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Autore: ONLYKORINE    02/09/2019    0 recensioni
Jakob e Wolfrun vivono sull'isola di Lemnos da quando hanno lasciato Berlino a bordo del Pegaso. Con loro Ci sono Sebastian, Eleni e Anneke. Il virus è stato sconfitto e la vita ha ricominciato a scorrere. Jakob torna a Berlino quando Alexis ci va con Pegaso, e questa volta vorrebbe che anche Wolfrun partisse con lui. Ma lei non è proprio dell'idea...
(Jakob x Wolfrun)
Fanfiction dopo il sesto libro. Non tiene conto del capitolo extra sul sito degli autori.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Christa Hartmann, Jakob Geyer, Nora, Wolfrun Ziegler
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ultimo giorno

 

Jakob le aveva detto ‘Resta con me’, per paura che scappasse via, mentre lei non aveva nessunissima intenzione di andarsene, anzi, Wolfrun si sentiva stanchissima e accolse con piacere l’invito.
Si sdraiò su un fianco e lui si avvicinò a baciarle il collo da dietro. Tirò la coperta su di loro in modo che li coprisse del tutto e le cinse la vita prima di addormentarsi.

 

***

 

Jakob si svegliò con una sensazione diversa addosso. Quando aprì gli occhi sapeva già cosa aspettarsi. Il suo braccio stringeva il corpo di Wolfrun e lei era morbida e calda contro il suo petto.
Sarebbe rimasto lì per sempre. Ma doveva alzarsi. Cercò di non svegliarla mentre si spostava per tirarsi su dal letto.

 

Ma Wolfrun aveva il sonno leggero, allenato da anni di Tegel e di sensi sempre all’erta e si voltò verso di lui mentre scivolava in fondo al letto.
“Dove vai?” chiese.
“In bagno. Torno. Non andartene” rispose Jakob e lei annuì, più rilassata.
“Vuoi che ti aiuti?” si offrì, ma Jakob scosse la testa e fece un sorrisino stupido.
“Già non riesci a stare senza di me?” scherzò, divertito.
“Cretino, pensavo che avessi bisogno di aiuto” sbuffò lei.
Il ragazzo, che era seduto sul bordo del letto le indicò due stampelle appoggiate al muro.
“Castoro me le ha portate prima di cena. Le hanno trovate nella palestra dietro a Gropius” spiegò.
Wolfrun annuì e lo guardò attraversare la stanza con l’aiuto delle stampelle. Si era vestito. Beh aveva i pantaloni della tuta. Ma non aveva messo la maglietta. Per quanto fosse bello da vedere… “Aspetta” lo chiamò.
Si sedette, afferrò la sua maglietta e si alzò per andare verso di lui. Gli infilò la maglietta dalla testa e lui infilò le braccia alternandole alle stampelle sbuffando, ma divertito.
“C’è Britta, qui da qualche parte. Non voglio che…” iniziò la ragazza: non riuscì a dirgli che non voleva che la bionda lo vedesse mezzo nudo.
Era… Gelosa? Ma no. Assolutamente no. Era una questione di… decoro. Sì, ecco: decoro.

 

Ma Jakob sorrise sornione. Le passò una mano dietro la schiena e se l’avvicinò. Quando fu vicino le sussurrò all’orecchio: “E tu lo sai di essere nuda?”
Lei trasalì. No, non se n’era resa conto.
“Sei bellissima” le disse ancora guardandola arrossire. Jakob era contento che per lei fossero tutte cose nuove. Il suo imbarazzo gli scaldava il petto come neanche il sole di Lemnos faceva. Lei si divincolò dal suo abbraccio e si rifugiò nel letto senza dire niente.
Sospirò e si diresse in bagno.

