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Autore: Quebec    27/08/2019    1 recensioni
Netrom Morten, un Bretone Negromante, scopre il cadavere di una donna dissanguata vicino la città di Skingrad. Conoscendo personalmente il Conte Janus Hassildor, spera di trovare il colpevole, ma dietro quella sua curiosità si cela ben altro...
Genere: Avventura, Fantasy, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Conte Hassildor raggiunse le segrete del castello. Il carceriere lo salutò con la testa china. Il Conte Vampiro non lo degnò di uno sguardo. Svoltò a destra, accostandosi alle sbarre. Il luogo puzzava di muffa e di un odore così acre che il Conte Hassildor non seppe dirsi con certezza cosa fosse.
Erina era rannicchiata a terra, la schiena contro il muro, la testa piegata sulla ginocchia esili, le mani tra i capelli sporchi e gonfi.
Il Conte Hassildor la udì singhiozzare. "Piange... E' tutta colpa mia." pensò.
Lei non si accorse della presenza del Conte Vampiro, finché per caso non gettò lo sguardo oltre la porta della cella. Si pietrificò. Vide il Conte Hassildor nella penombra, mentre la torcia appesa al muro alle sue spalle illuminava vagamente i suoi raffinati vestiti. Gli occhi rossi spiccavano vivaci e inquietanti dal suo viso. Erina distolse lo sguardo, cercando rifugio nelle sue ginocchia. Piegò la testa più che poté per allontanarsi mentalmente dall'inquietante visione, mentre le sue spalle premevano contro il freddo muro di pietra. Lungo le pareti, rivoli d'acqua scendevano dal soffitto inghiottito dall'oscurità.
Il Conte Hassildor notò il comportamento di Erina, ma rimase fermo. Non fece nulla per spaventarla. "Sicuramente sa che sono un Vampiro. I suoi occhi parlano..." pensò.


*****


Brangor sedeva a terra davanti a un focolare fuori dal castello di Skingrad. Il suo sauro brucava l'erba più in là. Sapeva che non si sarebbe allontanato, perciò lo lasciava libero di pascolare nei dintorni. Gli bastava un fischio e il cavallo sarebbe giunto di gran carriera verso di lui. Gli piaceva quel cavallo. Quella sera, il cielo era oscurato da nuvoloni carichi di pioggia, ma era stato così fin dal mattino. Brangor era partito lo stesso, anche perché aveva perso le tracce dell'Elfo Scuro e non voleva che il Conte Hassildor sapesse del suo fallimento qualora si fosse svegliato. In effetti non sapeva nemmeno del risveglio del Conte Vampiro. Brangor si alzò, si levò la polvere dai pantaloni e si diresse verso il suo giaciglio, fatto di indumenti consumati che non gli servivano più. Si coricò, cercando di addormentarsi, ma non ci riuscì. Il vento scuoteva le fronde degli alberi, quando lentamente cadde nel sonno. Poi un secco rumore lo svegliò. Qualcuno o qualcosa aveva calpestato un rametto. Si levò in piedi guardandosi intorno. Nella penombra, vide il cavallo brucare indisturbato. Ma questo non lo rassicurò. Estrasse l'ascia da battaglia da dietro la schiena, e andò verso l'origine del rumore che l'aveva svegliato. Non era nemmeno sicuro che fosse da quella parte, ma istintivamente ci andò. Si fermò, si guardò attorno e cadde.
Con la faccia a terra, cercò di aprire gli occhi, la vista annebbiata, i suoni distorti venivano e andavano da una parte e l'altra. Vide una sagoma spuntare dietro l'ombra di un albero. S'incammino verso di lui, il rumore degli stivali neri arrivavano distorti alle orecchie di Brangor. Era vestito completamente di nero, ma distingueva appena i suoi indumenti. Era calvo e portava un straccio rosso legato alla bocca. Si piegò sulle ginocchia, lo osservò per qualche momento e si alzò. Tornando indietro, si fermò di colpo, girò la testa verso Brangor, abbassò lo sguardo a terra per qualche secondo e infine si diresse da dove era arrivato. Il cavallo sauro di Brangor lanciò un forte nitrito di dolore. Brangor roteò gli occhi verso l'animale, ma vide solo sangue. Tanto sangue. Una seconda sagoma spuntò accanto al cavallo e s'incamminò verso la direzione del primo uomo. Un terza sagoma, sopraggiunse dietro Brangor, che gli passò di sopra e andò sempre nella direzione del primo uomo. I rumori dei loro stivali sulla terra arrivavano alle sue orecchie come echi distorti. Brangor cercò di alzarsi, ma in preda ad una forte rabbia perse conoscenza. Piovve a dirotto.


