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Autore: Feanoriel    04/09/2019    1 recensioni
la prima fan fiction che pubblico, spero sia gradita.
nessuno dei personaggi, delle ambientazioni, dei luoghi o delle situazioni è stato inventato da me, viene tutto dalla geniale penna di J.R.R. Tolkien. la mia fan fiction prende spunto da alcuni avvenimenti del Silmarillion, con particolare attenzione a questa frase "Maglor infatti si impietosì di Elros ed Elrond, e si affezionò loro, e anche in quelli nacque amore per lui, per quanto incredibile possa sembrare, ma il cuore di Maglor era esulcerato e stanco dal peso del terribile giuramento".
le informazioni usate per questa fan fiction vengono perlopiù dal Silmarillion, ma alcune provengono invece dalla HoME (History of Middle Earth), Volume XII, The Peoples of Middle Earth, con particolare attenzione al capitolo "The Shibboleth of Feanor".
[Gen fic per di più, ma con qualche accenno di Maglor/moglie e di Maedhros/Fingon]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Elrond, Elros, Maedhros, Maglor
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ebbene sì, a volte ritornano.

Doverosa premessa: lo so che il capitolo 20 di questa fic suggeriva ben altra direzione per il finale della fanfic, ma più ci riflettevo su, più mi sentivo insoddisfatta della direzione che Between Heaven and Hell aveva preso. Dopo averci pensato a lungo, ho deciso che il perfetto finale di BHH era quello che inizialmente avevo progettato per la fic, cioè il ritrovamento di Elrond ed Elros da parte di Gil-galad. Ma sentivo che comunque gli mancava qualcosa, e che la fic doveva chiudersi con un epilogo. Perciò, eccomi qua.

Nota: NON cancellerò il 20esimo capitolo della fic per correttezza, e perché non voglio perdere i pareri e le recensioni che mi sono state lasciate. Ma considerate quel capitolo un di più rispetto alla storia originale, che ufficialmente si conclude con il 19esimo capitolo (che a tal proposito, se leggete qui, ritornate al 19esimo capitolo e leggete la parte finale, che ho modificato per rendere la storia più coesa, in modo che si adattasse all’epilogo).

Grazie per aver letto fin qui, vi lascio dunque all’epilogo della storia. 

 

Ultima nota: Alwin Arundel ‘Arry’ Lowdham è un personaggio inventato da Tolkien per le storie del Notion Papers Club (pubblicati nel volume IX della History of Middle Earth, Sauron Defeated). Long short story: Alwin Arundel fa parte di un gruppo ispirato agli Inklings, gli stessi amici di gioventù di Tolkien, e possiede la peculiare capacità di ‘ricordare’ lingue come il Quenya o l’ Adûnaic. Tra le altre cose, ci viene fatto intendere che Alwin Lowdham sia un discendente di Elendil, il che spiega i suoi sogni ‘profetici’ riguardo la Caduta di Númenor.

 

Ultimissima nota: questo capitolo è stato betato dalla mia meravigliosa @ Ellie. Grazie di cuore, tesoro! 

 

                                                                           Epilogo

 

Oxford, 7a Era, 12 giugno 1987

 

Era una tranquilla mattina di giugno.

 

Alwin Arundel Lowdham, Arry per gli amici, gettò uno sguardo distratto oltre il giornale che stava leggendo, seduto in un café vicino all’università. Le strade di Oxford erano piene di gente che accoglieva l’estate incombente con gioia e sollievo per essersi lasciati alle spalle il lungo inverno, e il loro chiacchiericcio riempiva l’aria, mescolandosi al cinguettio dei passeri e dei piccioni che popolavano i tetti della città. Suoni ordinari, per un’ordinaria mattina di prima estate. 

 

Arry era ancora perso nei suoi pensieri, quando sentì una voce, proprio di fronte a lui:- Buongiorno, Mr. Lowdham. 

