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Autore: V4l3    10/09/2019    1 recensioni
Dal testo [...] Alex ripensò a quella conversazione avuta con Francesca e si chiese perché sia lei che la madre fossero così convinte che lui l’avrebbe aiutata, non erano parenti, non avevano niente in comune e lei ora era lì per stravolgergli la vita.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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19

Alex era ad occhi sgranati a fissare il buio intorno a lei.

Era sola, Jason era tornato nella sua stanza, ore prima, pensando che lei si fosse addormentata; lo aveva sentito sospirare diverse volte, chiuso in un silenzio che mascherava la sofferenza che provava.

Quando si era alzato per andarsene, non lo aveva fermato, ed era rimasta così, con un dolore insopportabile a schiacciarle il petto, fissando il nulla.

Si chiese perché la vita si fosse accanita con la madre, una donna molto più forte di quello che aveva creduto, sempre sorridente, lottando per la sua vita, nonostante il suo destino l'avesse portata ad avere un padre come il suo e poi la malattia, senza mai lamentarsi e, per Alex, era assurdo che avesse sofferto così tanto. Non poteva credere che non le avesse mai raccontato nulla, neanche Francesca, nessuno, solo per tenerla al sicuro, per non farla soffrire, per non rovinarle l'infanzia, per cercare di farle avere una vita normale; ma ora lo strazio per quello che aveva saputo era cocente.

Avrebbe voluto averla davanti, per chiederle scusa per ogni volta che avevano discusso sul fatto che la controllasse ogni cinque minuti quando non era con lei, che si preoccupasse troppo per ogni cosa, che fosse così apprensiva nei suoi confronti, che la sballottasse da una città all'altra.

Si diede della stupida, ancora e ancora, ripensando a come lei avesse voluto vivere una vita come le sue amichette, quando la madre alla sua stessa età aveva dovuto subire traumi e andare comunque avanti, rimanere incinta e donarle la vita, volendole dare comunque una possibilità.

Le lacrime ricominciarono a rigarle il volto, mentre risentiva nella testa la sua voce, la sua risata, la rivide in cucina che preparava qualche biscotto o dolce solo per lei, quando nonostante la malattia, cercava di fare tutto da sola; anche quando era ormai allettata, l'unico suo pensiero era per lei e, quel dolore, si ampliò levandole il respiro, le mancava tremendamente, le mancava talmente tanto che si sentiva come se le avessero strappato una parte dal corpo, un pezzo di lei, una parte troppo importante.

Aveva adorato la madre e, ora, l'amava ancora di più.

Era stata davvero una donna speciale, aveva fatto di tutto per andare avanti, per farla crescere lontana da ciò che la vita invece le aveva riservato, addirittura mandandola lì, da Jason.

Si sentiva completamente distrutta, ogni parola pronunciata da lui nel raccontare, era diventata una scheggia, una spina penetrata nella carne, ma in maniera lenta, atroce, scavando ferite profonde; aveva sentito il suo cuore stringersi per il dolore, lo stomaco torcersi come un panno, e la sua testa era stata riempita di informazioni pesanti, parole che si erano tramutate in massi, ognuna aveva portato con sé un dolore più acuto, una ferita più profonda, facendole capire molti atteggiamenti che non aveva mai compreso prima. 

Le doleva ogni muscolo del corpo, come se avesse fatto ore e ore di allenamento, lo stomaco le bruciava, la testa non riusciva a darle pace, proiettandole immagini di quel passato fintamente sereno che la madre le aveva costruito intorno, per poi farle immaginare le violenze da lei subite. 

Il cuore sembrava un piombo, troppo pesante da portare, il respiro non voleva entrare a inondare i polmoni, tutto era diventato difficile.

Si avvolse nelle coperte guardando dalla persiana rotta il buio della notte, il vento finalmente era cessato, mentre la pioggia continuava a cadere imperterrita. Le sembrava di impazzire, chiedendosi perché nessuno fosse riuscito ad aiutarla davvero, a far in modo che quell'essere potesse marcire in prigione.

