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Autore: Francesca_H_Martin    02/09/2019    0 recensioni
"[..] —Schmidt è l’unico modo. Dovete per forza farmi bere e farmi di nuovo ubriacare, così, trovandomi nelle stesse condizioni di ieri, magari posso ricordare qualcosa su Jess. —
—Ok—disse Winston con rammarico. —Lo faccio solo per Jess. Lo sai che quando ti ubriachi diventi…ancora più cattivo del solito. Mi fai paura. —la sua espressione era un misto di emozioni contrastanti.
—E poi…diventi pazzo. Completamente pazzo e senza senno. —aggiunse Schmidt, guardandolo come se fosse l’ultima volta.
—E’ proprio per questo che mi legherete alla sedia. Senza se e senza ma. Per Jess. —
—PER JESS! — risposero in coro, ponendo le loro mani una sull’altra come incitamento prima di una gara."
* “Questa storia partecipa alla Fast Challenge dei Fandom Deserti: Occhi indetta sul gruppo facebook Il Giardino di Efp”;*
Genere: Angst, Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jessica Day, Nick Miller, Sam Sweeney, Schmidt, Winston Bishop
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“IN VINO VERITAS”



Nick era seduto su una sedia di legno nel bel mezzo del salone, legato dalla testa ai piedi con corde sottili, le stesse che usava Schmidt per i suoi giochetti erotici.
Guardava i suoi due amici con uno sguardo intriso di paura per quello che sarebbe potuto succedere e allo stesso tempo di eccitazione per la nuova avventura che avrebbe vissuto di lì a breve.
Un pensiero costante , però, gli ronzava nella testa più degli altri: Jess.
Stava bene? Dove si trovava? Cosa le era successo? Lui che ruolo aveva in tutta questa storia?
La sua attenzione improvvisamente si spostò su Schmidt che, con una bottiglia di Jack Daniels in mano, gli stava facendo quella faccia, quella che voleva dire “stai attento amico, so che ce la farai. Confido in te.”
Nick rispose con un cenno della testa e subito dopo Winston si avvicinò e gli aprì la bocca con forza.
—Co…Cosa fai? Non era necessario, Winston! —disse il ragazzo con voce nasale, quasi strozzandosi.
—Lo so, ma era così figo farlo! Come in quei film di mafia, quando…—
Nick e Schmidt si guardarono, esasperati.
—Lo sta per fare—disse il primo mentre ingurgitava un sorso dalla bottiglia.
—Decisamente lo sta  per fare—continuò Schmidt, versando nella bocca di Nick altro liquido ambrato.
—Sembro il patriiino, pronto a farti fuori a suon di alcol—disse Winston con voce strascicata, cercando in tutti i modi di imitare una specie di accento siciliano.
—Ecco. Come al solito hai fatto schifo. Sul serio amico non fa per te, proprio come gli scherzi. —Nick gli diede un colpetto con la testa  in segno di pietà.
— Winston, smettila. Ogni volta che fai qualcosa del genere i tuoi occhi escono fuori dalle orbite e hai un sorriso inquietantissimo…Mi fai paura. —intervenne Schmidt che ormai aveva lo sguardo fisso nel suo.
—Grazie ragazzi, voi si che mi riempite sempre di complimenti! —continuò Winston con rassegnazione.
Quest’ultimo strappò la bottiglia dalle mani di Schmidt e con ferocia versò il resto contenuto nella bocca di Nick, come per dispetto.
Nick stava per strozzarsi, ma nonostante ciò continuava a bere.
Una delle cinque meraviglie della vita per lui era sicuramente l’alcol. Amava la sensazione di sentirsi leggeri ed in pace con se stessi e con il mondo.
Poche volte era riuscito a provarla e sempre grazie ad un bicchierino in più.
Amava quel senso di smarrimento, come se si trovasse in un luogo conosciuto ma allo stesso tempo nuovo, diverso.
Amava quel senso di libertà che gli faceva compiere gesti senza pensarci sopra due volte.
Amava rischiare senza aver timore delle conseguenze, cosa che normalmente non faceva perché estremamente prudente.
Amava vincere la paura, sua acerrima nemica da sempre.
Amava quella nebbiolina nella testa che gli offuscava i pensieri, facendolo rilassare… proprio come quella che si stava formando in quel preciso momento.
