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Autore: ___Page    07/09/2019    6 recensioni
«Allora, cosa mi raccontate?!» tiene un braccio sulle mie spalle mentre ci avviciniamo al tavolo. «Il lavoro? Il trasloco?».
«Abbiamo una piccola divergenza di opinioni sul citofono» racconta Ace con un sorrisone.
«Al lavoro tutto bene. Un po’ presi da un nuovo progetto. I Cloth Tattoo vanno alla grande».
«E al Castello?»
Law ghigna, come sempre orgoglioso del suo ospedale pediatrico.
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Ora al posto dello sterrato c’è una gittata di asfalto, per agevolare il transito di macchine e della linea di autobus che il comune di Raftel ha attivato apposta per collegare l’ospedale al centro città, ma, come quasi mai accade, non è una brutta visione. Questa strada è il preludio di qualcosa di così bello da rendere i miei ricordi su questa collina ancora più preziosi.
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«Oh santo…»
«Non t’azzardare» lo ammonisce la voce da dentro la maschera. «Pesa quanto me e caccia un caldo allucinante»
«E dire che sembra così confortevole» commenta bastardo Law.
«Grazie al cielo il resto del costume non mi va. Ma non si poteva dire ai bambini che il Dugongo Kung Fu si è slogato una caviglia. No. Perché avrebbero perso fiducia nelle arti marziali. Capisci, Law?! S’è slogato il cervello, altro che la caviglia!»
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altro Personaggio, Izou, Koala, Sabo, Sanji | Coppie: Nami/Zoro
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Una delle più grandi lezioni di vita che papà mi ha insegnato è che “casa” non è tanto un luogo, quanto uno stato mentale.
Non sono semplicemente quattro mura e un tetto, ma il colore delle pareti e ogni crepa nel soffitto. Un luogo diventa casa quando ne riconosci ogni macchia e sfumatura, ogni piastrella sconnessa, ogni rigonfiamento causato dall’umidità, ogni zigrinatura nel vetro.
Casa sono odori, colori, sensazioni.
Casa è anche chi la abita.
Casa per me, sarà sempre il trilocale di zio Ty, la villa a Goa, il mio vecchio appartamento con Nami e la casa dove vivo attualmente con Law, anche se dovessimo un domani andarcene. Casa è uno stato mentale, sono tutti quei luoghi dove sono stata e dove sto bene.
La Ivankov&Co, anche, è casa per me.
Il minuscolo open-space condiviso con Usopp e Nami, le macchinette del caffè, luogo di incontro con Izou, l’ascensore di sinistra che prendiamo tutti insieme la mattina, anche se poi Izou e Marco devono tornare giù al reparto stampanti, persino l’ufficio di Iva.
Sono luoghi che conosco bene, di cui ricordo ogni scanalatura, zoccolo e spigolo.
Lasciare casa, in genere, non è facile. È un cambiamento e i cambiamenti non sono facili, per quanto inevitabili. Lasciare un luogo sicuro, che ti fa sentire a tuo agio, protetto, come dietro a uno scudo, come se nulla di male potrebbe mai accaderti.
È curiosa, la nozione di casa. Per quanto poco materiali si possa essere, lasciar andare un luogo, da sempre malinconia.
«…di fianco a Victoria Cindry! Vi rendete conto?!»
Sogghigno insieme ad Usopp, le mani ad accarezzare il pancione, mentre Nami ci racconta del weekend a Marijoa. Per me è già il secondo dettagliato resoconto, avendomi Izou telefonato domenica per dirmi ogni cosa ma c’è da dire che Izou tende ad aggiungere pittoreschi dettagli perciò, insomma, è come sentire una storia diversa. Anche se certe cose che avrei detto essere frutto della sua fantasia, a quanto pare sono vere.
Sono colpita.
«Ah ragazzi, che bello potervi finalmente raccontare tutto» si stiracchia sulla sua poltrona ergonomica Nami. «Davvero non sapete quanto mi mancava lavorare tutti e tre insieme»
«Lavorare…» commenta Usopp, alzando un sopracciglio per poi scambiarsi un’occhiata con me e sorridere un po’ tirato.
«Ma come?» sogghigno appena. «Che fine ha fatto Nami “non disturbate la mia creatività con le vostre voci” Cocoyashi?» la prendo in giro ma lei si limita sorridermi soddisfatta.
«Si è evoluta. Ora le piace lavorare in compagnia» smuove i capelli a mento alto ed è solo in nome della nostra amicizia che evito di sottolineare che in realtà è evidente che è sempre stato così ma non lo ha mai voluto ammettere. E anche perché sembra quasi che lo facciamo apposta a dirglielo adesso, ma d’altra parte non ha nessun senso rimandare. «Ehi» si allerta e ci guarda a occhi socchiusi. «Che sono quelle facce? Dovete dirmi qualcosa?»
«D-d-d-d-dirti qualcosa?! N-no! Perché m-m-mai lo p-pensi?!» si comincia ad agitare subito Usopp, insospettendola ancora di più e strappandomi un sospiro. «È un b-bene che tu sia più a-aperta alle r-r-relazioni sociali ed è una bella cosa che ora ti p-p-piaccia lavorare in compagnia, c-che sia con n-n-n-n-noi o q-qualcun a-a-altr…»
«Usopp» lo richiamo con un sorriso.
«Wowowowowo! Fermi tutti! Cosa significa “che sia con voi o qualcun altro?”» fissa minacciosa Usopp che sobbalza e trema come una foglia.
«Ma n-niente, niente! Era rif-f-ferito a Iz…»
«Ci sono un po’ di cambiamenti in atto, Nami» intervengo, parlando con calma, in aiuto di non so nemmeno io se Usopp, che esala sollevato di non aver più in mano lui la patata bollente, o Nami, che mi fissa scioccata ma ha per lo meno abbandonato qualunque velleità omicida.
«Che… che genere di cambiamenti?» tentenna, spostando lo sguardo da me ad Usopp e ritorno. «Ve ne andate?»
Abbasso per un attimo gli occhi al pancione e li rialzo subito su di lei «Sì e no»
Nami boccheggia, annaspa in cerca d’aria e quando una vena prende a pulsare sulla sua fronte mi preparo all’esplosione. Mi preparo psicologicamente, non come Usopp che si nasconde dietro la sedia. «Che vorrebbe dire sì e no?! O ve ne andate o non ve ne andate, non esiste la via di mezzo!!!» ruggisce, i denti a squalino, e si alza in piedi di scatto, con il chiaro intento di mettersi a camminare, se solo lo spazio non fosse inesistente qui dentro. Così, per sopperire, gesticola. «Ma bene bravi!  Begli amici che siete!» Usopp mi guarda in panico e io gli sorrido rassicurante. «Voi progettate le vostre cose, vi candidate per nuovi lavori e tutto alle mie spalle, senza dirmi niente, senza discuterne prima?!»
