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Autore: MmeBovary    28/07/2009    16 recensioni
“Sei ingiusta Mezzosangue. Io ero qui per proporti uno scambio.”
“Scambio di cosa?”
Il Serpeverde espirò una lunga boccata di fumo.
“Di favori. Io ti faccio prendere il massimo in pozioni e tu in cambio mi dai qualcosa che voglio.”
Hermione rimase un attimo in silenzio, pensierosa.
"Cosa vuoi in cambio?”
“Prima di saperlo devi accettare…”
C’era una nota di sfida nella sua voce. ...

E se Hermione si lasciasse tentare dalla sfida di una Serpe... In che trame potrebbe trovarsi coinvolta?
Genere: Romantico, Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Blaise Zabini, Ginny Weasley, Harry Potter, Ron Weasley | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Da V libro alternativo, Contesto generale/vago
Capitoli:
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Piccolo avviso: i personaggi di questa fanfic non sono miei, appartengono tutti a J.K. Rowling ed io li uso momentaneamente senza fini di lucro o simili. Eventuali citazioni da altri autori sono poste tra virgolette o segnalate come tali.
Ora godetevi la storia! 




CAP. 14
LA DECADENZA DELLA MENZOGNA



Une orange sur la table 
Ta robe sur le tapis 
Et toi dans mon lit 
Doux présent du présent 
Fraîcheur de la nuit 
Chaleur de ma vie.
« Alicante », Jacques Prévert  

Un’arancia sul tavolo
Il tuo vestito sul tappeto
E nel mio letto, tu
Dolce dono del presente
Frescura della notte
Calore della mia vita.

«Alicante », Jacques Prévert  


Una Luna grande e pallida si stagliava ormai su un cielo di perla quando Draco riaprì gli occhi dopo un sonno tranquillo e insolitamente privo di incubi.
Non poté fare a meno di piegare le labbra in un sorriso mentre, rigirandosi nel torpore del risveglio, avvertì la tiepida morbidezza del corpo nudo di Hermione accanto al proprio. La ragazza mugolò qualcosa d’indecifrabile e si voltò verso di lui, continuando beatamente a dormire come una bambina.
Draco puntellò il gomito nel cuscino e appoggiò il capo al palmo aperto, osservando i tratti gentili della giovane, rilassati dal sonno. L’innocenza delle sue rotonde palpebre abbassate sotto le ciglia brune aveva qualcosa di divino, eppure l’invitante sporgenza delle sue labbra dischiuse e umide era quanto di più peccaminoso Draco potesse immaginare. Non poté resistere alla tentazione di sfiorare quei vellutati petali vermigli…
“Mh…”
Hermione arricciò il naso e affondò il volto nel cuscino, scacciando la sua mano come se fosse una zanzara fastidiosa.
Il Serpeverde rise leggermente e tornò ad osservarla da lontano. Una parte di lui avrebbe voluto svegliarla e ricominciare da capo con le coccole, le carezze, i baci bollenti e i gemiti intrisi di piacere che avevano costellato la loro notte, prima che, stremati, si arrendessero al sonno. D’altra parte però, anche solo poterla guardare in un momento di così sublime pace come non ne avevano mai condivisi prima, era molto più di quanto avesse mai ritenuto di meritare.
Avvicinò il volto ai suoi capelli, lasciando un bacio impigliato tra i suoi boccoli ribelli.
Avrebbe potuto passare la vita lì sdraiato accanto a lei… purtroppo però il fato capriccioso sembrava mettersi d’impegno per rovinare ogni stilla di felicità che egli riusciva ad agguantare.
Il cigolio dei cardini che roteavano lo fece voltare di scatto.
“Draco, sono io, posso entrar…”
Il giovane balzò in piedi, afferrò una vestaglia al volo da una sedia e si precipitò fuori prima che Pansy Parkinson potesse infilare la sua testolina curiosa nella sua stanza. Si tirò dietro la porta con uno scatto secco.
Tra i due compagni di Casa serpeggiò per un minuto il silenzio.
“Chi era quella?” sibilò la ragazza, indicando la camera di cui aveva avuto una visione troppo rapida per cogliere più che la volatile impressione di due corpi nel letto del suo amato.
Draco non si prese neanche il disturbo di considerarla e sfilò una sigaretta dal pacchetto che teneva nella tasca della vestaglia in seta scura e dai riflessi color onice.
“Che vuoi Pansy?” alitò tra le spire evanescenti del fumo.
“Una volta eri più felice di vedermi…”, piagnucolò la giovane, “Ora sembri scocciato.”
“Forse”, replicò lui, “Lo sembro perché lo sono.”
Fissò con rabbia la porta chiusa alle proprie spalle, come se stesse ammirando il Paradiso perduto e ogni attimo che passava con quella vipera della Parkinson fosse una piuma strappata alle ali che gli sarebbero servite per risalirci.
“Insomma, puoi dirmi che cazzo vuoi?” sbottò, irritato dal mutismo ostile della Purosangue.
Lei si fece scura in volto e arricciò il labbro inferiore.
“Niente… è solo che, sai com’è, lui voleva sapere dov’eri, ma non ti si è visto tutto il giorno, né a pranzo né a cena, nessuno sapeva dirglielo; Blaise gli ha giurato che in camera tua non c’eri, ma io sono venuta a controllare lo stesso, e a quanto pare Zabini si sbagliava, e ora lui…”
“Chi voleva sapere dov’ero, Pansy, chi?!”
Lei sgranò gli occhi.
“Oh, come, non te l’avevo ancora detto? Tuo padre, ovviamente… È di là che ti aspetta.”
“Mio padre?” mormorò il ragazzo con un filo di voce.
“Ma sì! È arrivato poco prima di cena e poi… ehy, Dra, sembri pallido, va tutto bene?”
No, non andava tutto bene.
Non andava per niente bene.
Draco deglutì a fatica e in quel momento pregò che la terra si spaccasse e lo lasciasse sprofondare, ma nessuna voragine si aprì sotto i suoi piedi. C’era già all’inferno…


