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Autore: Celtica    31/08/2019    3 recensioni
Jon/Sansa | Post ottava stagione | link video nei vari capitoli
Sansa regna in solitudine sul nord quando riceve la visita di Jon Snow, venuto a renderle omaggio. Rivederlo la fa sentire ancora più sola, così decide di chiedergli di restare. Lui rifiuta, ma torna a Grande Inverno quando Sansa viene colpita da una freccia. Chi ha attentato alla sua vita?
Per scoprirlo, Jon, Arya e Brienne tornano a Grande Inverno.
Dal capitolo 7:
“«Ti hanno picchiata?»
La voce di Jon è dura come il granito della fortezza, fredda come il nord.
«No.» A quella domanda, a quel tono, quella di Sansa si riscalda invece come le sorgenti sotterranee che danno calore all’intero castello. Insieme, sono la voce dell’inverno, un intreccio di ghiaccio e fuoco, di calore e gelo. Perché uno non può esistere senza l’altro.”

Dai prossimi capitoli:
«Non mi è permesso prendere moglie.»
«Bene. Perché io non voglio più essere la moglie di nessuno.»

Jon/Sansa | Arya/Gendry | Brienne/Tormund
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Arya Stark, Brienne di Tarth, Gendry Waters, Jon Snow, Sansa Stark
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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12. Cerchio Protettivo

12

Cerchio Protettivo

 

 

  

S

ono tutti riuniti nella Sala Grande, al cospetto di Sansa. Jon li guarda inginocchiarsi uno a uno, ma la sua mente è rivolta altrove. Al viso di Sansa. A come sono diventate rosse le sue guance dopo il bacio. Non è mai stata più bella.
Nemmeno rivederla al Castello Nero – una donna, non più una bambina – è stato come quel momento.
Al Castello Nero, Jon sapeva di aver ritrovato la sua famiglia. Ora si chiede cosa siano loro due.

«Altezza, è un piacere sapere che stai bene» esordisce Brienne, sotto l’occhio attento di Tormund.
Lui non si è inginocchiato, ma è in piedi accanto al tavolo a cui è seduta Sansa.
«È un piacere anche per me, Ser Brienne.»
«Perdonami, Altezza.» Davos solleva la testa. «Ma ora è con la Lady Comandante della Guardia Reale che stai parlando.»
Sansa non sorride. Alza il mento e lo guarda. «E tu, invece? Cos’ha fatto di te mio fratello?»
«L’idea è stata di Lord Tyrion, Vostra Grazia. Ha fatto di me un Lord e il mastro delle navi.»
A quel nome, il volto di Sansa si incrina. Jon china la testa. Sono stati sposati… anche se Tyrion non l’ha mai toccata.

«Cosa vi porta così a nord, miei Lord?»
«Sua Altezza Re Brandon ci ha inviati in tuo soccorso.»
Poi Sansa volta il capo verso Tormund. «Ti ringrazio per essere venuto.»
Ma Jon sa che quelle parole sono anche per lui. Sua sorella sta facendo di tutto per non guardarlo, e questo è sufficiente a farlo sorridere.

«Ci hai ospitati nel tuo castello durante la battaglia» risponde Tormund.
«Era il castello di mio fratello.»

Mio fratello.
Jon si sente teso come si è sentito in tutti quei giorni trascorsi lontano da lei. Vorrebbe trascinarla via da tutti quei lord, dai suoi Consigli, e smettere di parlare. Non possono permettersi di pensare a quanto è successo.

“Anche tu?”, avrebbe voluto dirle quando ha capito, quando Sansa stava per baciarlo.
“Anche io.”

Ma le parole sono vento. E qualunque cosa possano dire metterebbe in pericolo entrambi.
«Altri non avrebbero accettato Bruti nel loro castello» replica Tormund. E Jon sa che non ci saranno altri ringraziamenti da parte sua.
«Siete amici di mio fratello.» Sansa solleva il mento. «Siete amici miei.»
Tormund fa solo un cenno di assenso, come se Sansa si fosse appena meritata il suo rispetto. Poi Jon vede entrambi posare gli occhi su Brienne.

«Vi ringrazio per essere qui.»

Stavolta è Brienne a prendere la parola, rubandola a Davos. «Re Brandon voleva assicurarsi che stessi bene, Altezza. E farti sapere che lui non ha nulla a che fare con tutto questo.»
Sansa continua a osservarla. Jon riesce quasi a sentire i suoi pensieri che prendono forma nella sua mente.
«Gli hai chiesto tu di venire?» domanda poi, davanti a tutta la Corte.
Tutti gli occhi sono puntati su Brienne. A nessuno sfugge la sua esitazione.
«L’ho giurato a lady Catelyn.»
Sansa abbassa le palpebre. «Ti ringrazio.»