«Discuterne?» mi acciglio.
«Dopo tutto quello che ho fatto per voi! Dopo tutte le volte che vi ho prestato gli spicci per prendere il caffè alla macchinetta!»
Usopp solleva un sopracciglia e si azzarda a sbirciare da dietro la sedia. «Ce li hai sempre chiesti indietro con gli interessi»  
«Zitto tu!» lo aggredisce e poi incrocia le braccia sotto al seno, fingendosi scocciata. «E quindi?! Dove andate?! Vi hanno preso in coppia?! Non c’era posto anche per me?! Chi sono?! È la Baroque Works?! Baby e Bibi hanno messo una buona parola, mh?! No?! Allora la Mad Treasure, ho sentito che cercavano ma non credevo ci interessasse un’azienda come quella! Santo cielo! Hanno un’accusa di sfruttamento minorile pendente! Davvero volete lavorare per loro?! Vi facevo più etici, sinceramente!»
«Senti chi parla…»
«Che hai detto, nasolungo?!»
«Nami, non è la Mad Treasure»
«E dove allora?!» mi abbaia contro ma non mi sfugge il lampo sofferente nei suoi occhi. E lo capisco. Siamo sempre stati un team, sempre noi tre. È dura cambiare, l’idea di ricominciare da zero spaventa. Ma a piccoli passi, ce la caveremo alla grande, noi tre e non solo, ne sono certa.
«Qui Nami. Sempre qui alla Ivankov&Co» annuisco piano e lei mi fissa interdetta e a occhi sgranati per trenta secondi buoni, durante i quali Usopp si azzarda a riemergere da dietro la sedia, fissandola preoccupato.
«Ehmmm, N-Nami?»
«In che senso qui alla Ivankov&Co?! Cosa significa?!»
«Ti va di risederti così ti spieghiamo e Usopp non si fa venire un attacco cardiaco?» le propongo, sperando accolga il mio suggerimento. Cosa che, per fortuna, fa, intrecciando le dita delle mani tra loro, ancora diffidente.
«Vi ascolto»
Prendo un profondo respiro e lancio una rapida occhiata ad Usopp, mentre rifletto rapida da dove partire.
«Ricordi tre settimane fa che hanno chiamato Usopp a sostituire un collega in informatica tanto erano disperati?» decido di partire da lui e Nami gli lancia un’occhiata ma torna subito su di me e poi annuisce. «Ecco, sembra che il nostro Usopp sappia come lasciare il segno. Gli hanno proposto di diventare data analyst. In pratica fare quello che fa normalmente per noi ma a vantaggio dell’intera azienda. Già era una leggenda per la sua analisi preventiva per i cloth tattoo, che era basata sul niente, quando lo hanno visto all’opera, sono caduti tutti ai suoi piedi» lo guardo con orgoglio.
«Oh» commenta Nami, rigida sulla propria sedia. Non le piace non avere il controllo della situazione, non le piace essere lei che dipende da altri e darlo a vedere. «Non sapevo volessi un lavoro simile»
«È un lavoro in cui sono bravo» si stringe nelle spalle Usopp, un sorriso umile sul volto, il suo sorriso più vero. «E come data analyst migliorerei la mia posizione, otterrei un aumento e soprattutto…» prende un profondo respiro, che è anche di sollievo. «…soprattutto posso lavorare da casa due giorni a settimana, così da poter gestire meglio Kaya, stare con lei e avere la certezza di passare i controlli con gli assistenti sociali» ammette, puntando gli occhi in quelli di Nami, speranzoso che possa capirlo che la sua migliore amica sia dalla sua parte.
E Nami capisce. Ovviamente capisce e vuole solo il meglio per lui, vuole che realizzi i suoi sogni, vuole vederlo felice.
«Okay» concede, ancora restia a lasciarsi andare, ancora incerta e diffidente. Come una gatta in cerca di affetto. «E tu?»
Inspiro a fondo. Non ho ancora pienamente metabolizzato che sia davvero successo. Mi sembra ancora così surreale, eppure è accaduto sul serio.
«Jinbe ha pattuito con Iva di aprire una sezione permanente dedicata esclusivamente al probono, finanziata di tasca propria e… Mi vuole a capo del team» sorrido e mi stringo nelle spalle, gli occhi che pizzicano di emozione.
C’è un attimo di sospensioe e poi, senza preavviso, mi ritrovo tra le braccia di Nami. «Koala è il tuo sogno» sussurra al mio orecchio, mentre la stringo di rimando.
«Lo so»
«Sono così felice per te» aumenta la presa e io chiudo gli occhi. «Ma come farai con…» si accovaccia e posa le mani sul pancione.
«Pare che ci sia un po’ di gente in giro per l’azienda nelle mie stesse condizioni, così Bartolomhew ha proposto di aprire un asilo aziendale. Anche l’universo sta facendo gli straordinari, a quanto pare. Pensa che a quanto pare Tsuru ha minacciato Iceburg se non riconosce il Castello come struttura ospedaliera anziché clinica privata. I fondi impenneranno.» mi asciugo le guance. «Comunque la sezione probono non è ancora pronta. Aprirà che io sarò già in maternità e Jinbe farà le mie veci finché non rientro. Mi vuole a qualunque costo a quanto pare»
«Santo cielo» si passa le mani nei capelli Nami, gli occhi sgranati e troppe informazioni tutte insieme. «Santo cielo, è veramente… voi… Cavolo!» protesta. «Begli amici che siete davvero! Mi mollate da sola e mi obbligate anche a essere felice per voi!» sorride a Usopp, che sghignazza e scuote il capo. «Beh almeno non dovrò più preoccuparmi delle vostre voci che disturbano la mia creatività» scrolla poi le spalle, con fare superiore. «Sperando che il direttore artistico che ti sostituirà, Koala, non sia uno stronzo totale. O una stronza totale. Il fatto di non esserlo, è una delle tue migliori qualità»
«Temo che invece lo sarà eccome» commenta Usopp, il sopracciglio alzato, facendo accigliare Nami.
«Perché? Sapete già chi sarà?»
Io e Usopp ci scambiamo un’occhiata e poi torniamo su di lei, non riusciamo a non sorridere mentre la fissiamo con insistenza, in attesa che ci arrivi da sé.
«Perché mi guardate così? Mi volete dire chi è e basta così mi preparo psicologic…» sgrana gli occhi e la voce le muore in gola quando finalmente il pensiero raggiunge l’area cerebrale dedicata alle deduzioni logiche, qualunque essa sia. «…amente» finisce suo malgrado e rimbalza con gli occhi tra di noi un paio di volte.
