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Autore: CyanideLovers    13/09/2019    5 recensioni
Dopo aver tentato un compositore alla fama e al successo, Crowley è maledetto dalla moglie e tormentato dal suo fantasma fino alla fine dei suoi giorni. Aziraphale farebbe di tutto pur di salvarlo, l'unico problema è che non sa cosa sta succedendo e, in ogni caso, il problema potrebbe essere molto più complicato di quel che sembra.
Ispirata dalla sonata "Il trillo del Diavolo" di Giuseppe Tartini.
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ATTENZIONE: Nella storia ci saranno riferimenti a diversi temi delicati, nasce come una storia horror, leggete con cautela.
Genere: Angst, Dark, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Anatema Device, Aziraphale/Azraphel, Crowley, Madame Tracy, Shadwell
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Oneirataxia'
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La prima sensazione che provò fu stupore. 

Poi la caduta. 
Metri e metri, chilometri e chilometri. 
Dieci miliardi di anni luce giù, stava cadendo, cadendo, cadendo. 

Niente poteva fermarlo. 
La sensazione era quella di totale terrore e gridò perché non c’era nessuno a sentirlo e pianse, anche se sapeva bene che nessuno sarebbe arrivato a salvarlo e sentì ogni fibra del suo essere che si allungava, si sfibrava, si lacerava e si strappava, ogni molecola del suo corpo che andava in putrefazione e si scioglieva. 

Denti, capelli, gambe e braccia. 

Tutto si rompeva, diventava polvere di stelle, e lui non sapeva cosa fare, senza neanche sapere dove iniziasse lui e finisse il vento che gli frustava il viso. 
C’era un rumore assordante che lo faceva tremare nel profondo e lui urlava: Cos’è questo? Cos’è questo? 
Ma nessuno rispondeva, solo l’incessante rumore che si irradiava come un’onda intorno a lui e realizzò improvvisamente che era lui che gridava e non riusciva a fermarsi. 

Il dolore non è la parte peggiore. 

Faceva male, incredibilmente male, non riusciva a sopportarlo, era come essere bruciati vivi e venire buttati in una vasca di acqua ghiacciata allo stesso tempo. 
Stava annegando nel fuoco liquido e stava bruciando nell’acqua eterea. 
Questo non avrebbe dovuto spaventarlo. Non sapeva perché non avrebbe dovuto. 

Perché? 

Era una cosa terrificante, congelare e bruciare. 
Ma non è questo che faceva paura. Non davvero. 
Non questo. 

Ciò che faceva veramente paura era il liquido nero che lo avvolgeva e lo soffocava, lo attanagliava e si stringeva intorno a lui, come le spire di un serpente, il liquido era viscido, puzzava, come quello di un cadavere in putrefazione da giorni, gli finì nella gola, bruciava e era freddo, lo riempiva dentro e sentiva una voce che diceva: È questo che sei ora. 

Poi, improvvisamene divenne buio. Nero, oscuro, terrificante. 
L’oscurità era così profonda da dargli l’impressione che, se l’avesse contemplata troppo a lungo, gli avrebbe risucchiato via ogni brandello di coscienza. Chiudere gli occhi era stato una forma istintiva di difesa, come protendere le braccia verso qualcosa per aggrapparsi mentre sentiva la realtà disgregarsi. 
Si rese conto che non c’era bisogno di chiudere gli occhi. Non più. 

Questo perché non aveva più degli occhi, si erano sciolti ed erano colati via, e il vento faceva male, sferzava intorno a lui, gli entrava nel cervello, mentre sentiva ogni parte di quello era e che era stato sparire per sempre. 
Un istante che durò una vita o persino un’eternità, come fosse sospeso nella spaccatura tra due mondi. 

E lui grida: MADRE, MADRE AIUTAMI, MADRE TI PREGO. 
E piange: Ho solo fatto una domanda. Una, due o trecento, a chi importa. 
E sbavava e le sue lacrime erano sangue, come quello che aveva sulle mani: Madre, scusami, Madre, perdonami, Madre, Dominae, Signore, Dio, Padre, Madre. 
Aiuto. 