 

***

 

“Potevi farti accompagnare da Louis” disse Wolfrun e Britta alzò una spalla.
Andava bene così. Lei e Louis avevano passato la notte sul divano, a baciarsi, raccontarsi e svelarsi reciprocamente. Non voleva correre. E sembrava che a lui stesse bene.
“E te?” le chiese invece.
Che Wolfrun fosse diversa, quella mattina, si vedeva. Sembrava in un mondo tutto suo. C’erano momenti in cui sorrideva e poi, quando si accorgeva che la guardava, smetteva subito. Come se fosse stato un reato. Anzi no. Un reato lo avrebbe commesso tranquillamente, senza preoccuparsi di nessuno. Sembrava che non volesse mostrarsi… felice. Possibile?
“Io cosa?” chiese, con finta noncuranza.
Cercò di rimanere impassibile, ma non ci riuscì. Britta le leggeva tutto in faccia.
“Non mi dici niente di stanotte?”
“E cosa dovrei dirti?” domandò e quando spalancò gli occhi, la bionda capì che faceva sul serio.
“Come cosa dovresti dirmi? Dai, hai una faccia che non avresti avuto neanche se avessi vinto la battaglia di Natale! Devi raccontarmi tutto!” cinguettò Britta.
Ora Wolfrun spalancò anche la bocca. “Assolutamente no!” esclamò, inorridita. La bionda rise.
“Dai! Com’è stato?” chiese ancora. Wolfrun sbuffò e si infilò le mani nelle tasche dei Jeans.
“Ma non hai detto che non ti piacevano le domande?” brontolò la mora.
“Quando le fanno a me. Non mi dici neanche se sei contenta o no? È andato tutto bene? Ti è piac…” continuò il suo interrogatorio.
“Oh! Smettila. È andato tutto bene, ok? È mi è piaciuto. Sì. E Tanto. E non chiedermi nient’altro. Tanto è tutto qui!”
Britta rise quando vide che le sue guance erano diventate rosse. Tutto qui? Rise ancora. “Va bene” cedette.

 

Wolfrun sbuffò ancora. Ma cosa voleva da lei? Quando vide la casa dei bambini sospirò sollevata. Lanciò un’occhiata di sottecchi alla bionda, ma lei sorrideva.
Aveva capito che loro non avevano fatto l’amore, perché quando era andata in cucina a cercare qualcosa da mangiare per banchettare con Jakob durante la notte, li aveva visti addormentati sul divano, insieme ma vestiti. Forse lei voleva andarci con i piedi di piombo. Sembrava contenta e felice. Dorothea avrebbe detto ‘cammina a un metro da terra’.
Sorrise al pensiero di sua sorella. Come avrebbe voluto confidarsi con lei, in quel momento! Raccontarle di Jakob, di come era stato… fantastico. Si poteva dire fantastico? Cavolo, non era sicura. Oh, Dorothea, mi sento così leggera… E spero vivamente di non aver fatto una stupidaggine.
Vide chiaramente sua sorella, seduta nel bar dove prendevano la cioccolata calda, sorriderle e dirle che andava tutto bene. Si morse il labbro.
A te l’avrei raccontato. Giuro, Dorothea. L’avrei fatto.

 

Anneke aspettava sulla porta. Wolfrun stava arrivando con Britta. Le guardava avvicinarsi. Si sentiva agitata. Spostò il peso prima su un piede e poi sull’altro e poi ancora sul primo. Quando non riuscì più a stare ferma, perché Wolfrun era ormai vicina all’entrata, iniziò a saltellare. Poi batté anche le mani.
Quando Wolfrun e Britta entrarono in casa dovette fare uno sforzo immane per non saltarle addosso. Così aspettò. Ma quando lei non si incamminò lungo il corridoio, le andò incontro.
“Wolfrun!” gridò. La ragazza le sorrise e si avvicinò.
“Ciao, Anneke. Ti sei già alzata?” le chiese e si chinò per essere alla sua altezza e le fece una carezza sulla guancia. Come? Come?
“Non mi dici niente, Wolfrun?” le domandò, nervosa. La ragazza la guardò con la fronte corrugata.
“Sì, sì, sei stata brava. Andiamo a fare colazione?” propose.
No. No. No. Per la prima volta, Wolfrun si era scordata del suo compleanno!