“Mh… Draco…” mugolò Hermione con voce bassamente impastata dal sonno, rigirandosi nel letto.
Il rumore della porta che si chiudeva la aveva svegliata e ora le sue mani scorrevano la superficie setosa delle lenzuola alla ricerca di Malfoy. Non trovando niente, la giovane aprì gli occhi.
“Draco?”
Si tirò su a sedere tra i cuscini di piume e si guardò intorno. La camera era immersa nella semioscurità della sera. Dalle piccole finestre incantate entrava una luce verdognola e evanescente che si sommava a quella delle tremule fiamme del camino per illuminare la vasta stanza da letto. Il fuoco era quasi spento e Hermione avvertì un brivido di freddo. Si alzò per andare a raccogliere un maglione di Draco, abbandonato su di una poltrona poco lontano e lo infilò, frizionando piacevolmente la lana pungente contro la pelle nuda delle proprie braccia.
Si lasciò cadere di nuovo sul letto e passò le mani sul punto in cui aveva dormito Malfoy. Era ancora molto caldo, quindi doveva essersi alzato da poco. Dove poteva essere andato?
Hermione affondò il volto nel suo cuscino per un lungo attimo, riscoprendo con gioia l’odore salato della sua pelle, poi si guardò di nuovo intorno, sedendo tranquillamente con le ginocchia raccolte al petto.
Dalla mensola scura del camino un mazzo di rose di vario colore pareva offrirsi alle sue carezze, lasciando ricadere a terra una pioggia di petali nivei e purpurei. In un angolo c’era il calderone di Draco in cui lei stessa aveva preparato pozioni su pozioni durante le loro ripetizioni. Il pensiero di quei momenti la fece sorridere inconsciamente. Per quanto si fosse maledetta per averlo accettato, probabilmente stipulare quel patto era quanto di meglio avesse fatto in vita sua.
Si portò nuovamente in piedi per andare a riattizzare le fiamme del camino, ma inciampò malamente nel mantello di Draco, accartocciato a terra, e sbatté l’alluce contro una gamba della scrivania.
“Ma porca…”
Si morse la lingua per reprimere un’imprecazione piuttosto pesante e, zoppicando, raccolse il mantello incriminato. Dalla tasca scivolò fuori una lettera ripiegata più volte e piuttosto stropicciata, come se fosse stata letta ripetutamente.
Con innocente curiosità Hermione la prese in mano. In quel momento però la porta si aprì di nuovo per far entrare il padrone di casa.
“Ehy… buongiorno.” lo salutò la Grifondoro, lasciando perdere all’istante quell’inutile pezzo di carta.
“Buongiorno mia dèa.” Le fece eco il ragazzo, accogliendola tra le proprie braccia.
Hermione si sollevò appena sulle punte per arrivare a depositare un tenero bacio sul suo mento.
“Dov’eri andato?”
Draco non rispose, ma piegò il capo e si impossessò delle sue labbra, mentre le sue mani le torturavano la pelle sensibile della schiena e del ventre. La giovane sciolse il nodo della sua vestaglia, iniziando a retrocedere verso il letto, ma il Serpeverde la bloccò.
“Ehy, senti… Scommetto che hai fame…”
Hermione rimase spiazzata. Sinceramente il cibo era l’ultimo dei suoi pensieri in quel momento, però a pensarci bene, dopo aver saltato sia il pranzo che la cena uno spuntino avrebbe aiutato a recuperare un po’ delle energie bruciate quella notte.
“Effettivamente…” ammise, senza capire dove il ragazzo volesse andare a parare.
“E se andassi a prenderti qualcosa in cucina?”
La Grifondoro mise il broncio e assunse la sua consueta aria vagamente saccente.
“In quanto fondatrice e amministratrice unica del C.R.E.P.A. sono assolutamente e irremovibilmente contraria a questo genere di sfruttamento degli elfi domestici.”
Draco le restituì un’occhiata scettica.
“Non fare la moralista come a tuo solito, Mezzosangue! Saranno avanzate tonnellate di cibo dalla cena. Vado, lì, ne prendo un po’ e torno. Gli elfi non si accorgeranno nemmeno di me!”
Hermione esitò, mordicchiandosi un labbro, finché fece per replicare ma fu interrotta dal brontolio del proprio stomaco vuoto. Arrossì furiosamente mentre Draco sghignazzava.
“Lo prendo per un sì…”, ironizzò, evitando il cuscino che la Grifondoro aveva appena scaraventato nella sua direzione, “Quindi… potrei riavere il mio maglione per uscire?”
Vide la Mezzosangue guardarsi quasi con stupore a causa di quella richiesta. Entrando, egli aveva notato subito come lei avesse indossato qualcosa di suo e sebbene la avesse trovata a dir poco mozzafiato si era subito ripromesso di farla arrossire un po’ con una richiesta di quel genere.
“Ne hai a decine.” replicò Hermione.
“Ma io voglio quello.” si impuntò il Serpeverde, liberandosi intanto della vestaglia per sostituirla con un paio di boxer e di pantaloni.
La Grifondoro sbuffò ma decise di accontentarlo e si sfilò l’unico indumento che aveva indosso con un gesto fluido e, secondo la prospettiva di Draco, dannatamente sensuale.
“Lo vuoi solo perché sei un bamboccio viziato e incontentabile.” gli sibilò, a metà tra il serio e il faceto.
“No” la corresse lui, sfiorando il suo orecchio con le labbra mentre le toglieva di mano il maglione “Lo voglio perché così potrò sentire il tuo profumo anche mentre non ti starò accanto…”
Hermione avvertì chiaramente la vampata di calore che le tinse di rosso le gote e le orecchie a quelle parole, eppure non poté impedirsi di sorridere.
Draco intanto però, dopo un ultimo bacio a fior di labbra, aveva già raggiunto la porta.
“Torno tra un attimo. Tu non aprire a nessuno, ok?”
“Sì, papà…” ironizzò la ragazza, tornando a rovistare tra i vestiti della sera prima, in cerca di qualcosa da mettersi.