«È stata una conditio sine qua non perché accettassi di lasciare il team. Meriti anche tu una promozione e soprattutto, meriti questo posto» la guardo con infinito affetto.
Nami Cocoyashi, direttrice creativa e responsabile marketing.
Suona bene e, a giudicare dalla sua espressione tronfia e sorniona, lo sta pensando anche lei.
«Beh immagino che fosse l’unico modo per lasciare le campagne che ci pagano gli stipendi con tranquillità, metterle in mano mia intendo» smuove i capelli con una mano, sospirando. «Certo ora dovrò anche scegliermi dei nuovi collaboratori. Dovrò sceglierli io, personalmente. Ah, che rogna» sospira, fintamente rassegnata.
«A dire il vero uno te l’ho già trovato» mi guardo le unghie con noncuranza.
«Che?!»si mette dritta di scatto. «M-ma guarda che per me non era un problema scegliermeli eh. Cioè, certo sarebbe stata una cosa in più ma sarebbe stata la mia prima decisione da cap…»
«Okay, okay, dove posso piazzare tutta questa meravigliosa e stilosa roba?!» entra nell’open space, armato di scatolone, finta strafottenza e un sorriso che mi fa venire voglia di abbracciarlo.
Gli voglio bene. Gli voglio così bene e sono pronta a tutto per mettere a tacere le malelingue che potrebbero emergere quando si verrà a sapere della sua inattesa promozione, non solo a una nuova mansione ma proprio a  un nuovo reparto.
Perché lo merita, perché è un genio visionario e so che farà grandi cose, per la moda, per l’azienda e anche  e soprattutto per mio figlio.
E comunque nessuno tocca il mio migliore amico.
«Izou?»
«Ehi rossa!»
«Izou?!» domanda ancora Nami, alzandosi in piedi, ma stavolta non chiede conferma della sua effettiva presenza, semmai chiede conferma di aver capito bene il motivo del suo arrivo. E so che lo negherà fino alla tomba, ma riesco a registrare l’esatto momento in cui la consapevolezza che, sì, Izou sarà suo collega, il suo braccio destro, la Nami della sua squadra creativa prende forma nella sua mente da come gli occhi le brillano felici.
«Sì, rossa, sono io!»
Non che Izou sia da meno e non me la deve nemmeno provare a raccontare. So benissimo che non è solo per la promozione.
Nami assottiglia gli occhi, la vena prende a pulsare sulla sua fronte e incrocia le braccia sotto al seno. «Guarda che io sono il tuo superiore ora. Devi chiamarmi “capo”» solleva il mento e io mi scambio un’occhiata eloquente con Usopp che si alza e scivola verso di me, porgendomi il braccio.
Izou posa lo scatolone sulla prima scrivania che gli capita a tiro, trucida Usopp con gli occhi, controllando che mi maneggi con cura e mi sostenga correttamente, e poi prende Nami per le spalle e la fa sedere dov’ero io un attimo fa. «Perfetto, capo»si siede sulla scrivania e piega appena verso di lei. «Allora mettiamo subito i puntini sulle i. Devo potermi allontanare almeno tre volte al giorno per andare a fare sesso con Marco-chan e poi…»
Sghignazzo mentre io e Usopp ci alziamo per uscire dall’open-space, io devo andare da Iva e lui dal suo nuovo responsabile e un lieve spasmo mi prende lo stomaco.
Malinconia. La malinconia e i cambiamenti, a volte sono necessari.
«Ah» torno sui miei passi proprio sulla soglia, alzando appena l’indice. «Io non so cosa voi due abbiate in mente, ma Boa Hancock ha mandato stamattina un’email al mio indirizzo che doveva essere per voi, in cui dice che sarebbe interessata a finanziare non ho capito che progetto online di abbigliamento» li guardo e sorrido soave. «Io non so cos’avete in mente voi due, ma se la produzione della squadra cala non pensate che io non abbia più diritto di venire qui a farvi il contropelo» 
Anche perché probabilmente saranno loro a finanziare noi.
«Sì capo»
«Okay boss» rispondono prontamente, più di quanto osassi sperare, in realtà e nascondo la sospresa dietro a un’espressione soddisfatta che fa sghignazzare Usopp quando lo raggiungo in corridoio.
«Allora è fatta eh?» mormora quando mi fermo a un passo da lui e annuisco.
«È fatta»
«Nami l’ha anche presa meglio del previsto»
«Oh Usopp, eri tu che avevi paura della sua reazione, io sapevo che sarebbe stata felice. Insomma con l’aumento di stipendio…» giro gli occhi e Usopp ride, pizzicandomi una guancia tra due nocche prima di puntare gli occhi oltre me, il sorriso mezzo congelato sul volto e gli occhi pieni di nostalgia che osservano il nostro open-space, che sarà sempre nostro, ma guardano oltre, guardano il nostro futuro con speranza e curiosità.  
«Andrà tutto bene vero?»
Sorrido e mi tiro sulle punte, prendendogli il viso tra le mani per abbassare il suo sguardo su di me, gli occhi che guizzano, spero rassicuranti. «Sta già andando tutto bene, Usopp»
 

 
§
 
 
Tre anni dopo
 
Sospiro mentre ricontrollo di nuovo il cellulare. Credo sia la settima volta da quando sono uscita dal Castello al tempo di arrivare davanti casa e parcheggiare. I semafori sembravano essersi messi tutti d’accordo per rallentarmi stasera ma ho sfruttato le soste per verificare che avesse letto il mio messaggio su WhattsApp.
Inutilmente.
Le spunte sono ancora grigie e sì, lo so che ci siamo sentiti all’ora di pranzo, ma doveva farmi sapere per che ore rientrava dalla trasferta fuori Raftel, per parlare non ho capito con che cliente non ho capito di quale di questione. Fatto sta che sono le otto e di Sabo ancora nessuna notizia.
O spunta blu se è per questo.
E no, non sono apprensiva, so benissimo che probabilmente sta guidando, che si sarà dimenticato di avvisarmi che partiva, che boh non lo so e non sarei così in aria se solo oggi non mi avesse informata a fine telefonata che stasera avrebbe avuto bisogno di parlarmi.
Onestamente, lì per lì non ci ho nemmeno fatto caso ma più si avvicinava la fin del turno più ho cominciato a metabolizzare e diventare consapevole di alcuni dettagli che avevo registrato solo nel mio retropensiero.
Come le risposte schive sul cliente e in generale il motivo della sua trasferta. La risata nervosa con cui mi ha salutato. L’insistente bisogno di sapere con precisione per che ore avrei smontato più o meno. Che poi è una contraddizione in termini e glielo devo far notare, al signor avvocato.