*****


"Mentire?"
"Tu menti! Sei il signore delle menzogne!"
L'Elfo Scurò lo fissò negli occhi, ma non rispose.
Erano nella cantina, accostati vicino a dei barili di birra e casse. Gli scaffali vuoti erano frapposti tra loro e il Vampiro rannicchiato nell'angolo più buio.
"Mi è giunta voce che tu e tuoi 'amici' ve la siete data a gambe davanti alla caverna." Disse il Conte Clavis irritato e furioso. "E' chiaro che questo tuo 'Vampiro', non proviene da quella..."
"Ora basta!" Lo interruppe l'Elfo Scuro. "E' vero. Ci siamo ritirati quando qualcosa stava paralizzando i miei uomini. Non sapevo chi o cosa fosse, perciò ho optato per la ritirata."
"Quindi ammetti che questo Vampiro non proviene da quella caverna?"
"No." L'Elfo Scuro prese una caraffa, che un servitore aveva portato poco prima, e si versò del vino. Poi si voltò verso il Conte Clavis Bauteus. "Siamo tornati nel pomeriggio. Ho ordinato ai miei uomini di perlustrare i dintorni della caverna, ma non abbiamo scoperto nessuno." Fece un sorso. "Ci siamo nascosti tra la folta vegetazione e abbiamo aspettato il crepuscolo. La mia intenzione era quella di catturare chi ci ha paralizzati, finché non abbiamo visto un Vampiro uscire dalla caverna. Si era appoggiato sul fianco della parete rocciosa e..."
"L'avete catturato?" Disse il Conte Clavis.
"Esatto!" Rispose L'Eflo Scuro. "E' stato piuttosto facile a dir la verità. Mi aspettava molta più resistenza o almeno qualche perdita tra i miei uomini, ma..."
"Non è successo." Concluse il Conte Clavis Bauteus. "Storia al quanto strana. Sia nelle parole che..."
"Ti ho portato un vampiro!" L'Elfo Scuro posò incurante il boccale d'argento facendo un poco di rumore. "Ed è quello che volevi giusto? Oppure vuoi che ti affascini con la retorica? Non sono un bardo!"
"Retorica?" Sottolineò Conte Clavis. "Avvolte mi stupisco di come tu tiri fuori parole che non hanno un senso logico nel contesto. Io dicevo..."
"Tu dici, dici, dici!" L'Elfo Scuro fece finta di arrabbiarsi, anche se la sua faccia rimase immutata. "Ho svolto il mio lavoro. Ti ho portato quel succhia sangue, ed ora..."
"C'è ancora del lavoro da fare." Lo interruppe Calvis Bauteus. "E sai di cosa parlo." Guardò il Vampiro rannicchiato nell'oscurità. "Comincia."
L'Elfo Scuro si voltò verso il vampiro, un lieve sorriso malefico si fece largo nel suo viso privo di emozioni.


