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Cerchio Protettivo
S |
ono
tutti riuniti nella Sala Grande, al cospetto di Sansa. Jon li guarda
inginocchiarsi uno a uno, ma la sua mente è rivolta altrove. Al viso di
Sansa. A come sono diventate rosse le sue guance dopo il bacio. Non è mai stata
più bella.
Nemmeno rivederla al Castello Nero – una donna,
non più una bambina – è stato come quel momento.
Al Castello Nero, Jon sapeva di aver ritrovato la
sua famiglia. Ora si chiede cosa siano loro due.
«Altezza, è un piacere sapere che stai bene»
esordisce Brienne, sotto l’occhio attento di Tormund.
Lui non si è inginocchiato, ma è in piedi accanto
al tavolo a cui è seduta Sansa.
«È un piacere anche per me, Ser Brienne.»
«Perdonami, Altezza.» Davos solleva la testa. «Ma
ora è con la Lady Comandante della Guardia Reale che stai parlando.»
Sansa non sorride. Alza il mento e lo guarda. «E
tu, invece? Cos’ha fatto di te mio fratello?»
«L’idea è stata di Lord Tyrion, Vostra Grazia. Ha
fatto di me un Lord e il mastro delle navi.»
A quel nome, il volto di Sansa si incrina. Jon
china la testa. Sono stati sposati… anche se Tyrion non l’ha mai toccata.
«Cosa vi porta così a nord, miei Lord?»
«Sua Altezza Re Brandon ci ha inviati in tuo
soccorso.»
Poi Sansa volta il capo verso Tormund. «Ti
ringrazio per essere venuto.»
Ma Jon sa che quelle parole sono anche per lui.
Sua sorella sta facendo di tutto per non guardarlo, e questo è sufficiente a
farlo sorridere.
«Ci hai ospitati nel tuo castello durante la
battaglia» risponde Tormund.
«Era il castello di mio fratello.»
Mio
fratello.
Jon si sente teso come si è sentito in tutti quei
giorni trascorsi lontano da lei. Vorrebbe trascinarla via da tutti quei lord,
dai suoi Consigli, e smettere di parlare. Non possono permettersi di pensare a
quanto è successo.
“Anche
tu?”,
avrebbe voluto dirle quando ha capito, quando Sansa stava per baciarlo.
“Anche
io.”
Ma le parole sono vento. E qualunque cosa possano
dire metterebbe in pericolo entrambi.
«Altri non avrebbero accettato Bruti nel loro
castello» replica Tormund. E Jon sa che non ci saranno altri ringraziamenti da
parte sua.
«Siete amici di mio fratello.» Sansa solleva il
mento. «Siete amici miei.»
Tormund fa solo un cenno di assenso, come se
Sansa si fosse appena meritata il suo rispetto. Poi Jon vede entrambi posare
gli occhi su Brienne.
«Vi ringrazio per essere qui.»
Stavolta è Brienne a prendere la parola,
rubandola a Davos. «Re Brandon voleva assicurarsi che stessi bene, Altezza. E
farti sapere che lui non ha nulla a che fare con tutto questo.»
Sansa continua a osservarla. Jon riesce quasi a
sentire i suoi pensieri che prendono forma nella sua mente.
«Gli hai chiesto tu di venire?» domanda poi,
davanti a tutta la Corte.
Tutti gli occhi sono puntati su Brienne. A
nessuno sfugge la sua esitazione.
«L’ho giurato a lady Catelyn.»
Sansa abbassa le palpebre. «Ti ringrazio.»
“Non ha
giurato nulla su di te, Jon.”
Sente il cuore battere più veloce. Non vuole
allontanarsi da Grande Inverno – da Sansa
– anche se Brienne potrebbe decidere diversamente.
Potrebbe scrivere al suo Re, chiedergli come
comportarsi. E Bran non è più Bran. Bran è il Re dei sei regni. Bran potrebbe
decidere di punirlo secondo la legge. Anche perché ora che Sansa è in pericolo,
solo quella punizione potrebbe tenerlo lontano da lei.
Ora che
so cosa prova.
E d’un tratto tutto si fa chiaro: la tristezza di
Sansa, la mancanza di appetito, la lentezza della sua guarigione.
Sansa stava così per lui, per Jon.
Arretra nella Sala Grande, mentre Davos si
riappropria del suo ruolo di inviato e ricomincia a parlare.