 

La sorpresa fu tale che Alwin Arundel Lowdham si bloccò per un istante, la tazza di té sospesa a mezz’aria tra le sue dita. Quella voce non era una voce normale. Non solo gli era completamente sconosciuta, ma soprattutto, non era il tipo di voce che qualcuno si sarebbe aspettato di sentire , in una normale mattina d’estate nel centro di Oxford. 

 

No, quella voce era il tipo di voce che si sarebbe aspettato appartenesse ad un bardo dei tempi antichi, un bardo che avrebbe cantato di rune, anelli, draghi e tesori per i suoi atheling, nella sala di un palazzo illuminato dal focolare, scacciando con la sua voce l’oscurità che li attendeva fuori dalle porte. Era una voce che avrebbe dovuto appartenere ai suoi strani sogni, non alla normale quotidianità della sua veglia. 

 

Arry abbassò il giornale per guardare in faccia il suo interlocutore. Si trattava di un uomo alto, con indosso un lungo cappotto nero. I suoi lineamenti erano delicati, con labbra piene ed un naso aquilino, ma c’era qualcosa di strano in essi, qualcosa che Arry non era in grado di descrivere appieno a parole. Lo sconosciuto aveva corti capelli neri come le ali di un corvo, con alcuni fili argentei che ne ingrigivano le tempie, ma malgrado ciò nessuna ruga faceva capolino sul suo viso. Arry si ritrovò a pensare che lo straniero poteva avere circa quarant’anni, più o meno la sua età, ma era impossibile dirlo per certo. 

 

-Buongiorno.- replicò a sua volta, piegando il giornale. -Suppongo che lei sia un amico dei miei amici? Temo di non aver mai avuto occasione di fare la vostra conoscenza, sir.

 

-Nemmeno io.- ancora quella voce, vibrante e baritonale. Re e guerrieri dei tempi antichi avrebbero fatto qualsiasi cosa affinché le loro imprese venissero cantate con una simile voce, Arry Lowdham ne era sicuro. -Temo di non conoscere i vostri amici, purtroppo, ma consideratemi ugualmente un vostro amico. Posso sedermi?- chiese lo sconosciuto, indicando la sedia vuota in fronte ad Arry.

 

-Certo, certo- Arry fece un ampio gesto verso la sedia, come per permettergli di sedersi. -Confesso che non stavo aspettando nessuno, sir.

 

-Ma io vi stavo aspettando, Mr Lowdham.- il tono dello straniero era calmo, i suoi profondi occhi grigi non mostravano alcuna emozione. -O forse dovrei chiamarvi Ælfwine Éarendel Lowdham?

 

Nel sentire quelle parole, Arry ebbe un attimo di esitazione, ma fu lesto a ricomporsi. -Ammetto che è passato parecchio tempo dall’ultima volta che qualcuno ha usato quel nome- disse, parlando con leggerezza, come faceva come quando litigava scherzosamente coi suoi amici, giù al Notion Paper Club. -Un tempo molto lungo, in effetti. Chi vi ha detto il mio nome?

 

-Conoscevo vostro padre.- un lieve sorriso increspò le labbra dello sconosciuto, e questi posò una grossa scatola di legno sul tavolo.- Un uomo notevole. Ammetto di vedere qualcosa di lui, in voi. 

 

-Felice di sentirlo.- Arry Lowdham diede un’altra occhiata al viso dello straniero. Ancora una volta, gli sembrò circa sulla quarantina, forse perfino più giovane - decisamente troppo giovane per aver conosciuto Edwin Lowdham, disperso in mare quarant’anni prima. -Un uomo decisamente notevole, anche se, come voi stesso avete potuto notare, propenso a fare scelte bizzarre nello scegliere il nome per suo figlio. “Di questi tempi, un uomo ha più libertà nel dare un nome alla sua barca piuttosto che a suo figlio.”, era solito ripetermi.

 

-Forse- ancora quel triste mezzo sorriso sulle labbra dello sconosciuto. - Ma io penso che il vostro nome vi si addica, Ælfwine Éarendel Lowdham, per molte cose. 

