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Autore: CyanideLovers    17/09/2019    6 recensioni
Dopo aver tentato un compositore alla fama e al successo, Crowley è maledetto dalla moglie e tormentato dal suo fantasma fino alla fine dei suoi giorni. Aziraphale farebbe di tutto pur di salvarlo, l'unico problema è che non sa cosa sta succedendo e, in ogni caso, il problema potrebbe essere molto più complicato di quel che sembra.
Ispirata dalla sonata "Il trillo del Diavolo" di Giuseppe Tartini.
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ATTENZIONE: Nella storia ci saranno riferimenti a diversi temi delicati, nasce come una storia horror, leggete con cautela.
Genere: Angst, Dark, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Anatema Device, Aziraphale/Azraphel, Crowley, Madame Tracy, Shadwell
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Oneirataxia'
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"I sogni passano attraverso i muri di pietra, illuminano le stanze più buie e gettano le tenebre in quelle illuminate, e i loro personaggi entrano ed escono ovunque a loro piacimento, ridendosela di tutti i lucchetti."
  J. Sheridan Le FanuCarmilla 

 

 

 

 

 

 

 

Soho, Londra, Inghilterra 1970 

 

“Vai troppo veloce per me, Crowley.” 

Teoricamente un angelo non dovrebbe mai odiare. 
Teoricamente un angelo è un essere d’amore e compassione. 
Aziraphale, in quegli anni, iniziò a odiarsi profondamente. 

Il fatto era questo: non vivi a Soho per più di un secolo senza fiutare immediatamente i più loschi pettegolezzi.  
Le dicerie secondo cui qualcuno stava organizzando una rapina in una chiesa arrivarono alle sue orecchie un sabato mattina: sussurri e congetture, niente di più, che si erano sparse attraverso la sua rete di informatori — all’epoca poco più affidabili del sergente Shadwell — e Aziraphale capì subito che si trattava di Crowley. 

La sua prima reazione fu quella di arrabbiarsi: Chissà quali piani diabolici stava architettando il demone in questo momento. 
Poi arrivò la delusione: Sono sempre stato un illuso nel credere che Crowley potesse cambiare la sua natura. Lui era un demone, l’avversario, era stato stupido sperare che potesse essere diverso dagli altri demoni. 
Infine, dopo essersi calmato e aver quasi consumato il tappeto persiano a furia di andare avanti e indietro, iniziò a ponderare ciò che potesse significare il gesto del suo nemico. Cercando di essere per un momento onesto con sé stesso, iniziò a pensare alle ultime volte in cui aveva visto il demone. 

Crowley, che era sempre troppo in guardia e spaventato. 
Crowley, che si ferma a fissare un punto nel vuoto come se ci fosse un drago pronto a divorarlo in un sol boccone. 
Crowley, che si guarda allo specchio come se vedesse Satana in persona. 
Crowley, steso su un materasso lurido che lo chiama disperato e che — 
Crowley che gli chiede, lo prega, di dargli dell’acqua santa. 

Oh, pensò Aziraphalebuon Dio sono davvero l’angelo più idiota del Paradiso. 

Quindi ecco quello che avvenne: Aziraphale aveva miracolosamente trovato la Bentley dell’amico e ci si era infilato dentro, aspettando con calma che tornasse in macchina. Gli aveva passato un termos pieno fino all’orlo di acqua santa e lo aveva guardato scorgendo tanto di quel dolore nel suo viso che si era sentito intrappolato nel turbinio di quelle emozioni. 
E improvvisamente il termos aveva cambiato colore e il piccolo contenitore di metallo adesso era ricoperto di tartan proprio come la sua cravatta nella speranza che, se mai il suo migliore amico avesse deciso di compiere una stupidaggine, si sarebbe fermato alla sua vista perché forse, se avesse pensato a lui, avrebbe messo da parte quegli oscuri pensieri. 