 Nel retro del battistero della chiesa c’era una donna. E la donna non era proprio una donna, ma una figura vibrante e non proprio lì, era sempre dietro di lui, sempre alle sue spalle, indossa un abito nero e portava un velo da lutto che scivolava su tutto il suo corpo e la ricopriva completamente. 
Un sudario nero come la notte, come le tenebre, come qualcosa di stregato. 
Non la vedeva mai, non veramente, ma la sentiva sempre alle sue spalle e lei si muoveva con andatura lenta senza mai lasciarlo veramente. 
Non importa quanto andasse veloce, lei era sempre lì alle sue spalle. 

E arrivava, arrivava, camminava lenta ma non si fermava mai, mai, era sempre lì e lui correva sempre più veloce ma lei era sempre alle sue spalle e per favore, per favore, vattene, vattene, ho bisogno di dormire, voglio riposare ma tu sei sempre qui e non vai mai via e ti prego devi lasciarmi andare, lasciami, lasciami andare.  

La vedeva sempre, quando si specchiava nello specchio del bagno, quando guidava dallo specchietto retrovisore, quando camminava, riflessa nelle vetrine dei negozi, quando beveva e lei era una figura che annegava nel vino rosso. 

E lui ogni tanto si fermava, si girava, e chiedeva: Che cosa vuoi? 
E lei sorrideva perché, anche se non poteva vedere attraverso il velo, lui lo sapeva che i suoi occhi erano due braci spente e le sue labbra erano rivolte verso l’alto in un sorriso malefico. 

Lei dice: E soffrirai come ha sofferto lui, e la paura e il terrore ti strangoleranno e perderai la persona che ami di più. 
E piangerai e urlerai. 
E niente ti salverà. 
perché Dio ti avrà anche maledetto e tu sei caduto e bruciato all’inferno. 
Ma questo sarà anche peggio dell’inferno. 
Perché è una donna morta e innamorata che ti maledice. 

  

 

 

 

 

Si svegliò gridando a pieni polmoni e la sensazione di cadere fu sempre più forte. 

Da dov’era caduto? 
Dal letto. 

Sentiva le coperte avviluppate intorno al suo corpo, lo stringevano e non erano coperte, erano mani e lo strattonavano e lo colpivano e lo costringevano a terra. 
Da dov’era caduto? 
Dal paradiso. 
No. 
Dal letto. 

Iniziò a scalciare, a strisciare per cercare di liberarsi. Il pavimento era freddo ma lui stava bruciando, qualcuno aveva dato fuoco al suo appartamento e il fuoco era ovunque e lui stava — 
Bruciando. 

Brucia, brucia, brucia. 

E lei era lì, perché ovviamente era lì. Lei era sempre lì. 
Stupido lui che si stupiva sempre. 

 

Adesso. 
Questa volta era troppo vicina e forse lui aveva dormito troppo, aveva aspettato troppo, si era rilassato troppo e lei era a un centimetro di distanza e lui non riusciva a fare altro che gridare. 

Stava affogando, boccheggiava in un mare di fumo liquido, di fiamme e le sue ali stavano bruciando di nuovo e vedeva le piume incenerirsi e sparire in cumuli di cenere. 
E le sue mani erano insanguinate e lei rideva. 
Dalle pareti iniziò a colare liquido nero, acido, sangue, e per terra c’era solo zolfo e cenere. 
E il liquido nero era pece infiammabile e le pareti presero fuoco e tutto era rosso, nero, giallo e bianco. 
Lei rideva, rideva, rideva. 

 

Quando finalmente riuscì a districarsi dalle coperte, si mise in piedi e le sue gambe tremavano così tanto da farlo barcollare e lei rideva attraverso lo specchio della sua camera da letto e per un momento — quell’unico momento in cui era riuscito a smettere di gridare e piangere — il suo appartamento fu pervaso da un silenzio mortale, solo le sue risate tagliavano l’aria e lui non pianse, non urlò. 

Crowley era stanco, stanco. 
Stanco. 