*****


Il carceriere aprì la porta della cella e cercò di entrare, ma il Conte Vampiro lo fermò con un braccio. Il Carceriere traslì.
"Puoi andare." Disse il Conte Hassildor. Con la testa china, l'uomo fece come ordinato.
Erina volse la testa verso la parete, nascondendo il collo nelle spalle. Si rannicchiò fino a diventare quasi una palla. Cominciò a piangere e singhiozzare.
Il Conte Hassildor entrò nella cella e si fermò a guardarla. "Mi dispiace."
Erina lo guardò per un attimo, poi distolse lo sguardo quando incrociò gli occhi rossi del Conte.
"Vi starete chiedendo del perché io non vi abbia liberata, non è vero?" Il Conte Vampiro incrociò le mani dietro la schiena. "Non posso lasciarvi andare, poiché sapete..."
"Siete un vampiro..." Sussurrò Erina, come se non fosse stata lei a dire quella frase.
Il Conte Hassildor si zittì per un po'. "Questo vi disturba?"
Erina non rispose.
"Cosa sapete su Netrom Morten?" Il Conte Vampiro cercò qualcosa in comune per farla parlare. Sapeva che Erina era intima con Netrom Morten, e lui stesso glielo aveva vagamente accennato, ma senza soffermarsi molto. E poi il Conte Hassildor sapevo tutto di tutti, il ché lo tranquillizzava.
Erina si voltò completamente verso di lui: "Lui sta bene?" Poi accorgendosi come in un lampo che stava parlando con un Vampiro, si rannicchiò contro la fredda parete, mettendo le mani a protezione del collo.
Il Conte Hassildor lo vide. "Non sono qui per..." Non voleva dire 'bere il tuo sangue'. "Facciamo così; io rispondo alle vostre domande, e voi alla mie. Che ne dite?" Cercò di modulare la voce quanto più amichevolmente possibile. 
Erina, i capelli sporchi e scompigliati sul viso, lo guardò con un occhio da sotto un ciuffo di capelli. Non rispose.
"Allora comincio io, come segno di buona fede." Disse il Conte Vampiro. "Netrom Morten è in un lungo sogno. Non so come i guaritori chiamino questa... questa sorta di 'lungo sonno', ma fisicamente sta bene."
Erina sospirò, smorzando un sorriso.
Il Conte Hassildor rimase fermo nella sua posizione come una minacciosa statua Gargoyle. E questo inquietò non poco Erina. "Forse è solo la mia mente" Pensò lei. "Il Conte non è qui. Forse non è nemmeno un Vampiro. E' tutto nella mia testa. Se lo fosse mi avrebbe già morsa... mi avrebbe uccisa."
Il Conte Vampiro la scrutò, serrando un poco gli occhi. "Ora tocca a me farvi una domanda."
Erina sobbalzò, destata dai suoi pensieri. Non aveva il coraggio di guardarlo in viso.
"Vi disturba che io sia un Vampiro?" Disse il Conte Hassildor come se la domanda fosse del tutto normale.
Impaurita, Erina affondò le dita nella pelle delle ginocchia. Non rispose.
"In questo gioco voi dovreste rispondere alle mie domande." Sottolineò il Conte Vampiro.
La donna non aveva il coraggio né di rispondere né di guardarlo.
Il Conte Hassildor si era aspettato una simile reazione, ma i suoi sensi di colpa lo avevano spinto a provarci. Senza aggiungere nient'altro, si diresse verso l'uscita della cella.
"Non saprei..." Rispose Erina come in un sussurro, cercando di raccogliere quel poco di coraggio che aveva in corpo. Era per Netrom Morten che aveva risposto. Voleva sapere come stava e raggiungerlo se fosse stato possibile. 
Il Conte Vampiro si fermò, si voltò lentamente e la guardò per un momento "Ora tocca a voi farmi una domanda."