“Non ha giurato nulla su di te, Jon.”

Sente il cuore battere più veloce. Non vuole allontanarsi da Grande Inverno – da Sansa – anche se Brienne potrebbe decidere diversamente.
Potrebbe scrivere al suo Re, chiedergli come comportarsi. E Bran non è più Bran. Bran è il Re dei sei regni. Bran potrebbe decidere di punirlo secondo la legge. Anche perché ora che Sansa è in pericolo, solo quella punizione potrebbe tenerlo lontano da lei.

Ora che so cosa prova.

E d’un tratto tutto si fa chiaro: la tristezza di Sansa, la mancanza di appetito, la lentezza della sua guarigione.
Sansa stava così per lui, per Jon.
Arretra nella Sala Grande, mentre Davos si riappropria del suo ruolo di inviato e ricomincia a parlare.

«Hai scoperto chi è stato, Maestà?»
«Pensiamo a un attacco isolato» interviene maestro Ronald. «Opera di qualche brigante.»
«Perché un brigante dovrebbe attaccare la Regina?»
«Malcontento…»

«Forse perché sono una donna» lo interrompe Sansa. «O forse non si tratta di un brigante. Magari c’è di più… Non mi è stato possibile indagare, miei lord. Magari voi potrete aiutarmi in questo.»
A Jon non sfugge lo sguardo che maestro Ronald scambia con una guardia. Si chiede perché. Che motivo avrebbe un maestro della Cittadella, che nemmeno conosce Grande Inverno? Che nemmeno conosce Sansa.

Se la conoscesse non vorrebbe farle del male.

Eppure il maestro ha avuto tante occasioni per colpire. Tante occasioni per non sbagliare senza farsi scoprire.
Jon decide di tenerlo d’occhio. Lui e le guardie più vicine a Sansa. E pensa anche un’altra cosa: ovunque lei vada ora, ovunque si trovi, Spettro dovrò essere con lei. E Tormund, o Brienne.

O io.

 

Arya ha preso un cavallo e viaggia sola per tornare a Grande Inverno. Non ha inviato corvi, non si è fermata ad Approdo del Re a chiedere a Bran – lui sa. Ha tirato dritto per la sua strada.
Ha tutta la Strada del Re da percorrere, tanto tempo per pensare.
Qualcuno ha colpito Sansa. Qualcuno la vuole morta. Si chiede se Jon lo abbia saputo, se si stia informando sulle condizioni della sorella. Lui è vicino. Gli basterebbe poco per raggiungerla e assicurarsi che stia bene.
Lo conosce abbastanza da sapere che il suo desiderio è la loro felicità. La loro salute. Ma è abbastanza per lasciare il Castello Nero? È abbastanza per ignorare il suo giuramento?

L’ha già fatto.

Con la donna dei Bruti.
Sta pensando a tutto questo quando si accorge del fumo. È mattina, e le terre che attraversa non sono ancora bianche di neve. Ma il fumo… quello sale dritto, rendendo grigio il cielo. Non è il fuoco di un camino, no, ma potrebbe essere quello di cento camini.

Arya tira le redini e si ferma. Grande Inverno è lontano. Mentre il fumo è lì, a poche ore di distanza. Scoprire cosa succede non le ruberà più di mezza giornata di viaggio.
Affonda i talloni nei fianchi dell’animale e lo sprona al galoppo. Si inoltra nel bosco ancora verde, dove terreno e massi sono ricoperti di muschio. Non cantano gli uccelli. Non c’è rumore.
Il cavallo corre, svolta ogni volta che Arya si muove su di lui, indicandogli la direzione. Quando si ferma, ha il respiro affannato, le vene in vista dopo lo sforzo.
Lei volteggia giù di sella. Gli accarezza il collo e lega le redini al ramo basso di un albero.
Poi lo lascia lì.
È brava a camminare di soppiatto, a non farsi sentire. Percorre una certa distanza prima di sentire quelle voci. Non riesce a capire cosa dicano. Parlano una lingua che lei non conosce.

Da dove arrivano? Cosa ci fanno lì?

Poi ode un pianto.
C’è una donna con loro. La trascinano per i capelli.
La mano di Arya corre al pugnale in acciaio di Valyria, il dono di Bran.
Si avvicina, nota un gruppetto di case in una radura, corpi stesi a terra. Non ci sono lamenti. Sono tutti morti. Un gruppetto di uomini sta bruciando i tetti di paglia, un altro passa in rassegna i cadaveri prendendo ciò che trova.