Stanco. 
Stanco. 

Così dannatamente stanco. 

Quindi andò nel grande salone dove c’era il camino e prese l’attizzatoio, i suoi occhi erano vuoti e privi di espressione, non sapeva cosa stesse facendo, l’unica cosa che desiderava era che lei sparisse, che se ne andasse all’inferno, questo diavolo di donna che lo tormentava da duecentoquarantanove anni e che non stava mai zitta. 
E non sapeva se era meglio quando lei lo guardava con disgusto e con fredda indifferenza o quando parlava e riversava su di lui parole che ferivano come coltelli affilati. 
Così rimase immobile nel salone per quelle che erano sembrate ore, guardando il suo appartamento mentre si riempiva di acido nero, fumo e fiamme. 

Li ignorò. 
Camminò per l’appartamento trascinando mollemente l’attizzatoio pesante e per un istante si fermò davanti allo specchio, e ci fu quell’unico momento di calma, quasi di pace, prima che tutto andasse in malora. 

(Lei ride. 
Beh, questo è stato proprio un bel fiasco.) 

Afferrò l’attizzatoio e iniziò a distruggere tutti gli specchi di casa, adesso con cura maniacale, poi con follia omicida, lanciò la sua furia contro la finestra, e schegge di vetro e frammenti di specchio volavano intorno a lui, lo graffiavano e tagliavano ma lui non si fermò finché ogni cosa che avesse mai amato — pochi oggetti, un dipinto regalatogli da un vecchio amico, una statua di un’aquila, le sue amate piante — era andata in malora, distrutti, tutto distrutto. 
La rivelazione lo colpì nel momento esatto in cui aveva iniziato a provare un dolore lancinante. Un enorme frammento di vetro si era conficcato nel braccio, un altro nella spalla, uno nella gamba e il sangue stava colando contro ciò che rimaneva delle piante che aveva tanto amato. 
Si guardò in torno, il sangue scivolava tra le schegge di vetro, e realizzò che tutto il pavimento ne era cosparso e la sua immagine distorta danzava insieme a quella di lei. 

Magari, Crowley pensò, non è questo il punto. Il punto è che lei ha ragione: io sono un demone.  

Non aveva senso nascondersi dietro un appartamento elegante, una bella macchina, la musica, occhiali da sole e un nome da umano. 
Lui era Crawly. 
Lo era sempre stato. 
Si era solo illuso di poter essere qualcosa di diverso — un brav’uomo magari — e si era illuso di poter ottenere il perdono e l’amore di un angelo. 

Lui era Crawly. 
Il Serpente dell’Eden. 
Crawly. 

E Crawly era malvagio, spregevole, aveva ucciso due persone innocenti. 
Crowley odiava Crawly. 

Crowley e lei guardarono Crawly lasciare andare l’attizzatoio e il rumore fu l’unica cosa che echeggiò per l’appartamento. Un rumore sordo e forte che lo fece rabbrividire, come il rintocco finale di una campana. Arrivò in bagno e prese le sue vecchie scorte e Crowley lo guardò ingurgitare quante più pillole poteva in un colpo solo, lo guardò conficcarsi nel braccio una siringa e spingere, spingere, finché tra le vene non si formò un enorme buco nero, lo guardò mentre i suoi occhi si dilatavano all’inverosimile, diventavano rossi. 

E lei e lui diventarono una cosa sola, tanto che non capiva più dove iniziasse lei e dove finisse lui. 
E lui ride: Va bene, va tutto bene. 

E lei dice: Adesso sai cosa devi fare. 

E Crawly sorrise. 

  

 

 

 

 

Londra, Inghilterra, 507 giorni dopo l’Apocalisse che non c’è mai stata 

  

Crowley non sapeva quando era riuscito a seminare Crawly. 
Ci era riuscito tuttavia, facendo quello che sapeva fare meglio: correre, scappare, andare sempre più veloce. 

Non si preoccupò della pioggia che sferzava il suo corpo o degli sguardi dei passanti nascosti sotto gli ombrelli neri. Avrebbero dimenticato presto quello che avevano visto, ricordando solo un vago senso di urgenza, disperazione, una commissione importante da fare e la mancanza del tempo necessario per compierla. 