E ora, stretta in quella coperta, con il buio a farle da fedele compagna, capì Jason.

Ora poteva farlo davvero.

Lo comprese nel profondo.

Comprese cosa volesse dire riaprire il sipario su uno spettacolo che si credeva essere finito, sepolto.

Capì il rancore che gli aveva riversato addosso, quel modo di guardarla quando aveva capito essere la figlia di Emma, quel suo modo di parlarle, di non volerla intorno, di non volerla aiutare all'inizio ma allontanare.

Poté cogliere il dolore che aveva provato Jason a dover vedere un'amica soffrire senza poter fare nulla, sentirsi con le mani legate, pur volendo fare qualsiasi cosa, costretto a rimanere fermo, inerme ad osservare tale brutalità.

Sciocca, stolta, era stata, quando per ferirlo aveva sottinteso alla possibile relazione tra lui e sua madre, mettendo in dubbio il loro rapporto. Capì la rabbia di Jason. Si morse un labbro singhiozzando.

Lui aveva visto l'inferno di Emma e non aveva potuto fare nulla.

Aveva visto le sue ferite, i suoi lividi e non gli era stato permesso di fare niente.

Le era rimasto accanto, aveva provato, di questo ne era sicura, ma il mondo malato nel quale la madre era stata costretta a vivere, era troppo grande per chiunque, figuriamoci per un ragazzo di 18 anni e lei, non glielo avrebbe mai permesso.

Ma nonostante tutto, lui per sua madre, c'era sempre stato, proprio come aveva fatto con lei.

Se lui non le fosse stato vicino, quella sera, si sarebbe lasciata andare, ne era sicura; 

Niente le sarebbe importato.

Ma lui le era rimasto accanto, l'aveva aiutata, l'aveva asciugata, l'aveva scaldata, l'aveva svestita e rivestita.

Lui non si era tirato indietro, si era addirittura scusato.

Che stupida che era stata a non cogliere la sofferenza che Jason si portava dietro.

Strinse gli occhi, sentendo la gola chiudersi, la testa offuscarsi dai tanti pensieri che le si erano incastrati, cercò di ritrovare un respiro regolare, si sentì tremendamente sola e persa, un brivido le attraversò la schiena come un formicolio e quel letto le sembrò troppo vuoto e freddo, un freddo intenso che sapeva di cose non dette, di silenzi, di morte.

Aprì piano la porta, non volle accendere nessuna luce e lenta uscì dalla sua stanza. 

Sapeva di star facendo un errore, ma non poteva rimanere lì, così in punta di piedi si ritrovò ad aprire piano la porta della camera di Jason; era tutto avvolto nell'oscurità e Alex ringraziò di essere stata brava a non fare alcun tipo di rumore per svegliarlo, ma non voleva rimanere da sola, non quella notte.

Si avviò piano verso il letto, stringendosi le braccia al corpo, ne vedeva chiaramente la sagoma e si andò a sistemare nella parte libera, sospirò un paio di volte prima di sedersi e infilarsi sotto le coperte.

–Ma che diavolo..-Jason accese la luce spaventato e sgranò gli occhi ritrovandosi Alex nel letto, rimasero a fissarsi qualche attimo, sorpresi l'uno dell'altra

–Alex, ma che..- lei si portò le coperte fin a coprire il naso e lo guardò con gli occhi ancora rossi e gonfi

–Non voglio stare sola- ammise con voce ovattata, gli occhi lucidi, Jason sgranò la bocca a quella richiesta

–Alex, non credo sia il caso- disse risoluto

–Per favore - Jason si passò una mano sul viso, si sentiva davvero in balia delle onde, che avrebbe dovuto fare? Alzarsi? Sbatterla fuori? Poteva reggere anche quello?

