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Autore: FatSalad    10/09/2019    2 recensioni
Bruno è un ragazzo taciturno e pratico che ha smesso da tempo di credere alle favole. Il contrario di Susanna, che quando non lavora in biblioteca si perde tra le nuvole e le parole.
A farli incontrare sono delle amicizie comuni, a farli conoscere sarà una persona molto importante per entrambi...
DAL TESTO:
«Insomma, non si vedono tanti manzi in biblioteca!»
«Come no? Vai nella sezione di scienze naturali e c'è pieno. Qualcuno è anche nella sezione dei bambini e quelli solitamente parlano, anche.»
«Ah. Ah. Diciamo gnocchi, allora?» aveva insistito Roberta agitando una mano e guardando per aria.
«Dovremmo avere una vecchia edizione dell'Artusi, per quelli.»
«Bei ragazzi?»
«Ehi, per chi mi avete preso? Di harmony ce n'è a bizzeffe!»
L'avevano punta nell'orgoglio, non aveva potuto demordere!
«Persone di sesso maschile, bella presenza e tangibili, insomma!»
«...»
“Merda... - aveva pensato allora - sono stata sconfitta dalla presenza tangibile”.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Galeotta fu la biblioteca'
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Chi comanda al racconto non è la voce: è l'orecchio.
I. Calvino, “Le città invisibili”


«Susi! Mi spieghi perché ti sei vestita in questo modo?» sibilò Roberta subito dopo le dovute presentazioni, prendendo l'amica sotto braccio e conducendola in un angolo.
«Oh, vuoi dire perché non ho messo quella gonnellina bianca che mi hai prestato?»
«Sì, e quel top a fiori che ci stava tanto bene!»
La guardava con un'espressione tra il furioso e lo sconsolato, Susanna si sentì quasi in colpa a vederla e avrebbe voluto dirle la verità. Fece mentalmente una prova.
“Scusa, è che quella sottana era troppo stretta, mi sembrava di avere il culo incastrato in un barattolo di nutella e avevo paura di esplodere anche solo a respirare”.
No, così non andava. Ritentò:
“Scusa, ma quella mise era così fuori dai miei schemi che non mi faceva sentire a mio agio”.
Temeva di ferire i sentimenti dell'amica e prima di accorgersene le rifilò una mezza balla.
«Guarda, Robi, mi dispiace, mi piaceva tantissimo quella minigonna, ma ho avuto problemi con l'organizzazione della serata, ho fatto tardissimo e non ho avuto il tempo di depilarmi. Quando mi sono provata l'abbinamento il mio gatto ha creduto di vedere uno gnù e si è rintanato sotto il mobile. Da questo ho capito che farmi le treccine con i peli delle gambe non aveva funzionato come diversivo...»
«Oddio, Susi, ma non c'avevi pensato prima?» chiese l'amica, per niente turbata dalla suggestiva immagine che le aveva propinato.
«Ehm, sinceramente no, mi dispiace.»
Mise su una faccia così depressa che Roberta dovette crederle per forza, perché anzi, cercò di consolarla in ogni modo dicendole che comunque non stava male.
«Vieni adesso: sediamoci insieme agli altri.»
Susanna ricordò all'amica che non poteva trattenersi troppo con loro, perché doveva svolgere il compito di “padrona di casa”, ma Roberta non udì una parola delle sue proteste, o forse finse soltanto, così Susanna si ritrovò in mezzo al cerchio degli amici delle amiche.
Fabio fece qualche battuta idiota che la fece ridere e notò con un certo piacere che quando la guardava di sbieco i suoi occhi avevano un guizzo. Forse, dopotutto, la scelta dell'outfit non era stata proprio un disastro.


Bruno non credeva al colpo di fulmine. Non gli era mai capitato di vedere una ragazza e pensare “è la donna della mia vita” e nemmeno qualcosa di simile. Al massimo gli era capitato di vedere una tipa e pensare che fosse bella, attraente, sexy o aggettivi simili, ma non credeva che un apprezzamento del genere si potesse considerare al pari di un amore a prima vista. A prima vista qualcosa può piacere o non piacere, questo era tutto. E quello che vedeva in quel momento non gli dispiaceva.
«Piacere, Susanna.»
Per esempio, già il nome, invece, non gli era piaciuto: gli ricordava un cartone animato.