 

***

 

“… E poi ha detto che ci avrebbe pensato. Sono stata brava, Vero? Sono abbastanza sicura che dirà di sì. Anche perché deve dire di sì. Giusto? È la cosa migliore, vero? Anche se so che mi mancherà come l’aria, è la cosa migliore…” Christa continuò il suo monologo, incurante del fatto che nessuno le rispondesse per paura che continuasse a lungo.
Wolfrun non le aveva mai sentito dire tante cose tutte insieme. Di solito parlava solo se necessario e non a vanvera. Fra l’altro Wolfrun apprezzava tantissimo quella qualità.
Quel giorno, invece, Christa non stava zitta per più di cinque minuti e aveva iniziato a parlare da almeno un quarto d’ora. Britta riuscì a darle un compito che richiedesse la sua presenza fuori dalla cucina dei campi e quando la bionda uscì, si sentì un respiro di sollievo collettivo.
Britta le si avvicinò. “Ma non avevi già convinto tu Nora a pensare all’America?” le chiese. Alzò una spalla. Che differenza faceva? E poi le aveva solo detto di pensarci. “Non lo hai detto a Christa. Perché?” Come?
“Dovevo?” chiese. La bionda la guardò aggrottando la fronte. “Non c’era bisogno. Va bene così” disse.
Britta le lanciò un’altra occhiata curiosa e poi si allontanò per fare altro.

 

***

 

Il pranzo fu particolarmente caotico, ma lo era sempre, così non ci fece troppo caso nessuno. Wolfrun continuò a guardare di sottecchi Anneke: era così triste, poverina.
Jakob, accanto a lei, seguì il suo sguardo e le coprì una mano con la sua, in un gesto così intimo e discreto che Wolfrun si sentì emozionata. Lui si avvicinò al suo orecchio per farsi sentire solo da lei: “Non preoccuparti”.
Annuì arrossendo. Non c’era niente di diverso, visto da fuori. Ma lei si sentiva diversa: si sentiva bene.
Quando Nora arrivò con una torta grande quanto uno dei tavoli della cucina, tutti i bambini rimasero sbalorditi. Poi Jakob iniziò a cantare ‘Tanti auguri’ per Anneke e tutti gli altri si unirono al coro.

 

Anneke aprì la bocca, incapace di parlare e anche di pensare, nel vedere quella bellissima torta. Sembrava una delle torte di Eleni, solo molto, molto più grande. Si portò le manine alla bocca quando Jakob iniziò a cantare per lei e sorrise quando anche tutti gli altri cantarono.
Vide Wolfrun alzarsi dal suo posto con uno dei suoi sorrisi, quelli che faceva solo a lei. Quando Nora riuscì ad appoggiare la torta, accese l’unica candelina che c’era e le disse di esprimere un desiderio. Un desiderio? Cosa poteva esprimere? Un desiderio… un desiderio! Chiuse gli occhi e soffiò.
Tutti batterono le mani. Ulrike si avvicinò e le regalò una lunga collana fatta di pietruzze brillanti bucate e pezzi di legno. Era bellissima.
“Come sapevi del mio compleanno?” le chiese, agitata ma contenta.
“Glielo ha detto Jakob” disse una voce alle sue spalle. Anneke si voltò per guardare Wolfrun.
“Non ti eri scordata!” esclamò e Wolfrun sorrise ancora.
“No, piccola. Non mi scorderò mai di te. Tanti auguri” le disse, porgendole un regalo e la bambina le si gettò addosso e le circondò il collo con le braccia.