 

-Forse- Arry ripensò ai suoi sogni, quei sogni che lo lasciavano con troppe domande  e non abbastanza risposte.- Posso chiedervi come avete conosciuto mio padre, sir?

 

Lo straniero si strinse nelle spalle:- Voi sapete che vostro padre era … ah, interessato allo studio delle antiche lingue norrene ed anglo-sassoni. Le sue ricerche lo portarono nei posti più strani, a contatto con persone ancora più strane. Voi sapete anche che era particolarmente interessato al vero significato del nome Éarendel.

 

Arry tacque. Il suo primo pensiero fu che lo sconosciuto, qualunque fosse il suo nome, poteva aver origliato la sua conversazione coi suoi amici al Notion Papers Club, perché si trattava chiaramente di un uomo troppo giovane per aver potuto conoscere Edwin Lowdham. L’altra ipotesi era chiaramente troppo assurda per venire presa in considerazione. 

 

-Sì, lo era- Arry tamburellò le dita sul tavolo. Non gli piaceva la piega che la conversazione stava prendendo. - Mio padre era particolarmente interessato ai nomi. E a tal proposito, temo di non conoscere il vostro, sir?

 

-Anche se ve lo dicessi, temo che non avrebbe alcun significato per voi- replicò lo straniero, una nota d’acciaio nella sua voce baritonale.- So dei vostri sogni, e so che hanno poco a che vedere con me. 

 

Malgrado si trattasse di un caldo, piacevole giorno di giugno, Arry sentì improvvisamente un brivido gelido lungo la schiena. Decise di lasciar perdere ogni tentativo di tenere la conversazione su toni leggeri.  -Se è uno scherzo, sir, non è divertente. Cosa sapete dei miei sogni?

 

Lo straniero fece un respiro profondo, e poi recitò, con la sua voce profonda:

 

-Desolato il  Minul-Târik, dimenticato il  Pilastro del Cielo!

 

Per un momento, fu come se l’intera Oxford fosse scomparsa, ed Arry Lowdham fosse stato trasportato in un’altra dimensione. Solo nebbia e fumo si estendeva di fronte ai suoi occhi, e udì una voce, lontana, distante, disperata, gridare quelle stesse parole che lo straniero aveva appena pronunciato.

 

Fu solo un istante, la durata di un battito del cuore, e poi Oxford tornò con le sue strade piene di gente e di chiacchiericcio, e con essa, il viso dello straniero, la cui espressione non era cambiata di una virgola. Arry si accorse di avere la schiena piena di sudore freddo.

 

Arry Lowdham prese un fazzoletto dal taschino, e prese ad asciugarsi la fronte dal sudore freddo che la imperlava. -Conosco queste parole- fu solo capace di dire. E come avrebbe potuto dimenticarle? Le aveva sognate quella stessa notte, e una volta sveglio, aveva cercato di fissarle sulla carta il prima possibile, prima che svanissero per sempre tra le nebbie della sua memoria. -Le ho sognate. Faccio sogni del genere da quando ho dieci anni… frammenti di parole, frasi che capitano improvvisamente nella mia mente, in sogno come nella veglia. É assurdo, sono giunto alla conclusione che…   -scosse la testa. -Che non siano solo prodotti della mia immaginazione. Credo che le parole che sento nella mia testa siano le parole di un linguaggio dimenticato da tempo, usato da un popolo ormai perduto per sempre.

 

Lo straniero rimase silenzioso per qualche istante. Poi disse:- Dubito che sarete sorpreso, se vi dico che avete perfettamente ragione, Ælfwine Éarendel Lowdham. Per qualche strano gioco del fato, la vostra mente ricorda le parole di una lingua da tempo dimenticata, una lingua parlata da un popolo che ormai non esiste più. Con qualche eccezione, come voi, naturalmente. 

 

Prima che Arry potesse rispondere, lo straniero spinse la scatola verso di lui. 

 

Arry la prese, ma si sentiva ancora troppo nervoso per aprirla. Chissà cosa c’era dentro, quale altra sorpresa aveva in serbo per lui quell’uomo.