Crowley correva, correva, correva a perdifiato, correva come se tutto l’inferno gli stesse alle calcagna. 
Correva come un uomo disperato corre, quando sente la morte avvicinarsi. 
Il cielo era scuro, nero. Nuvole cariche di pioggia si scontravano producendo tuoni e lampi come se ad aspettarlo ci fosse di nuovo la fine del mondo. 

La fine. Presto, molto presto, sarebbe arrivata. 
Ma Crowley aveva fretta e non se ne preoccupò. 

Corse fino ad arrivare fino a un piccolo appartamento, in un quartiere che non riconosceva del tutto, ma che aveva già visto un paio di volte. 
Suonò tre volte al campanello della casa. Quando la risposta non arrivò abbastanza in fretta, suonò e suonò ancora. 

“Madam Tracy, come posso aiutarla?” La voce della donna era un misto tra l’infastidito — probabilmente per il modo maleducato in cui il demone si era attaccato al campanello — e lo zuccheroso. In un altro momento Crowley ne sarebbe stato annoiato o avrebbe riso, dipendeva di solito dal suo umore. 
Adesso il tono non gli fece provare nessuna emozione. Aveva davvero troppa fretta. 

“Madam Tracy! Si, ecco, sono Crowley, apri per favore? Cerco Shadwell, è urgente. Apri, apri, apri…” non riuscì a smettere di parlare, o di saltellare da un piede all’altro, troppa fretta, troppa pioggia, troppo tutto. 

E lui stava arrivando. 
E lei lo seguiva. 

“Crowley? Tesoro, che diavolo...?” 
“Cerco Shadwell, è in casa? Devo parlare con lui. È importante. Apri. Devo parlare con Shadwell. Deve darmi una cosa. Presto, fai in fretta. Presto. Presto.” 
“D’accordo, sì. Tranquillo, sali pure.” 

Crowley arrivò all’appartamento in tempo record. Un po’ perché le sue gambe lunghe gli permettevano di essere molto più veloce — quando si ricordavano come una persona normale dovrebbe correre — e un po’ perché fece gli scalini a tre a tre. 
“Tesoro, che cosa succede?” Chiese la donna aprendo la porta con uno sguardo preoccupato. I capelli erano rossi e ricci come sempre, il trucco un po’ pesante e Crowley decise che era bellissima. 
Bellissima Madam Tracy. Meravigliosa Madam Tracy. Santa Madam Tracy. 
“Tutto bene, tutto ok.” Rispose velocemente lui. “Shadwell? Ho bisogno di lui, deve prendere una cosa per me.” 
“Tesoro, Shadwell è uscito ma tornerà tra qualche istante. Che ne dici se intanto ti preparo una bella tazza di tè? Magari ti do anche degli asciugamani, sei bagnato fracido…” 
“No, no. tranquilla. Va tutto bene. Non c’è bisogno.” Rispose lui, ancora con l’adrenalina e un altro centinaio di sostanze che gli scorrevano in corpo. 
“Ho solo bisogno di Shadwell.” 
“D’accordo.” Rispose lei, incerta. Stava per aggiungere qualcos’altro ma il rumore del portone dell’appartamento che si chiudeva li fece sussultare entrambi. 

Crowley, che non era riuscito a stare fermo un solo secondo da quando era arrivato saltò sul posto, allungò tutto il suo corpo verso la porta d’ingresso. Quando Shadwell arrivò finalmente nell’appartamento, Crowley quasi gli si lanciò a dosso. 
“Che diavolo?!” 
“Shadwell!” Urlò Crowley con il tono di tre ottave più alto. “Madame Tracy, c’è Shadwell!” 
“Lo vedo.” Rispose la donna, alzando un sopracciglio. 
“Ascolta, tesoro, perché non ti siedi un momento? Posso prepararti un tè, qualcosa di rilassante magari, mi sembri piuttosto agitato…” 
“No, no.” Rispose lui muovendo le braccia come un maniaco. “Shadwell, Shadwell ho bisogno di un favore. Posso pagarti, molto, moltissimo. Di una cifra e sarà tua. Posso farti diventare anche più ricco della maledetta Regina.” 
“Tesoro…” commentò Madame Tracy che, da buona inglese, non vedeva di buon occhio chi parlava in malo modo della sovrana. 