«Hai scoperto chi è stato, Maestà?»
«Pensiamo a un attacco isolato» interviene
maestro Ronald. «Opera di qualche brigante.»
«Perché un brigante dovrebbe attaccare la
Regina?»
«Malcontento…»
«Forse perché sono una donna» lo interrompe
Sansa. «O forse non si tratta di un brigante. Magari c’è di più… Non mi è stato
possibile indagare, miei lord. Magari voi potrete aiutarmi in questo.»
A Jon non sfugge lo sguardo che maestro Ronald
scambia con una guardia. Si chiede perché. Che motivo avrebbe un maestro della
Cittadella, che nemmeno conosce Grande Inverno? Che nemmeno conosce Sansa.
Se la
conoscesse non vorrebbe farle del male.
Eppure il maestro ha avuto tante occasioni per
colpire. Tante occasioni per non sbagliare senza farsi scoprire.
Jon decide di tenerlo d’occhio. Lui e le guardie
più vicine a Sansa. E pensa anche un’altra cosa: ovunque lei vada ora, ovunque
si trovi, Spettro dovrò essere con lei. E Tormund, o Brienne.
O io.
∞
Arya
ha preso un cavallo e viaggia sola per tornare a Grande Inverno. Non ha inviato
corvi, non si è fermata ad Approdo del Re a chiedere a Bran – lui sa. Ha tirato dritto per la sua
strada.
Ha tutta la Strada del Re da percorrere, tanto
tempo per pensare.
Qualcuno ha colpito Sansa. Qualcuno la vuole
morta. Si chiede se Jon lo abbia saputo, se si stia informando sulle condizioni
della sorella. Lui è vicino. Gli basterebbe poco per raggiungerla e assicurarsi
che stia bene.
Lo conosce abbastanza da sapere che il suo
desiderio è la loro felicità. La loro salute. Ma è abbastanza per lasciare il
Castello Nero? È abbastanza per ignorare il suo giuramento?
L’ha già
fatto.
Con la donna dei Bruti.
Sta pensando a tutto questo quando si accorge del
fumo. È mattina, e le terre che attraversa non sono ancora bianche di neve. Ma
il fumo… quello sale dritto, rendendo grigio il cielo. Non è il fuoco di un
camino, no, ma potrebbe essere quello di cento camini.
Arya tira le redini e si ferma. Grande Inverno è
lontano. Mentre il fumo è lì, a poche ore di distanza. Scoprire cosa succede
non le ruberà più di mezza giornata di viaggio.
Affonda i talloni nei fianchi dell’animale e lo
sprona al galoppo. Si inoltra nel bosco ancora verde, dove terreno e massi sono
ricoperti di muschio. Non cantano gli uccelli. Non c’è rumore.
Il cavallo corre, svolta ogni volta che Arya si
muove su di lui, indicandogli la direzione. Quando si ferma, ha il respiro
affannato, le vene in vista dopo lo sforzo.
Lei volteggia giù di sella. Gli accarezza il
collo e lega le redini al ramo basso di un albero.
Poi lo lascia lì.
È brava a camminare di soppiatto, a non farsi
sentire. Percorre una certa distanza prima di sentire quelle voci. Non riesce a
capire cosa dicano. Parlano una lingua che lei non conosce.
Da dove arrivano? Cosa ci fanno lì?
Poi ode un pianto.
C’è una donna con loro. La trascinano per i
capelli.
La mano di Arya corre al pugnale in acciaio di
Valyria, il dono di Bran.
Si avvicina, nota un gruppetto di case in una
radura, corpi stesi a terra. Non ci sono lamenti. Sono tutti morti. Un
gruppetto di uomini sta bruciando i tetti di paglia, un altro passa in rassegna
i cadaveri prendendo ciò che trova.
La donna grida. Arya volta la testa indietro,
verso il folto bosco.
Torna sui suoi passi, il pugnale in mano.
C’è un uomo solo, chino su un corpo di ragazza.
Arya gli arriva alle spalle senza fare rumore. Si accorge di lei solo quando si
sente sollevare la testa, e non ha nemmeno il tempo di urlare quando la lama
scorre sulla sua gola, squarciandola.
Manca l’altro uomo.
La ragazza smette di urlare, ha il terrore negli
occhi.
«Vattene» le dice Arya.
Ma lo sguardo della giovane si posa sul pugnale
sporco di sangue, come se rivedesse in Arya un’altra sé stessa. «Non ci farai
niente con quello» riesce a mormorare.