Draco si richiuse la porta alle spalle e il sorriso che gli piegava le labbra morì all’istante.
“Ce ne hai messo di tempo…” puntualizzò Pansy, guardando l’orologio a pendolo appeso in corridoio.
“Potevi andartene.”
“Non ho detto che volevo andarmene.”
“Non ho detto che volevo che mi aspettassi.”
La Serpeverde si morse il labbro inferiore, incapace di replicare. Solitamente era solita ignorare le frecciatine di Draco rigirandole nella propria mente fino a farle apparire prive di cattiveria e anzi, ironicamente gentili, ma con quell’affermazione la possibilità di fraintendimento era praticamente nulla.
“Dov’è mio padre?” le chiese seccamente il Purosangue, finendo di allacciarsi la cintura.
“Ti sta aspettando nell’Ingresso.”
La risposta della ragazza fu strascicata e lagnosa e nascose un’amara punta di delusione cocente.
Mise il broncio, sperando di intenerire il Principe delle Serpi e di strappargli una gentilezza.
Povera illusa.
Draco le rivolse le spalle senza troppi complimenti e s’incamminò verso l’entrata, bloccandosi a metà corridoio solo quando si rese conto che qualcosa non andava, o meglio che qualcuno non se ne andava
“Pansy, non starai pensando di entrare, vero?” sibilò, assottigliando gli occhi e fissando la porta della propria camera.
“Chi, io?! Pensi che sia così stupida? Non oserei mai…”
Il ragazzo si dimostrò scettico di fronte a quella commediola di sentito rispetto, ma, per quanto non si fidasse affatto a farlo, fu costretto a correre via e a lasciare la Parkinson sola davanti alla sua porta con la minaccia che se avesse osato abbassare quella maniglia se ne sarebbe pentita per il resto della vita.
Pansy attese di vederlo svoltare l’angolo. Non era stupida, no, e non sarebbe entrata in camera di un Malfoy senza il suo permesso per pura curiosità o civetteria.
Ma per gelosia, per quella sì…
Afferrò il pomello bronzeo e spinse la porta, mossa da un solo pensiero.
Se Draco non poteva essere suo, non sarebbe stato di nessun’altra in quella scuola…
Un flebile odore di legna bruciata, entrando, le colpì l’odorato e le fece bruciare gli occhi che faticarono leggermente ad adattarsi all’oscurità di quella camera dopo che ella era stata tanto a lungo in piedi sotto una delle torce del corridoio. Eppure la giovane vide benissimo quello che voleva vedere.
Una ragazza era in piedi davanti alla scrivania di Draco e si specchiava nella superficie liscia di una cornice per foto, sistemandosi i lunghi capelli ricci.
“Già di ritorno, Draco?”
Sentendo lo scattare della porta, Hermione alzò il viso e si girò nella direzione in cui si aspettava di trovare Malfoy. Quel gesto però le riservò una brutta sorpresa.
“Oh… Pansy.” biascicò, pronunciando il suo nome come se avesse un sapore schifoso “Se cerchi Draco, torna tra poco.”
La Serpeverde sbuffò, incredula, puntando le mani sui fianchi.
“Che fai, Mezzosangue, gli onori di casa?”
Hermione non si scompose. Stava con Draco ormai e aveva tutto il diritto di essere lì.
“Ti stavo solo dando un’informazione,” puntualizzò con tono paziente, “Vuoi che ripeta? H-a-i c-a-p-i-t-o?”
Accompagnò il suo scandire con gesti delle mani, come se avesse avuto a che fare con qualcuno dalle abilità cognitive estremamente limitate.
“Guarda che non sono scema.” Si sentì in dovere di far presente Pansy.
La Grifondoro si lasciò scappare un insomma a fior di labbra, ma l’altra non lo notò, troppo presa a seguire il filo dei propri pensieri.
“Dio…” mormorò all’improvviso con una smorfia, “Non ci credo che Dra s’è portato a letto una cosa come te.”
“Ehy, cosa dillo a qualcun altro,” ribatté prontamente la strega dagli occhi dorati “Io sono una persona.”
“Mezzosangue. Quindi mezza persona…” sibilò la Serpeverde, sprezzante.
Hermione scosse il capo. Se credeva di destabilizzarla con questa storia trita e ritrita era fuori strada. Al massimo rischiava di beccarsi una fattura Orcovolante se non si sbrigava a toglierle dalla vista quel suo muso da carlino.
“Insomma Parkinson, che accidenti vuoi?”