Restò ancora mezzo sollevato sul letto, vedendola lì accanto a lui con la coperta che l'avvolgeva completamente e alla fine si arrese, spegnendo la luce. Si sdraiò dandole le spalle e la sentì rilassarsi subito, mentre il suo corpo ci mise un po' per ritrovare la calma, sapendo che quella serata se la sarebbe ricordata fino alla morte

-Hai mai dormito con mia madre?- quella domanda nel buio gli fece sgranare gli occhi, per un attimo pensò di aver sognato

–Eravate molto amici, in fondo- era una costatazione e Jason sospirò prima di rispondere

–Sì, eravamo davvero molto amici, soprattutto dopo quello che ti ho raccontato- aspettò qualche attimo e poi continuò –mi capitò di dormire con lei alcune volte- affermò fissando davanti a sé la parete scura –ma non è mai successo niente di quello che tutti possano aver pensato, il nostro era un rapporto speciale- ammise

–Ti manca?- gli chiese e Jason a quel punto chiuse gli occhi

–Sempre- rispose piano –mi mancano le chiacchierate che facevamo, mi mancano le sue risate, mi mancano i suoi consigli, le sue lezioni di italiano e storia, le sue telefonate improvvise a qualsiasi ora- sorrise a quei ricordi, poi un movimento lento accanto a lui lo mise in allerta, ma ciò che sentì lo lasciò interdetto: Alex gli si era avvicinata tanto da poter sentire il calore del suo corpo, ma rimanendo comunque leggermente distante, appoggiò la fronte alla sua schiena e Jason trattenne il fiato a quel contatto

–Anche a me- sussurrò con la voce leggermente strozzata –mi manca così tanto che mi leva il respiro- gli disse lasciando qualche attimo di silenzio prima di continuare

–Siamo sempre state noi due sole, era tutto ciò che io chiamavo famiglia e..-si fermò lasciando che un singhiozzo le salisse alla gola –mi sento sola, mi sento come se avessi perso tutto e mi sento in colpa. Sai cosa mi diceva da quando ero più piccola?- si fermò un attimo smorzando un altro singhiozzo- ero il suo miracolo- il pianto non le permise di continuare, nonostante avesse voluto parlare e sfogarsi, ma quei ricordi, quel dolore la fecero solo ed unicamente piangere.

-Alex- la voce di Emma si era fatta più sottile negli ultimi tempi, Alex le si avvicinò subito posando lo zaino a terra, era appena uscita di scuola e come accadeva ormai da mesi, invece di andare a casa andava in ospedale –Ciao mamma!- la salutò avvicinandosi e lasciandole un delicato bacio sulla fronte; Emma socchiuse gli occhi a quel gesto e le sorrise prendendole una mano –Come è andata a scuola, oggi?- le chiese sorridendole, Alex sospirò sedendosi accanto a lei sul letto –Benino, il professore di italiano ha fatto un compito a sorpresa, penso che sia andato bene, ma quel tipo è pazzo- confessò facendo ridacchiare la madre

 –E tu, come ti senti oggi? Il medico è già passato?- le chiese passandole un bicchiere d'acqua con una cannuccia per farla bere –Sì, prima- le rispose dopo un rapido sorso –Dice sempre le solite cose, niente di nuovo- e Alex avvertì quel brivido freddo attraversarle la schiena mentre osservò il colorito della madre, un bianco spento, con sfumature giallognole, le occhiaie, il colore sbiadito del suo sguardo, il gonfiore sul viso, sulle braccia e su tutto il corpo, il capo coperto con un foulard azzurro, le flebo attaccate al braccio e dovette reprimere le lacrime che le salivano subito agli occhi, quando iniziava a soffermarsi su questi dettagli che sottolineavano l'avanzare imperterrito del male 

–Ehi, che è quella faccia?- le chiese Emma accarezzandole una guancia, Alex si sforzò di sorridere –Se ti vedo triste, mi fai preoccupare- aggiunse la donna