 

I bambini stavano mangiando la torta. Nora e il Maggiore avevano sfruttato la cucina dell’accampamento perché aveva un forno più grande del loro ed erano riusciti a fare un ottimo lavoro, pensò Wolfrun assaggiando la torta: era buonissima. Nora era in gamba. Cercò il suo sguardo fra la folla e le fece un cenno di apprezzamento. La ragazza si avvicinò.
“Non avevamo mai festeggiato un compleanno così” disse, sedendosi accanto a lei.
“Jakob deve essere stato convincente, eh?”
Sapeva che era stato lui a insistere per la torta.
“Già. Ma ha fatto bene. I bambini sono contentissimi” disse Nora.
Wolfrun annuì ancora, osservando i bambini. Beh, ormai i più piccoli erano Anneke e Theo, se non si considerava Abel. E non erano neanche tanto piccoli. Presto sarebbero stati ragazzi. E poi adulti. E non avrebbero vissuto con la paura di non diventarlo. Raccolse delle briciole dal tovagliolo e se le portò alla bocca.
“È buonissima, questa torta. Complimenti” disse.
“L’ho fatta insieme a William” ammise Nora. Wolfrun annuì con il capo e basta. Lo sapeva. Ma non disse nient’altro. “A proposito…”
Nora frugò dentro una delle tasche chiuse con i bottoni, l’aprì e poi tirò fuori un anello giallo con una pietra bianca in cima. Doveva essere l’anello di fidanzamento. Sorrise.

 

Nora si infilò l’anello sorridendo. “Appartiene alla nonna di William…”
Sentì le guance arrossarsi mentre lo spiegava a Wolfrun.
“Ora è tuo” disse la mora e la guardò con un sorriso. Quella ragazza sorrideva? Oh. OH.
“Sì. Ora è mio” ammise, annuendo.
“Hai detto di sì, quindi?” le domandò Wolfrun.
Annuì ancora, incapace di parlare. Si sentiva prendere dall’emozione. Dalla paura, dalla speranza, dalla voglia di crederci davvero.
“Complimenti, allora” disse e, come aveva fatto lei quando era arrivata, Wolfrun l’abbracciò. “Non ci vorrebbe un brindisi?”
“Penso ci sia solo acqua. O forse la birra” disse Nora adocchiando il tavolo quasi del tutto sparecchiato.
“La birra sarebbe meglio” disse Wolfrun.

 

***

 

Jakob vide Wolfrun sotto un albero parlare con Nina. Nina? Nina che parlava con qualcuno? Cercò di prestare attenzione, ma Anneke gli corse incontro e tentò di arrampicarsi su di lui.
“Hai visto la mia bambola nuova?” gli chiese la bambina.
Jakob annuì. Wolfrun aveva cucito una bambola di stoffa grandissima per Anneke a Lemnos. Non sapeva dove fosse riuscita a nasconderla durante il viaggio.
“Quanto ci mette un desiderio ad avverarsi, Jakob?” domandò ancora la piccola, seria.
Come? Oh…
“Ogni desiderio è diverso. A volte si avvera in fretta, a volte ci mette di più…”
Anneke lo guardò confusa. “E come faccio a sapere se questa volta ci metterà di più?” chiese ancora.
“Dipende da quanto lo desideri, oppure, dipende da quanto è giusto. Al mio quindicesimo compleanno ho espresso un desiderio, ma ci ha messo tre anni ad avverarsi, perché era un desiderio confuso” spiegò. Ed era convinto che non si sarebbe mai avverato.
La faccia di Anneke ora era impagabile.
“Tre anni?” domandò, allibita. Per i bambini gli anni erano un’infinità di tempo.
“Sì. Si è avverato ieri” disse, sorrise della sua buffa espressione e continuò: “Dai, non preoccuparti, vedrai che presto succederà…” Lei annuì e corse via.
“Che desiderio avevi espresso, Jakob?”
Jakob si voltò verso Wolfrun che lo guardava con curiosità, dopo aver ascoltato la conversazione.
“Io lo so, il desiderio di Jakob” disse una voce alle loro spalle, Wolfrun si spostò e tutti e due guardarono Nina. “Jakob voleva fare l’amore prima di morire”.
Nina guardò per terra. Poi prese il suo libro e giocò con la copertina.
Jakob strabuzzo gli occhi, imbarazzato e confuso. Come faceva a saperlo? Non poteva averglielo detto Bernd. No, lui non lo avrebbe fatto. E lui lo aveva detto solo a Bernd.
“Deve averci messo tanto perché non l’hai espresso mentre soffiavi sulla candela” spiegò. Nina alzò lo sguardo una volta sola, poi tornò a guardare il libro.
“Come fai a sapere…” iniziò Jakob.