*****


Quando Brangor aprì gli occhi, era steso supino sulla paglia. Il forte odore di letame nell'aria lo spinse a vomitare, ma non rigettò nulla. Rimase sul fianco, tossì più volte e si lasciò cadere sulla paglia. Si trovava in un fienile o in un posto simile. Il tetto bucherellato, era rattoppato con vari assi di legno, mentre la luce del sole filtrava attraverso le due finestra poste una di fronte all'altra. Un cavallo nitrì, poi un'altro e un'altro ancora. Roteò gli occhi verso destra e vide cinque cavalli pezzati limitati in piccole zone recintate. Immediatamente i suoi pensieri furono invasi dal suo cavallo sauro morto sgozzato per mani di uno dei tre uomini in nero. E ancora una volta in preda alla rabbia, cercò di alzarsi, ma una forte fitta all'addome lo costrinse a stendersi. 
"Sei fortunato." Disse una voce rauca e strascicata che non seppe dirsi da dove provenisse. "Il tuo fisico ti ha salvato da morte certa, dico... Sì, sì..."
Brangor serrò gli occhi, si guardò intorno. Cercò di parlare, ma dalla sua bocca uscirono solo rantoli d'aria.
Da dietro a delle numerose casse e mucchi di fieno, un uomo sbucò fuori; gli occhi grandi, barba folta e sporca, lunghi capelli grigi oleosi, il labbro superiore spaccato e il naso storto verso destra. Portava una zappa in mano. Indossava indumenti di cotone luridi e sporchi di terra. Andò verso Brangor, esaminò la sua ferita all'addome e annuì. "Sì, sì... Ho fatto tutto bene... La mia Brema sarebbe stata orgogliosa di me..." Poi scosse la testa come se si era accorto solo in quel momento di Brangor. "Ah sì, tu sei fortunato, dico... Sì, sì... Molto, molto..." Poi confuso, guardò in alto. "Ma fortunato o sfortunato..? Beh se qualcuno è vivo..." Stava parlando da solo. "Forse è solo sfortuna... No, no, è fortuna, dico. Sì, sì... Fortuna, dico... Sì, sì"
Brangor alzò un sopracciglio e cercò di parlare, ma senza successo. Allora alzò un mano.
L'uomo lo vide e gli sorrise. "Io mi chiamo Fredor Vilus. Sono un Imperiale... Mia moglie diceva che puzzo come un orco, che ho l'aspetto di un orco, ma penso come un ratto..." Fredor abbassò gli occhi rattristito, e sospirò. "Quanto mi manca mia moglie, dico... Sì, sì..."
Brangor era dispiaciuto, ma non aveva voce né per ringraziarlo di avergli salvato la vita né di dirgli che gli dispiaceva per sua moglie.
Fredor si accorse che Brangor cercava di parlare. "Io non so cosa tu abbia, dico... No, no... Ho curato la tua ferita all'addome... E ne avevi un altra anche dietro la schiena, dico... Sì, sì." Fredor andò via, dimenticandosi della presenza di Brangor. Poi si fermò di colpo, si voltò verso di lui e gli sorrise, gli mancavano tutti i denti. "Ti ho detto quanto sei fortunato?" quando chiuse la bocca, il mento sfiorò quasi la punta del suo naso.


*****
 

Il vampiro lo guardò di sottecchi, mentre l'Elfo Scuro, torcia in mano, gli illuminava il viso. Il vampiro si ritrasse infastidito, ma l'orco e l'imperiale lo tennero fermo dalle braccia. 
"Urla quanto vuoi." Disse l'Elfo Scuro. "Nessuno può sentirti urlare qua sotto."
Il vampirò serrò gli occhi, mostrando i denti affilati, come un lupo che mostra le zanne quando è intrappola.
"Sei già morto, solo che non lo sai." L'Elfo Scuro passò la torcia all'Orco, che con una mano teneva fermo il Vampiro senza alcuna fatica. Poi L'Elfo Scuro sfoderò un pugnale d'argento, mise la punta sul petto del Vampiro e si lasciò scappare un flebile sorriso. 
Il Vampiro gemette un poco da dolore e strinse i denti.
La lama del pugnale si fece largo nella sua carne, mentre il Vampiro urlò da dolore. Sottili fumi biancastri si levarono dalla sua pelle pallida.
L'Elfo Scuro sorrise, seguito dal grugnire dell'orco. L'Imperiale storse il naso, schifato.
D'un tratto il vampiro fissò gli occhi dell'Elfo Scuro, uno sguardo minaccioso e compiaciuto. "State facendo il gioco del mio padrone!" cominciò a ridere a squarcia gola. "Siete solo degli idioti!"
l'Elfo scuro arrabbiato, serrò gli occhi e spinse il pugnale sempre più in profondità.
Il Vampiro rideva e urlava. "Il mio padrone vi sta usando!"
La lama raggiunse il cuore, la testa del Vampiro si afflosciò sul petto.
L'Orco e l'imperiale lo guardarono. Poi diressero il loro occhi sull'Elfo Scuro che estrasse la lama dal petto e la pulì sui luridi vestiti del Vampiro.
"Lasciatelo." Disse l'Elfo Scuro.
I due fecero come ordinato. Il Vampiro cadde di faccia a terra con un suono secco.
L'Elfo Scuro mise il pugnale nel fodero. 
"Cosa voleva dire?" Chiese l'Orco all'Elfo Scuro.
"Era pazzo." Rispose l'imperiale come se la domanda fosse stata posta a lui.
"Mai quanto te, pezzente Imperiale." Lo derise l'Orco.
"Tua madre se la fa con i Troll!" Rispose l'Imperiale accigliato.
L'Elfo Scuro sospirò e andò via, lasciandoli litigare. "Devo capire se quel Vampiro diceva sul serio oppure voleva spaventarci..." Pensò.