Così quando il demone disse: Posso darti un passaggio? Ovunque tu voglia.  
Lui si fermò un attimo e disse: Vai troppo veloce per me, Crowley. 
E non c’era logica in questo, davvero. Era stata una cosa idiota da dire, se ne rendeva conto. 

L’angelo più idiota del Paradiso: Aziraphale. 

E per tre anni era rimasto in silenzio nel nella sua libreria, scacciando tutti i clienti che cercavano di comprare i suoi libri nei modi più sgarbati, leggendo montagne di libri per capire cosa fosse che spaventasse tanto l’amico. 
Ma non c’era niente che potesse tormentare un demone. 

Dopo tre anni di solitudine, trovò Crowley nell’ultimo posto in cui avrebbe pensato di poter andare: in una discoteca. 
Non sapeva perché si era infilato in quel carnaio; la musica era troppo forte, le luci accecanti e c’era troppa gente. 
Fece un sospiro che si perse nel bel mezzo della musica forte e rumorosa. 
Dio, quanto odiava quei posti. 
Gli ci volle un esagerato ammontare di tempo per individuare il demone. 

 

 

 

 

 

Da qualche parte, in qualche posto, dappertutto e ovunque: il tempo non esiste quando la musica è così forte che non puoi sentire neanche il tuo battito cardiaco. 

 

Crowley sapeva di non essere un ottimo ballerino. 
Era un demone e, come tutti i demoni mancava, per ovvi motivi, di grazia. I suoi movimenti erano goffi quando cercava di ballare, troppo rigidi e troppo veloci. 
Ma aveva sempre amato ballare. C’era sempre un’atmosfera peccaminosa nelle discoteche. L’aveva già avvertita in minima parte durante i balli dell’aristocrazia, nelle corti, ma nelle discoteche nessuno cercava di fingere. I corpi non erano rigidi, imbalsamati in mille regole che lui spesso dimenticava di seguire. Nelle discoteche tutti erano liberi, mezzi nudi, sudati, i capelli erano sciolti, le gonne corte, l’odore dell’alcool e del fumo danzava tra di loro come una presenza mistica. 
Le luci al neon illuminavano la stanza intermittenza e le persone sembravano apparire e scomparire costantemente. 
Non erano davvero reali. 

Era stata una vecchia prostituta a insegnargli quel trucco. 

I capelli di Crowley erano così lunghi da sfiorarle il sedere, oscena e seducente. Le sue forme femminili e generose erano fasciate da un completo di lingerie, dei pantaloncini così corti che difficilmente potevano definirsi pantaloni, un kimono nero, legato floscio alla vita, che non lasciava niente all’immaginazione, semi trasparente con il disegno di un serpente sul fianco. 
Qualcuno, durante la festa, le aveva scritto la parola “PECCATO!” Sullo stomaco con il rossetto e Crowley aveva riso, divertita dall’ironia. 

“Chiudi gli occhi e lasciati andare.” Aveva detto la prostituta, impietosita dal modo orrendo che aveva Crowley di ballare. “Muoviti lentamente, come se stessi scopando con un Dio greco. Lentamente, come se il posto, il mondo e il tempo ti appartenessero. Aveva detto. 
“Ignora la musica, ignora tuttiNon esiste nessuno al di fuori di te.” 

Crowley scivolava e si muoveva come un serpente tra la folla di persone, le luci al neon che andavano e venivano, nessuno esisteva, solo lei, solo i suoi capelli quando infilava le dita tra di essi, solo i suoi occhi quando li apriva e li chiudeva. 
Scivolava e strisciava, si muoveva in modo flessuoso, peccaminoso, invitante. 
Promettendo una notte di peccato, di follia, di fuoco. 

Attraente come solo le cose pericolose possono essere; come le fiamme, come il mare, come un serpente, come una mela rossa e succulenta che potrebbe essere velenosa quanto deliziosa. 
Il suo corpo era pura tentazione. 
Diceva: Dai un morso. Mordi. Divora. 
 
La prostituta aveva detto: Ci sono solo due regole quando balli in una discoteca. La prima è che non ci sono regole. La seconda è che niente è importante. 