“Oh, nulla…” biascicò indifferente la Purosangue “Volevo solo vedere chi si era scelto Draco per scaldarsi le ossa mentre io ero occupata e non poteva avermi. Strano che abbia scelto una Mudblood, anche perché ora temo che quelle lenzuola dovrò farle bruciare… ”
“Sei patetica.” le fece notare Hermione, ottenendo che la sua pelle chiara si tingesse di un intenso color pesca, cioè quanto di più simile al rossore avesse mai sperimentato.
“Io sarò patetica ma tu non sei da meno,” frecciò la Serpeverde, prendendo a girellare per la stanza, nuovamente indifferente,“Se ti illudi di poter restare tanto a lungo in quel letto.”
“Risparmiati la tirata.”
La Granger la bloccò con un gesto annoiato della mano. Ne aveva abbastanza di sentire sciocchezze per quella sera. Voleva solo che Draco tornasse e si dedicasse di nuovo interamente a lei. Ma perché diamine ci metteva tanto? Eppure le cucine erano lì vicino…
Pansy prese a sfogliare distrattamente le rose rosse poste sopra il camino, raccogliendone i petali vellutati nell’incavo della mano.
“Beh, mi ha fatto molto piacere fare due chiacchiere con te Parkinson,” ironizzò Hermione “Ma, ora che hai visto quello che volevi vedere puoi anche andartene, no?”
La Serpeverde si voltò verso di lei, mordicchiando distrattamente un petalo di rosa.
“Se è per questo potresti andartene anche tu, perché temo che Draco sarà di cattivo quando rientrerà da questo incontro e dubito che avrà voglia di vedere ancora la sua amante Sanguesporco ad infestargli la stanza.”
“Io non sono la sua amante!” berciò la Grifondoro “Sono la sua ragazza, ficcatelo in quella testaccia vuota che ti ritrovi, ok? E comunque lui è solo andato in cucina, non è a nessun incontro.”
“In cucina? È questo che ti ha detto… Povera cara… Evidentemente era questa la versione studiata per la sua amante.”
Pansy spinse in fuori il labbro, fingendo una compassione che non provava, specialmente ora che già pregustava la stoccata finale che stava per infliggere.
“Io sono la sua ragazza, ci arrivi?”
“Ma senti un po’! E da quando, da prima o dopo che si fidanzasse ufficialmente con un’altra?”
Hermione deglutì a vuoto, mentre sentiva la terra mancarle per un attimo sotto i piedi. No, non era vero, non era possibile.
“Risparmiami queste fesserie.” tagliò corto.
“Saranno anche fesserie…”, strascicò Pansy, “Ma io lo so per certo da una lettera che Draco stesso mi ha mostrato e poi la cosa ormai è quasi pubblica, voglio dire, se non te lo avessi detto io probabilmente lo avresti letto tra qualche giorno sulla Gazzetta del Profeta.”
“Vai via…” alitò Hermione con un filo di voce, fissando il pavimento.
La Serpeverde sorrise. Il petalo di rosa tra i suoi denti perlacei si era fatto più scuro, del colore macabro del sangue.
“Oh, mi dispiace tanto di aver rovinato la tua piccola illusione”, mentì, lasciando ricadere a pioggia sul pavimento la corolla distrutta che aveva in mano, “Ma tu per lui sei solo una delle tante puttane…”
Se ne andò con il sorriso sulle labbra, gioendo dell’aver trascinato con sé nell’inferno del rifiuto qualcuno che non avrebbe dovuto trovarvisi.
Se Draco non poteva essere suo, non sarebbe stato di nessun’altra in quella scuola…
Hermione sobbalzò quando sentì il tonfo della porta che veniva sbattuta malamente sui cardini. I suoi occhi s’incollarono al pavimento cosparso di petali vermigli. Davanti a sé vedeva tutto rosso e una parola le aleggiava davanti agli occhi: fidanzato. Tentò di fare due passi, ma le girava la testa e non percepiva più chiaramente la stanza attorno a sé.
Calmati Herm – si disse – Mantieni il controllo.
In fondo, non era successo nulla. Respirò a fondo. Poteva essere tutta una menzogna della Parkinson. Sì, certamente era così. Draco non le avrebbe mai mentito ancora, glielo aveva giurato: niente più giochi, niente più inganni. Sapeva che lei non avrebbe potuto sopportarlo.
Ritrovato il controllo si appoggiò alla scrivania con entrambe le mani, per riprendere fiato e le sue dita si scontrarono di nuovo con il foglio accartocciato che lei stessa aveva gettato lì per andare incontro a Draco.
Era una lettera, come aveva detto la Parkinson. Senza neanche rendersene conto la aprì, la lesse, impallidì.