*****


"Ai miei tempi era tutto diverso, dico... Sì, sì." Fredor si sedette di fronte al giaciglio di paglia in cui era steso Brangor. "Mia moglie Brema, dico... Lei sapeva tutto... Sì, sì... Quando una banda di malfattori veniva qui per derubarci, la mia Brema li cacciava via, dico... Sì, sì." Fredor alzò le mani per far vedere cosa faceva lei. "La mia Brema agitava le mani in questo modo, dico... Sì, sì... La mia Brema faceva uscire una sfera magica blu e i malfattori fuggivano a gambe levate, dico... Sì, sì." Fredor sospirò "Quanto mi manca la mia Brema, dico... Sì, sì."
Brangor lo ascoltava, non potendo fare altrimenti poiché la voce non gli era ritornata e il dolore all'addome gli impediva di alzarsi.
"La mia Brema era amica di tutti, dico... Sì, sì... Ma gli altri non volevano essergli amici." Fredor abbassò lo sguardo. "Dicevano che era una sporca Megera... Io dicevo; 'Brema è mia moglie ed è una brava donna, dico... Sì, sì', ma loro mi prendevano per pazzo. Io non sono pazzo, dico... No, no..." Fredor si alzò, sorrise senza denti e andò verso un cavallo dalla criniera biondo cenere. 
Brangor lo seguì con gli occhi.
"La mia Brema non ha mai ucciso nessuno, dico... Sì, sì..." Fredor accarrezzò la criniera del cavallo pezzato. "Le persone la odiavano e si tenevano lontane dalla mia Brema, dico... Sì, sì. Quando io ero solo, ed ero stato congedato dall'Impero perché dicevano che non ero normale, la mia Brema si prese cura di me, dico... Sì, sì. Ho solo ricevuto un colpo in testa da un martello di guerra, nulla di preoccupante, ed ero ancora in grado di impugnare le armi, dico... Sì, sì..." Mostrò a Brangor la zappa che aveva in mano. "Questa è una spada, dico... Sì, sì... Io so impugnare una spada, la mia Brema mi dava ragione."
Brangor lo ascoltava e provava sempre più pietà per l'uomo.
"Ho servito l'Impero per vent'anni, dico... Sì, sì." Fredor si sedette nuovamente di fronte a Brangor. "La mia Brema diceva; 'Hai sprecato il tuo tempo dietro a interessi di nobili che trattano come giocattoli i propri soldati'. Io non capivo, dico... Sì, sì. L'unica cosa che sapevo fare era uccidere e seguire gli ordini, dico... Sì, sì... Era semplice, ma ora non li so seguire più... Non so come si fa... Ora coltivo il mio pezzo di terra in compagnia degli alberi, dico... Sì, sì. Sono bravo, ma è stato tutto merito della mia Brema. Lei mi ha insegnato tutto, dico... Sì, sì. E poi la mia Brema rideva sempre quando gli dicevo; 'Se le persone fossero come gli alberi, non ci sarebbero più guerra e nessuno ti darebbe della Megera mia dolce moglie.' Quanto mi manca la mia Brema, dico... Sì, sì." Chinò la testa, gli occhi tristi.
"Chissà come ha fatto a sopravvivere per tutto questo tempo da solo..." Pensò Brangor.