(Crowley si fermava spesso a pensare alla prostituta. Era stata, probabilmente, il primo umano che avesse mai amato. Quasi quanto aveva amato Aziraphale. Lei era sempre dolce con lei. Le accarezzava i capelli lunghi e rossi, le sussurrava parole gentili. Non la giudicava mai, la nutriva con pasticche e alcool, la baciava dappertutto. Se Crowley avesse mai provato l’esperienza di avere un genitore — più in senso umano che divino — avrebbe detto che aveva amato la vecchia prostituta come una madre.  
La donna non aveva mai avuto figli e, in generale, dava a Crowley pessimi consigli ma faceva del suo meglio.  
Una madre è come Dio, aveva detto lei—magra e malata per via della malattia e la vecchiaia—ti cresce, si aspetta che tu l’ami a prescindere di tutto. Quando decidi di andartene per vivere la tua vita, diventi improvvisamente Satana. Crowley aveva riso, per l’ironia di quelle parole e la donna era scivolata in un sonno profondo senza mai più risvegliarsi.  
Accanto al piccolo Warlock, Crowley capì improvvisamente che desiderava essere come lei. Così gli disse le stesse identiche parole un giorno, mentre la donna sussurrava maligna al suo orecchio che non avrebbe mai potuto amare qualcuno come un figlio.) 

Mentre il demone si protraeva nel suo strano ballo, un gruppo di uomini aveva iniziato a guardarla, interessati. 
Sguardi peccaminosi e spaventosi la squadravano come un pezzo di carne. Se fosse stata un po’ più lucida forse ne sarebbe stata disgustata. 
Ma Crowley non lo era e comunque il suo corpo serviva a quello: tentare e assicurare un po’ di anime all’inferno. 
Ma era stata una ragazza ad avvicinarsi a lei per prima. Superò tutti in velocità e coraggio, sfidò le onde di persone tra di loro e l’afferrò per i fianchi. 

Fantastici umani, sempre così coraggiosi.  

La ragazza aveva la pelle scura, occhi neri e grandi da cerbiatto. Il demone la guardò e ripensò a Eva, bellissima e fatalmente coraggiosa, intelligentissima, provocante. 
Crowley osservò Eva—che non è Eva— mentre la prendeva per le braccia e le baciava il collo, i seni, le spalle. La sua pelle divenne carta in cui avrebbe potuto scrivere un poema erotico, pieno di similitudini tra lei e i fiori che crescevano nel suo appartamento. 

Due uomini dietro di loro iniziarono a urlare qualche tipo di insulto, ma loro non se ne preoccuparono. Iniziarono la loro danza finché Crowley non aprì gli occhi e lo vide: il momento esatto in cui la ragazza realizzò che c’è qualcosa di profondamente sbagliato nei suoi occhi ed è abbastanza intelligente da andare via. Rimase in mezzo alla folla, guardando il punto esatto in cui, fino a qualche istante fa, Eva-non-Eva l’aveva abbracciata e si sentì improvvisamente sola. 

Ma la regola d’oro delle discoteche è: Nulla è importante, neanche il tuo cuore spezzato. 

Così, quando un altro giovane si avvicinò, Crowley lo accolse tra le braccia. Si lasciò sfiorare in modo possessivo, lasciò baciare in modo violento, perché il suo cuore era vuoto, la sua pelle insensibile, e c’era un enorme serpente che strisciava e si aggrovigliava dentro di lei. 
L’uomo la teneva stretta, facendola appoggiare contro un muro e, se nei suoi occhi avevano iniziato a formarsi delle lacrime, nessuno se ne curò. 
Poi il ragazzo si fermò. La ragazza dai capelli rossi ebbe giusto la forza di aprire un occhio. Dietro di loro, un piccolo essere dai capelli biondi e dall’aura accecante teneva stretto il polso dell’uomo in una presa d’acciaio. 

“Zira.” Commentò Crowley, senza sembrare troppo sorpreso. 