“Caro Draco,
    Spero che la presente ti trovi nel pieno possesso delle tue forze e nella migliore delle disposizioni d’animo, perché ho grandi notizie per te. Sappi che presto verrò a trovarti, per definire gli ultimi particolari del fidanzamento con la cara Margarethe. Poco dopo spero di poterla portare da te, giacché intuisco dalla tua lettera sia desiderio tuo (e ti assicuro anche suo) trovarvi finalmente più vicini.
Sappi che mi ha fatto estremamente piacere ricevere la tua risposta affermativa e sapere che gioisci anche tu come tutti noi all’idea di queste nozze, così auspicabili. Sono fiero del fatto che onorerai come si deve la stirpe Malfoy con una sì nobile ragazza e sono certo che tu e la nostra cara signorina Sondersen Kirpsiengaard sarete perfetti insieme dopo le nozze come mi apparite adesso al tempo del fidanzamento.
Con rispetto,
Lucius Malfoy.”

Hermione gettò via quel foglio come se fosse stato un essere rivoltante, messo tra le sue dita per sbaglio e per cattiveria.
Si portò le mani alla gola, senza fiato.
Si sentiva soffocare, le mancava l’aria, le serviva l’aria! Doveva andare via da quelle quattro mura, doveva fuggire…
Afferrò il proprio mantello e si voltò verso l’uscita…


