avrebbe dovuto sapere di essere morto.

Il viaggio attraverso il tempo del dio dell’inganno è volto a scoprire quale incantesimo ella abbia recitato per poi tentare di annullarlo o, come è stato, mitigarlo, offrendo un dono a Hela.

I prompt utilizzati sono disegno (i ritratti che Loki fa a Sigyn) l’acquario/lago/fiordo (dove si vedono in più di un’occasione) e i concetti di rancore e perdono, ricorrenti soprattutto nella rabbia di Loki verso il sacrificio di Sigyn e nell’incapacità di perdonarla.

Se la storia vi è piaciuta, inseritela nelle liste di Efp, in alto a destra(farete felice un’Autrice) o fatemi sapere che ne pensate con una recensione (ogni pensiero è importante e non dovete scrivere un testo critico. ^^).

Sperando vi sia piaciuta, vi ringrazio infinitamente per essere arrivati fin qui,

Shilyss



[1] Il regno di Hel.

[2] Nell’iconografia norrena Hela è caratterizzata da un corpo per metà decomposto e per metà di fanciulla. Loki si sta augurando che sia benevola nei suoi riguardi e gli mostri “il volto di ragazza.” Ovviamente, per esigenze di copione, questa Hela non è sua figlia, come nel canone, né la versione discutibile dell’MCU.

[3] Come detto negli scorsi capitoli, Loki non può, in questa storia, viaggiare nel tempo. La sua salute ne risente (soprattutto quella fisica)

[4] Alcune di queste imprese sono state effettivamente compiute dal Loki mitologico.

   
 
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