Di cosa mi vuole parlare? Perché la cosa mi agita tanto? Dove si è cacciato da non aver mezzo secondo per visualizzare il mio stupido messaggio?
Okay, Ish, okay.
Calma.
Tutto questo non è da te e tu non sei la sorella perduta di Law. Non di sangue almeno. E ci può stare un po’ di apprensione a saperlo in viaggio stanco morto, ci sta tutta la voglia di riabbracciarlo, non ci sta per niente il panico e il pensiero irrazionale che voglia parlarti per un motivo astruso come tipo, ecco, lasciarti.
Certo se solo non fosse stato così strano e irrequieto queste ultime due settimane, con quel fare circospetto e una sacra isteria all’idea che mi avvicinassi al suo cassetto delle mutande…
Va bene, stai pensando troppo ora.
Sii zen. Respira.
Cosa ti direbbe Praline ora?
Sfoga tutto con il sesso, bimba. 
Sì, ragionevole ma non molto utile. Pessima scelta, Ish. Okay, okay proviamo con Aisa.
Pedinarlo. Dobbiamo pedinarlo. Cimici nella borsa del lavoro, un geolocalizzatore nel caffè così lo ingoia e…
Scuoto la testa e mi picchio la fronte con il palmo. Rei?
Sono uomini Ish. Avrà le mestruazioni o sarà preoccupato per qualche gabola al lavoro. 
Di cui sarei al corrente visto che lavoriamo nello stesso posto.
A volte anche Ace ha dei momenti così, l’ultima volta ho seriamente valutato un rituale Voodoo. 
Okay, basta. Inutile stare ad arrovellarsi così, ora entro, mi do una rinfrescata e poi cerco di capire a che ore arriva e di rilassarmi un po’ mentre lo aspetto per parlare. Devo anche preparare qualcosa da mangiare, avendo ormai bandito il take-away dalle nostre vite.
Lo sento come il clack della porta schiocca all’ingresso, il lieve rombare tremolante che mi accoglie in una fusa miagolata, un trattorino a quattro zampe che reclama cibo o coccole o entrambe. E che stasera sembra parecchio agitato.
«Lindbergh. Ehi che ti prende?» scivolo veloce in casa, gli occhi fissi su di lui che si struscia sul mobile dell’ingresso, la schiena inarcata e la coda dritta che vibra nell’aria. Mi accovaccio un momento e gli permetto di strusciarsi su di me, grattandolo sulla testa, ma quando vedo che non si calma, che annusa l’aria con insistenza arricciando il nasino rosa con un puntino marrone, che mi viene voglia di mangiarlo, che fa scattare la schiena, capisco che non è semplice fame la sua, ma che c’è qualcosa in casa che chiaramente lo turba. Avrò qualcosa da fare mentre aspetto Sabo.
Mi rimetto in piedi per sfilarmi la giacca, non prima di aver lanciato le chiavi nell’apposito contenitore sul mobile dell’ingresso e… E… Aspetta un… Cosa…
Mi acciglio, studiando a bocca schiusa i tre mazzi di fiori, o meglio i tre giganteschi mazzi di fiori, disposti sul mobile, spaventosamente ordinato per farci stare i tre vasi, così straripanti che mi domando come ho fatto a non notarli immediatamente, così come il profumo marino tipico dei gigli cuore blu.
Oh santo cielo…
Ma cosa…
Li studio come un gatto, cauta e spaventosamente curiosa, attratta dalla lieve luce bluastra che i pistilli sembrano emanare nella penombra, dando l’impressione di trovarsi sul fondo dell’oceano. Ora che ci penso, da dove arriva questa luce fioca?
Ma quest’altra questione diventa momentaneamente l’ultimo dei miei pensieri quando mi accorgo di tre foglietti identici posati in mezzo ai fiori su ciascun mazzo, con al centro scritto in grande, in azzurro e bella grafia il numero 25.
Venticinque. Venticinque.
Mando giù con il cuore che batte all’impazzata e sono abbastanza confusa e bacata da poter pensare che si tratti di una specie di rompicapo se una parte di me, molto recondita, non avesse già iniziato a capire. E so all’istante che venticinque è il numero di fiori in ogni mazzo, per un totale di settantacinque che schizza a centoventicinque quando mi accorgo di altri due mazzi identici sull’altro mobile, quello con lo specchio a figura intera, e sulla scarpiera.
Davvero, come ho fatto a non notarli, come?!
Senza riuscire a pensare a qualcosa di sensato, mi sposto di pochi passi, notando la luce soffusa anche in cucina, dove alternati da piccole lanterne bianche, altri cinque vasi fanno bella mostra di sé, sul bancone e sul piano di lavoro.
Venticinque fiori per mazzo.
Duecentocinquanta.
Duecentocinquanta gigli cuore blu.
Non è possibile. Non lo è. Sto sognando per forza.
È una follia!
Entro con passo felpato in salotto, quasi timorosa di spezzare l’incantesimo del mio Mago, gli occhi lucidi non certo per la fatica di mettere a fuoco nella meravigliosa, accogliente, delicata luce che le lanternine disseminate ovunque emanano, aiutate dalla vernice fosforescente che schizza la parete dietro al divano, a illuminare altri quattro mazzi sul tavolino, quattro di fianco alla televisione, due sopra al pensile, due sotto alla sedia-amaca. Dodici mazzi da venticinque.
Duecentocinquanta più trecento.
Cinquecentocinquanta.
Le mani mi tremano, non è certo per il profumo che permea l’aria che faccio fatica a respirare e sento pure una musica di sottofondo nel mio cervello perché insomma questo numeo è troppo vicino, troppo simile a un ricordo che si fa improvvisamente vivido nella mia mente, di una serata di assurdità in un momento di sconforto, in compagnia di un malassortito gruppo di donne con cui non ho niente in comune, che, casualmente, sono le mie migliori amiche.
Ma non riesco a concretizzare quella che continua a sembrarmi una dissonanza cognitiva perché non può averlo fatto davvero, andiamo! È impazzito! Non può, gli saranno costati un patrimonio, non può! Per me! Non può aver davvero comprato…
«Era centocinquantacinque, giusto?»
La sua voce alle mie spalle è musica, come il canto di una sirena, che mi stordisce e mi fa ritrovare lucidità. Mi giro verso di lui, camicia bianca e pantaloni blu, i miei preferiti, quelli con le cuciture bianche. Mi guarda con occhi carichi di emozione, riflesso dei miei che brillano per le lacrime incredule che mi ostino a non versare.
Sei un pazzo.