“Sergente, ti ricordi quando negli anni settanta stavo progettando una rapina in una chiesa?” Chiese Crowley, ignorando la donna e focalizzando tutta la sua attenzione verso l’uomo anziano. 
Lui si tolse il cappotto fradicio e il cappello e lo guardò perplesso. 
“È stato tuo padre, no?” 

“No, no. Shadwell io sono un demone, non invecchio, quello ero io.” Rispose Crowley, portandosi una mano al petto, lo sguardo lucido si fece ancora più intenso. “Un angelo caduto se ti piace di più l’idea. Un ribelle, un rivoluzionario, un dannato, un ripudiato… dipende comunque dai punti di vista.” Disse mentre tremava, non sembrava più in grado di fermarsi. “Onestamente, come hai fatto a non capirlo prima? Mi hai visto con le ali nere e tutto il resto. Cosa pensavi che fossi, un fagiano?” 

Crowley iniziava a perdere la pazienza. Davvero, perché questi stupidi umani non capivano quanto fosse di fretta? 
Crawly e la donna stavano arrivando, poteva sentirli, ma loro continuavano a guardarlo come se fosse pazzo. 

Bhè, non lo era. 
Non lo era. 

“Ma non è questo il punto.” Continuò lui. “Devi prendermi una cosa in chiesa. Mi serve subito. Posso pagare.” 
“Cosa?” Domandò Shadwell, stanco e stupefatto dalla confessione del demone. 

Si sentiva leggermente a disagio: se lui era un demone… avrebbe dovuto esorcizzarlo? Ma ci aveva provato con quell’altro, la Checca Del Sud, non aveva ottenuto grandi effetti tuttavia, dato che alla fine era tornato come se ne era andato. In più, dopo più di un anno, sia lui che la donna avevano partecipato a diversi brunch con i due e, nonostante non gli piacesse ammetterlo, si erano entrambi affezionati a quegli strani giovanotti. 
“Ho bisogno che corri alla chiesa più vicina, ho bisogno di acqua santa. Non posso prenderla da solo per… motivi personali. Puoi farlo tu per me, si?” 
Il suo sguardo era quello di un maniaco, balbettava e inciampava sulle sue stesse parole, sibilava, parlava alla velocità della luce. 

Shadwell sussultò. “Acqua santa?” 
“Sssssi, confermo, ho chiessssto acqua ssssanta. Sssssto forse parlando un’altra lingua?” 

“Tesoro, ecco la tua tazza di tè.” Disse Madam Tracy spuntando alle sue spalle. Gli prese il gomito, delicatamente, lo fece sedere al tavolo, e gli posizionò la tazzina fra le mani. 
Madam Tracy era inglese dopotutto, in situazioni di estrema difficoltà sapeva che non c’era soluzione migliore di una buona tazza di tè. 

“Non voglio il tuo dannato tè, donna!” Tuonò Crowley lanciando la tazzina per terra e rovesciando il tavolo. La sua voce era così potente e minacciosa che ogni pianta della casa e i vetri iniziarono a tremare, tre dei quali si incrinarono. Entrambi gli umani fecero un salto all’indietro, spaventati dallo scatto d’ira del demone. “Voglio dell’acqua santa, ora. Subito.” 
“Hey, insomma!” Tuonò Shadwell e Crowley fece a sua volta un passo indietro. Sembrava terrorizzato, spaventato oltre ogni modo, tremava come una foglia nel bel mezzo di un tifone. 

Madam Tracy, intanto era sparita nella stanza accanto. 
Il demone si sentì orribile, non voleva spaventarli. 
Questo è stato un errore, pensò. 
Lorosono brave persone, non meritano questo. 
Sono uno stronzo, un bastardo, non avrei dovuto, forse se corro abbastanza veloce riesco ancora a prendere da solo l’acqua. 