 

-Chi siete? - gli chiese. -Cosa volete da me? Come avete saputo dei miei sogni?

 

-Una domanda alla volta- lo straniero alzò la mano.- Innanzitutto, sono qui perché siete l’unica persona che può aiutarmi. L’unica persona che crederebbe alla mia storia, e l’unica persona che potrebbe diffonderla. - fece un cenno con la testa verso la scatola.

 

Arry Lowdham si decise finalmente ad aprirla. Dentro, vi era una quantità di fogli accuratamente scritti a penna, e per un attimo, il cuore gli mancò un battito, quando si rese conto che una parte di lui riconosceva quella lingua, quegli strani caratteri. Aveva perso il conto delle volte in cui gli erano apparsi in sogno. 

 

-La lingua dei miei sogni- mormorò tra sé e sé, facendo scorrere i fogli tra le mani, incapace di credere a ciò che vedeva.

 

-Esattamente- lo straniero unì le punte delle dita. -Avete tra le mani il mio poema, la mia opera più importante. Ne ho allegato una traduzione in inglese appositamente per voi, così che possiate confrontarla. Non ho dubbi che la troverete utile. - accennò nuovamente un lieve sorriso.

 

-Voi non sapete quanto abbia aspettato questo momento- Arry Lowdham rise. Un intero poema scritto nella lingua dei suoi sogni, quella stessa lingua che aveva sperato così tanto di decifrare, di penetrarne i segreti, con tanto di traduzione in inglese, era più di quanto avrebbe mai osato sperare in tutta la sua vita. Scorse le pagine fino a che non trovò la traduzione in inglese, stavolta dattilografata e non scritta a penna, e poi si rivolse nuovamente allo straniero: -Come sapevate di me e dei miei sogni? Come sapevate che era ciò di cui avevo bisogno?

 

-Conoscevo vostro padre- lo straniero alzò le spalle. -E semplicemente, i nostri desideri si sono venuti incontro in questa particolare occasione. Io ho bisogno di qualcuno che legga il mio poema, e che lo diffonda al mondo, e voi avete bisogno di qualcuno che vi fornisca una traduzione delle parole che sognate. In tal caso, possiamo aiutarci a vicenda. Per il resto - lo straniero lasciò andare un lungo respiro. - Voi avete troppe domande, domande a cui io stesso non saprei trovare risposta, e che non è compito mio rivelarvi.

 

-Capisco- Arry rimise i fogli nella scatola, e li richiuse con cura, quasi avesse paura che la scatola e il suo prezioso contenuto svanissero nell’aria all’improvviso. -Mi auguro però di ricevere da voi la risposta ad una domanda. Ve lo chiedo nuovamente: voi chi siete?

 

-Chi sono io?- lo straniero sembrava stranamente divertito da quelle parole. -Già, chi sono io? Ho avuto molti nomi, ed altrettanti appellativi. Cantore impareggiabile, Fratricida, Spodestato, figlio di un padre morto troppo presto e di una madre ingiustamente lasciata indietro, padre a mia volta di figli che io non ho generato, fratello di fratelli crudelmente uccisi, marito di una donna amata e perduta, e per un periodo, tra i più ricercati fuorilegge che abbia mai solcato la Terra di Mezzo. Io sono tutto questo, e molto di più. 

 

Terra di Mezzo, pensò Arry Lowdham. Middengeard, il nome che gli antichi Anglo-Sassoni davano al mondo degli uomini, posto a metà tra il cielo e gli inferi. 

 

-Se volete sapere chi sono davvero- continuò lo straniero, riscuotendolo dai suoi pensieri.- Non avete altra scelta che leggere il mio poema, la mia storia, scritta dalla mia stessa mano. Il Noldolantë, come l’ho chiamata, che significa ‘La caduta dei Noldor’ nella mia lingua, il Quenya. Lì ci sono molte risposte alle vostre domande, almeno per quanto posso fornirvele. Altre risposte, ve le dovrete cercare da solo, poiché non è compito mio narrare della grande Númenor, che voi avete sognato così spesso, e della sua fine. Io parlo solo di ciò che conosco, della mia storia e della mia vita, e di tutte quelle vite che si sono intrecciate alla mia, e che sono state cancellate dall’inesorabile scorrere dei secoli. Ciò che è scritto in quelle pagine è la verità, la mia verità, il mio sangue e le mie lacrime, la mia gioia ed il mio dolore. Usate saggiamente le mie parole, Ælfwine Éarendel Lowdham. 