“Chiedo scusa.” Disse Aziraphale con il tono duro e fermo, quello che usava quando era arrabbiato. “Credo che la mia vecchia amica abbia bisogno di prendere un po’ di aria. Tu capisci naturalmente.” 
“Io… ehm… certo?” Rispose l’uomo, sbalordito dalla forza dimostrata da un uomo dall’aspetto soffice come quello dell’angelo. 
“Perfetto, meglio che tu vada allora.” Lo incoraggiò con un sorriso finto e forzato. “E sarà meglio che non ti veda mai più approfittare di una ragazza in un momento vulnerabile perché altrimenti, che Dio mi dia la forza, giuro che ti mando al creatore in quattro e quattr’otto.” 

(L’uomo, dopo quella sera, smise del tutto di andare nelle discoteche. Si trovò un buon lavoro e dopo qualche anno una ragazza che divenne sua moglie. Adesso i due hanno tre bambini e lui è un buon padre di famiglia, di quelli che aiutano i figli a fare i compiti, che ascoltano tutti i loro problemi e cercano di aiutarli come possono, che amano immensamente la moglie. Insieme portano i bambini in chiesa la domenica mattina e poi, nel pomeriggio, fanno lunghe passeggiate sulla spiaggia). 

Aziraphale tornò a concentrarsi su Crowley ma lei non aveva osato guardarlo. Si sentì improvvisamente in imbarazzo per il suo comportamento. La nausea prese il sopravvento e si portò una mano tremolante alla bocca, disgustata da sé stessa. 
“Mia cara, perché fai tutto questo?” 
“Cosa?” Domandò lei. 
“Tutte queste droghe, il bere, le ragazze e i ragazzi. Perché?” 

Lei rise. 

“Sai che non ti fa bene.” 
Crowley si staccò dal muro. Il movimento gli provocò delle spaventose vertigini e Aziraphale si protese verso di lei, per sostenerla. Crowley si liberò immediatamente dalla presa. 
“Guardami, angelo.” Crowley fece una semi piroetta, allargò le braccia con uno sbuffo. 
“Stavo per fottermi quel tipo ma adesso accanto a te mi sento così profondamente vuota.” Rise ancora “Guardami. Sono sola, completamente sola. Perfino l’inferno mi ha abbandonata." Aziraphale si accorse delle lacrime che sembravano voler cadere dalle ciglia cariche di mascara dell’amica. 

“Sono un essere ridicolo.” Commentò, come se fosse un dato di fatto. 

Aziraphale si avvicinò a lei. Crowley era sempre stato un uomo bellissimo ma la sua forma femminile era l’apoteosi del peccato carnale. Bella, invitante, maliziosa, magra e snella, boccoli rossi che dondolavano contro il suo collo lungo, la pelle color caramello, i seni come coppe di champagne. Meravigliosa, seducente, divina. 
Labbra carnose, color rosso sangue, da divorare. 
Crowley sembrava essere sbucata fuori da un quadro preraffaellita. 
Aziraphale deglutì. 

“Guardami,” comandò lei. “Sono un angelo caduto. Nessuno potrà mai amarmi.” 
“Mia cara… torniamo a casa. Ti preparo una buona tazza di .” Aziraphale la prese per le braccia e iniziò a farsi strada tra la gente, proteggendola da sguardi lascivi e tocchi indesiderati mentre sentiva il corpo accanto a lui che iniziava a tremare. 

Ma Crowley lo guardò e si chiese come fosse possibile che quell’angelo fosse lì per lei. 
Quando vivi all’inferno non hai molta scelta tra il fuoco e la tortura. La vera definizione di demone era quella di essere perennemente alla ricerca del peccato e del dolore. Era quello che era. Non poteva cambiarlo. All’inferno, se non muori per le botte, il fuoco, il dolore, la tortura e il sangue — e quando parlava di morire non intendeva morire in senso umano, avercela quella fortuna, intendeva in un modo molto più intrinseco. Era il suo spirito che stava morendo, non il suo corpo— quello che ti uccide veramente, sono quei giorni tutti uguali, monotoni, in cui non succede niente di nuovo. 