Nick alzò lentamente gli occhi al cielo, soffermando il suo sguardo sulle persone che aveva di fronte.
—Sccchmidt—disse abbassando e alzando il tono, come se la sua voce si trovasse sulle montagne russe.
 Le parole gli uscivano a fatica, come se dovesse trascinarle sù per un ripido sentiero.
—Con q…questo chimono sembri un imbecille. Mi ricordi zia Marge versione magra. Anche i peli sulle gambe sono quelli; anzi, tu ne hai di meno. —continuò, balbettando.
Schmidt guardò Winston con aria soddisfatta e subito dopo gli si avvicinò, sussurrandogli all’orecchio: —ci siamo riusciti. Nick è brillo. —disse, con un sorriso enorme. Winston invece iniziò a ballare una specie di danza della pioggia per la vittoria ottenuta.
—Come prova del nove, dobbiamo fare solo qualche altra domanda. Se non suda, vuol dire che dice la verità e che quindi abbiamo raggiunto il nostro obiettivo. Nick non sa mentire, è vero, ma sa divagare. Quindi…—Schmidt alzò gli occhi al cielo, cercando di riflettere e di arrivare alla soluzione, mentre Winston suggeriva sciocchezze e assurdità stratosferiche.
—Ci sono! Gli faremo confessare cose alla “moonwalk”, quelle che evita sempre.—gli occhi di Schmidt si illuminarono improvvisamente.
—E’ un’ottima idea amico! —disse Winston, dandogli il cinque.—Non capisco perché non ci sia arrivato io, anche se la mia idea di sottoporlo al test della macchina della verità non era male. —Winston cominciò a ridere, ma il suo sguardo fiero fu oscurato da quello di Schmidt che gli ripeteva “stupido idiota” ogni istante.
—A parte che è un’idea folle, ma comunque non ci avrebbe portato a nulla. Nick è ubriaco quando dice la verità. Le verità scomode non le dice mai, quindi dobbiamo costringerlo. Se non suda, vuol dire che non mente e quindi…—Schmidt all’improvviso si zittì, sbuffando.
—Winston l’importante è che lo fai bere, al resto ci penso io. —disse seccato mentre quest’ultimo si avvicinava nuovamente a Nick con la bottiglia.
—Allora Nick, iniziamo dalle cose semplici…Qual è il tuo nome completo? —
—Nicholas Sean Miller, signore. Ssi, lo so a cosa stai pensando. Sean fa schifo come nome. L’ho ereditato dal vecchio cane bavoso dei miei genitori,quello che avevano prima che nascessi. Mi hanno sempre detto che era un brontolone e che se ne stava sempre a dormire o a mangiare.
Visto che già da neonato queste tre erano tra le mie cose preferite, mi hanno dato questo secondo nome. —disse strascicando le parole, con aria intontita e persa in chissà quale universo. —Devo un nome osceno ad un cane morto. Non è la fortuna più grande del mondo? —iniziò a ridere come uno psicopatico.
Winston, che non conosceva la storia,  guardò Schmidt con aria perplessa e sbalordita allo stesso tempo, mentre il secondo stava ridendo così forte che rischiò di cadere più volte.
Il piano stava funzionando.
Divertiti dalla cosa, decisero di fare qualche altra domanda.
—Chi è il tuo migliore amico? —disse Schmidt, sicuro della risposta.
—Oh, decisamente Tran. —disse Nick senza peli sulla lingua.
Il sorriso di Schmidt scomparve in un istante.
Si girò verso Winston con occhi lucidi.
—Sono sicuro che mente. —
Winston si mise alle spalle di Nick, osservando la sua schiena.
—No amico, non sta sudando. Penso stia dicendo la verità—disse con rammarico.
—Non… non è possibile. —aggiunse Schmidt. —Io sono il tuo migliore amico! —
—Oh no. Il mio miglior amico e il mio modello di vita si chiama Tran e vive sulla panchina del parco. Quante avventure abbiamo vissuto insieme! Una volta mi ha insegnato come eliminare per sempre la rabbia e un’altra ancora a parlare con l’ombelico. E’ stato mi-ti-co! —disse Nick, stile ragazza pon pon.
Schmidt era l’incarnazione della delusione.
—E io Nick, eh? Cosa sono per te? Il nulla? —era sull’orlo di una crisi isterica.