Il suo sorriso gentile al contrario gli piacque e così pure i suoi pantaloni che si allargavano in fondo. Sua madre avrebbe saputo definirli meglio, a lui sembrarono solo pantaloni di un'altra decade che stavano benissimo con quella camicietta accollata. Sembrava uscita da una foto d'epoca.
La guardava mentre rideva alle battute sceme di Fabio, coprendosi la bocca con il dorso della mano come se non volesse mostrare gli incisivi.
Poi, ad un certo punto, la ragazza di scusò e si allontanò da loro. Il dovere chiamava.
C'era una musica soffusa che induceva dei rari ballerini a muovere qualche passo incerto. Tutti erano impegnati a bere e mangiare, qualcuno chiacchierava a voce troppo alta, si poteva dire che stesse urlando e per essere in una biblioteca, pensò Bruno con un mezzo sorriso, la cosa era piuttosto fuori luogo. Certo, i locali con gli scaffali erano chiusi e non vi si poteva accedere, una porta a vetri li separava da quella “zona bar” in cui si stava svolgendo l'aperitivo. Decisamente una biblioteca era un luogo insolito per fare bisboccia.
Bruno non si sentiva particolarmente a proprio agio, consapevole del fatto che la stragrande maggioranza dei presenti non era lì “per caso”, trascinata da amici in un luogo sconosciuto. Quasi tutti i giovani che vedeva attorno a sé indossavano camicie ben stirate e scarpe del cavolo, insieme ad un portamento da intellettualoidi ed una smorfia di supponenza. Non ci teneva a scambiare una parola con quegli snob che consideravano quelli come lui (i non laureati, i somari, i poco studiosi) la feccia umana.
Bruno rimase poggiato al bancone a mangiare qualcosa e bere una birra, studiando i tavoli di plastica e immaginandone un versione di legno. Deformazione professionale, la chiamavano. Meglio quei pensieri innocui che non il farsi venire la bile in bocca per le occhiate diffidenti dei sapientoni che gli passavano accanto.
Distrattamente vide Susanna al suo fianco, stava parlando con il barista.
«Che te ne pare?» chiese il biondino sorridendo e Bruno non riuscì ad impedirsi di ascoltare.
«Direi che non è andata male, tu che dici?» rispose la ragazza con un largo sorriso soddisfatto.
«Io dico che non poteva andare meglio! Oltretutto è giovedì, mica un sabato sera!»
Stava asciugando dei bicchieri con movimenti meccanici ed era raggiante. Bruno immaginò che quella serata fosse solo un esperimento per la biblioteca.
«Hai visto Cecilia?» chiese il barista.
«Era laggiù con delle amiche, prima.»
Susanna si voltò e indicò un gruppetto di ragazze ad un tavolino.
«Credi che qualcuno avrà voglia di un caffè nei prossimi cinque minuti?»
Susanna lo guardò con uno sguardo d'intesa e poi rispose.
«Credo che per cinque minuti potrei arrangiarmi a fare un paio di caffè.»
Il biondo mollò lo strofinaccio ed uscì da dietro il banco con un gran sorriso.
«Grazie! Stai benissimo stasera!» le disse con un occhiolino mentre correva da Cecilia.
«Grazie...» mormorò Susanna abbassando lo sguardo, ma il tipo si era già allontanato e non udì una sola sillaba. «Grazie, ma sì, continua pure a svolgere mansioni che non ti competono, è ottimo per la tua carriera!» borbottò poi tra sé, irritata.
«Interessante» pensò Bruno, sorseggiando la birra.
Sembrava proprio che la giovane bibliotecaria avesse un debole per il biondino dei caffè, un cretino che usava il suo sorriso perfetto per ammaliare ed elargiva complimenti solo per avere un favore in cambio.
Bruno fu tentato di avvicinarsi e chiedere un caffè, giusto per metterla in difficoltà, ma aveva ancora la birra in mano e la sua richiesta non sarebbe stata credibile.
Susanna sospirò. Fu un gesto sommesso, piccolo piccolo, ma a Bruno si strinse qualcosa all'altezza della bocca dello stomaco. Forse la compativa. Forse preferiva vedere quella ragazza dalla faccia simpatica mentre rideva con la mano davanti, piuttosto che abbattuta e sospirante.
«Dove sono i poeti?»
