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Autore: CyanideLovers    30/08/2019    5 recensioni
Dopo aver tentato un compositore alla fama e al successo, Crowley è maledetto dalla moglie e tormentato dal suo fantasma fino alla fine dei suoi giorni. Aziraphale farebbe di tutto pur di salvarlo, l'unico problema è che non sa cosa sta succedendo e, in ogni caso, il problema potrebbe essere molto più complicato di quel che sembra.
Ispirata dalla sonata "Il trillo del Diavolo" di Giuseppe Tartini.
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ATTENZIONE: Nella storia ci saranno riferimenti a diversi temi delicati, nasce come una storia horror, leggete con cautela.
Genere: Angst, Dark, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Anatema Device, Aziraphale/Azraphel, Crowley, Madame Tracy, Shadwell
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Oneirataxia'
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Padova, Italia, 1770 

  

La prima reazione di Crowley fu quella di strisciare. 

(In fondo lui è un serpente, strisciare è nella sua natura.) 

Nell’esatto momento in cui la donna aveva esalato il suo ultimo respiro, si sentì libero di muoversi e cadere in avanti, in ginocchio, verso di lei. 
Il sangue gli era schizzato in faccia e cadendo si era sporcato le mani, le braccia, e l’unica cosa che riusciva a pensare era l’orribile sensazione appiccicosa contro la pelle. 

Sconvolto, la guardò per un’ultima volta: aveva uno sguardo terrificante, gli occhi spenti e sgranati, un’espressione sofferente e nonostante il velo poteva vedere il volto rigato dalle lacrime, gli occhi rossi, le occhiaie di chi non aveva dormito per giorni. 
Crowley si girò su un lato, cercò di alzarsi, ma il corpo non sembrava rispondere ai suoi comandi dopo aver passato così tanto tempo nella chiesa. Cercò di strisciare, di allungarsi verso l’uscita e gattonò per tutto il sentiero, il sangue che lo seguiva come un serpente. 

Strisciare era nella sua natura, dopotutto. 

 

Soho, Londra, Inghilterra, 500 giorni dopo l’Apocalisse che non c’è mai stata 

  

Crowley aveva suonato per ore finché qualcuno non gli aveva strappato di mano il violino, esasperato. 
Ovviamente, quel qualcuno era Aziraphale. 
Il demone aveva seguito con le braccia il violino, come se non fosse capace di lasciarlo andare del tutto. Quando staccò finalmente le mani dallo strumento e dall’archetto lo fece con un sospiro dolorante. 

“Mio caro, per quanto ami sentirti suonare, è l’alba e tu sembri esausto.” 

Il demone in effetti sembrava sul punto di crollare a terra per la stanchezza: aveva lo sguardo perso nel vuoto, gli occhi continuavano a ondeggiare sulle spalle dell’angelo tanto che quest’ultimo si girò per controllare che nessuno li stesse osservando. 
Ma dietro di lui non c’era niente e Aziraphale tornò a concentrarsi sull’amico che tremava per il freddo e la fatica. 

Non era la prima volta che succedeva. 

“Caro ragazzo, andiamo da me, ti preparo una tazza di tè caldo.”
 

“Angelo,” lo chiamò Crowley, lo sguardo ancora perso nel vuoto. “Puoi vederla?” 

Aziraphale si girò ancora una volta, ma le strade erano deserte, si prese un momento in più per aumentare le dimensioni della sua aura in caso ci fossero presenze che non erano visibili ai suoi occhi. 


“Chi?”


“Nessuno.” 

Anche questo era già successo. 

Si incamminarono verso la libreria, Crowley vagamente cosciente della mano intorno al suo braccio, come se l’angelo accanto a lui avesse paura che potesse crollare da un momento all’altro e si stesse tenendo pronto ad afferrarlo, se fosse successo. Prima che se ne rendesse conto, erano già arrivati davanti alla porta della piccola libreria. 
Guardò il suo riflesso nel vetro della porta e, improvvisamente, fu troppo cosciente di quello che era appena successo. 

“Scusa, devo andare.” 

“Andare?” Chiese Aziraphale, “Andare dove?” 

“A casa.” 

“A casa?” 

“Ho cose da fare, persone da tentare.” 

“Persone da tentare?” Domandò l’angelo alzando un sopracciglio. 

“Le piante… devo annaffiare le piante. Controllare la posta.” 

“Oh,” 

“E poi c’è un film che vorrei guardare, magari dormire per un po’.” 

“Certo, capisco.” Rispose l’angelo, lo sguardo leggermente preoccupato. “Mi sembri un po’ stanco.” 

“Forse, forse…” 

“Ci vediamo per cena? Tra una settimana magari.” 