Draco percorreva i corridoi dei Sotterranei quasi correndo. Un presentimento nero gli attanagliava la gola come una mano nemica; l’idea di non avere abbastanza tempo per risolvere tutto, la paura che la situazione gli sfuggisse di nuovo di mano.
Dannato Lucius! Aveva scritto che sarebbe venuto presto ed eccolo lì, con tempismo perfetto per rovinargli uno dei pochi momenti felici della sua vita. Lo aveva persino costretto a mentire a Hermione, cosa che aveva giurato a se stesso di non fare mai più.
Entrò nell’atrio spalancando la porta a due mani e vi trovò Lucius Malfoy intento a conversare con un Blaise dall’aria piuttosto reticente.
“…e poi mi raccomando, saluta tua madre da parte mia.”
“Non mancherò… oh Draco! Aspettavamo giusto te.”
Il Serpeverde sembrava molto desideroso di togliersi di torno.
“Padre. Blaise.” li salutò freddamente il giovane, riuscendo miracolosamente ad apparire composto anche dopo una corsa a perdifiato.
“Oh, Bene! Allora la signorina Parkinson ti ha trovato!” esordì suo padre.
“A quanto pare.”
“Scusa”, gli sussurrò il suo migliore amico di nascosto “Non sono riuscito a fermarla.”
Draco crollò il capo, lasciando intendere che apprezzava lo sforzo ma capiva come contro la testardaggine di quella ragazza ci fosse poco da fare.
“Signor Malfoy”, si congedò intanto Zabini, “A presto.”
“A presto Blaise.”
Draco prese il posto dell’amico, al fianco del padre.
“Bravo ragazzo quello…”, borbottava Lucius, “È fidanzato che tu sappia? Ci sarebbe una tua cugina sennò che…”
“Sì, è felicemente fidanzato. Cosa volevate da me, padre?”
“Ah, fidanzato dici? Che peccato… Comunque, è ovvio che sono qui per il tuo di fidanzamenti, Draco.”
Il ragazzo si sedette su una delle lunghe panche di legno scuro che ornava l’Ingresso e suo padre lo imitò.
“Non mi aspettavo di vedervi così presto.”
“Eppure te lo avevo scritto nella mia lettera.”
“Già, la lettera…”
Draco trattenne una risata ripensandoci. Aveva stentato a credere ai propri occhi quando la aveva vista. Era incredibile come suo padre avesse manipolato le sue fredde parole di disinteresse per trasformarle in una risposta affermativa ed entusiasta al suo folle progetto. Lui ricordava di aver scritto che voleva andarci piano e la risposta era stata una visita immediata.
“Comunque ero nei paraggi”, aggiunse Lucius, “E ho colto l’occasione. E poi perché sprecare tempo. Tu sei d’accordo e la famiglia di lei lo è, quindi, pensavo, magari potremmo organizzare la cerimonia anche per l’estate prossima…”
“L’estate prossima?! Credevo avreste voluto concedermi almeno tre anni.” sbottò Draco, allibito.
Suo padre inclinò leggermente il capo, sorpreso da tanto slancio e carezzò lentamente la testa d’aquila scolpita nel pomello metallico del proprio inseparabile bastone, come faceva spesso quand’era pensieroso.
“Capisco. Hai paura…”
“Io non ho paura.”
“E allora perché tanti indugi? Devi farlo, vuoi farlo, e quindi che problema c’è se cambia la data?”
Draco assottigliò gli occhi plumbei, stringendo convulsamente le nocche sulle proprie ginocchia, da sopra la stoffa scura dei jeans.
“Siete venuto qui per discutere…”, sibilò, “O solo per mettermi davanti ad un fatto compiuto?”
Lucius sbatté pesantemente a terra il proprio bastone, facendo risuonare la stanza della propria irritazione.
“Non osare rivolgerti a me con quel tono ironico!”
“Ah, no? E che tono dovrei usare allora? Io ti scrivo per prendere tempo per sganciarmi da questa assurda faccenda e tu vieni qui a chiedermi il colore dei confetti? Se non c’è da essere ironici qui…”
Suo padre scattò in piedi con un balzo, come se la panca lo avesse morso.
“Assurda faccenda…”, sibilò, mentre la sua sicurezza iniziava a incrinarsi.
Draco lo fissò con malcelato disprezzo.
“Non ti è mai neanche venuto in mente che potrei non volermi sposare con chi dici tu?”
Malfoy Senior non celò il proprio stupore.
“Assurdo. E perché non dovresti?”
“Forse perché amo un’altra?”
“Ah, l’amore…” sibilò il Purosangue con una smorfia, “L’infido male che ha rovinato tanti elementi valorosi. No, Draco, noi Malfoy non siamo fatti per l’amore, lasciatelo dire. Non so cosa tu creda di provare adesso o cosa tu voglia dimostrare con questa tua insolenza, ma sappi che non durerà. Ti scivolerà via dalle dita, lo distruggerai, lo farai marcire con la tua natura, decadere dietro un mare di menzogne. Non puoi evitarlo, è scritto nei tuoi geni…”
“Basta!” urlò il ragazzo, portandosi in piedi di scatto. La panca dietro di lui si ritrovò scaraventata al muro. “Tu non sai di che parli! E io non sono come te…”
Lucius ghignò, stranamente soddisfatto.
“Lo credi ora, ma presto mi darai ragione.”
“HO DETTO BASTA!”
Suo padre reclinò leggermente il capo, con accondiscendenza.
“Come vuoi, non c’è bisogno di urlare. Quando avrai cambiato idea, e lo farai, sai dove trovarmi. Nel frattempo non credere che smetterò di occuparmi della cosa.”
“Fuori…” ringhiò suo figlio “Fuori da questa scuola!”
Lucius si voltò, stringendo forte il proprio bastone da passeggio. Le parole di suo figlio, per quanto a suo dire immature e dettate da un’inesperienza su cui era disposto per il momento a sorvolare, gli erano arrivate in faccia come uno schiaffo.
Si incamminò verso la porta e uscì, senza proferire un’altra sillaba, rimuginando su come portare comunque a termine quella faccenda ora che non poteva più negare che suo figlio non fosse d’accordo.