Sempre la solita routine. 
Taglia, affetta, uccidi. 
Scartoffie su scartoffie. 
Ma lei era andata via da quel posto, aveva trovato un modo per vivere sulla terra dove il cielo era azzurro e c’erano i fiori. E c’era Aziraphale. Sempre Aziraphale. 

E quindi si inginocchiò davanti a lui, come aveva visto fare Maria Maddalena davanti a Gesù Cristo, un gesto di pura devozione. E come lei si lasciò andare verso di lui, gli prese i palmi delle mani, li baciò e il viso dell’angelo avvampò al gesto. 
Come il sangue o come una mela colta dall’albero. 
E non c’era nessuna traccia di tentazione nei suoi movimenti, solo amore incondizionato. 

Si abbassò, gli baciò i piedi, e Aziraphale si abbassò piegando un po’ le ginocchia, le prese il viso tra le mani, le spostò un po’ i capelli per vederla meglio. 
Con il pollice eliminava le lacrime dai suoi occhi. 

“Cosa fai, amica mia?” 
E Crowley vorrebbe urlare: Amami, Amami, Amami, ti prego amami. 
Perché il mondo è un posto terrificante e tutti muoiono e mi sento così solo e ho paura che, se un giorno dovessi fermarmi, questo buco nero dentro il mio petto finirà per risucchiarmi e io smetterò di esistere.  

Ma invece disse: “Sto per morire, angelo.” 
Aziraphale la guardò con un sorriso dolce, e si inginocchiò accanto a lei. “No, mia cara.” 
Crowley aggiunse: “Amami, per favore. Solo per qualche minuto fingi di essere mio. Fingi di amarmi tanto quanto io amo te. Un minuto, un secondo. Ti prego.” 

Aziraphale la guardò, questa bellissima creatura che era Crowley; si chiese come fosse possibile che questo essere dannato sembrasse la cosa più sacra che avesse mai stretto tra le mani. 
A volte le ricordava la sua spada: sacra, fiammeggiante e letale. 
“Non posso, mia amata.” 

Crowley iniziò a piangere e aggiunse: Pensi che sia colpa mia? Se gli umani sono così crudeli? 
Pensi che sia colpa mia, se non fanno altro che uccidersi l’un l’altro? È colpa mia? È davvero colpa mia? 

Qual è il punto di tutto questo?” Domandò l’altro con un tono esasperato. 
“Il punto è…” rispose lei, “che morirò presto. Ho rotto tutti gli specchi di casa. Sono tipo dieci miliardi di anni di sfiga, angelo.” 

E lei spiega: C’è questa stronza, questa moglie morta, che non fa altro che guardarmi, costantemente, e non mi lascia mai in pace. 
Forse sto impazzendo? 
Non lo so, non lo so, non lo so. 

Crowley tremava, perché faceva freddo e la sensazione di vuoto cosmico era tornata, come se qualcuno avesse cancellato all’improvviso tutte le stelle, la luna e il sole, come se nel suo petto ci fosse un enorme buco nero che risucchiava tutto quello che trovava. 
Aziraphale la guardò, passò una mano delicata e tonda tra i suoi capelli e disse: 
“Vorrei che ti svegliassi, stupido serpente.” 

 

 

 

 

 

In un incubo, nella mente di un demone che sogna di farsi un bagno caldo.  

 

Crowley si svegliò con un sussulto. 
Era sdraiato dentro la sua vasca da bagno, i petali di rose rosse dondolavano sull’acqua limpida. 
Neanche nei roseti più belli e grandi del mondo c'era un profumo simile. Immergendosi nell'acqua calda il profumo lo invase completamente. Era come una sinfonia paragonabile allo strimpellare solitario di un violino. Ed era anche di più. Crowley chiuse gli occhi e sentì che i ricordi più sublimi si ridestavano in lui. 