-Mamma, perché non sentiamo qualche altro parere medico- propose sapendo già la risposta della madre che sospirò, spostando lo sguardo verso la finestra in alluminio bianco dove si intravedeva uno spicchio di cielo grigio –Non cambierebbe nulla, Alex, lo sappiamo entrambe- rispose mentre Alex avvertiva gli occhi inumidirsi 

–Mamma, io non voglio pensare che questo sia tutto quello che posso fare per te!- cercò di essere più incisiva, ma la voce le uscì strozzata ed Emma la guardò di nuovo, addolcendo lo sguardo mentre le riprendeva le mani e le stringeva  

–Amore mio, mi dispiace tanto per quello che stai passando- le disse sorprendendola –Non dire scemenze, mamma- la riprese Alex, ma Emma sorrise, un sorriso amaro facendole posare lo sguardo sulle loro mani intrecciate

-Sai Alex, io sono stata comunque una persona fortunata- e Alex sgranò gli occhi a quella frase

-Mamma tu stai male, da anni, come fai a dire una cosa del genere?- non riuscì a trattenere la rabbia

-Come fai a dire di essere fortunata!- e Emma alzò di nuovo quegli occhi azzurri su di lei sorridendole in quel modo dolce che facevano sciogliere il cuore di Alex

-Anche quando sembra che tutto va storto, non è detto che sia tutto perso- le disse- qualcosa si salva sempre e per me, il riscatto della mia vita sei tu. Ti ricordi cosa ti ho sempre detto? Tu Alex, sei il mio miracolo per questo sono tranquilla, qualsiasi cosa accada- e quella frase, come ogni volta, fece piangere Alex, non sapendo quanto davvero contasse per Emma.

Jason si girò appena, alzando il braccio scorgendola piangente nascosta dietro la sua schiena, con un leggero sobbalzo si girò del tutto verso di lei sorprendendola, le posò il bracciò all'altezza del suo fianco, lasciando scivolare la sua mano dietro la schiena di Alex per spingerla contro il proprio petto.

In un attimo, Alex si ritrovò completamente avvolta dal corpo di Jason, nascose il viso tra il suo collo e il suo petto e quel contatto, quel calore, quel suo profumo la cullarono mentre si lasciò andare a un pianto liberatorio. 

Lui era l'unico a poterla capire, a sapere davvero. Pianse finché quell'abbraccio non la cullò verso un sonno privo di sogni.

Quando Jason aprì gli occhi, sentì quel leggero e fastidioso cerchio alla testa che sapeva si sarebbe trasformato in un vero e proprio mal di testa, guardò verso la finestra pensando che doveva assolutamente riparare quelle persiane, se voleva evitare di essere trafitto ogni mattina dalla luce del giorno. Il sole era coperto da nuvole che correvano veloci, segno del vento che come sempre soffiava su quel tratto di costa; abbassò la testa verso quel corpo che rannicchiato gli dormiva accanto e ne rimase abbagliato.

Alex aveva continuato a piangere quella notte, poi lentamente si era addormentata sfinita e solo allora, anche lui, aveva lasciato spazio ad un sonno profondo.

Osservò quel viso arrossato, ma rilassato, le lunga ciglia scure e umide, la bocca rosea leggermente socchiusa, i capelli castani le ricadevano scomposti intorno al viso girato verso di lui, come era rimasta tutta la notte; Jason sospirò muovendosi piano per non svegliarla, l'aveva stretta a sé tutta la notte e ora si sentiva indolenzito per quella posizione scomoda; si tirò a sedere sul letto appoggiando le braccia sulle gambe semi piegate continuando a guardare il letto sgualcito.

Che diavolo avrebbe fatto, ora? Si nascose il viso tra le mani, ripensando alla sera prima e se solo fosse stato possibile avrebbe davvero voluto cancellare ogni singola parola che gli era uscita da quella sua fottuta bocca.