Draco si lasciò cadere di nuovo sulla panca, con il volto tra le mani. Ancora non credeva a quello che aveva appena fatto, a quanto aveva detto a suo padre. Adesso non restava che un’ultima cosa da sistemare: informare Hermione di tutto e spiegarle quell’assurda faccenda.
Hermione!
Il pensiero di lei si risvegliò improvviso.
Lo stava ancora aspettando! Si alzò di scatto, facendo finire definitivamente la panca a gambe all’aria, e corse in cucina, dove si procurò in fretta e furia un vassoio ricolmo di dolci, succo di zucca, fragole e biscotti.
Quando arrivò alla propria camera e aprì la porta non poteva immaginare quanto tutto fosse cambiato, in pochi minuti.
“Ehy, Mezzosangue, guarda cos’ho…”
Lei si bloccò in mezzo alla stanza, il piede già proteso verso l’uscita e la mente ripiegata tutta sulle parole odiose che aveva appena letto. Voleva solo andare via e non rivedere Draco mai più. E invece eccolo lì.
Crollò il capo e si fece strada verso la porta, sbattendo goffamente contro la spalla di lui. Il Serpeverde rimase basito, incapace di comprendere, finché lei alzò i suoi occhi verso di lui e gli rivolse l’occhiata più fredda che potesse immaginare.
C’era la morte in quelle iridi castane, inquietantemente posta a guardia di speranze decadute e illusioni distrutte.
Draco lasciò cadere a terra il vassoio, calpestando malamente il suo contenuto di cocci infranti e dolci martoriati.
“Hermione, che c’è? Che ti succede?”
Cercò di prenderla tra le braccia, per calmarla, per proteggerla, ma lei rifuggiva il suo tocco, aborriva il contatto con lui, con le sue mani, con le sue labbra.
“Lasciami…”
“Mi vuoi dire che c’è?”
Hermione si strattonò dalla sua presa, guardandolo con furia.
“Dov’eri?” gli sibilò.
“Come dov’ero? In cucina, te l’ho detto…”
“Sei un bugiardo!” gridò la ragazza, serrando i pugni e le palpebre.
Era scossa da brividi di rabbia incontrollabili, semplicemente fuori di sé.
“So tutto! Ho letto la lettera! So che sei già fidanzato! Mi stai illudendo! TU STAI SOLO GIOCANDO!”
Lui cercava invano di calmarla, trattenendole le braccia, che lo colpivano con rabbia cieca al petto e al volto.
“FARABUTTO! CAROGNA! BUGIARDO! Lasciami!”
“Hermione, calmati!”
“Dov’eri?!”
Draco sospirò, rassegnato.
“Con mio padre…”
Con uno scatto repentino Hermione liberò i polsi dalla sua presa e sfoderò la bacchetta.
Stupeficium!”
Malfoy evitò l’incantesimo per un soffio. I suoi occhi spalancati contemplarono per un attimo con stupore il solco che si era aperto nella sua parete, prima di doversi concentrare di nuovo per non essere colpito.
Stupeficium! Stupe…”
“Adesso basta, Hermione!”
Il Serpeverde deviò la direzione della magia ghermendo di nuovo le braccia della sua Mezzosangue. Il raggio rosso andò a colpire il vaso di rose sopra il camino, mandandolo in frantumi. Una pioggia di candida neve profumata si sparse al suolo, mescolandosi con i petali purpurei distrutti da Pansy.
“Amore, guardami…”
Lei non parlava più, né alzava lo sguardo, appannato dalle lacrime. Quando, poco dopo, sentì la presa sulle proprie braccia allentarsi si diresse a grandi passi verso la porta, decisa a non sentire più una parola.
“Mezzosangue, ascolta, non è come credi…”
La Grifondoro si voltò di nuovo verso di lui.
“Non voglio sentire.”
Troppe volte la aveva ingannata con le sue belle parole, con le sue promesse e le sue scuse tirate su ad arte. Ora avrebbe potuto chiamare Dio a testimone della propria condotta: non lo avrebbe perdonato lo stesso.
Draco tentò di avvicinarsi a lei, per prenderla tra le braccia e calmarla con il battito lento del proprio cuore sfinito, ma lei si ritirò come se fosse stata la Morte stessa ad abbracciarla.
“Non toccarmi”, sibilò con una voce metallica che non sembrava nemmeno la sua, “Mi fai schifo. Tu sei… tu sei…”
La sua voce si spense in un singhiozzo strozzato mentre apriva la porta e gli rivolgeva le spalle.
“Hermione, io…”
“Addio.”
Un’unica parola, sussurrata senza far più rumore di un petalo di rosa che cada sul prato, fece il cuore di Draco in tanti piccoli pezzi, perché in quell’unica parola era racchiusa tutta l’amarezza delle mille altre ricacciate in gola.
“Perdonami.” mormorò il Serpeverde, gli occhi chiusi, le braccia tese in avanti, non sapendo più che fare. Provò l’innaturale impulso di umiliarsi, strisciare ai suoi piedi e implorare perdono, ma sapeva che non sarebbe servito a niente, non con lei, non in quel momento.
Per un lungo attimo attese che il corpo gracile di lei tornasse a riempire le curve piegate delle sue braccia, poi udì il rumore della porta che si richiudeva e infine solo il vuoto silenzio e un’amarezza che sapeva di disincanto.
Aveva avuto giorni per mostrare a Hermione quella lettera, poi ore, poi minuti, poi più nulla.
Il tempo gli era sfuggito, come una farfalla cui avesse preteso di legare le ali, scivolando via come il sangue da una ferita aperta.
Aveva indugiato, aveva sbagliato, rovinando tutto.
Le parole di suo padre gli risuonarono in testa.
No, Draco, noi Malfoy non siamo fatti per l’amore…
Non durerà…
Lo distruggerai, lo farai marcire con la tua natura, decadere dietro un mare di menzogne…
Non puoi evitarlo, è scritto nei tuoi geni…
Era vero? Lo aveva fatto? Aveva polverizzato da solo l’unica occasione della propria vita di essere felice?
Con un gemito, cadde a terra, sulle ginocchia che non sapevano più reggerlo, schiacciato da una sofferenza che minacciava di spezzargli la schiena mentre gli strappava una ad una le fibre del cuore, contando all’indietro, uno per uno, i secondi che avevano segnato la sua fine.