*****


Con la mano serrata sull'avambraccio della giovane moglie, il Conte Clavis percorse in tutta fretta il lungo corridoio arredato da vari arazzi appesi alle pareti che raffiguravano strani e cupi paesaggi lontani o inesistenti. La giovane moglie cercava di dimenarsi e divincolarsi dalla sua presa, ma lui la teneva ben stretta a sé. Poi giunsero davanti a una porta socchiusa. Con la punta della scarpa, Il Conte Clavis spinse via la porta e gettò la donna all'interno della camera, che cadde a terra urtando quasi la testa sul pavimento.
"Dirò a mio fratello quello che mi stai facendo!" Ringhò lei, alzandosi e lanciandosi verso l'uomo.
Il Conte Clavis chiuse la porta di scatto, e la giovane moglie ci finì contro, gemendo dal dolore e cominciando a piangere e battere pugni sulla porta.
Il Conte Clavis girò la chiave nella serratura e la mise nella tasca. Quando si voltò, vide l'Elfo Scuro di fronte a sé, come se si fosse materializzato in quell'istante. Trasalì.
"Oh, dannazione! Mi hai fatto prendere un colpo!" Imprecò il Conte, buttando l'aria dai polmoni.
"Chiedo venia." Rispose l'Elfo Scuro, dal viso di pietra e con un vago e leggero sorriso compiaciuto sulle labbra.
"Com'è andata?"
"Bene. Ma devo dirti una cosa."
"Parla."
"Prima di morire, il Vampiro ha parlato di un certo 'Padrone'. Sai qualcosa al riguardo?" L'Elfo Scuro socchiuse leggermente gli occhi.
"Padrone? Che vuoi dire?" Il Conte Clavis aggrottò la fronte.
"Per questo te lo domandato."
"Non conosco nessun uomo con un sopranome simile, a meno che..."
"Non sia un uomo." Lo interruppe l'Elfo Scuro. "E naturalmente è così. I Vampiri servono solo altri Vampiri più antichi, più potenti, ma..."
"...Ma solo un potente Vampiro."
"E' quello che ho detto." L'Elfo Scuro si accigliò irritato.
"Credi che serviva un Vampiro Patriarca?" Chiese il Conte Clavis cercando di nascondere la sua paura.
"O potrebbe anche essere una donna; Un Vampiro Matriarca."
"Oh per i divini" Sbuffò il Conte Clavis, guardandosi ansiosamente intorno.


*****


"Che ne dici di parlare fuori da questo luogo?"
Erina non rispose, ma si alzò in piedi.
"Carceriere!" Gridò il Conte Hassildor. Con la testa china, l'uomo si affrettò a raggiungerlo. "Levagli le catene."
Il carceriere si avvicinò a Erina, che lo guardò da sotto un ciuffo di capelli arruffato. L'uomo girò la chiave nella grossa catena legate ai polsi della donna, la tolse, la prese e si voltò verso il Conte Hassildor, tenendo lo sguardo a terra.
"Informate le mie serve di preparare un bagno caldo per la mia ospite." Disse il Conte Hassildor al carceriere senza guardarlo in faccia. "E' assicurati personalmente che capiscono che l'acqua dev'essere calda, non tiepida."
Il Carcieriere annuì e lasciò con tutta fretta le segrete.
"Non sapete quanto io sia dispiaciuto di questo spiacevole inconveniente." Disse il Conte Vampiro.
Erina non rispose, gli occhi puntati sui suoi piedi scalzi e sporchi.
"Se le mie guardie avessero più giudizio di un granchio del fango, forse non sareste qui."
"Io vi ho colpito..." Rispose Erina, sorpresa di aver risposto di getto.
"Per una buona ragione. Ora vi prego di seguirmi." Il Conte Hassildor indicò l'uscita della cella con un ampio gesto della mano, come se Erina fosse una nobildonna in visita al castello.

Due ore dopo, verso il crepuscolo, due timide lune varcarono il cielo stellato. Erina era nella vasca, immersa nell'acqua calda. Gli occhi chiusi, il corpo completamente immerso eccetto per il viso. In quelle due ore si era scordata di tutto quello che aveva passato. Poi una serva fece capolinea nella stanza, portando sull'avambraccio un vestito di seta rosso con ricami dorati sulle spalle. Erina si destò subito da quel piacevole bagno, che oltre a lavare via lo sporco dalla sua pelle, gli aveva acquietata la mente. Guardò la serva, ma non disse nulla.
"Il Conte Hassildor desidera che indossiate questo vestito." Disse la serva, tenendo lo sguardo basso sul tappeto marrone.
"Grazie." Rispose Erina. "Faccio da sola."
"Il Conte Hassildor ha insistito che io vi aiutassi con..."
"Faccio da sola, grazie. Ora vai o puoi andare, insomma, hai capito."
La serva fece un leggero inchino e andò via, lanciando un occhio alle sue spalle.
Erina uscì dalla vasca, prese un asciugamano e si asciugò. Poi guardando il vestito di seta rosso steso sul letto, lo sfiorò con il dito, accarezzando ogni dettaglio e ricamo. "Nemmeno lavorando per tutta la vita potrei permettermi un vestito simile." Pensò con una nota di tristezza.