La donna grida. Arya volta la testa indietro, verso il folto bosco.
Torna sui suoi passi, il pugnale in mano.
C’è un uomo solo, chino su un corpo di ragazza. Arya gli arriva alle spalle senza fare rumore. Si accorge di lei solo quando si sente sollevare la testa, e non ha nemmeno il tempo di urlare quando la lama scorre sulla sua gola, squarciandola.
Manca l’altro uomo.
La ragazza smette di urlare, ha il terrore negli occhi.

«Vattene» le dice Arya.

Ma lo sguardo della giovane si posa sul pugnale sporco di sangue, come se rivedesse in Arya un’altra sé stessa. «Non ci farai niente con quello» riesce a mormorare.
«Ho ucciso di peggio con questo.» Solleva la lama, e in quel momento ode un rumore alle sue spalle.
Si volta, e il pugnale è già in volo. Punta dritto all’altro uomo. Lui riesce a urlare prima di morire. È una parola che Arya non conosce, in quella lingua che non ha mai sentito.
«Va’ via» ripete alla ragazza, mentre gli uomini rimasti sono fermi a osservare il bosco.

Poi estrae Ago – finalmente – il sorriso di Jon Snow, il filo che la lega a Grande Inverno.
Esce dal fitto degli alberi e si lascia accerchiare da quegli stranieri. Avrebbe tante domande da fare, ma non è il momento. Ha deciso: ne lascerà vivo uno per dopo.
I suoi passi sono come una danza, come quando ha ucciso gli Estranei a casa sua. Ora deve uccidere altri estranei in una terra che non le appartiene.
Ago scivola sopra e sotto di lei, forma un cerchio protettivo intorno al suo corpo. E poi colpisce. Il primo ad avvicinarsi è già a terra, a reggere un buco nel petto.

Infilzali con la punta.
Il secondo uomo impreca in quella sua strana lingua, ma Arya è sicura che la stia minacciando di morte.

Non oggi.

Ago ruota intorno a lei, è come un nastro che danza nel vento. Forma un sorriso sul ventre dell’uomo, ed è il suo piede a spingerlo a terra. Lui ci metterà di più a morire.
Ora che ha ciò che voleva, Arya non ha più freni. Ruota la spada come ruoterebbe il braccio in una danza del sud. Lascia che il suo acciaio canti contro quello dei suoi avversari, che esplori i loro corpi e baci il loro sangue.
E poi non resta più nessuno in piedi. Solo lei.

Pulisce la lama negli abiti colorati di un morto. Corre a riprendere il suo pugnale – Ditocorto e il Re della Notte – e lo fa scorrere contro un mantello grigio. Poi lo infila nel fodero.
Torna dagli uomini a terra, uno agonizzante, gli altri morti.
«Vediamo se ho scelto bene» mormora, piegandosi sulle ginocchia.
Lo guarda sgranare gli occhi, mentre le mani cercano di reggere la pancia senza troppo successo.

«Parli la mia lingua?»

Inclina la testa di lato, lancia uno sguardo al villaggio in fiamme, alla gente uccisa. «Andiamo… sì che la parli. Altrimenti cosa ci faresti qui?»
Un cadavere è lì vicino. Le basta allungare una mano per frugare tra i suoi abiti. Deve scoprire chi è, chi sono, chi li ha mandati. Non sono briganti. Non hanno abiti di poco conto. E parlano una lingua mai sentita prima.

«Non vuoi dirmi niente?»

Trova solo monete di un conio che non appartiene a Westeros, ma alle città libere. Stringe il pugno, e si chiede cosa ci facciano così lontani da casa.
La Compagnia Dorata è distrutta. Che ne sia rimasto qualcuno e abbia deciso di vendicarsi? Ma perché? Perché attaccare un villaggio sperduto in un continente straniero? Perché non tornare a casa, e tentare di unirsi a un’altra Compagnia…

Poi Arya ricorda. Ricorda la Regina dei Draghi, la Distruttrice di Catene. Ricorda i racconti di Jon, i discorsi ascoltati di nascosto a Grande Inverno.
Daenerys ha lasciato qualcuno indietro. Era una Regina al di là del Mare Stretto. Aveva un regno fatto di Piramidi, città ricche e schiavi liberati che vivevano per lei.
Una notte, Arya aveva sentito i bisbigli di Varys e Tyrion… aveva udito un nome mai sentito prima.
Scava nella mente e quella frase si forma davanti a lei, come se una piuma invisibile l’avesse appena scritta nel vento.

“Dovrebbe chiamare i Secondi Figli. Così avrebbe un’armata grande quanto la prima, e potrebbe affrontare Cersei faccia a faccia.”
“Credi davvero che Daario Naharis le suggerirebbe di assediare Approdo del Re? Di aspettare la resa di Cersei? No, tu non lo conosci, amico mio. Daario sarebbe capace di dirle di bruciare tutto.”

 

   
 
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