Un romantico pazzo senza speranza.
E io ti amo così tanto.
«Sì…» esalo, immobile mentre lui si avvicina, passo calmo e sorriso sul volto, un braccio dietro la schiena. «Dove sei stato?»
«Waterwheel. Scusa per la bugia, non potevo dirti cosa stavo davvero andando a fare»
Mando già a vuoto. Waterwheel. È andato apposta fino a Waterwheel a prenderli.
«Come stai?» mi accarezza con la mano libera e io vorrei chiudere gli occhi, abbandonarmi al suo tocco ma sono così in aria, e confusa, e… e… felice!
«Io… io non…» balbetto e sorrido come una scema allargando appena le braccia a indicare intorno a me. «È troppo bello» ammetto con un fremito, che è il massimo di movimento che il mio corpo mi concede.
«M-mmh» mormora, unendo la sua fronte alla mia, puntando i miei occhi con i propri. «Però quanti sono?»
«Cinq… cinquecentocinquanta…»
Il cuore protesta quando si separa da me ma si lancia in una serie di acrobazie quando Sabo si mette in ginocchio. «Oh cavolo…» esalo a fatica, la gola annodata per l’emozione mentre tira fuori da dietro la schiena gli ultimi cinque gigli ed è solo il baluginio che riesce a farmi staccare gli occhi da lui e posarli per un momento sull’anello che luccica, incastrato tra i pistilli del giglio centrale.
Pazzo.
Sei pazzo.
Almeno quanto io lo sono di te.
«Ishley Isabel Habena…» prende un profondo respiro, la voce ferma nonostante l’emozione evidente sul suo volto. È così bello che non so nemmeno come fa a essere mio. «…vorresti sposarmi?»
«Sì» Non c’è esitazione, solo una risata che brilla sulle mie labbra umide. «Sì, Sabo, sì!»
Sì che voglio. Voglio sposarti, essere tua per sempre. Da qui fino alla fine dei miei giorni. Da qui fino alla fine del mondo.
«Ora…» deglutisco a vuoto. «S-se vuoi mettermi l’anello, potresti? Perché ho davvero tanto, tanto bisogno di baciarti»
Sussulta appena, come se si accorgesse solo ora di essere ancora in ginocchio, di avere le braccia troppo vuote e prima che io capisca come, i gigli sono sul pavimento, l’anello al mio dito, io tra le sue braccia, le sue labbra sulle mie.
Lo cerco con il corpo, con le mani, con la bocca e con il cuore, a casa, al sicuro sul suo petto, e faccio leva per saltargli in braccio e farmi portare sul divano. E anche se è una dinamica frequente per noi e se quella volta era la camera da letto, mi fa ripensare sempre alla prima volta che abbiamo fatto l’amore, sporchi di vernice e in una casa che era ancora solo mia.
Ne abbiamo fatta di strada in tre anni. Così tanta che mi sembra che lui ci sia sempre stato. Se penso che ho temuto volesse lasciarmi…
«Ish…» mi chiama con voce roca, nella penombra e io gli sto già aprendo la camicia, sto per chiedergli di prendermi, tutta, farmi sua adesso e per sempre, le sue mani che si intrufolano sotto i miei vestiti, quando una serie di suoni molto disturbanti si levano dal suo cellulare e dal mio cercapersone.
Gli ignoreremmo anche, se solo i messaggi in entrata per Sabo non fossero così a raffica da addirittura sovrapporsi l’uno all’altro e non fosse strano, per non dire anormale, che il mio cicalino suoni a nemmeno un’ora dalla fine del mio turno.  
Ci guardiamo per un momento ma non si sposta da me, mi riprende in braccio prima di mettersi in piedi e, continuando a baciarmi, raggiunge l’ingresso dove abbiamo abbandonato i cellulari. Mi stringe e sostiene con un solo braccio mentre allunga l’altro ad afferrare e poi controllare il proprio telefonino, mentre io mi esibiscio in uno slancio di contorsionismo per cui devo ringraziare i miei anni di danza, piegandomi con il busto fino a raggiungere il cercapersone.
Osservo il messaggio lampeggiante, mentre Sabo continua a scorrere, con una calma che me lo rende irriconoscibile vista la notizia.
«Perona…»
«Sì. Ci siamo» confermo con un sorriso, aspettandomi di vederlo schizzare da un momento all’altro, il tempo di metabolizzare appieno.
«Ace è parecchio agitato» lancia di nuovo un occhio allo schermo, scivolando su e giù lungo la schermata della chat con suo fratello. Ma niente. La calma incarnata. Lo fisso, incredula, cercando di capire se lo hanno clonato gli alieni «Ma in fondo, Perona sta solo facendo qualcosa che migliaia di donne prima di lei, per millenni, hanno fatto e un tempo senza nemmeno l’assistenza medica. No?»
O forse è solo una gran faccia da culo. Ma non posso fare a meno di preoccuparmi. Che gli prende?
«Voglio dire, un travaglio dura… dura parecchio, no? C’è tutto il tempo…» sonda il terreno, cecando i miei occhi con i suoi, e il sangue abbadona di nuovo il mio cervello.
Oh.
Oh!
Okay, è questo?! Si beh, non potrei essere più d’accordo io…
«Tutto il tempo» confermo un po’ ansante, incapace di staccare gli occhi da lui.
La sua presa su di me aumenta, c’è giusto un altro istante di sospensione e poi mi sta nuovo mordendo le labbra, e io le sue, e ricomincia a camminare stavolta verso la camera.
E sì, c’è tempo, c’è assolutamente tempo.
Tipo, il resto della nostra vita.
 

 
***

 
«Oddio ma guardala?! Mi sto sciogliendo!»
«È da mangiare» sorride famelica e Ace indietreggia impercettibilmente, stringendosi al petto il piccolo fagotto. «Oh tranquillo Spalle Larghe, dicevo metaforicamente. Forse»
«Praline smettila di spaventarlo» la richiama Perona seduta nel letto, stanca ma soddisfatta, gli occhi che brillano di una luce unica e non perdono di vista un solo istante Ace e la loro bambina.
«Hai fatto tanta fatica?»
«Diciamo che non me l’ha fatta semplice. Ma appena me l’hanno messa in braccio… Non lo so io…» scuote il capo e io le sorrido, passandole un bicchiere d’acqua.
«Conosco la sensazione»
«Decisamente la conosci» sorride, occhiando alla mia pancia di cinque mesi. «Quindi femmina?»
«A quanto pare…» accarezzo il lieve rigonfiamento sotto la casacca. «La forza non scorre così potente nel cromosoma Y di Law. Non come in tutto il resto» le lancio un’occhiata eloquente, strappandole una risata.