 

 

Wolfrun salutò Nina e prese per un braccio Jakob allontanandolo da lì.
“Vieni via” sussurrò. Lui fece un po’ fatica per via delle stampelle ma riuscì ad allontanarlo da Nina.
“Come? Perché siamo venuti via?” chiese.
“Stavi per farle una brutta domanda” spiegò lei, guardando indietro: per fortuna Nina si era rimessa a leggere.
Lui sembrava confuso.
“Non è vero. Io mi ricordo perfettamente di averne parlato con Bernd. Solo con lui. Quindi non so proprio come faccia lei a saperlo. Perché non potevo chiederglielo?”
“Perché quella ragazza mi ha appena detto che spesso la gente non si accorge di averla intorno. Fin da quando è piccola sente persone dire cose brutte su di lei senza che si accorgano che lei è lì” spiegò e sospirò alla faccia di lui, così continuò: “Non volevo che pensasse che neanche tu la vedi. Ti considera un fratello”.
Vide chiaramente il viso di Jakob distendersi e preoccuparsi allo stesso tempo. Poi sorrise.
“Ok, cercherò di stare attento a quello che dico” disse il ragazzo. Perfetto.
“Bravo. E potevi anche evitare di dire quella stupidaggine ad Anneke. Crederà che ci voglia tantissimo tempo prima che si avveri il suo desiderio” disse, ma pensò: ‘Che poi lei ti crede. E poi ti credo anch’io.’
Gli diede uno scappellotto.

 

 

Ehi! Ma quale stupidaggine? Aveva solo detto la verità. “Ho detto la verità” disse infatti.
Lei si voltò verso di lui. Lo guardò da sotto e alzò un sopracciglio con un’espressione così seria che ne ebbe quasi paura.
Poi lei cambiò: non divenne Wolfrun la pazza che aveva invaso Berlino, ma Jakob vide la stessa Wolfrun che realizzava di poter perdere Anneke per colpa di Andreas.
Fece un passo verso di lei. Voleva abbracciarla per farle sparire quell’emozione dall’animo, ma lei fece un passo indietro.
“Ho sentito dire una cosa diversa, da almeno due ragazze, a Lemnos. Non dire stronzate, Jakob, non a Annake e non a me” disse con un tono durissimo. Ehi, ehi, calma.

 

Wolfrun si stava innervosendo. Jakob pensava che fosse una stupida? Raccontare quella cosa che per fare l’amore aveva aspettato tre anni. Poteva ingannare Anneke e Nina, ma di sicuro non lei! Sapeva quello che dicevano le ragazze. E se anche una poteva aver mentito, di sicuro non tutte. Quindi, che non la trattasse da stupida, perché sarebbe stata l’ultima cosa che avrebbe fatto!
“Non era la tua prima volta” lo accusò.
“No. Ma ho fatto l’amore solo con te” continuò lui.
Un film. Sembrava un film. Un brutto film. O uno di quei romanzi melensi che leggeva Dorothea da ragazzina.
“Non sarò Christa, ma non sono neanche una ragazza dell’isola. Non prendermi in giro” Non me lo merito. Non riuscì a dirlo, così lo pensò.
“Cosa vuol dire che non sei Christa? E le ragazze…?” disse. Lui sembrava confuso. No, ottuso. Era ottuso.
“Che non hai il diritto di prenderti gioco di me. Anche se non sei…”
Dovette fermarsi perché non riuscì a pronunciare nessun’altra parola. Guardò da un’altra parte.

