Dopo
aver riposato per strada, con la fronte grondante di sudore,
procedevamo a passo svelto per una meta che ignoravo: Levi credeva che
fosse meglio così. Il sole era oramai alto in cielo, quando
caddi sulle mie stesse ginocchia.
"Ti vuoi muovere?"-brontolò il corvino, qualche metro più
avanti. "Di questo passo, non arriveremo mai"-disse voltandosi, mentre
si passava una mano sopra gli occhi.
"Non so neanche dove stiamo andando, perché dovrei muovermi?"-mi
lamentai e poi, rialzandomi, presi a guardarlo con la faccia da
cucciolo bastonato. "Ti prego"-attorcigliai il mio braccio attorno al suo, continuando a supplicarlo.
"Tsk! Stiamo andando a casa mia"-si arrese lui, cercando di
divincolarsi dalla mia presa. "Andiamo, falla finita" "Per essere un
soldato del corpo di ricerca, si, va bene, non
urlo, scusa. Dicevo, per essere un soldato" -ripetei abbassando il tono
della voce- "non sei abituato a stare con le donne"-ammisi e Levi mi
allontanò completamente. Che modi piagnucolai io.
"Non capisco il nesso"-esordì infine con timidezza, e io lo canzonai, facendo finta di non capire: "Quale nesso?"
"Tra l' essere un soldato e avere la compagnia di più donne"
Allora risi, trattenendo la pancia. "Non lo so nemmeno io! Papà
diceva così" Il corvino mi guardò curioso e torvo. "Che
voi soldati siete buoni solo a bere e a"-mi bloccai e non riuscii a non arrossire nel pensare alla frase che avevo formulato-" si, dai che lo sai"
A quel punto, farneticò qualcosa che non riuscii a capire e
accelerò il passo, lasciandomi indietro. Io ridevo e correvo per
raggiungerlo, ancora rossa in viso: era un bell'uomo, Levi. Lo
riconobbi sempre senza problemi. Non lo si poteva proprio negare, del resto.
Certo era di bassa statura. Ma sicuramente ben piazzato. E aveva il
famigerato fascino del misterioso per cui ogni donna va matta! Mi si
strinse il cuore in una morsa: io ero alta e magra, ma profondamente
sgraziata e inesperta. Avevo i capelli troppo crespi, il naso troppo
grande, le labbra troppo sottili. Non avevo mai dovuto conquistare una
persona, perché solitamente erano gli altri a cercarmi. Non
certo per com'ero, s'intende.
La principessa Hanji aveva tutte le attenzioni che desiderava. Bastava
schioccare le dita, ed era piena di amiche e di pretendenti,
sicuramente un po' meno desiderati rispetto alle amiche: nel mondo dei
nobili, l'aspetto non conta. Il denaro e le ricchezze, questo fa la
differenza. Hanji, senza tutte quelle cose, non era niente. Io non ero niente. Guardavo Levi e pensavo: cosa vede in me? Niente o qualcosa? Magari qualcosa per cui vale la pena, o qualcosa e
basta, che non desta in lui alcun interesse? Non ero mai stata qualcosa
per cui vale la pena provare a lottare. Mi strinsi nelle spalle: sarei
mai riuscita ad avvicinarmi a qualcuno per quello che ero veramente?
Ero così assorta nei miei pensieri da non accorgermi che Levi,
davanti a me, si era improvvisamente fermato. Andai a sbattere contro
la sua schiena. "Ma che fai?"
Quando alzai la testa, soltanto allora, mi accorsi che eravamo bloccati
nella folla urlante. Mi guardai attorno, cercai di capire il
motivo di tutto quel clamore mattutino: una sciopero per il pane? No, sembravano più gioiosi di così tutti quegli uomini. Poi il corvino mi strinse la mano. "Non ci perdiamo"-gridò,
per trionfare con la voce su quella di mille altri. Io annuii e strinsi
più forte le nostre dita: le guardavo, mi piacevano insieme. La
sua pelle era piacevolmente rugosa e asciutta.