Tornò a quando era nel Giardino, l’erba soffice che solleticava il suo stomaco, Adamo ed Eva che danzavano lentamente sul prato. 
Tornò ai giorni in cui c’era sempre l’angelo accanto a lui, a quando non c’era niente di cui essere spaventato. Tornò a un giorno di pioggia con il sole e vide i contorni di un mazzo di rose sul davanzale della finestra, che oscillavano nella brezza notturna; udì uccelli cantare qua e là e, da lontano, la musica di un ballo di gala. 
Udì un bisbigliare fitto fitto nell'orecchio, e sentì sensazioni mai provate prima. 
Oblio; era così rilassato che si sarebbe addormentato di nuovo da un momento all'altro. Non se ne preoccupò. L'acqua era perfetta, non c’era niente di importante. 

Per un attimo dimenticò la donna, il compositore, l’angelo, paradiso e inferno, la guerra che non c’era mai stata e tutto il resto. 
Dimenticò di essere un demone, di essere immortale. 
Dimenticò i suoi occhi, le sue ali, il suo nome. 
Non importa. 
Ci penserò domani. 
Non importa. 

Lentamente si sentì scivolare sempre più dentro l'acqua. Si portò una mano alla testa per bagnare un po' i capelli. L’acqua era densa, leggermente viscosa. Non gli dava fastidio, ma gli lasciava una sensazione appiccicosa tra le dita. 
Si tirò un po' su, e qualcosa dentro l'acqua lo sfiorò. 

Sangue. Era immerso in una vasca ricolma di sangue denso e scuro. 

Quando capì, quando realizzò, dette un grido terribile, come se stesse bruciando vivo. 
Pezzi di due cadaveri iniziarono ad emergere dal sangue e il viso della moglie morta lo osservava con uno sguardo vitreo stampato sul volto, occhi bianchi, il viso scarno e scavato, i capelli biondi ormai di un rosso profondo e disgustoso. Il compositore fluttuava accanto a lei e braccia si estesero verso di lui, cercando di afferrarlo e affogarlo in quel mare di sangue e carne. 
Intorpidito, riuscì a malapena a buttarsi fuori dalla vasca. 

 Se il grido non avesse lacerato la nebbia nella sua mente, sarebbe annegato in sé stesso: una morte atroce. 

L’acqua non era più chiara e trasparente, ma di un rosso così scuro e dall'odore così penetrante che scacciò via ogni suo pensiero. 
Il profumo che sentiva fino a qualche momento prima adesso gli faceva girare la testa e le gambe erano così molli che, cercando di alzarsi il più in fretta possibile, cadde per terra. 
Il sangue stava traboccando dalla vasca. Dal pavimento l’unica cosa che riusciva a vedere era: rosso, rosso, rosso. 
La stanza, il bagno, era completamente avvolto dalle tenebre e Crowley sentì una voce che rideva maligna. 

Non riusciva neanche a pensare in quel momento. Desiderò soltanto di scappare da quel posto. Strisciò un po' verso la porta, cercando di alzarsi in piedi, ma a ogni respiro aveva dei violentissimi capogiri. 

(Sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutto il resto della tua vita.) 

Ogni millimetro che faceva verso il corridoio, la luce si faceva sempre più forte, accecandolo. 
L’odore di morte e corpi in decomposizione lo soffocava, lo disgustava. 

Trascinandosi fino al corridoio, tutto ciò che vedeva era confuso; Il soffitto si fondeva con il pavimento, girava tutto, e non capiva bene neanche dove stesse andando. 
Cosa avrebbe dovuto fare? 

Quando raggiunse il corridoio, le luci iniziarono a spegnersi una dopo l’altra. 
Per un momento ringraziò qualcuno per quella piccola grazia: le luci erano così forte che non riusciva a vedere nulla — ma poteva anche essere il sangue che lo ricopriva e che colava dalla sua fronte, gli offuscava la vista, e tutto quello che riusciva a vedere erano solo ombre rosse e terrificanti — ma poco dopo si rese conto che le luci si stavano spegnendo e la sagoma davanti a lui era una donna con un lungo velo nero che le nascondeva il viso. 