 

Jakob colmò la distanza fra di loro con tre passi. No. Lo pensò e basta. Aveva ancora quelle maledette stampelle.
“Non ti prendo in giro. Non mi interessa di nessun’altra. Né di Christa, né delle altre. Io volevo solo…” iniziò a spiegarsi, ma si interruppe quando Lei alzò lo sguardo e Jakob vide che aveva gli occhi lucidi. Merda. No. No.
“Ci vediamo dopo, Jakob” mormorò e scappò via. Dannazione! Lanciò una delle stampelle e questa cadde lontano da lui.
“Adesso come fai ad andarla a prendere?” Si girò: Nina era di nuovo lì, con il suo libro.
Sospirò. Non adesso, Nina.

 

***

 

Wolfrun aveva girovagato per un’ora. Poi era tornata verso Gropius. Per forza, non sapeva dove altro andare. Pensò così di fare una piccola deviazione e di andare nel posto dove tenevano i cavalli.
Entrò in quella costruzione che avevano adibito a stalla e si guardò intorno: c’erano tre cavalli. Un ragazzino che riempiva un secchio d’acqua e spostava quella che sembrava paglia. Dove aveva preso la paglia?
“Ciao” lo salutò ad alta voce, entrando. Lui si spaventò e fece cadere la pala. Si chinò a raccoglierla. Lo guardò meglio: lo conosceva.
“Ciao” disse lui.
“Sei il ragazzo che abita con Timo?” gli chiese e lui annuì. Aveva un nome strano. Non riusciva a ricordarselo. “Non mi ricordo il tuo nome…” disse, un po’ a disagio.
“Verme. Io sono Verme” spiegò il ragazzino. Com’è che si chiamava? Decise di non dire niente. Lui la guardò ancora.
“Io so chi sei” le disse lui, dopo un po’.
Oh, bene. Un altro, un altro che si ricordava di lei. Sì, era lei. La pazza, la fuori di testa. Valutò l’idea di andarsene e guardò verso il portone d’uscita. “Sei la padrona di Ziggy” esclamò e Wolfrun si voltò di scatto verso di lui. Gli era già simpatico.
“Lo ero” precisò. Si avvicinò a Ziggy, e lui la riconobbe, strusciando il muso contro la sua mano. “Mi ha riconosciuto!” esclamò, sorpresa. Il ragazzino si avvicinò e fece una carezza al cavallo anche lui.
“Sono animali molto intelligenti” spiegò, guardando l’animale. Annuì senza voltarsi a guardarlo. “Tieni, dagli questa” le disse.
Prese una piccola mela da uno dei secchi e la tagliò a metà con un coltello che aveva in tasca, prima di allungargliela. Lei la prese e l’avvicinò al cavallo, che la mangiò. Rise come una bambina. Sembrava Anneke. Ma non smise. Non si vergognò.
Si voltò verso Verme e lui disse: “Pensavo venissi prima. Domani torna il Pegaso, no?” Wolfrun annuì.
“Sì. Hai ragione. Avevo… paura che non si ricordasse di me…” disse accarezzando il cavallo. Verme si avvicinò e le diede l’altra metà della mela.
“Brutto venire rifiutati, eh?” disse, senza aspettarsi risposta. La ragazza si voltò di nuovo verso di lui e gli sorrise tristemente come se avessero un segreto in comune. “Già.”