«Povero Deimos! se la vedrà brutta, circondato da soli estrogeni»
«Cosa sono gli estrogeni, papà Usopp?»
«Qualcosa che tra qualche anno ci farà diventare pazzi»
«Usopp!» lo richiama Sanji e lui sgrana gli occhi come a domandare che avrà mai detto – e non posso non appoggiarlo – ma Sanji non gli risponde e si piega verso Kaya, premendogli un dito sul nasino. «È una cosa di cui non ti dovrai mai preoccupare, Principessa»
«No, infatti al massimo ce ne dovremo preoccupare noi»
«U-sopp» lo ammonisce di nuovo a denti stretti e lui sospira e scuote il capo e lo ignora deliberatamente, sorridendo piuttosto a sua figlia quando lei lo cerca, eccitata e spaesata al tempo stesso di fronte alla proposta di Ace di prendere in braccio la neonata.
Ha quasi dieci anni, adesso, Kaya, ed è la bambina più dolce che conosca. Ed è felice, così felice e coccolata, a volte forse troppo dal suo papà Sanji. Ma non c’è pericolo che diventi viziata, per la sua indole certo, ma anche grazie al suo papà Usopp che la guida per mano, insegnandole il mondo e che non bisogna per forza saper fare tutto ma nemmeno bisogna arrendersi di fronte a quelli che sembrano ostacoli troppo grandi.  
«Vuoi provare, amore?» le chiede e Kaya esita solo un altro momento prima di annuire convinta.
Qui al Castello, si sente sempre a casa. Che sia per un controllo, per una normale visita pediatrica o, come oggi, per accompagnare papà e papà a conoscere la nuova arrivata. Qui al Castello, Kaya si sente invincibile. È e sempre sarà, per lei, il regno della principessa pirata, detentrice del magico anello di rubino.  
«Non siamo un po’ in troppi?» considera Reiju, guardandosi intorno. «Cioè, non dovrebbe esserci tipo un numero massimo di visitatori?»
«Oh non preoccuparti» veleggia per la stanza, Praline. «Io sono qui come infermiera…»
«Hai smontato da un’ora, Praline» prova a farle notare Aisa.
«Il papà non si considera un visitatore, Kaya è piccola e non conta perché al limite si può nascondere da qualche parte e Sanji e Usopp sono un’entità singola. Quindi, no» appoggia il mento alla spalla di Reiju e le sorride. «Non siamo troppi»
«Non sono affatto sicura che questo abbia un senso» mormora impassibile Reiju, ormai assefuatta alle sue stranezze. Come tutti noi del resto.
«Ma se anche fosse poi, chi mai potrebbe venire a dirci niente?»
«Un soggetto o due mi vengono in men…» la porta che si apre interrompe Usopp, lasciando filtrare una vocina entusiasta che mi porta via il cuore ogni volta, insieme alla sua proprietaria, in braccio all’uomo più bello del mondo.
«Parli del diavolo…»
«Mami!» mi chiama appena mi vede, gli occhi azzurri che brillano. «Mami, guadda! Ho la maccherina, come papà e come te!»
«Lo vedo, amore! È la supermascherina che ti protegge da tutto» le dico andandole incontro per prendermela e spupazzarmela un po’, aprofittando del fatto che Law sembra troppo impegnato a contare in quanti siamo per accorgersi che sua moglie incinta si accinge a sollevare dodici chili e provare a impedirglielo.
«Siete in troppi» sentenzia, lasciandomi Lux senza proteste.
«Oh dai Torao. Non fare il guastafeste» prova a rabbonirlo con un sorriso mellifluo, Praline. Come faccia a pensare sia una buona idea usare il suo nome clown per farlo è per me un mistero al pari dello One Piece.
«Non faccio il guastafeste, è contro il regolamento dell’ospedale, siete in tr…»
«Eccoci eccoci! Siamo arrivati, ce l’abbiamo fatta!» entra a razzo in camera Izou, il tono melodrammatico, sistemandosi i capelli con piccoli tocchi accorti, seguito a ruota da Sabo e Ish.
«Magnifico»  
«Tio Izou!» esplode di gioia Lux e gli corre incontro barcollante dall'entusiasmo.
«La mia Principessa» Izou se la carica in braccio e la fa roteare in aria.
«Oh ehi! Eccoti! Ci chiedevamo che fine avessi fatto!» esclama Aisa, gli occhi su Ishley che sembra brillare di luce propria mentre io mi avvicino a Kaya che culla la piccola, insieme a Izou e alla mia bambina.
«Ah io mi sa che lo so che fine aveva fatto» Praline la prende per i fianchi, tastando a mani piene dove il busto rientra con una sinuosa curva, simile a una clessidra.
«Cosa stai facendo?»  
«Prendo le misure»
«Per cosa?» domanda Perona, sinceramente perplessa e Ish sospira, rassegnata.
«Non so se voglio saperlo e... Ehi! Praline, insomma! Posso andare a salutarla?!» protesta, senza perdere d’occhio Sabo che abbraccia Ace e bacia Perona sul capo e, ora che lo guardo bene, anche lui brilla e sorride senza riserve. 
Do un bacio in testa a Lux, osservando attenta, mentre lei ascolta con la stessa attenzione qualunque cosa Usopp stia raccontando, e non trattengo un sorriso soddisfatto quando noto un cerchietto in oro bianco all’anulare sinistro di Ish e il petto mi ribolle di una sensazione calda e piacevole. Alzo gli occhi su Law, per vedere se anche lui si è accorto, non so per quale slancio di fiducia, ma è troppo concentrato a tenere d’occhio me, Lux, Kaya e la piccola. 
«Ma come l’avete chiamata alla fine?» domanda Sabo.
Ace e Perona si scambiano un’occhiata innamorata e lei si mette più dritta, schiarendosi appena la gola. «Il suo nome è…»
«Suuuuuuupaaaaaaaaaa!!!»
«Oh è interessante» annuisce Izou, scostandosi dalla porta che si spalanca con forza inaudita. «Ma c’è l’onomastico?» s’informa, rischiando di morire incenerito dalla neo-mamma. Non che gli importi un granché visto che insieme al trio degli inferi è arrivato anche Marco.
«Deimos, fa il bravo» tiene d’occhio il piccolo demone dai capelli bianchi, Eris, responsabile e coscienziosa sorella maggiore, che se la guardi negli occhi troppo a lungo rischia di pietrificarti. «Guarda che ci sono Kaya e Lux. Ciao zii!»
«Okay, adesso siete veramente in troppi» sentenzia Law e Robin si gira a guardarlo eterea.
«Ho una piccola sorpresa» mormora, indicando con un cenno del capo il portatile sotto al suo braccio.