Pietà, pensò, uccidimi. 

Non lo avrebbe fatto, comunque. 

L'avrebbe divorato o torturato fino a farlo impazzire e poi l'avrebbe lasciato lì; in un corridoio, ricoperto di sangue e lembi di pelle, pazzo e solo. 
Crowley chiuse gli occhi, abbandonando la testa contro il pavimento freddo. 

Poi sentì una voce: Non temere, mio caro. 
Ci sono io qui con te. 
Va tutto bene. 
Svegliati, amore mio. 
Svegliati e torna da me. 

E la voce era luce, illuminava il suo corridoio scuro e spaventoso, la donna fece un passo in dietro e lui sospirò profondamente. 
Grazie. 

 

 

 

 

Ancora, da nessuna parte, il tempo è relativo, non è importante, potrebbe essere ieri come oggi. 

 

La pioggia lo colpiva così forte che il suo corpo sembrò soccombere sotto la grandine. 
“Non potete uccidere dei bambini.” Aveva esclamato e l’angelo aveva stretto le labbra in una linea sottile, annuendo. 

Cosa vuol dire? Sei d’accordo con me o mi stai dicendo che lo farete comunque? 
Ti odio, vi odio, è per questo che sono caduto. 
Bastardi, siete tutti dei bastardi. 

E poi il suo era diventato un lamento mesto e tremolante. 
“Non i bambiniNon si uccidono i bambini.” 

L’acqua ormai gli arrivava alla vita ma lui si rifiutava di arrendersi. Fece salire un bambino e la sua sorellina di qualche anno più piccola su un albero. Almeno un terzo degli altri erano già morti, annegati; non sapeva dove fossero gli altri. Non ci sarebbero stati encomi per questo. 
Il contrario, forse. 

Stai facendo tutto questo per ripagare i tuoi debiti? Chiedeva la stronza morta, con il suo fottuto velo nero che le ricopriva la faccia, mentre lo guardava cercare altri sopravvissuti. 
Sai benissimo che non servirà a niente. 
È per questo che lo fai, giusto? 
Perché sai che sei destinato a fallire.  
Non ne salverai nessuno, non ci provi neanche. 
È per ingannare quell’angelo? Per indurlo a credere che sei una brava persona? 

Piccole mani erano sbucate dall’acqua e avevano iniziato a tirarlo verso il basso e il terreno sembrò sparire sotto i suoi piedi: i bambini erano privi d’occhi e avevano un sorriso maligno dipinto in faccia, da sotto l’acqua sembravano sirene terrificanti. 

Vieni con noi. 

Crowley ci aveva provato, aveva resistito finché aveva potuto, ma l’acqua era nera e profonda, la pioggia troppo intensa, lo soffocava e bruciava. 
Brucia. 
Brucia. 
Ricordava un liquore scadente e sapeva di non poter davvero morire soffocato, non aveva neanche bisogno di respirare, ma l’acqua era densa come mercurio liquido, bruciava come lava, e in un momento di panico realizzò: questa è acqua santa. 

Lei ride. 
Non sembra preoccuparsi del fatto che non dovrebbe poter ridere sott’acqua. 
E i suoi vestiti e i suoi capelli fluttuano e si avviluppano intorno a lui, come un serpente con le sue spire. 
Ha paura. 

Paura. 

 

In ogni posto e in ogni luogo o in nessun posso e in nessun luogo. 

 

Si svegliò, ancora. 
Non sembrava fare altro negli ultimi giorni. 
Saltava da un incubo all’altro costantemente e si chiese, nella nebbia della sua mente logora, quanto forti fossero quelle droghe che aveva ingoiato la notte prima. 
O la settimana prima? 
O era già un mese? 

Comunque. 