“Certo. Splendido, fantastico, una settimana, ok… ok… si può fare. Offro io la prossima volta.” 

Aziraphale lo guardò sparire nella sua vecchia Bentley e rimase lì finché la macchina non girò l’angolo. Entrando nella libreria, non riuscì a scrollarsi di dosso la sensazione di solitudine mista a preoccupazione che gli aveva lasciato addosso il demone. 

  

 

Mayfair, Londra, Inghilterra, 1770 

  

Crowley si ritrovò nella sua casa di Londra in un istante. 
Nonostante fosse molto tempo che non tornava lì, su nessuna delle superfici avevano osato posarsi né polvere, né sporcizia. Le piante erano di un verde brillante, ricche di fiori e prive di macchie. Le piante di Crowley erano forti e testarde, non erano stupide: sapevano che anche la minima imperfezione le avrebbe portate alla distruzione. Spinsero la clorofilla a lavorare ancora di più, d'altronde potevano crescere con il minimo ammontare d’acqua e di sole. Le piante erano come il loro padrone; anche nelle avversità avrebbero finto di stare bene e fatto di tutto pur di sopravvivere. 

Il demone abbassò lo sguardo sulle mani incrostate di sangue e improvvisamente si sentì disgustato da quella visione, tutto quello che poteva vedere era solo rosso, sangue, la donna morta davanti a lui, lacrime negli occhi e uno sguardo…
morto, morto, morto. 

E sapeva che, in quanto demone, avrebbe dovuto apprezzare quella vista... ma il sangue era così appiccicoso e denso, così rosso e puzzava di ferro arrugginito e di fango rancido, le sue mani tremavano e non riusciva a capire come fosse possibile che i suoi vestiti fossero così inzuppati di sangue. 
Passò molto tempo in quello stato, agitato, tremante e molto, molto solo. 
Per giorni non fece altro che lavarsi le mani ma nonostante tutto, ogni volta che si portava le dita lunghe al volto, tornavano a essere bagnate e viscide di sangue fresco. 

Le piante sentirono la sua disperazione e iniziarono a tremare. Nella loro breve vita non avevano conosciuto terrore più grande del serpente dell’Eden. Non sapendo nulla del mondo, le piante conclusero che se c'era qualcosa che poteva spaventare il demone più tremendo che avessero mai conosciuto, doveva essere qualcosa di davvero terribile. 

Dormì per molto tempo. 

Non tanto quanto avrebbe voluto in realtà. 

Ogni volta che si specchiava la donna era dietro di lui.  

Riflessa nello specchio del bagno; 

riflessa nei vetri delle grandi finestre; 

riflessa nell’argenteria. 

Nel marmo lucido; 

nei piatti d’argento; 

nei calici di vino; 

nelle sue lenti scure. 

Sempre dietro di lui, senza mai andare via, senza mai essere stanca, nei suoi sogni era solo una figura nera e terrificante che piangeva di fronte a una tomba. 
Il viso rigato dalle lacrime, il volto nascosto da un velo nero. 
Mai abbastanza nascosto. 

E morta, morta, morta. 

Alla fine si abituò alla sua maledizione. 

Si abituo a non specchiarsi più. 

Si abituò a fingere che non fosse terrorizzato. 

Quando le stagioni iniziarono a cambiare e l’estate cedette il passo all’autunno e l’autunno all’inverno e l’inverno alla primavera, dopo anni e anni, Crowley guardò il suo riflesso e scoprì che la donna era sempre lì, con la promessa di tormentarlo finché la terra non avesse smesso di girare o lui non sarebbe morto. 

Si svegliò dopo tre mesi, ancora rannicchiato dietro il letto, sudato e tremolante con la sensazione di aver fatto solo uno strano sogno. 

Un brutto sogno, ecco cos’era.

Un sogno, niente di più. 

Così si alzò da terra, le giunture vagamente doloranti per essere rimasto in quella posizione accovacciata per tutti quelle settimane, senza essersi mosso neanche una volta. 

Un sogno. 

Se ne convinse per un momento, un lunghissimo secondo, finché non si guardò allo specchio. 
Lei era sempre lì, spaventosa e bellissima, meravigliosa e terrificante. 
Crowley la guardò, la studiò per un momento. 

“Vattene.” Comandò guardandola con odio. 

Ma lei rimase lì, giudicandolo in silenzio. 

  

  

Mayfair, Londra, Inghilterra, 1860 

  

Una donna, lacrime, uno sparo. 

Crowley si svegliò con un sussulto. 

Ancora. 

Una donna, lacrime, uno sparo. 

Ancora. 

Una donna, lacrime, uno sparo, lacrime, sangue. 

Ancora. 

“Ti maledico perché io lo amavo.” 

Lacrime, uno sparo, sangue. 

Ancora. 