Lascio andare Lux, che corre a tutta velocità da Izou e Marco, per farsi prendere in braccio e, sì, okay, forse è davvero il caso di uscire adesso, pensiero che condivido telepaticamente con Usopp. «La restituiamo alla mamma e al papà adesso, che ne dici?» propone a Kaya, prendendo la piccola dalle sue braccia e portandola da Ace proprio mentre Robin apre il pc su una videochiamata.
«Buzzurro svegliati! Siamo in linea!»
«Mh, eh… ohi Nami! Ouch! Non stavo dormendo!!» 
«Come no… Saluta tua sorella, piuttosto» 
«Ehi!» si illumina Perona. «Come va a Kuraigana?»
«Tutto bene» risponde laconico Zoro.
«Tuo fratello è agitato da morire per l’esame»
«Nami!»
«Che c’è? È vero! Oh ma la piccola? Possiamo vederla?» si emoziona la zia Nami mentre silenziosi scivoliamo fuori uno dietro l’altro, lasciando solo Robin con loro, per sollievo e soddisfazione del dottore.
Il reparto di ginecologia e neonatologia sembra un angolo di paradiso all’interno di quella che è comunque un’oasi di felicità, per quando la tranquillità non sia esattamente di casa. Al terzo piano del Castello, dipinto di un rilassante azzurro-grigio, stanze insonorizzate, profumo di lavanda in ogni dove. L’orgoglio di Gerth, che ci si aggira in pattini, spuntando senza preavviso da qualunque angolo, spesso in compagnia di Cora, fin troppo spesso per i gusti di Law.
Se solo sapessero che Praline tiene un registro di tutti i posti che secondo lei sono stati battezzati da questa o quella coppia.
«Mami, papi! Vado con Deimos a cecae Heat!» ci saltella intorno nostra figlia. «Posso?»
«Gli accompagno io» ci avvisa subito Eris, parlando più che altro con suo zio, mentre anche Kaya si avvicina.
«Vengo con voi, Eris, è da tanto che non vedo Heat e Katakun»
«Non andate più giù del secondo piano» si raccomanda con le più grandi Law, per poi tendermi la mano e raggiungere insieme a me tutti gli altri.
«E allora le ho detto “Boa, amore mio, tu sei sempre bellissima ma diciamo che l’arancione su di te sta più che come un tramonto sul mare, come il topping al mango sul gelato”»
«Ma come fa a essere ancora vivo?» mi bisbiglia Law all’orecchio, abbracciandomi da dietro e io ridacchio, abbastanza da attirare l’attenzione di Izou.  Socchiude gli occhi, indagatore, sporgendosi appena verso di noi.
«Ehi, ehi, ehi! Cosa confabulate voi due?»
«Law si chiedeva come fai a essere sopravvissuto alla selezione naturale vista la tua totale mancanza di filtri» mi stringo nelle spalle ma lui non appare molto convinto.
«E nient’altro?»
«Nient’altro» conferma mio marito.
Izou sposta lo sguardo da me a lui un paio di volte «Sicuri?»
«Izou…»
«Non Izouarmi! Devo forse ricordarti che una volta ci è bastato distrarci mentre eravate in vacanza e vi siete sposati! No dico, sposati, senza di noi! Hai sposato la mia Kay e io non c’ero neanche!»
«Non è tua»
«Izou cosa potremmo mai stare tramando, andiamo» cerco di farlo ragionare, con scarso successo.
«Un secondo matrimonio magari! Visto che sembrate convinti che sia una faccenda assolutamente personale!»
«Izou, il matrimonio è una faccenda personale»
«Oh ma davvero Reiju? Dillo a tuo fratello che ha detto di sì davanti a un’aula di tribunale p-i-e-n-a! È così che si fa! Si danno ad amici e parenti segnali chiari ed evidenti, come una proposta plateale o un anello al dito almeno per qualche mese prima della cerimonia! Come Ishley!» conclude di slancio, sollevandole la mano sinistra dal polso e lasciandoci più o meno tutti senza parole.
Lo dico sempre, Discrezione è il suo secondo nome. Il mondo sarebbe così noioso senza di lui.  
Mi basta un’occhiata per sapere che anche Marco, oltre me, se n’era già ovviamente accorto. Il resto di noi fissa Ish come se fosse una creatura mitologica, Sabo fissa Izou come se lo avesse appena privato della sua virilità, Ish fissa noi con un misto di esaperazione e gioia.
«Sorpresa!» prova a esclamare quando il silenzio si protrae troppo a lungo e poi si gira a sibilare a Izou che deve imparare a ingoiare la lingua, un attimo prima di venire travolta da Aisa.
«Oddio ma che bella notizia! Chebellochebellochebello!» ondeggia con lei Aisa. «Ma quando?! Quando glielo hai chiesto avvocato?!»
«Ieri sera» risponde Sabo, con un sorriso bellissimo e pieno di devozione per la sua Ish.
«Ah l’ho detto io che odoravate di sesso da proposta»
«Per l’amor del cielo, Praline, cos’è il sesso da proposta, adesso?»
«Oh è una cosa che… ma che te lo spiego a fare, tanto tu non vuoi sposarti» sventola una mano in faccia a Rei con fare sadico. Un fare sadico che non abbandona riportando l’attenzione sulla coppietta di neo-fidanzati. «Ad ogni modo tu hai avuto uno splendido tempismo Mingherlno ma sarà meglio che vi sbrighiate a organizzare se non vuoi prendere un abito premaman, Ish»
Sbatto le palpebre un paio di volte mentre gli occhi di Sabo si fanno tondi come due fondi di bottiglia e Ishley si gira a guardarla con un sorriso nervoso. «Ma che stai dicendo?!» ride, più acuta del normale, un filino forzata forse. Per poi diventare di colpo mortalmente seria quando Praline continua a sorridere con l’aria di una che sa qualcosa che tu non sai. «Praline che stai dicendo?»
«Perché credevi ti stessi prendendo le misure?» inarca le sopracciglia lei, provocandomi un brivido lungo la schiena, che fa sì che Law mi stringa più forte, soprattutto quando Izou e Sanji esplodono in contemporanea.
«Congratulazioni!»
«Oh Ishley-chwan che notizia divina! Tu sei divina e con il pancione sarai divina e tu non pensare di scamparla facilmente per aver violato il mio angelo custode anche se sarà divina!»
Ishley riesce a malapena a distogliere lo sguardo pietrificato da Praline giusto per fulminare Sanji quando minaccia Sabo, che normalmente si difenderebbe da sé se solo non fosse impegnato a cercare di capire cosa sta succedendo. «Oh oh, ma basta! Calmatevi, quali congratulazioni?» alza la voce Ishley. «Praline stai bluffando»
«E chi lo sa?» schiocca la lingua lei.