–Grazie- quella voce gli fece fare un salto sul posto e si girò verso Alex che lo fissava ancora sdraiata

–Ti ho svegliato, scusa- disse in tono agitato, ma lei scosse leggermente la testa

–Non ti preoccupare- gli rispose, aveva lo sguardo ancora liquido e gli occhi arrossati sia dal sonno che dal pianto, ma quel colore turchese brillava quella mattina, Jason si girò di nuovo e fece per scendere dal letto

–Scusami per come mi sono comportata- le sentì dire a disagio –mi dispiace davvero molto-

Jason si bloccò, appena i piedi toccarono il pavimento freddo

Si girò di scatto con sguardo furente

–Ma sei impazzita?- gli occhi di Alex si sgranarono per la sorpresa di quella reazione –Ti scusi?- la rimbeccò lui con gli occhi ridotti a due fessure, poi si alzò di scatto dal letto iniziando a vagare per la stanza

–Dovresti essere arrabbiata con me!- le disse rabbioso, indicandosi

–Hai ragione a dire che nessuno l'ha aiutata! Tutto quello che Francesca ed io abbiamo fatto, non è mai servito a niente!- si portò le mani sulla testa, a tirar indietro i capelli, in quel tipico gesto che usava quando era furioso –E tu chiedi scusa?!- chiese sarcastico, arricciando le labbra in un sorriso amaro

Alex, si sedette piano sul letto fissandolo, era arrabbiato, non certo con lei, ma con tutta la situazione, con quello che era accaduto la sera prima e ancora per quel passato che in qualche modo lo tormentava

–Ho chiesto aiuto anche a mio padre, ma niente! - il viso era contratto il suo corpo era teso, rigido come un tronco –Francesca l'ha aiutata con i servizi sociali, ma niente! Niente!- sbattè un pugnò sulla porta che risuonò forte facendo sobbalzare Alex, poi si rivolse verso di lei con sguardo torvo

–Tu dovresti odiarmi! Tu dovresti essere furiosa con me!- le disse con un vero e proprio ruggito

–Io ho lasciato che morisse!- e sembrò che quelle parole uscissero direttamente dalle sue viscere, come se tutto il veleno che aveva dentro, si riversasse in quelle cinque parole urlate

Alex, con gli occhi sgranati, strinse la coperta tra le sue mani fino a farsi male nel sentirgli pronunciare quelle frasi

–Non è colpa tua, anzi..- e lui emise come un gorgoglio rabbioso

–Non vuoi capire!-la interruppe- Io non ho fatto niente pur sapendolo!- le urlò –NIENTE!- e colpì il comò con un pugno facendolo risuonare in quella stanza come un boato, Alex pensò di vedere il mobile aprirsi in due sotto quel colpo

–Smettila- disse piano –Non devi parlare così- e lui girato di spalle la guardò attraverso lo specchio sopra il mobile

–Vederti qui per me è stato rivivere tutto, di nuovo - le disse gelandola 

–Forse è solo uno scherzo del destino, perché sembra voglia farmi espiare le mie colpe, aiutandoti- il tono che usò la tagliò come un coltello nel burro morbido

Alex sentì la gola secca e il respiro farsi corto, nonostante il silenzio ora sentiva le orecchie fischiare

–Il solo vederti, mi ricorda gli errori che ho commesso con tua madre-

Alex, avvertì il cuore spezzarsi, quelle parole ebbero il potere di infilzarla come una lama lanciata con una precisione chirurgica a dividerle quella parte di corpo che sembrava subire tutti i sentimenti, buoni e cattivi.

Abbassò il volto, mentre un senso di colpa profondo l'attanagliò, si levò le coperte da dosso e lentamente scese dal letto. Faceva freddo, come la sera prima, un freddo che dopo averle dato qualche ora di quiete, si era di nuovo ripreso possesso di tutto il suo corpo, dall'interno. Si mosse piano, a testa bassa, il cuore un cumulo di pezzi vuoti.

Passò vicino a Jason che non si mosse di un millimetro, rimanendo appoggiato al comò, di spalle e si diresse verso la sua stanza.

Una volta dentro la sua camera, richiuse la porta appoggiandosi a quel legno ruvido e rovinato guardando fuori la finestra che proiettava una giornata ventosa e tremendamente fredda, forse avrebbe nevicato.