Ad un tratto, un suono metallico- come quello proveniente dagli strani
strumenti che si usano per parlare più forte- si impose sugli
altri: vi prego di fare silenzio, la principessa Hanji è qui per parlare a tutti voi. Silenzio,
poi versi di gioia e mani alzate in segno di esultanza. Davanti a noi,
delle persone si sbracciavano impedendoci di vedere bene. Mi agitai
anch'io, in cerca di un'apertura tra le loro teste. Quando la trovai,
il cuore iniziò a battere fortissimo: capelli rossi raccolti in
uno chignon disordinato, un vestito color pesca- uno dei miei abiti
preferiti- lungo fino alle caviglie e definito da bordi dorati, il naso
spoglio degli occhiali come in ogni cerimonia ufficiale e un paio di
occhi che non facevano troppa fatica a rinunciarvi: si, una
persona qualunque avrebbe detto che quella fosse proprio la principessa
Hanji. Mi voltai da Levi: gli occhi gli brillavano. Ne fui sorpresa, in
effetti: quando guardavano me erano vuoti. Ma ora che vedevano quella sembravano più vivi. E quella non ero io. Non in quel momento, almeno.
Tirai sù il cappuccio della vecchia divisa che indossavo e abbandonai la mano del mio amico.
~•~
Non
appena si aprì un varco in mezzo a tutta quella gente, noi lo
sfruttammo per uscire senza dirci una sola parola: non l'avremmo
sentita. Finalmente lontani da quella confusione, la mia mente
andò alla promessa di Atsumichi: il suo piano -la storia della
nipote che mi somigliava e tutto il resto- doveva aver funzionato.
Pensai a quanto poco dovessero conoscermi a casa, per non accorgersi che quella persona sotto mentite spoglie- le mie-
non ero io. Poi, a quanto fossero poco efficienti le guardie del
palazzo per non essersi accorte di nessun movimento alle uscite. E dal
nulla mi venne da ridere. Levi se ne accorse e, ignorandone il motivo,
corrucciò la fronte. Me ne resi conto subito. Il tempo di
rivolgergli un'occhiata, però,
e lui aveva già spostato il suo sguardo in un'altra direzione.
Guardava davanti a sé, mentre continuava a camminarmi di fianco.
Lo guardai bene anch'io: sembrava sereno, in qualche modo sollevato.
Non ne capivo il motivo: credevo che non ci capissimo per niente. Credevo.
"Quella era la principessa?"-chiesi, fingendo confusione. Levi annuì. "La seconda principessa del regno"-precisò. "Non è la primogenita del re?"-domandai ancora, ma stavolta seriamente confusa. "Lo è,
ma sua madre è morta e ha una sorella in fasce. Non dubito che
andranno alla matrigna e poi a sua figlia tutti i privilegi che
spetterebbero a lei" In quel momento, le gambe avevano smesso di
camminare. Lo guardavo dritto negli occhi.
"Tu credi?" Levi fece sì con la testa, ancora, arrestando il suo passo. "Insomma,
sono solo voci. Ma qui le voci diventano in fretta realtà, non
credi?" Si fermò per pensarci bene. "Da dove diamine vieni per
non sapere certe cose?"-chiese serio.
"Da molto lontano", sospirai io. "Non mi interesso poi granché di tutto ciò"-mentii.
"Tu invece ne sai parecchio, a quanto pare. Deve essere molto importante per te, questa vicenda" "Politica"- il corvino fece spallucce. "Io sono un delinquente, come sai. E la politica e il malaffare sono spesso la stessa cosa"
"Si, concordo"-ammisi. Ma, in quel
momento, la curiosità di saperne di più sul conto di
quello sconosciuto crebbe in me all'infinito.
~•~
"Datti pure una rinfrescata"-disse, aperta la porta di casa sua davanti ai nostri occhi.
"Il bagno è da quella parte"-indicò con il braccio, per
poi chiuderci dentro quel buio pesto. Passai velocemente in rassegna i
vecchi mobili con un dito, che presto si fece completante nero.
Starnutii un paio di volte per la polvere. Aleggiava un pesante puzzo
di muffa. Feci leva sulla maniglia del bagno per entrare nella stanza.