 

 

“Ti ho trovata” disse una voce sulla porta.
Jakob avanzò verso Wolfrun insieme alle stampelle. Lui era dalla parte dell’unica uscita. Ora non poteva scappare. Non senza passargli sopra. Non fu sicurissimo che lei non l’avrebbe fatto, comunque. Ma avanzò ancora. Guardò Verme e lui lo salutò con un cenno della testa.
“Dobbiamo parlare” le disse quando le fu vicino. Lei accarezzava ancora Ziggy.
“Io… devo fare una cosa urgente… ” disse il ragazzino prima di sparire dalla porta.
Non avrebbe potuto fare scelta migliore. Jakob lo ringraziò mentalmente.

 

Wolfrun sapeva che non aveva senso scappare ancora. Così non lo fece. Continuò ad accarezzare il cavallo e gli parlò dolcemente, prima di salutare Verme che usciva.

 

“Sei scappata via…” iniziò Jakob.
La ragazza si girò verso Jakob e disse: “Hai ragione. Non avrei dovuto”.
Oh. Non si era aspettato una resa così facile. Immaginò che in verità non lo fosse. Annuì.
“Sono fatti tuoi, quello che hai fatto. Noi… io… non avrei dovuto dirti quelle cose…” parlò ancora, ma Jakob capì che lei si stava sforzando perché continuava a mordersi un labbro per il nervosismo. Apprezzò tantissimo che non fosse scappata.
Camminò verso di lei e disse: “Chi sei e cosa ne hai fatto della mia Wolfrun?”
Lei rise. Rise davvero. Il suono più bello del mondo. Riuscì ad avvicinarsi abbastanza da poterla cingere con le braccia. Lasciò andare le stampelle e lo fece davvero. Lei non scappò e non oppose resistenza, anzi gli posò le mani sulla schiena.
“Potrai chiedermi quello che vuoi. Ti risponderò con sincerità. E mi piacerebbe che lo facessi anche tu” le propose e lei annuì, ma non disse niente. “Vuoi che parta da Christa?” Lei annuì ancora. “Ma solo questa volta, ok? Poi non ne parliamo più. Ho baciato Christa. Mi piaceva tantissimo. Ma lei non mi ha voluto. È stato brutto, soprattutto quando ho capito che le piaceva Timo e che lei piaceva a lui. Come diceva Verme, è brutto venire rifiutati…”
Lei lo guardò negli occhi, ancora senza parlare.
“Pensavo che non mi passasse più. Te lo giuro. Sono stato male. Però c’erano altre cose: il virus, il tradimento di Andreas, il rapimento di Anneke, il ritorno di mio padre. Tutto era successo in poco tempo e tutto insieme.
E poi, improvvisamente, non c’era più niente. Niente di così importante: c’era il vaccino che aveva sconfitto il virus, Andreas era morto, tu e Anneke salve, Eleni e mio padre insieme e Lemnos. Ho pensato di ricominciare. Sono stato un vigliacco, ho preferito non vedere. Non vedere Christa che iniziava la sua storia con Timo. Non vedere gli altri. Non sopportavo l’idea di vederli tutti felici. Così ho preferito vivere a Lemnos, quando mio padre mi ha fatto scegliere. Sarà stato per il motivo sbagliato, ma non mi sono pentito. Mi piace l’isola, mi piace vivere lì. Ma non riuscivo a non pensare a loro. Perché, secondo te, tornavo sempre qui? Mi sentivo in colpa, io me n’ero andato. Io avevo un padre, io avevo ricominciato…”
Le fece cenno di non dire niente quando lei tentò di interromperlo e continuò: “Ho smesso di pensare a Christa. E le ragazze sull’isola… Beh, sono state… unguento sulle mie ferite. Ero stato rifiutato ma altre mi volevano. Sembrava semplice, avevo ricominciato, appunto”.