Alex decise che non avrebbe pianto, ma avrebbe fatto la cosa più normale del mondo, aspettare.

Si sedette sul letto continuando a guardare fuori, avrebbe aspettato che una parte di lei tornasse lucida, perché in quel momento non era in grado di fare nulla.

Jason era imbufalito, quel giorno. Mike lo vide arrivare come un toro pronto ad incornare chiunque si fosse messo sulla sua strada –Ehi, come mai qui?- gli chiese vedendolo arrivare dalla porta d'entrata, mentre lui stava finendo di sistemare la sedia capovolta sul tavolo per poter spazzare con più comodità

–Va bene che la mia birra è la migliore, ma addirittura arrivare qui alle..- si fermò per guardare l'ora –alle 13.10 mi sembra esagerato- disse sforzandosi di sorridere, ma una parte di lui sapeva che quell'arrivo improvviso non prometteva niente di buono.

Mike si sentì sconvolto da quello che Jason gli aveva raccontato, era ancora con occhi e bocca sgranati a fissare il volto contratto di Jason seduto di fronte a lui su una sedia di quel tavolino, che avevano scelto per sedersi e parlare, più di due ore prima.

–Io, non so che dire- soffiò con la testa piena di quelle notizie che Jason gli aveva sparato addosso –ora capisco perché non volevi mai parlare di Emma e di quel periodo- aggiunse guardando la bottiglia di birra mezza piena ancora davanti a lui –deve essere stato un periodo di merda- e pensò a cosa quella donna, ormai morta, avesse passato e al suo amico che alla fine si era arreso a l'evidenza di non poterla aiutare.

–Ero convinto che Emma, o Francesca le avessero detto qualcosa- disse Jason serrando le mani a pugno sul tavolo davanti a lui –mi sono sentito un mostro per l'ennesima volta- e contrasse la mascella quasi a voler sentire il sapore del sangue

–Ma ora l'hai lasciata da sola a casa?- chiese Mike e Jason fece solo un cenno d'assenso

–Si è chiusa in camera perché sono stato così coglione da vomitarle addosso una tale cattiveria che dovrei morire fulminato all'istante- disse fissando il tavolo raccontandogli anche il resto della storia

 –L'ho ferita come se questo mi liberasse da quella cazzo di colpa che mi porto addosso, quando lei ovviamente è solo un'altra vittima- ammise portandosi una mano sul volto, Mike lo guardò pensando che in quel momento, Jason dimostrasse molti più anni di quelli che aveva

–Jason, tu non hai colpe, hai fatto tutto quello che potevi fare- cercò di spiegargli per l'ennesima volta, ma lo vide sbuffare

–Non è vero, me ne sono andato- sottolineò e Mike a sua volta si grattò la testa rasata con entrambe le mani

–Avevi 18 anni Jas, esattamente come quello che tu hai detto ad Alex poche ore fa, non avete colpe! Inoltre, Emma se ne è andata per prima, o sbaglio?- gli chiese a bruciapelo, Jason lo guardò serio

–Mi pare che una volta saputa della sua maternità ha deciso di mollare tutto e tutti- ricordò ancora Mike sempre più serio –Non credo che ti debba prendere la colpa per averla aspettata e poi aver deciso di tornare a casa, lei ha sempre voluto questo per te- Jason sentì il suo cuore sprofondare ancora e ancora, tornò a guardare quel tavolo in legno che aveva visto tempi migliori

–Se fossi rimasto, in qualche modo l'avrei aiutata- ripeté ma gli arrivò una risata sarcastica da parte di Mike che lo costrinse ad alzare ancora una volta la testa

–Tu credi che lei te lo avrebbe permesso?- Jason spalancò lo sguardo

–Non ho mai conosciuto questa Emma, ma sai Jason, credo che tu non abbia capito che, a modo suo, lei ti ha amato davvero molto e allontanarti da tutta la sua vita di merda è stato il suo modo per dimostrartelo-