Crowley si portò le mani ai capelli, tirò forte, mentre il respiro diventava sempre più corto e gli occhi si spalancavano sempre di più. Iniziò a camminare intorno alla stanza e il sergente lo guardò senza sapere davvero cosa fare. 
“Adesso calmati, ragazzo” disse in modo un po’ burbero. La voce, in realtà, nascondeva il tono dolce di un padre. “Cerca di calmarti, spiegaci cosa sta succedendo.” 
“No, no, no” iniziò a mormorare Crowley, cercando di parlare tra le ondate di panico che lo stavano soffocando. “Questo è tutto sbagliato. Tutto sbagliato.” 

Poi si fermò per un momento e sgranò gli occhi: “Un errore. Questo è stato un errore. Ma non importa. Posso prenderla da solo.” Realizzò. Infondo aveva camminato più di una volta lungo una navata di una chiesa. Non aveva neanche bisogno di un contenitore per portarla via, bastava semplicemente che immergesse le mani dentro l’acquasantiera e avrebbe finito il lavoro. 
Si incamminò verso la porta ma braccia forti e mani dure lo bloccarono. Il sergente Shadwell lo stava tenendo fermo ma la sua mente era annebbiata dal panico e dalla paura che stava provando, e iniziò a piagnucolare senza riuscire a scappare dalla presa ferrea. 

“Ho bisogno dell’acqua, per favore, per favore, per fav—” 
Non riuscì a finire la frase. 

Questo per due motivi: 
il primo è che quando un grosso vaso colpisce qualcosa fa un rumore terribile, quasi quanto il rumore di un corpo che colpisce il legno scuro di un parquet. 
Il secondo è che Madam Tracy, tornata dalla stanza accanto, aveva preso il grosso vaso in porcellana, quello che utilizzava per tenere fiori di capo, e lo aveva spaccato in testa del demone. 

Il Sergente Shadwell la guardò come se fosse la Madonna in persona: quel tipo di sguardo fra il terrorizzato e il reverenziale e lo stupefatto. 
Madam Tracy guardò Crowley, riverso sul pavimento, il suo corpo sottile e i suoi capelli rosso fuoco che creavano uno strano contrasto con il legno scuro, con uno sguardo tra l’annoiato e l’esasperato. 

Almeno, pensò lei, adesso potrò prendere la mia maledetta tazza di tè. 

 

 

 

 

 

 

Note:

Bhè, che dire, questo capitolo è stato particolarmente divertente da scrivere.
Vivo per le storie dove ci sono Madam Tracy e Shadwell e non potevo escluderli da questa.
Il capitolo è arrivato un po’ in ritardo e vi chiedo scusa per questo ma sto preparando degli esami e mi trovo un po’ in difficoltà nel gestire studio e scrittura.
Non riesco a farne a meno comunque, continuo ad avere problemi di insonnia e scrivere mi aiuta a rilassarmi quindi direi che ci stiamo facendo tutti un favore.
In ogni caso, in circa una settimana dovrei riuscire a pubblicare un altro capitolo.
Vorrei ringraziare tutti quelli che hanno lasciato un commento sotto questa storia, vi adoro.
In breve tempo risponderò a tutti ma davvero ragazzi/e, grazie.

Il prossimo capitolo è già in cantiere, premetto che probabilmente sarà un po’ pesante perché si parlerà di temi molto delicati e ci tengo a ricordare a tutti che, nonostante piaccia a tutti un po’ di sano angst, non amo parlare di questi temi con leggerezza. La mia intenzione è quella di fare una profonda analisi sull’argomento e di trattarlo con tutto il rispetto che ne conviene.
Ma parleremo di questo nel prossimo capitolo altrimenti ho come la sensazione che non riuscirei ad evitare spoiler.
Un saluto, cercherò di rispondere a tutti i vostri commenti in poco tempo, siete davvero persone meravigliose.

Ciao<3

   
 
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