 

-Lo farò- Arry posò una mano sulla scatola. - Ve lo prometto. Mostrerò il suo poema ai miei amici, cercherò un editore, farò tutto quello che voi volete. È il minimo che possa fare, dopo che… dopo che…- scosse la testa.- Lei non ha idea di come mi senta, quale sollievo mi ha portato. Per anni ho creduto di essere un pazzo, un visionario. Credo che perfino i miei amici pensino che io sia… un po’ tocco, se me lo permettete. Se sono giunto alla conclusione che i miei sogni contenevano qualcosa di vero, è stato solo per un caso fortuito, e anche così, ho sempre avuto il timore che si trattasse dell’ennesimo prodotto della mia follia. D’altra parte, chi mi avrebbe potuto credere?  Mio padre si intendeva di queste cose, ma scomparve in mare quando avevo nove anni. E a tal proposito… è un peccato che mio padre non mi abbia mai parlato di voi. Me ne ricorderei, se l’avesse fatto.

 

-Forse l’ha fatto, ma non nel modo che lei si sarebbe aspettato-lo straniero prese un altro respiro profondo.- Lei è un uomo intelligente, può capirlo da solo.  Non le ho forse detto che sono un suo amico, Ælfwine Amico degli Elfi?

 

Arry Lowdham non avrebbe mai creduto che qualcosa potesse sorprenderlo ancora, in quella mattinata, ma evidentemente si sbagliava. Si ritrovò senza parole.

 

-Lei è un elfo- riuscì finalmente a dire, a fatica. Poi scoppiò a ridere tra sé e sé, di una risatina nervosa.- Beh, devo ammettere che lei è diverso da come ho sempre immaginato la sua stirpe. Per lo meno, sono felice di constatare che non siete per nulla simile a quelle ridicole creature post-Shakespeariane che i miei contemporanei associano agli elfi. Se posso dirlo, non riuscirei ad immaginarla mentre vola di fiore in fiore!

 

Lo straniero aggrottò le sopracciglia:- Nella mia vita ho fatto molte cose, ma volare di fiore in fiore non è tra queste. Né ho mai sentito il bisogno di farlo, per dirla tutta. Per il resto… non dubito di essere sicuramente diverso da come voi avete immaginato il mio popolo, ma tale è l’effetto di lunghi anni di dolore e di sofferenze. La lunga sconfitta ha fatto di me la sua preda, alla fine. 

 

Per un momento, la luce di strane, remote stelle apparve negli occhi dello straniero, e Arry Lowdham non poté trattenere un brivido. Si chiese come avesse mai potuto scambiare la creatura che gli sedeva di fronte per un essere umano. 

 

Posò le mani sul tavolo, nel tentativo di calmarsi:-Posso chiederle ancora il suo nome, sir? Non è solo per mia curiosità, è che, se devo pubblicare la sua opera, non ritengo sia giusto spacciarla per una mia invenzione. Desidero far sapere chi l’ha scritta veramente.

 

Lo straniero sorrise nuovamente di quel suo strano, triste sorriso:- Le posso dare il mio nome, Ælfwine Éarendel Lowdham. Un tempo, suppongo che avrei avuto ritrosie a darle il mio nome, poiché i nomi possono essere pericolosi nelle mani sbagliate, ma se ho consegnato la mia storia nelle sue mani, è perché so che posso fidarmi di lei. Le darò il mio nome, ma lo usi saggiamente.

 

-Lo farò- Arry annuì. -Le posso giurare che lo userò solo per dare giustizia alla sua opera, e null’altro.