Sangue, sangue, sangue. 

  Ancora. 

  

Crowley si svegliò con un sussulto. 

Per un secolo, ogni notte, sempre così. 

Un secolo. 

Cento anni. 

Mille e duecento mesi. 

E lei era lì per ogni secondo, ogni istante. Non c’era modo di sfuggirle. 

Tuttavia Crowley era certo che con il tempo ogni ferita si poteva rimarginare. Era un demone dopotutto, avrebbe certamente trovato un metodo per eliminare quella scocciatrice.  Quindi per molto tempo aveva vissuto consumando un’incolmabile fiducia nel futuro. 

Aveva fatto di tutto, ovviamente, per liberarsi della donna: 
aveva fatto ricerche, distrutto i corpi con le fiamme dell’inferno, aveva sigillato di nuovo la tomba, era fuggito dall'Italia e non vi era più tornato. 

Aveva cercato di dormire… ma lei lo seguiva, perennemente, anche nei sogni. 


Si era sciolto in un turbinio di alcool e droghe perché, nonostante tutto, gli umani riuscivano a stupirlo sempre, e si era abbandonato al piacere unico di tutte quelle sostanze che lo lasciavano come un corpo vuoto contro il materasso sporco di una vecchia baracca. 

Aveva cercato di lasciarsi andare ai piaceri della carne, all’estasi del corpo,
ma la sua pelle era intorpidita e insensibile. 
E lei lo guardava sempre, qualsiasi cosa facesse. 
E lui aveva così tanto freddo e niente riusciva mai a scaldarlo. 
Così continuò con il suo continuo ciclo di distruzione sistematica. 

dormire;
droghe;
alcool;
violenza. 

Ancora.
Tutto da capo. 

  

Non aveva più voce per urlare e l’incrollabile fiducia nel futuro, che lo aveva accompagnato per più di cinque millenni, si era consumata inevitabilmente. E ormai i suoi sorrisi iniziavano a essere sempre più duri e forzati, somigliavano a una paresi permanente, ma alla fine del giorno non aveva mai il cuore di lasciarsi andare e semplicemente morire. 

Con il tempo, tutto cambia: si era ormai abituato a non incrociare lo sguardo con specchi e superfici lucide per paura di incontrare il suo sguardo. Si era abituato alla sua maledizione. 
La maggior parte delle volte non era così male. Riusciva a gestire la cosa, soprattutto quando aveva bevuto abbastanza vino da riuscire a dimenticare.  

Certi giorni era peggio. 

Basta. 

Ti prego basta. 

Vai via. 

Ma lei, ovviamente, non lo avrebbe mai lasciato. 

Gli ci era voluta un’incredibile forza di volontà per alzarsi dal letto e riuscire a scrivere una lettera all’angelo per chiedergli di incontrarlo a St. James. 
Quell’unica sera passata con Aziraphale, mangiando crêpes e bevendo vino francese, era stato il solo momento in cui si era sentito di nuovo se stesso. 
Ma niente era come prima ormai. 

E lui era stanco, così stanco. 

Quindi si arrese. 

Pregò, per una volta, per un po’ di pietà da parte dell’angelo. 

Pregò, ancora, per la fine di quella tortura. 

Non si stupì comunque quando le sue preghiere non vennero ascoltate. 

  

  

Una baracca diroccata, Nei bassifondi della città di Londra, Inghilterra, 1920 

  

Crowley sapeva di star facendo un errore. 

Sapeva che stava sbagliando. 

Non gli importava, comunque. 

Un secolo passato a dormire eppure si sentiva ancora incredibilmente esausto. 

E lei era sempre lì, ovviamente. 

Ovviamente, ovviamente, ovviamente. 

Il demone rise. 

Perché, davvero, non trovate che sia divertente? 

Un angelo caduto e maledetto da Dio in persona che è più spaventato di una donnetta morta un secolo e mezzo prima. 

Rise. 

Non riusciva più a guardarsi allo specchio, non riusciva a dormire, non riusciva a mangiare, l’alcool lo disgustava e le droghe non bastavano più.
(Questo ovviamente non lo fermava mai. Nonostante il disgusto, lui ne voleva sempre di più, di più, di più). 

Così se ne stava giorno e notte su quel vecchio materasso sporco, completamente distaccato dal corpo, fluttuava in mezzo al dolore, alla nausea e al disgusto, mentre più in basso un uomo strisciava sopra di lui, lo baciava.
Lo sfiorava, non in modo gentile. 


Lo prendeva per i capelli.
Non era importante. 


Davvero, perché avrebbe dovuto importargli, non è che fosse consapevole di quello che stava succedendo. 

E Crowley ride, ride. 

Perché gli umani sono così meravigliosi, più spaventosi di Dio e Satana. 