Un pugno in piena faccia gli avrebbe fatto meno male di quelle parole pronunciate come se non ci fosse altro da dire da quel momento in poi, ma Mike continuò, stavolta facendo girare tra le mani la bottiglia di birra, dondolandola –e il fatto di averti mandato qui sua figlia, credo che ne sia ancora una volta una conferma- disse –ti ha lasciato qualcosa di sé, in qualche modo, ma tu stai facendo di tutto per rompere quello che lei ha continuato a mantenere intatto- si fermò fissandolo negli occhi –il rapporto che avevate- affermò gelido facendo sentire Jason come sott'acqua

–Sei sempre stato troppo preso da ciò che provavi, da quello che sentivi tu, dall'amore che non ti ha mai dato, ma anzi ha fatto una figlia con qualcuno a te ignoto, tutto verteva solo su te stesso Jason e questo non ti ha permesso di capire il modo di amarti di Emma- Jason a quel punto si alzò di scatto dalla sedia

–Smettila!- sibilò viola in volto –Per lei ero un buon amico, se avesse voluto potevamo trovare una soluzione insieme a tutto!- disse rabbioso –Ma ha preferito fare altre scelte tenendomi fuori!-

Mike sospirò per nulla turbato dall'atteggiamento dell'amico che continuava a non voler capire.

–Se pensi questo allora non ti sorprenderà se Alex a questo punto decidesse di andarsene- disse freddo e Jason sentì il cuore fermarsi rimanendo come scioccato da quelle parole, Mike capì di aver azzeccato la chiave giusta

 –Perché dovrebbe rimanere ancora qui con te?- gli chiese serafico –Stavolta sei stato più chiaro di quanto ci aspettassimo tutti, per cui...-  e lasciò la frase volutamente in sospeso alzandosi dalla sedia e prendendo le due birre dal tavolo dirigendosi dietro il bancone per svuotarle nel lavandino. Non lo guardò ma lo sentì uscire di corsa e un sorriso spuntò sulle sue labbra

–Spero tu riesca a trovare la tua strada, amico- disse buttando le bottiglie ormai vuote.

La strada per raggiungere casa gli sembrò maledettamente lunga. 

Quando arrivò si catapultò fuori come un proiettile, lasciando la porta di casa completamente aperta guardandosi intorno, ma tutto era avvolto nel silenzio, neanche il fuoco era stato acceso. Gli salì un nodo alla gola da levargli il respiro, si mosse verso la cucina dove nulla era stato toccato, il nodo si fece sempre più stretto; con due falcate si ritrovò a salire le scale due a due e con il fiato corto e tremante si ritrovò davanti la porta della camera di Alex. Cercò di mandar giù quel magone, con un respiro profondo, ma rimase come impiccato con l'aria che non andava né su né giù; mosse la mano verso la porta toccandola appena e quella lentamente si aprì e ciò che vide fu la conferma di quel magone che gli esplose nel petto come un colpo sparato a distanza ravvicinata.

Vuota.

Entrò tremando e la cosa che più lo sconvolse fu il vedere i cassetti vuoti, così come l'armadio, il letto fatto, ma lei se n'era andata.

–NO!- urlò sbattendo violentemente un'anta dell'armadio, si girò intorno come spaesato, cosa avrebbe dovuto fare? Scese velocemente le scale e compose il numero di Mike

Pront.?-ma lui non gli permise di continuare

–Se n'è andata!- disse con la voce strozzata –Non c'è! Ha preso tutto!- si girò in mezzo al salone come un leone in gabbia –TUTTO!- urlò rabbioso

Jas, stai calmo! Non risolvi niente a urlare!- lo riprese Mike –Vai alla stazione, forse è andata lì- gli suggerì –Io chiamo Liz ci vediamo giù- Jason attaccò e si catapultò fuori, sentiva tutto il suo corpo fremere, dalla rabbia, dalla paura, non poteva perderla.

  
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