Le Plaisir vaporeux fuira vers l’horizon
Ainsi qu’une sylphide au fond de la coulisse ;
Chaque instant te dévore un morceau du délice
A chaque homme accordé pour toute sa saison.

Trois mille six cent fois par heure, la Seconde
Chuchote : Souviens-toi ! – Rapide, avec sa voix
D’insecte, Maintenant dit : Je suis Autrefois,
Et j’ai pompé ta vie avec ma trompe immonde !

[…]

Souviens-toi que le Temps est un jouer avide
Qui gagne sans tricher, à tout coup ! c’est la loi.
Le jour décroît; la nuit augmente, souviens-toi !
Le gouffre a toujours soif ; la clepsydre se vide.

Les fleurs du mal,  "L’horloge ",C. Baudelaire


Il Piacere diafano fuggirà verso l’orizzonte
Così come silfide dietro le quinte;
Ogni istante ti divora un frammento della povera gioia
Che a ogni uomo in vita fu concessa;

Per tremila seicento volte all’ora il Secondo
Ti bisbiglia: Ricorda!  Rapido, con la sua voce
D’insetto, Adesso dice: Io sono Poco fa,
e ti ho succhiato la vita con il mio pungiglione immondo!

[…]

Ricorda che il tempo è un giocatore avido
Che vince senza barare, ad ogni ruota! è la legge.
Il giorno scema; la notte aumenta, ricorda!
L’abisso ha sempre sete; la clessidra si vuota.

I fiori del male, “L’orologio”, C. Baudelaire






………continua………






    
§ Spazio autrice: §

Il titolo è ripreso da un dialogo di oscar Wilde, The decay of lying, in cui l’autore afferma che la vita deve imitare l’arte e non il contrario, perché la menzogna e la poesia sono sorelle mentre il realismo, in voga al suo tempo, è uno sciatto abominio che sta insterilendo la bellezza.
Le poesie iniziali e finali sono state scelte per essere diametralmente opposte: la prima è la dolcissima “Alicante” del poeta francese Jacques Prévert, famoso per i suoi versi d’amore, mentre la seconda è frutto del genio di Charles Baudelaire. Mi pareva che la differenza tra i due stili si intonasse bene al cambio di atmosfera che si crea tra l’inizio e la fine della fanfic.

MmeBovary.


  
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