—Tu sei il mio Schmidty—sorrise. —Shhh, non lo dire a Schmidt, ma nonostante sia un pazzo, maniaco dell’ordine e un tipo alquanto strano, con atteggiamenti ambigui nei miei confronti…Gli voglio bene. —continuò, come se non si fosse accorto di parlare proprio con lui.
Ormai era ubriaco fradicio.
Il viso di Schmidt tornò ad illuminarsi.
—E’ pronto. —intervenne Winston, continuando a versare Jack Daniels nella gola di Nick.
Schmidt sospirò, dopodiché tornò con un tono serio: —dov’è  Jess? —.
A quel nome, Nick riprese un po’ conoscenza.
Immagini sfocate andavano avanti e indietro nella sua mente, come pezzi di puzzle di una vita vissuta e dimenticata.
Come varie icone che scorrevano su un computer, Nick ne selezionò una. Era il primo ricordo che aveva di Jess delle ore precedenti.
Sarebbe dovuto andare più in profondità, avrebbe dovuto riviverlo per lei.
Chiuse gli occhi, pronto a descrivere ogni minimo particolare della serata.
“Nick mi senti? Cosa vedi?”, disse Wiston speranzoso.
Nick riaprì gli occhi in quel sogno che sembrava così reale. Era come se si fosse catapultato nel se stesso del giorno prima.
E così la vide, più bella che mai, in quel bar così familiare: quello in cui lavorava.
“Vedo Jess. E sta piangendo.” rispose, fingendo che ciò che aveva appena visto non fosse una delle cose che più odiava nell’intero universo.
 
 
 
 Jess era seduta in uno di quei tavoli vuoti, con quegli occhioni blu intrisi di rosso fragola per il pianto.
Si trovava proprio di fronte Nick, il quale si avvicinò lentamente a lei, porgendole un fazzoletto.
Nonostante fosse già ubriaco marcio, vedere Jess in quello stato lo faceva ritornare sempre sobrio, proprio come in  quel momento.
—Perché piangi Jess? —chiese, guardandola dritto negli occhi.
—Sam…Sam mi ha dato buca. Ha detto che non…—i singhiozzi ricoprivano quasi completamente il suono delle parole.
—Ha detto che non sono la donna adatta a lui…Poi ha aggiunto che ben presto capirò. —Le lacrime continuavano a scendere come cascate. —Diciamo che l’ultima parte non l’ho capita, ma…—rumori strani provenivano dalla sua bocca accompagnati da soffiate profonde di naso—il concetto è quello—continuò a versare lacrime, piangendo ancora più rumorosamente.
Nick senza pensarci due volte, l’abbracciò.
Il calore dei loro corpi era il loro calmante, le loro braccia il loro prezioso rifugio segreto, quel posto in cui niente di male può mai accadere.
Il ragazzo si staccò dolcemente da lei, le si sedette di fronte e le pose una mano sulla spalla.
Erano occhi dentro occhi.
—Io penso che sia un enorme gigantesco atoidi quel ragazzo. Si, sempre pensato. —disse Nick, cercando di sembrare più sobrio possibile, nonostante l’alcol si stesse insinuando di nuovo nella sua testa, offuscandola.
Jess l’osservò con sguardo indecifrabile.
Atoidi? E’ una parola che non esiste. —la ragazza accompagnò questa frase con strane espressioni, tanto che a Nick venne da ridere.
Un attimo dopo, però, ritornò serio.
—Se non avessi fatto subito la professorina, mia cara Jessica Day…—le parole uscivano come fiumi in piena ma erano strascicate, poco comprensibili; quindi Jess prese dalla sua borsetta il telefono e cliccò la voce google translate, cercando di decifrare quella lingua apparentemente ostrogota.
Lesse le parole sullo schermo con sguardo accigliato.
—Io non faccio la professorina! —disse, con la tipica voce dei cartoni animati che faceva ogni qual volta si sentiva in colpa o in imbarazzo.
—N…Non fare que…quella voce, Jessica—suoni indistinti provenivano da Nick mentre Jess continuava a leggere le parole al cellulare.
—Perché, è così divertente! —rispose, nuovamente con quella voce stramba.
Nick alzò gli occhi al cielo.
Jess all’improvviso si mosse in modo scoordinato, come se una forte scossa elettrica le avesse attraversato il corpo.