 

“E adesso? Non… ti piace più?” Wolfrun non riuscì a non chiederlo.
“In questi anni, ogni volta che scendevo dal Pegaso, mi facevo questa domanda, sai? Ci rimarrò male? Sarò divorato dalla gelosia? Guarderò Timo con odio desiderando di essere al suo posto? Ma ogni volta era sempre meno importante, per me, finché non siamo scesi dal Pegaso una settimana fa: abbiamo visto Christa con Timo. E con Abel, ricordi?”
Lei annuì, se li ricordava, eccome se se lo ricordava, aspettò la sua risposta trattenendo il respiro.
“Ho avuto paura. Paura di rimanerci male, almeno come l’ultima volta. Ma non è successo…” ammise. Bene. Wolfrun si rilassò finché lui non disse: “Ma sono stato male. Ho provato tutte quelle cose che ti dicevo, prima di venire qui”.
Come? Era stato geloso? Quando? E perché? Lui non disse niente, così si obbligò a domandare: “E quando è successo?” chiedere ‘per chi’ fosse successo, la rendeva nervosa, così non lo chiese.
“Due settimane fa, quando te ne sei andata con Georgos. Ho avuto paura che non tornassi più da me” spiegò. Wolfrun sentì il calore invaderle il viso e capì di stare arrossendo.
Si morse ancora il labbro, ma non riuscì a trattenere un sorriso compiaciuto. Jakob era stato geloso di lei. Voleva dire che pensava a lei e ci teneva. Era… bello. Sì, era una cosa fantastica.
Jakob le passò il dorso delle nocche sulla guancia e le sorrise.
“Christa non è male…” ammise lei.
“Non dirò la stessa cosa di Georgos!” esclamò lui e risero tutte e due. “Sai che Christa è incinta?” le chiese dopo poco.
“Sì. Lo so.”
Non gli raccontò del resto e Jakob continuò: “Me l’ha raccontato perché non voleva che lo sapessi da altri. Mi è sembrato… carino? Sì, mi è sembrata una cosa bella che stesse succedendo a una mia amica”
“E cosa le hai detto?” Wolfrun non riusciva a non chiedere. D’altronde se aveva solo quella volta per chiedere… tanto valeva sapere tutto.
“La verità. Che ero contento per loro. Ma…”
“Ma?” chiese lei, un po’ titubante. Possibile che sotto sotto…
“Cavolo, Wolfrun, ti ricordi? Quando è nata Clara non abbiamo dormito per più di quattro ore finché non ha compiuto un anno!”
Wolfrun rise. Aveva pensato quello?
“Quindi non ti dà fastidio?”
“Se tengono il bambino di notte a casa loro, no” rispose Jakob, sorridendo.

 

“Ora devi essere sincera tu” le disse, dopo un po’.
Jakob sapeva che lo sarebbe stata: si fidava.
“Ok. Chiedi” rispose lei. Jakob le sentì vibrare le mani contro la sua schiena.
“Perché hai paura di me?” chiese.
“Non ho paura di te!” esclamò lei, stupita.
“Abbiamo detto che dovevi essere sincera!”
Lei indietreggiò senza staccarsi da lui.
“Sono sincera. Non ho paura di te. Ho paura di quello che puoi fare a me. Perderei me stessa, se mi fidassi di te e tu mi tradissi”. Gli fece cenno di stare zitto quando tentò di interromperla. “Ricordi… la storia dell’abbandono? Avevi ragione. Ho paura di essere abbandonata dalle persone a cui voglio bene” ammise.
Jakob sapeva quanto le era costato dirlo.
“È una cosa che possiamo superare insieme. Ma devi fidarti di me. O non funzionerà. E non andremo da nessuna parte. Tanto vale dirlo subito” disse con sincerità e alzò una spalla.
Lei indietreggiò ancora e si staccò da lui di almeno due passi. Cosa stava facendo? Aveva deciso di non provarci neanche? Voleva andarsene? “Cosa fai?” le chiese, allargando gli occhi.
“La prova di fiducia a modo tuo” rispose, si girò e si lasciò andare verso di lui.

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