«Ho ucciso di peggio con questo.» Solleva la
lama, e in quel momento ode un rumore alle sue spalle.
Si volta, e il pugnale è già in volo. Punta dritto
all’altro uomo. Lui riesce a urlare prima di morire. È una parola che Arya non
conosce, in quella lingua che non ha mai sentito.
«Va’ via» ripete alla ragazza, mentre gli uomini
rimasti sono fermi a osservare il bosco.
Poi estrae Ago – finalmente – il sorriso di Jon
Snow, il filo che la lega a Grande Inverno.
Esce dal fitto degli alberi e si lascia
accerchiare da quegli stranieri. Avrebbe tante domande da fare, ma non è il
momento. Ha deciso: ne lascerà vivo uno per dopo.
I suoi passi sono come una danza, come quando ha
ucciso gli Estranei a casa sua. Ora deve uccidere altri estranei in una terra
che non le appartiene.
Ago scivola sopra e sotto di lei, forma un
cerchio protettivo intorno al suo corpo. E poi colpisce. Il primo ad
avvicinarsi è già a terra, a reggere un buco nel petto.
Infilzali
con la punta.
Il secondo uomo impreca in quella sua strana
lingua, ma Arya è sicura che la stia minacciando di morte.
Non
oggi.
Ago ruota intorno a lei, è come un nastro che
danza nel vento. Forma un sorriso sul ventre dell’uomo, ed è il suo piede a
spingerlo a terra. Lui ci metterà di più a morire.
Ora che ha ciò che voleva, Arya non ha più freni.
Ruota la spada come ruoterebbe il braccio in una danza del sud. Lascia che il
suo acciaio canti contro quello dei suoi avversari, che esplori i loro corpi e
baci il loro sangue.
E poi non resta più nessuno in piedi. Solo lei.
Pulisce la lama negli abiti colorati di un morto.
Corre a riprendere il suo pugnale – Ditocorto e il Re della Notte – e lo fa
scorrere contro un mantello grigio. Poi lo infila nel fodero.
Torna dagli uomini a terra, uno agonizzante, gli
altri morti.
«Vediamo se ho scelto bene» mormora, piegandosi
sulle ginocchia.
Lo guarda sgranare gli occhi, mentre le mani
cercano di reggere la pancia senza troppo successo.
«Parli la mia lingua?»
Inclina la testa di lato, lancia uno sguardo al
villaggio in fiamme, alla gente uccisa. «Andiamo… sì che la parli. Altrimenti
cosa ci faresti qui?»
Un cadavere è lì vicino. Le basta allungare una
mano per frugare tra i suoi abiti. Deve scoprire chi è, chi sono, chi li ha
mandati. Non sono briganti. Non hanno abiti di poco conto. E parlano una lingua
mai sentita prima.
«Non vuoi dirmi niente?»
Trova solo monete di un conio che non appartiene
a Westeros, ma alle città libere. Stringe il pugno, e si chiede cosa ci
facciano così lontani da casa.
La Compagnia Dorata è distrutta. Che ne sia
rimasto qualcuno e abbia deciso di vendicarsi? Ma perché? Perché attaccare un
villaggio sperduto in un continente straniero? Perché non tornare a casa, e
tentare di unirsi a un’altra Compagnia…
Poi Arya ricorda. Ricorda la Regina dei Draghi,
la Distruttrice di Catene. Ricorda i racconti di Jon, i discorsi ascoltati di
nascosto a Grande Inverno.
Daenerys ha lasciato qualcuno indietro. Era una
Regina al di là del Mare Stretto. Aveva un regno fatto di Piramidi, città
ricche e schiavi liberati che vivevano per lei.
Una notte, Arya aveva sentito i bisbigli di Varys
e Tyrion… aveva udito un nome mai sentito prima.
Scava nella mente e quella frase si forma davanti
a lei, come se una piuma invisibile l’avesse appena scritta nel vento.
“Dovrebbe
chiamare i Secondi Figli. Così avrebbe un’armata grande quanto la prima, e
potrebbe affrontare Cersei faccia a faccia.”
“Credi
davvero che Daario Naharis le suggerirebbe di assediare Approdo del Re? Di
aspettare la resa di Cersei? No, tu non lo conosci, amico mio. Daario sarebbe
capace di dirle di bruciare tutto.”