Il suo volto era l’incarnazione della fierezza.
—Ho capito che cosa volevi dire con atoidi! L’ho scritto nei messaggi ed è “idiota” al contrario! —disse, sfoderando un sorriso enorme.
—Mi sorprende che tu non ti sia ricordata quanto amo parlare al contrario…Ti ricordi quando feci impazzire Schmidt? Pensava che gli alieni mi avessero rapito e trasferito i loro geni, per questo, secondo lui, parlavo in quel modo. Pensava fosse un qualcosa di simile al kriptoniano. —sorrise, ma la sua espressione si rabbuiò nuovamente vedendo quella triste di Jess.
—M…Mi ricordo. C’e…era a…anche Sam quando l’hai fatto—balbettò; pronunciava tali parole con voce tremolante, piangendo con la forza di un neonato.
Nick si riavvicinò, questa volta accarezzandola.
—Jess, Sam è un idiota. —ripetè, ancora più convinto di prima.
—Non è un idiota. Lui è…—non terminò la frase. Le lacrime glielo impedirono.
—E’ un idiota, Jessica! Solo un idiota si lascerebbe scappare una persona come te! —disse con naturalezza ed entusiasmo, come se da tempo avesse voluto espellere queste parole.
Jess lo guardò con due occhi luminosi e con un sorriso che pian piano si faceva strada sul suo volto.
—Nick…non sei costretto a dirlo solo perché siamo amici—.
—Oh mio Dio Jess, lo so!—rispose furioso. —Lo sto dicendo perché davvero lo penso! Sei la persona migliore che conosco. —disse, sorridendole e continuando ad accarezzare la sua pelle morbida.
Una specie di brivido percorse la schiena di Nick. Il suo corpo era invaso da una sensazione piacevole, una di quelle che non aveva quasi mai provato in vita sua.
Era come se il sangue gli ribolisse nelle vene e il cuore urlava pietà dal tanto battere.
Jess era il suo porto, la sua ancora. Seppur tanto diversi, nessuno riusciva a capirlo meglio di lei.
—Ti ricordi quando mi lasciai con Caroline e tu per farmela dimenticare e farla ingelosire ti fingesti la mia ragazza? O ogni volta che faccio una stupidaggine, ci sei tu che mi consigli, la risolvi o…beh, la fai insieme a me? —disse Nick ad un centimetro dal viso della ragazza.
—Non tutti lo fanno, Jess. Sei buona, dolce, gentile…Sei simpatica ed altruista, ma soprattutto su di te si può sempre contare. Per qualsiasi cosa. —I suoi occhi si persero in quelli dell’amica e viceversa.
Le loro mani, non si sa come, erano finite attorcigliate come un alga al suo scoglio.
Jess abbassò un attimo lo sguardo su quest’ultime e lo stesso fece Nick.
Entrambi furono invasi da un’ondata di calore e le loro guance si colorarono di un rosa pallido.
Nick rialzò lo sguardo, ponendolo di nuovo nel suo.
—Siamo un’ottima squadra io e te, Jessica Day. —sorrise mentre gli occhi dicevano qualcosa di proibito, segreto.
Jess si alzò, si sedette sulle sue gambe e lo abbracciò con tutta la forza possibile.
I loro cuori iniziarono a battere forte e la fronte di Nick cominciò a sudare.
 I respiri quasi soffocati per la vicinanza, gli occhi dei due che comunicavano senza parole.
—Sei il migliore Nick Miller. —disse Jess sorridendo, trascinandolo improvvisamente con un braccio vicino il bancone.
—E adesso che ne dici di ubriacarci? Anche se tu già sei ubriaco. —continuò guardandolo negli occhi.
—Nick Miller non è mai ubriaco. —il ragazzo si zittì per la sciocchezza che aveva appena detto.
—Diciamo che…Non dice mai di no all’alcol. —si corresse subito subito dopo.
—Ora va meglio. Sei sicuro? —disse Jess ordinando un drink.
—Nick Miller, Nick Miller beve come uccide un killer! —iniziò a canticchiare questo motivetto.
Jess lo guardò, sorridendo.
—Nick Miller, Nick Miller è il mio savior, grazie mille! —aggiunse Jess incrociando il braccio con l’amico,  pronti a bere come facevano gli ubriaconi seriali di LA.
 
   
 
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