Una volta dentro, trovandovi una donna che si pettinava allo specchio,
urlai dallo spavento. Sorprendentemente, quella mi squadrò dalla
testa fino ai piedi, e, invece di essere sorpresa, sorrise amaramente,
come quando si ha la conferma di qualcosa che già da tempo si
temeva. Era uno sguardo stanco, grave e melanconico il suo, che non
avevo mai visto prima, mi parve. In
futuro finì inevitabilmente anche sul mio volto, oscurato dalle
insicurezze. E la colpa era sempre dello stesso, maledetto uomo. Ma non
potevo ancora saperlo. All'epoca, solo immaginarlo.
~•~
Poiché
avevo urlato in preda al panico - una sola volta, in proporzione alla
gravita della cosa che si sarebbe, infine, rivelata ancora meno grave-
Levi era accorso subito sulla soglia di quella stanza, per scrutare al
suo interno.
"Cosa vuoi Cho?"-chiese, riconosciuto il volto della
donna che in quel momento ci guardava. Non appena lo vide, gli occhi
della donna si fecero più grandi. Ma fu solo per un attimo. Poi
tornarono a essere esausti. Ci osservava attraverso due sottilissime
fessure, rigonfie sui lembi violacei. Le guance erano scavate, i
capelli lunghissimi, neri, ma lucidi per la sporcizia. Era assai
pallida, macilenta, e altrettanto gracile. Prima era aggrappata con le
braccia al lavandino sudicio e sembrava lì lì per
spezzarsi. Sembrava sul punto di farlo anche in quel momento.
Più ci guardavamo, più mi pareva che fosse proprio
così. Infine, rivolse gli occhi -e le sue occhiaie- al
pavimento. Anche se aveva l'aspetto di un fantasma, di una persona sul
punto di svenire, ebbi modo di credere che, in quel frattempo, avesse
riflettuto a lungo, cercando di capire chi fossi. Ma non era un
risultato a cui poteva sperare di arrivare, facendo semplicemente due
più due. Era in difficoltà, glielo lessi in volto. Come
se non fosse troppo stupita dal fatto che qualcuno- anzi, meglio- una donna, avesse bussato a quella porta, ma, al tempo stesso, ne fosse innanzitutto delusa, e poi, soprattutto, sembrava che se ne aspettasse un'altra; di donne,
intendo. Una qualunque, ma non me. Mi diede l'impressione di essere
stranita per non avermi riconosciuto affatto. Per non aver tratto in
me, nemmeno una delle caratteristiche che si era ingenuamente aspettata
di trovarvi.
"Mi dispiace, Levi. Io, io, volevo
solo passare del tempo insieme"-biascicò e poi sorrise. Di nuovo
quell'amaro sulle labbra, lo scorgevo di nuovo ed era uno strazio,
vederlo da fuori. Sembrava affranta, esausta, completamente stanca:
sono ancora sicura che se non avesse parlato, avrei perfino sentito il
suono del suo cuore che si frantumava in mille schegge. Poi,
all'improvviso, mentre la vedevo muovere dei passi pesanti e
trascinarsi dietro quelle ossa arrugginite fino all'uscita, come se un
pezzo di quel cuore avesse colpito il mio, persi un battito. Mi sentivo
totalmente sconfitta. Non sapevo da chi, da cosa. Non conoscevo ancora il volto di colui che mi aveva distrutto in quel modo, distruggendo prima di me quella donna.
In verità, non sapevo nemmeno se lo aveva, un volto. La porta di casa fu aperta, sbattuta e chiusa di nuovo da quella persona barcollante.
"Va bene. Ora puoi- "
"Chi era quella?"-domandai senza pensarci.
"Nessuno" Levi sospirò. "Nessuno che ti riguardi, almeno" Iniziai a stringere i pugni per la rabbia. "Ah no?" "No"
"E che mi dici della principessa, invece?
La guardavi in quel modo perché hai fatto del male anche a lei?"
Non feci in tempo a prendere fiato per continuare, che il corvino mi
attirò a sé per il nodo della mantella verde.