"Siete incantevole" Disse il Conte Hassildor quando Erina fece il suo ingresso nel suo studio. "Il bagno è stato di vostro gradimento?"
Erina annuì. I suoi capelli sciolti e un po' gonfi ricadevano quasi sulle sue spalle. La sala era illuminata fioche torce appese ai muri. 
"Vorrei che questa faccenda restasse tra noi." Aggiunse il Conte Vampiro. "La gente non deve sapere della mia... Vera identità. Confido nel vostro silenzio e nella vostra lealtà." si sedette lentamente dietro la scrivania. "E' una situazione al quanto strana, lo so, ma so che Netrom Morten tiene particolarmente a te."
"Lui sta bene?" Chiese Erina in un impeto di preoccupazione, sollevando la testa per essere sicura di essere udita. Poi abbassò lo sguardo e incrociò le mani davanti all'addome.
"Nessuna buona nuova. Sta esattamente come stava oggi."
"Quindi... Lui è qui? Gli hai fatto visita? Posso andarci anch'io?" Erina si avvicinò al Conte Vampiro, ma non si sedette.
"Sedetevi." Il Conte Hassildor indicò la sedia oltre la scrivania. "Ora va meglio. Ammetto che la mia idea originaria era quella di fargli visita. Poi ho scoperto della vostra presenza nelle segrete. Allora ho optato per incontravi e farvi uscire da quel luogo che non vi apparteneva. Inoltre, vi porgo le mie più umili scuse." L'espressione del Conte Vampiro rimase del tutto immutata, anche se quello che diceva lo pensava per davvero. 
"Non dovete scusarvi, C-Conte." Rispose Erina con un velo di disagio.
"Ma certo che vi devo delle scuse. Le mie guardie vi hanno gettata nelle segrete. Le mie prigioni non sono..." Il Conte Hassildor accennò un sorriso. "Non è importante. Ora vorrei sapere..."
"Non dirò niente a nessuno." Rispose Erina irrequieta. "Io starò in silenzio. Non dirò..."
"Non agitatevi." Rispose il Conte Hassildor. "Qui siete la benvenuta. Io non vi farò del male, come potrei d'altronde? Siete..." Il Conte Vampiro corrugò la fronte, non sicuro di quello che stava per dire. "Siete la donna di Netrom Morten, dopotutto."
"Sì... Cioè, noi..." Erina si incespicò con le parole. "Noi.. Non stiamo insieme."
"Allora vi chiedo venia. Sono stato... Informato male."
Erina non rispose, ma abbassò lo sguardo ai piedi della scrivania.
"Bene. Ora che ci siamo chiariti, dovrei far visita al mio buon amico Netrom Morten." Il Conte Hassildor guardò Erina, aspettandosi una risposta che aveva già intuito.
"Posso... Posso venire anch'io, C-Conte?" Rispose Erina con gli occhi spalancati dalla felicità, mista al terrore.


*****


"E' tutto pronto?" Chiese l'Elfo Scuro, uscendo nel portico fuori dalla villa del Conte Clavis.
"Sì. Aspettiamo i tuoi ordini." Rispose l'Imperiale, appoggiato di fianco su un pino, a dieci passi da lui.
"Andate, e non fatevi beccare dalla guardia cittadina."
"Non potrei andarci con l'Argoniano? L'orco è..." L'Imperiale distolse lo sguardo dal Mer.
"Niente storie! Ne ho abbastanza di voi due. Imparate a lavorare insieme, sennò..."
L'Imperiale abbassò lo sguardo. In quello stesso istante l'Orco li raggiunse, sbucando da dietro l'angolo della villa.
"Sono pronto, capo." Grugnì l'Orco. "Chi è il mio compagno?"
L'Elfo Scuro sbuffò e roteò gli occhi in aria "L'avete ricevuto il mio messaggio? L'avete letto?"
"Beh..." Disse incerto l'Orco, guardandosi attorno. "Penso che il servo... Insomma, uhm..."
L'Imperiale non rispose, ma dal suo viso non trasparì nulla.
"Voi due andate insieme. E questa volta non ammetterò errori. Inoltre, sarà l'ultima volta che vi lamenterete l'uno dell'altro, intesi?" L'Elfo Scuro li fulminò con gli occhi.
I due annuirono, intimoriti.