Non sapeva dove avesse trovato la faccia tosta di rivolgerle la parola, eppure si ritrovò a domandare la prima cosa che gli venne in mente. Susanna ci mise un attimo a capire che l'interrogativo era rivolto a lei. Doveva essere perché mentre glielo domandava non l'aveva guardata negli occhi, ma aveva tenuto lo sguardo dritto davanti a sé, nel vuoto o forse nel pieno della sala, nell'intrico di corpi e di persone che si muovevano come un unico corpo pigro e rumoroso.
«Poeti?» gli fece eco la ragazza, sbattendo le palpebre un paio di volte, quando ebbe capito da dove giungeva la domanda.
«Roberta aveva detto che ci sarebbe stato un aperitivo con...»
«Oh, intendi gli attori» disse Susanna «Beh, li avete mancati di poco, hanno finito di leggere poesie intorno alle sette e un quarto o giù di lì. Sono quel ricciolino a quel tavolo e la ragazza coi capelli rossi davanti a lui, se ti interessa.»
«No, era così per chiedere,» disse Bruno scrollando le spalle «è la prima volta che vengo qui.»
Come si era immaginato, o meglio, come aveva sperato inconsciamente mentre le rivolgeva quella domanda innocua, gli occhi della ragazza si illuminano. Susanna cominciò a parlare senza quasi riprendere fiato illustrando le mirabolanti caratteristiche della struttura che ospitava l'aperitivo quella sera e la più grande e innovativa biblioteca della città per il resto del tempo.
«Lavori qui?» chiese Bruno quando Susanna parve aver esaurito gli elogi per l'edificio, pur conoscendo già la risposta.
«Esatto, faccio la bibliotecaria, niente battutine, per favore: so già come sono le bibliotecarie nell'immaginario comune. E tu?»
«Io no.»
«No cosa?»
«Non lavoro qui.»


Per un attimo Susanna rimase interdetta, si chiedeva se quel tipo oltre a poche parole avesse anche poco sale in zucca, poi però vide il guizzo dei suoi occhi e capì che stava facendo del sarcasmo.
«Meno male, mi stavo appunto chiedendo se non mi fosse sfuggita una nuova assunzione. Magari non ti avevo mai visto in giro perché lavi i cessi di mercoledì mattina! - disse teatrale, stando al gioco - Insomma, che fai nella vita? Studi? Lavori?»
«Non ho mai studiato tanto. Lavoro. Faccio il falegname e non fare battutine, perché potrei ricordarti che il più grande rivoluzianario del mondo era un falegname.»
Susanna strizzò gli occhi pensando a rivoluzionari famosi, ma non c'era nessuno di cui ricordasse un dettaglio del genere.
«Beh, se ti riferisci a Pinocchio il falegname era il padre, non lui.»
Vide il ragazzo di fronte a lei girare la testa di lato per non mostrare la sua espressione divertita.
«Veramente pensavo a quell'altro personaggio, quel tale che ha inventato una religione... mi sembra si chiamasse qualcosa tipo Gesù...»
Susanna scoppiò a ridere.
«È una cosa che mi ripeteva sempre mio padre per “nobilitare” il suo lavoro, anche se non è mai stato particolarmente devoto.» spiegò Bruno e si sentì strano.
Aveva già rivelato di sé più cose di quanto solitamente rivelava ad un primo incontro.
Non era un tipo molto espansivo, lo riconosceva, e ne dava ancora tutta la colpa alla pubertà. Alle superiori era un ammasso di carne indecisa attaccata da un'acne feroce. Ed era stato così per anni, finchè i suoi ormoni non si erano stabilizzati e quando aveva superato la soglia dei venti poteva guardarsi allo specchio e dire di piacersi. I ringraziamenti andavano alla tanto desiderata barba, che ormai cresceva in maniera regolare e alle ore passate in palestra, non tante da diventare un'ossessione, ma abbastanza per mantenersi piuttosto in forma.
Ai vestiti non aveva mai dato troppo peso e il modo in cui li portava lo diceva chiaramente e ai tempi della scuola era considerato una pecora nera anche solo per un particolare del genere.
Poi era impacciato come un adolescente che sta ancora crescendo dentro le proprie ossa, aveva delle mani enormi, era la seconda cosa che Susanna aveva notato di lui quando si erano stretti la mano e lui l'aveva ritirata subito.
«Eccomieccomieccomi!» disse una voce allegra.
Susanna si voltò e sorrise al barista, informandolo del fatto che (purtroppo o per fortuna) nessuno aveva richiesto niente al bar, durante la sua assenza.