 

-Non c’è bisogno di fare giuramenti- disse in fretta lo straniero, e per un attimo, la sua voce parve sul punto di rompersi. -Il mio nome è Maglor Fëanorion, Amico degli Elfi. 

 

Arry Lowdham aggrottò la fronte. Non era un nome che gli suggerisse qualcosa, né ricordava di averlo mai sentito durante uno dei suoi angosciosi sogni sulla perduta Númenor. Ma poteva averlo benissimo sognato e poi dimenticato, così come aveva dimenticato tante, troppe cose. 

 

E poi, per un attimo, Oxford sparì di nuovo, e Arry si trovò solo su una sterminata, infinita spiaggia, solo le urla dei gabbiani sopra di sé, e il flebile pianto di un bambino in lontananza … 

 

La visione durò solo un istante, ed Arry prese un respiro profondo. Prese la tazza e bevve un sorso di tè, ora freddo. 

 

-Un nome interessante- disse, ma quando alzò lo sguardo per guardare in faccia il suo interlocutore, lo straniero se n’era andato, silenzioso come era apparso.

 

Arry si lasciò andare sulla sedia. Avrebbe quasi potuto credere che tutta la conversazione avuta con lo straniero non fosse altro che un sogno, un’altra delle sue visioni che lo perseguitavano nel sonno come nella veglia, non fosse stato per la scatola colma di fogli, che ancora giaceva sul tavolo, il lucido legno che catturava i raggi del sole. 

 

                                                                                    *

 

Maglor  Fëanorion sentiva le grida dei gabbiani, da qualche parte sopra di sé.

 

Le persone che camminavano per le strade di Oxford sembravano non prestare alcuna attenzione allo strano uomo col lungo cappotto nero in piedi in mezzo alla strada,  il viso rivolto verso il cielo, un sorriso sognante sul volto. Fu così che Maglor vide chiaramente i due gabbiani che volavano sopra di lui, le loro grida così acute da perforare l’aria, coprendo per un attimo il chiacchiericcio della gente tutt’intorno a lui.

 

La vista di due gabbiani nel bel mezzo di una città dell’entroterra non era certo rara, visto che potevano risalire il fiume, ma Maglor si sentì ugualmente pieno di gioia, una gioia che non provava da tanto, troppo tempo.

 

Il suo sguardo si rivolse verso Ovest, e non poté fare a meno di chiedersi se la Via Diritta fosse ancora aperta per lui. Se Edwin Lowdham era stato capace di trovarla, perché non lui?

 

Dopotutto, era la Settima Era ormai. Il mondo era cambiato per sempre, con nuove terre e nuovi continenti, e gli Elfi se n’erano andati da tempo, sia quelli che avevano deciso di salpare per l’Ovest che quelli che avevano deciso di rimanere. Il nome di Fëanor era ormai stato dimenticato. Non c’era più nulla che ancorasse Maglor a quel mondo, nulla per cui valesse la pena rimanere. 

 

Il tempo degli Elfi era ormai finito da tempo, tutto ciò che dopo era avvenuto a Maglor non era stato altro che un lungo, stanco epilogo, tirato fino all’inverosimile, come un pezzo di burro spalmato su troppo pane. 

 

Consegnare il Noldolantë ad Ælfwine Éarendel Lowdham altro non era che mettere la parola fine alla sua storia, quella storia che era durata troppi secoli, così come il Noldolantë stesso era finito con la scomparsa dei due ultimi Silmarilli dal mondo. Maglor gettò, quasi automaticamente, uno sguardo alla sua mano destra. Un tempo, vi era stata la cicatrice di una bruciatura impressa indelebilmente nel palmo, ora, il passare dei secoli aveva cancellato perfino quella, malgrado Maglor fosse ancora in grado di vederla, durante alcune notti particolarmente tormentate. 