Crudeli. 
Malvagi. 
Terrificanti. 

Per un momento non vide nulla, solo la donna che si avvicinava verso di lui: la sua mente in questo momento era un fiume di nebbia bianca e grigia, fumo nero, una terra desolata e lui era al centro, fluttuava inesorabilmente di qua e di là e tutto era bruciato e lei era lì che lo guardava, non rideva e non parlava, lo guardava e basta e Crowley avrebbe solo voluto urlare: vattene, vattene, per l’amor di qualcuno, lasciami solo. 


Ma tutto quello che riuscì a mugugnare fu un misero: scusami, Scusami, mi dispiace, mi dispiace.  

E lui cercò di scappare ma l’uomo lo afferrò per le braccia costringendolo a rimanere fermo ma a Crowley non importava. Il demone iniziò a urlare guardando la donna che si avvicinava verso di lui, terrorizzato. 

E improvvisamente tutto divenne troppo: 
la nebbia era troppo densa, non vedeva dove si trova; 
il respiro era affannoso, i polmoni bruciavano. 
Lo stomaco si contraeva e sussultava tra gli spasmi, la sensazione era quella di un serpente enorme che cercava di risalire per la gola. 
Gli occhi erano grandi, spalancati, le pupille dilatate all’inverosimile.

Non vedeva niente, era diventato cieco?
L’uomo non sembrò notarlo. 

Il suo tocco era doloroso, bruciava, lo soffocava. 

Un demone? Il diavolo? Satana? 

L’uomo era pesante e puzzava di alcool e era sporco, disgustoso, come uno di quei demoni che non erano mai usciti dall’Inferno. 

Era all’inferno? 

Crowley emise un suono patetico, una specie di mezzo sibilo e un mezzo ululato sottile, un sussurro dolorante: 
“Aziraph” 

Non riuscì a finire la parola. 
L’uomo lo aveva preso per la gola, cercando di soffocarlo, e lui non riusciva a muoversi, non riusciva a vedere e soprattutto non riusciva a respirare. 

Poi tre cose avvennero, prima che perdesse del tutto conoscenza: 

Gli occhi erano una fessura sottilissima, tra le ciglia e le lacrime riuscì a vedere vagamente della luce. 

Il peso sopra il suo corpo era improvvisamente sparito, non c’erano più mani intorno al collo e lui sentì di poter di nuovo respirare. Crowley aprì la bocca violacea con un sussulto e cercò di inalare quanta più aria possibile; i polmoni bruciavano, il corpo tremava e il demone sentì i polmoni muoversi sotto la carne, spasmi violenti come quando stai sott’acqua per troppo tempo. 
Qualcuno lo sfiorò delicatamente, gli asciugò le lacrime dal viso e lui continuò a tremare in modo patetico. 
Mani gentili avvolsero il suo corpo nudo in una coperta pulita e lo strinsero contro un petto morbido. 

“Mio caro ragazzo, cosa hai fatto?” Mormorò la voce più bella che avesse mai sentito. 

Di tutto, avrebbe voluto dire, ho mandato all’inferno un uomo innocente. La sua unica colpa era quella di essere troppo brillante. 

Quella donna mi ha maledetto. Poi si è sparata. 

Sono morti per colpa mia. 

Adesso lei mi tormenta da un secolo e mezzo. 
Ti prego, ti prego, uccidimi. 

Ma non riuscì a dire niente di tutto ciò e, prima che potesse anche solo emettere un suono, si addormentò: 
per la prima volta, dopo un secolo e mezzo, venne cullato in un sonno senza sogni. 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note:

Ragazzi, grazie per gli amorevoli commenti, siete stati tutti gentilissimi <3
Come si dice "Questo è il motivo per cui non possiamo avere cose belle."
Nota molto importante, questa storia è scritta a quattro mani da me e da Aspirina_effervescente ma se devo essere del tutto onesta è più lui che scrive..io mi limito a scrivere note su musica e a fare ricerca ahah
Ringraziamo sempre Setsy che ci ha aiutato a correggere la storia, buffo come ci si dimentichi che le regole grammaticali siano importanti quando si scrive una storia, e chi se lo aspettava ahah

Seconda cosa, meno importante, il blog che curiamo da un anno (Cyanidechan ) vi aspetta nel caso voleste vedere qualche fanart creata dalla sottoscritta o semplicemente aveste voglia di chiacchierare con noi o seguire i nostri deliri giornalieri.
Il prossimo capitolo arriverà con un po' di ritardo perchè siamo tutti preparando esami ma dovrebbe essere comunque pronto circa in una settimana.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Come sempre, aspetto con ansia i vostri adorabili commenti e suggerimenti 

Buona giornata, miei cari <3

   
 
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