«E come fai a saperlo che non lo so nemmeno io?» porta le mani ai fianchi, Ish, mentre noi spostiamo gli occhi dall’uno all’altra, come se giocassero a ping-pong.  
«Ho corrotto Shachi perché usasse il tuo campione di urina per il controllo annuale per fare un test»
Mi giro appena verso Law, studiando il suo viso impassibile, in cerca di una risposta. Non può essere seria. Andiamo non può. Eppure dalla faccia di mio marito e da quella di Ishley e anche dal sorriso malefico di Aisa, può esserlo eccome. E se prima lo sospettavo ora lo so: Praline è la consorte del demonio e molto probabilmente per questo Cora l’ha voluta come capoinfemiera.  
«Stai bluffando» ribadisce Ishley, per niente intenzionata a farsi travolgere dal panico, a differenza di Sabo che già iperventila.
«Ish, amore…»
Ma persino lei vacilla quando Praline di nuovo schiocca la lingua.
«Forse. Forse voglio solo metterti fretta perché non vedo l’ora che andiamo a sceglierti il vestito, forse l’ho fatto davvero» canticchia. «Dopotutto ho fatto un calco delle chiavi di casa tua una volta»
Ishley sgrana gli occhi, le ci vuole mezzo secondo per elaborare, ricordare, concludere che non è così impossibile affatto che Praline abbia corrotto l’analista di laboratorio e trafugato il suo campione di urina, chiedersi per quale istinto suicida e masochista l’ha scelta come migliore amica e, infine, venire afferrata da Sabo per il polso e farsi trascinare lungo il corridoio.
«Sabo, cosa…»
«Andiamo a cercare un test di gravidanza» annuncia, imboccando le scale a passo di carica sotto i nostri sguardi attoniti, che si fanno ancora più attoniti quando Praline sospira sonoramente.
«Ah l’amore» scivola lentamente via dal cerchio, «Che meraviglia, non trovate? Io adoro scegliere gli abiti da sposa.  E ora vado giù a controllare le bambine. Ciao ciao!»
«Ehi tu!» si riscuote Usopp. «Non penserai di avvicinarti a Kaya senza nessuno che ti sorveglia!» le va dietro a grandi passi, seguito a ruota da Sanji. E poi da Izou che deve assolutamente cominciare a disegnare qualche idea per IshIsh, non può mica lasciarla alla mercè dei dozzinali produttori di abiti da sposa in serie.
Scuoto il capo, mentre Marco sospira con rassegnazione e Aisa si lancia in una filippica così contorta riguardo a come sono moralmente obbligate a fare da supporto a Ish in un momento del genere, che riesce  persino a convincere Rei, che ricordiamolo non solo è un avvocato ma anche la sua migliore amica e per questo ben conscia del patologico problema di curiosità congenita ossessiva che affligge la piccola Kozuki.
Fatto sta che nel giro di due minuti esatti, io e Law ci ritroviamo da soli in mezzo al corridoio e, se tanto mi da tanto, mio marito sta ancora cercando di mettere insieme tutti i pezzi. Ruoto tra le sue braccia e lo guardo puntare gli occhi verso le scale e gli ascensori. So che non è preoccupato per Lux, glielo leggo in viso, come leggo ogni sua microespressione, come un libro che ormai conosco a memoria.
«Non è incinta» sentenzia.
«E questo lo dici perché lo pensi davvero o per convincere te stesso, siccome Ish ai tuoi occhi è ancora la ragazzina di ventiquattro anni spaesata e in procinto di laurerarsi?» non resisto alla tentazione di provocarlo almeno un po’, anche se so che se Ish fosse davvero incinta, sarebbe solo felice per loro, così com’è felice per il matrimonio.
E infatti non mi guarda con scetticismo o con rimprovero. Mi ghigna intrigato, si abbassa a baciarmi. «Sarebbero un po’ troppe cose tutte insieme, non credi?»
«Lo credo. E credo anche che Praline voglia portarla all’atelier già oggi pomeriggio se riesce» ridacchio, strusciando il naso contro il suo. «Ma, ehi, non dimenticare che in questo posto tutto è possibile» gli ricordo, guardando intorno a me, quello che un tempo era solo un pergolato decadente, su una collina che qualcuno voleva radere al suolo.
Dove siamo diventati una famiglia, dove guardavamo il tramonto, dove Robin mi ha confessato di essersi innamorata di Franky, dove Cora mi ha riportato Law, dove Law mi ha fatto ritrovare me stessa, dove Ace ha detto il primo “ti amo” a Perona, dove Sabo ha incontrato Ish, dove Ish ha incontrato Sabo, dove Kaya ha trovato i suoi papà, dove io ho stretto per la prima volta Lux, dove Perona ha stretto per la prima volta la sua bambina – chissà se l’hanno chiamata Hope o Naminé alla fine –, dove Dellinger ha regalato un grappolo di uva a Sugar, dove Cora ha trovato l’amore, dove tanti bambini ridono ogni giorno, ricordando di essere solo dei bambini.
«Beh, okay, hai ragione» mi stringe più forte Law, avvicinandosi di nuovo e stavolta, lo so, reclama un bacio vero. Che io sono ben disposta a dargli. «Dopotutto, è il nostro Castello sulla Collina»
Sorrido, portando le mani sul retro del suo collo, appoggio la punta del naso sulla sua guancia. E prima di annullare la distanza tra noi, non mi resta che una cosa da dire:
«Banane»
 








 
Angolo dei ringraziamenti dell'autrice ultra in ritardo:

"Banane" era la parola d'ordine da usare per poter accedere al Castello-Pergolato (Il Pergotello o il Castellato), quando erano bambini, dettaglio di Cloth Tattoo che non mi aspetto vi ricordiate, non tutti almeno. 

Che dire mai? Io sono stata senza internet per dei MESI, e ora sono di nuovo qui e questa storia è finita, finita davvero stavolta, e io devo salutare questo mondo dove mi sentivo così a casa e non so come ringrazire tutti voi che avete aiutato a costruirlo con le vostre recensioni e la vostra silenziosa presenza. 

E quindi grazie a Harry Fine, Sarathepoo, Annapis, NickyChan, Kira_76, Law__, Arcadialife, Emychan89, Jules e, immancabilmente, Zomi.  
Grazie davvero perché ogni parola, ogni piccolo passo di questa avventura è stato più prezioso di quanto possa esprimere. 

Spero di avervi regalato anche solo la metà di quello che voi avete regalato a me. 
A presto e sempre vostra, 
Page. 
  
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