«Ma certo, ormai chi voleva bere qualcosa l'ha già fatto.» disse il biondo scrollando le spalle.
Susanna cercò di non fare caso al suo tono annoiato, che mal si addiceva ad una persona cui era appena stato fatto un favore.
Salutò distrattamente, decisa ad allontanarsi dal bar, ma quando, istintivamente, si voltò per tornare a parlare con Bruno, lui non c'era più. Lo cercò con gli occhi tra i presenti e non lo trovò, vide invece Roberta che agitava una mano per chiamarla. Susanna sorrise e le andò incontro.
Le sue amiche volevano salutarla per congedarsi. Susanna scambiò bacini con quasi tutta la comitiva, tranne Niccolò, che sembrava gradire il contatto fisico solo della sua Valentina e Bruno che aveva scoperto un po' in disparte e che si limitò a farle un cenno di saluta a distanza. Poi le sue amiche usarono un pretesto per far uscire gli uomini e Susanna cominciò a sudare freddo. Sapeva cosa sarebbe successo a quel punto: le avrebbero fatto il terzo grado per capire cosa pensava dei loro amici.
Purtroppo non si era sbagliata (difficilemente Valentina avrebbe assunto uno sguardo del genere per parlare di qualcosa che non fosse l'universo maschile).
La tartassarono di domande più o meno esplicite e Susanna dovette difendersi come potè, cioè cercando di rimanere più sul vago possibile.
«Mi sono ricordata adesso di una cosa! - esclamò Valentina battendosi una mano sulla coscia – Bruno ti ha detto di suo nonno?»
Susanna fece mente locale, ma da quelle due parole messe in croce che era riuscita a strappargli non le pareva che avesse mai sfiorato l'argomento nonno.
«No.»
«Non ci credo, non te l'ha detto?»
«Cosa avrebbe dovuto dirmi esattamente?» chiese cominciando a incuriosirsi.
«Che suo nonno è uno scrittore!»
Susanna ripensando a quel momento si sarebbe sempre vergognata di aver pensato “Oh, beh, sai che notiziona.”. D'altro canto immaginava che l'amica le stesse dando l'informazione solo perché riteneva che la parentela con uno scrittore, fosse anche da quattro soldi, avrebbe reso un ragazzo più affascinante agli occhi di una bibliotecaria. Aveva anche altri interessi oltre ai libri, lei!
«Davvero?» riuscì a chiedere simulando sorpresa.
«Sì, uno scrittore di qui... Come si chiama...? Robi! Ti ricordi come sia chiama il nonno di Bruno?»
«Chi, lo scrittore?»
«Ma sì, certo, lo scrittore!»
Quella alzò gli occhi, intenta a ricordare.
«Uhm... mi pare... Giampiero, no, Gian...»
«Era Gian-qualcosa? Sicura? Non era Pier-qualcosa? Mi dispiace, Susanna, ora proprio non mi viene in mente come si chiami, ma puoi sempre chiedere a Bruno!»
«Sì, certo!» Come no!
«Allora ci sentiamo, Susi! Riposati, mi raccomando, che si vede che sei stanca.»
«Sì, devo proprio andare a dormire, adesso, ma ci risen-...»
«Giandomenico! Ecco come si chiama! - Esclamò Roberta, sicura di sé – Giandomenico Dossi.»
«Come?»
Susanna aveva sgranato gli occhi e stavolta non aveva avuto bisogno di fingere.
«Ecco perché non mi veniva... con un nome così! Ma chi è che si chiam-...»
«Giandomenico Dossi?! - La interruppe Susanna – Hai detto che si chiama Giandomenico Dossi?»
«Sì, sì, sono sicura, perché? È così famoso?»
Chiese Roberta, ma non ricevette alcuna risposta. Susanna si era fiondata verso l'uscita della biblioteca senza aggiungere una sola sillaba.




Il mio angolino:
Non vi lascio nemmeno il tempo di respirare che già ho pubblicato un altro capitolo... ma si può dire che i primi due capitoli servano per presentare i personaggi e... quanto è imbarazzante Bruno da 1 a 10?!
Ho visto che tra le persone che hanno messo la storia tra le seguite ci sono anche alcuni lettori silenziosi che mi hanno sempre seguito in ogni nuova storia. Che posso dire? Un commosso grazie a tutti voi <3.
A presto,
FatSalad

 
   
 
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