 

Sospirò. Quella cicatrice non aveva più importanza, altro non era che la vestigia di un tempo ormai passato e concluso definitivamente, che viveva ancora solo nelle pagine di un libro, quello stesso libro che aveva consegnato ad Ælfwine Éarendel Lowdham. Ci aveva pensato a lungo, molto a lungo, prima di decidersi di cercare il figlio di Edwin Lowdham e consegnargli la sua opera, ma alla fine, aveva deciso che era giusto così. Gli Elfi potevano essere svaniti dal mondo, ma le loro storie non sarebbero mai svanite, avrebbero continuato a venire narrate nei secoli dei secoli, e il nome di Fëanor avrebbe brillato di nuovo. Alla fine, il tempo avrebbe dato ragione agli Spodestati, e il loro nome sarebbe stato riabilitato. 

 

E chi meglio dell’ultimo discendente di Elendil, dell’ultimo discendente di Elros per fare ciò? Nel corso dei secoli, Maglor era venuto a sapere che nei dorati saloni di Imladris il Noldolantë, l’opera in cui aveva investito così tanta fatica, così tanta energia, veniva ancora cantata e recitata, ma ormai perfino Elrond era salpato dai Porti Grigi, abbandonando per sempre il mondo, e quella memoria era svanita con lui. 

 

Sarebbero stati gli Uomini a ricordare per lui, ora. Il compito di Maglor era finito, poteva finalmente mettersi alla ricerca della Via Diritta, o morire nel tentativo di trovarla. 

 

Maglor non potè fare a meno di chiedersi cosa fosse successo a sua moglie, e a sua madre, dopo tutto il tempo che era passato. Nutrivano ancora qualche speranza per il suo ritorno? O avevano deciso di dimenticarlo, perché il solo ricordo causava loro troppa sofferenza?

 

Si chiese cosa fosse successo ai suoi fratelli, se i Valar avessero alla fine deciso di permettere loro il ritorno da Mandos, di reincarnarsi in nuovi corpi. Dopotutto, sette ere erano ormai passate da quando avevano pronunciato il loro giuramento. E se i Valar avessero cambiato idea, e avessero deciso di perdonarli, alla fine?  Forse lo stavano aspettando in quello stesso momento, là nei verdi campi di Tirion dove un tempo, bambino, aveva giocato con loro … 

 

E fu così che Maglor, il lungo cappotto nero che sventolava nella brezza, prese a camminare in direzione del tramonto, un sorriso sognante sul volto e il cuore colmo di speranza, cantando sottovoce una canzone che aveva composto molti, molti anni prima:

 

I'm a lonely minstrel,

A traveler on a road to nowhere

I sing a song to lighten the day

So come along as I walk away.

 

Note:

  • La canzone che canta Maglor alla fine si chiama ‘Lament of Minstrel’ ed è stata composta da una band metal svedese, i Falconer.

 
  • Nel testo sono presenti alcune citazioni provenienti dal nono volume della HoME, Sauron Defeated, Notion Club Papers, che ho dovuto tradurre e che probabilmente suoneranno malissimo (perché ahimé non sono una traduttrice professionista), come: 

    • A man has more freedom in naming his ship than his own son these days

    • Desolate is Minul-Târik, the Pillar of Heaven is forsaken!

    • But certainly I didn’t mean elf in any debased post-Shakespearean sort of sense. (in questo caso, Tolkien aveva una pessima opinione del modo in cui i suoi contemporanei tendevano a vedere gli elfi, spesso rappresentati come creaturine alte poche centimetri che volano tra i fiori. Li odiava così tanto che in un suo saggio scrisse alcune parole parecchio sprezzanti nei confronti della Nymphidia di Michael Drayton. E il Professore non aveva un buon rapporto nemmeno con Shakespeare).

  • atheling: antico termine anglosassone per ‘nobile’. Ho preferito non tradurlo, per via del particolare legame di Alwin Arundel Lowdham con gli antichi Anglo-Sassoni. 

 

Ringrazio tantissimo, e di vivo cuore, chiunque abbia mai letto o commentato questa fanfic, chiunque abbia contribuito alla sua crescita, nel bene e nel male, e chiunque abbia letto fino a qui, alla fine di questo viaggio. Grazie, grazie davvero tanto.

 
   
 
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