Quando l'Orco e l'Imperiale si diressero verso il carro su cui giaceva il vampiro avvolto da un telo di lana, nascosto sotto casse di vino economico, lattughe, carote, patate, mele, pere e pomodori, il Conte Clavis si accostò all'Elfo Scuro. Il Mer l'aveva visto arrivare, ma non si era girato, preferendo seguire con lo sguardo minaccioso i due che si allontanavano.
"Credi sia una decisione giusta mandare quei due a Skingrad?" Chiese il Conte, incrociando le mani dietro la schiena e tirando la testa indietro, assumendo un aria altezzosa.
"Che vuoi dire?" L'Elfo Scuro fece finta di non capire.
"Da quando sono arrivati qui, non fanno altro che litigare e azzuffarsi tra loro. Non hanno disciplina."
"E' solo una facciata."
"Una facciata?" Il Conte Clavis smorzò una lieve risata. "Quei due si faranno scoprire, e manderanno in malora il nostro piano."
"Da quando ti intendi di strategie?" L'Elfo Scuro si volse verso di lui.
"Cosa c'entra con quello che ti ho detto?" Rispose il Conte Clavis confuso.
"Risponditi da solo, Conte." L'Elfo Scuro andò verso il carro in partenza, mentre il Conte accigliato, lo guardò allontanarsi.


 
*****


Netrom Morten vagava nel vuoto. I suoi piedi spiccavano il volo, atterravano, cadevano, e s'immobilizzavano. L'oscurità l'aveva avvolto per l'ennesima volta, ma la voce di quella dolce donna all'orecchio non era svanita. Sussurrava melodie e parole che non capiva, ma che gli affrancavano l'anima. Poi si ritrovò catapultato in un luogo assai lontano, nel suo passato. La terra arida sotto i suoi piedi nudi sbuffava aria calda come un pentolone che stava per implodere. Non percepiva il calore, ma solo un vento gelido sulla sua pelle. "Dove mi trovo?" Pensò. "Perché sento soltanto freddo?"
Davanti a lui, un albero di betulla cadde da un precipizio, schiantandosi al suolo. Le foglie volteggiarono in aria, i rametti schizzarono lontani. Netrom Morten si avvicinò, scruto l'albero, ma non capì. D'un tratto udì lo scalpitio di un cavallo, poi di un altro e una altro ancora. Una dozzina di cavalieri armati di tutto punto si fermarono davanti a lui. Gli occhi verdi dei cavalli corazzati sembravano fissare quelli di Netrom Morten. Il cavaliere in testa alla colonna, scese dal cavallo, sfoderò la spada dal fianco e puntò la lama contro il Bretone. Indossavano armature d'ebano sporche di sangue coagulato e sbiadite. Portavano un elmo a maschera che celava i loro visi.
"Negromante!" La voce del cavaliere risuonò distorta, metallica e malefica. Poi senza dire una parola puntò la lama verso Est. 
Netrom Morten guardò in quella direzione. Scorse grossi fumi neri levarsi al cielo dietro una collina punteggiata da alberi e cespugli. Quando il Bretone tornò a guardare il Cavaliere, lui e il suo seguito erano svaniti, tranne il suo cavallo nero. Netrom Morten gli si avvicinò e cercò di accarezzargli il muso, ma il cavallo tentò di morderlo con i suoi denti affilati. Non era un comune cavallo. Il cavallo gli faceva segnò di salire in groppa con la testa. Quando fu salito, il vuoto lo risucchiò per pochi istanti e lo sputò fuori vicino a un villaggio. Netrom Morten era terra, il cavallo affianco a lui che lo fissava immobile. Il Bretone si alzò e scorse un villaggio in fiamme. Alcuni esseri, che sembravano più fumi neri umanoidi, armati di spade, asce e mazze correvano da tutte le parti, afferrando le donne dai capelli e sgozzandole. I Bambini in vita venivano gettati in pasto alle fiamme dentro le casupole, dove lingue di fuoco si innalzavano al cielo con sussurri e risate malefiche. Gli uomini squartati e mutilati, venivano impalati tutt'attorno al villaggio. Oltre il caos, le fiamme, il sangue, la morte, circondato da quelli che sembravano scheletri in armatura d'ebano, Netrom Morten intravide una sagoma curvata su un bastone. Era lui che sorrideva compiaciuto.

 
   
 
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