Adesso era di nuovo nel suo appartamento. l’aria notturna gli gelava le ossa ma sembrava una sera tranquilla, non una stella in cielo. Niente luna. Solo profonda oscurità. 
Intorno a lui, un milione di schegge di vetro lo circondavano come soldatini armati di lame affilate. 
Lei era riflessa in ogni frammento di specchio e lui ricordò vagamente che, da qualche parte, rompere gli specchi portava sfortuna. 
Il demone Crawly era davanti a lui. Il suo sguardo era curioso, come se si aspettasse qualcosa da lui. 
Rimasero in silenzio per molto tempo. 

Immaginate questo: due demoni identici, uno di fronte all’altro. Entrambi indossano un completo nero, hanno capelli rossi e occhi gialli con pupille verticali. Entrambi hanno un tatuaggio sulla guancia destra, il marchio del serpente. 
Entrambi hanno ali nere spiegate dietro di loro. 
Sapreste trovare la differenza tra i due? 

In mezzo a loro c’è una donna. La donna indossa un lungo abito nero, un velo nero, guanti neri e non ha gli occhi; solo due abissi scuri dai bordi rossi, come una brace che si sta per spegnere. 
La donna ha una mela in mano dall’aria succulenta. 

Il demone Crawly fece un passo in avanti e il demone Crowley uno in dietro. 
La donna li guardò in silenzio. 
Riuscite a capire la differenza? 

Uno di loro si accorse di avere una lunga scheggia di specchio nella mano destra, affilata come un coltello. La guardò con curiosità. 
L’altro si accorse di avere la sua copia esatta nella mano sinistra. 
Riuscite a capire la differenza? 
 
Il demone rise. 
Lei rise. 
L’altro li guardava senza sorridere. 

Lei dice: Uccidilo. 
Lui dice: Se lo uccido, tu te ne andrai? 
Lei dice: Sono parte di te. 
Lui dice: Se lo uccido, prometti che non farai del male all’angelo? 

Lei dice: Se lo uccidi, io scomparirò. 
Lui dice: Va bene. 

E la sua mano era già intorno alla gola dell’altro, la lunga scheggia di vetro conficcata tra le costole e l’altro cade; morto. 

Immaginate questo: 
Ci sono due demoni in una stanza vuota e buia. 
Il vuoto non è veramente un posto vuoto, è l’anima del demone. 
, tecnicamente non è davvero vuoto se ci sono tre persone al suo interno, ma avete capito quello che intendo. 
Il vuoto è nero e fa paura. 
Lo potreste chiamare anche il grande vuoto. Il vuoto cosmico. Tre esseri in tutto l’universo. 

Comunque. 

Ci sono due demoni in una stanza — che-non-è-una-stanza — vuota. 
Uno è steso per terra, ricoperto di sangue, morto. 
L’altro è in piedi, una lunga scheggia di vetro scivola dalle sue dita, cade e si frantuma. 
Sapreste individuare chi è chi? 

Intanto che voi decidete, uno dei due si svegliò. 
In un letto.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note:

Spero che il capitolo non sia stato troppo forte per voi perchè, rileggendolo, per me lo è stato.
Adesso probabilmente avrò problemi nel fare il bagno nelle vasche… fortuna che ho solo la doccia a casa hahah.
Questo capitolo, ad essere onesto, è stato il primo che ho scritto.

In pratica: una notte non riuscivo a dormire, ero stressatissimo per gli esami, come al solito la mia insonnia mi causa un sacco di problemi e quindi ho iniziato a scrivere.
Ne esce fuori questo delirio di 4.454 parole che non hanno ne capo ne coda.
da qui ho iniziato a delineare una vera e propria storia che è quella che state leggendo voi ora.
Siamo a circa 4/5 capitoli dalla fine, ho appena realizzato che fino ad ora la trama vera e propria non si è mossa molto, ma io vi prometto che da adesso in poi le cose si faranno più chiare…e brutte.
Piccolo Spoiler: Mi odierete tantissimo nei prossimi capitoli.

   
 
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