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Autore: FatSalad    18/09/2019    2 recensioni
Bruno è un ragazzo taciturno e pratico che ha smesso da tempo di credere alle favole. Il contrario di Susanna, che quando non lavora in biblioteca si perde tra le nuvole e le parole.
A farli incontrare sono delle amicizie comuni, a farli conoscere sarà una persona molto importante per entrambi...
DAL TESTO:
«Insomma, non si vedono tanti manzi in biblioteca!»
«Come no? Vai nella sezione di scienze naturali e c'è pieno. Qualcuno è anche nella sezione dei bambini e quelli solitamente parlano, anche.»
«Ah. Ah. Diciamo gnocchi, allora?» aveva insistito Roberta agitando una mano e guardando per aria.
«Dovremmo avere una vecchia edizione dell'Artusi, per quelli.»
«Bei ragazzi?»
«Ehi, per chi mi avete preso? Di harmony ce n'è a bizzeffe!»
L'avevano punta nell'orgoglio, non aveva potuto demordere!
«Persone di sesso maschile, bella presenza e tangibili, insomma!»
«...»
“Merda... - aveva pensato allora - sono stata sconfitta dalla presenza tangibile”.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Galeotta fu la biblioteca'
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Se cerchi un tesoro devi cercarlo nei posti meno visibili, non cercarlo nelle parole della gente, troveresti solo vento. Cercalo in fondo all'anima di chi sa parlare con i silenzi.
A. Merini



«Bruno...?» chiese una voce timida e squillante alla sua destra.
Il ragazzo si voltò. Aveva in mente una sola cosa: “Ha deciso seriamente di presentarsi!”, ma quando i suoi occhi incontrarono quelli della ragazza non riuscì a formulare un granchè. Gli uscì fuori solo un “mh”, come una specie di grugnito o colpo di tosse appena accennato.
«Ciao!» esclamò Martina presentandosi subito dopo un risolino nervoso.
Bruno la accompagnò dentro al bar e le offrì qualsiasi cosa volesse prendere e Martina scelse uno di quei beberoni ricavati dalla centrifuga di una mezza dozzina di frutti diversi. Mentre aspettava il suo volgarmente detto succo di frutta, la ragazza lo informò sulle incredibili proprietà di ogni ingrediente che aveva scelto.
«Sapevi che l'ananas contiene la bromelina? È un enzima in grado di scomporre le proteine e quindi, in poche parole, aiuta a digerire. Il pomodoro invece è un elisir di giovinezza, ma questo lo saprai... no? Perché è ricchissimo di licopene, un potente antiossidante. Il pompelmo, beh... il pompelmo fa di tutto ed è anche povero di zuccheri! Peccato non avessero il tamerindo, a casa lo uso sempre.»
«Il caffè, invece, cosa fa?»
«Oh, beh, non bevo caffè, oltre alla caffeina contiene più di un centinaio di tossine. Danneggia gli organi digestivi, aumenta la tachicardia, può far venire le palpitazioni, fa aumentare anche le angosce e il nervosismo e...»
«Ecco la centrifuga. Di chi era il caffè?» la interruppe il barista avvicinandole un bicchiere colmo di un liquido verdastro e guardandosi intorno alla ricerca del bevitore di quel veleno nero.
Bruno fece un cenno con la mano e prese la tazzina di espresso.
Martina stette un attimo in silenzio, poi si schiarì la gola.
«In ogni caso, se non hai problemi allo stomaco, alla vescica o al cuore, il tuo organismo può tollerare uno o due caffè al giorno.»
Bruno rimase a pensare alla tolleranza del proprio corpo mentre sorseggiava il caffè, poi chiese, più per un certo senso del dovere che per curiosità:
«Cosa studi?»
Martina, che era rimasta a bere in modo un po' impacciato il suo bicchiere di salute liquida, si animò di colpo.
«Voglio diventare magistrato, è una strada lunga e niente affatto semplice, ma...»
Parlava, parlava, parlava...
Parlava di cose che Bruno non riusciva a capire, ma non sembrava che si rendesse conto dello smarrimento del suo interlocutore. Parlava e spiegava, raccontava episodi che, forse, ad un altro aspirante magistrato sarebbero risultati divertenti, ma che a Bruno dicevano solo la sua ignoranza. Parlava e Bruno guardava il fondo della propria tazzina, gettava occhiate al bicchiere di Martina di tanto in tanto e con angoscia non lo vedeva svuotarsi nemmeno un po'.
«Scusa» la interruppe ad un certo punto «possiamo spostarci ad un tavolino? Comincia la partita.»
Martina rimase interdetta, ma dopo un “oh”, annuì e, preso il bicchiere in mano, seguì Bruno ad un tavolino.
Finì di bere quasi in silenzio mentre Bruno aveva gli occhi puntati sullo schermo e si malediva mentalmente. Perché avrebbe potuto benissimo fare a meno del calcio, soprattutto durante un appuntamento, ma non aveva resistito all'idea di avere una via di fuga. Era un cretino, lo sapeva, ma voleva comportarsi da maleducato per scelta. Perché, (porca puttana!), sua madre aveva detto la verità: Martina era davvero una bella ragazza, con il fisico alto e slanciato di chi fa sempre merenda con bevande salutari e jogging la mattina, con gli occhiali da gatta e le labbra carnose. Era una ragazza bella e intelligente, decisamente troppo intelligente per lui ed ogni sua parola o gesto non faceva che rimarcare l'evidente distanza che c'era tra di loro.
Sapeva perché era piaciuta alla mamma: una ragazza con un così roseo futuro davanti e una carriera brillante (con stipendi sicuri) assicurata non poteva che essere la candidata migliore come compagna di suo figlio. Lui, che aveva un lavoro altalenante, con continui alti e bassi nelle commissioni e di conseguenza nella busta paga a fine mese. Sapeva bene quanto questo la angosciasse, d'altronde lei stessa aveva sposato un falegname e proprio per questo aveva toccato con mano cosa significasse vivere nell'incertezza (sebbene ai suoi tempi il lavoro del padre fosse più sicuro di adesso), e Bruno sapeva altrettanto bene quanto la famiglia di lei avesse disapprovato quell'unione così al di sotto delle sue possibilità.
«Io... devo andare.» disse Bruno dopo essersi schiarito la gola.
La partita era finita e Bruno era sempre più convinto che lui e Martina non avessero niente da dirsi.
«Oh, beh... allora, ehm... grazie per oggi.» disse la ragazza con la sua vocetta zuccherina.
Bruno borbottò qualcosa in risposta che poteva sembrare un “grazie a te”, poi se ne andò prima che Martina potesse avvicinarsi per dargli due bacetti di saluto. Si sentiva già abbastanza a disagio, grazie, e non si capacitava del fatto che, pur essendosi comportato da cafone e averla ignorata per 92 minuti di partita, lei non avesse protestato, né avesse fatto una scenata e anzi avesse il sorriso mentre lo salutava. Forse doveva essere più esplicito e dirle che tra loro non poteva funzionare?
«Vabè, tanto non ci vedremo mai più.» si disse tra sé.
Era scappato prima che potesse saltar fuori l'argomento “prossima volta”.
Diede uno sguardo fugace all'orologio. Avrebbe dovuto alzarsi prima, ma andarsene prima della fine della partita dopo aver insistito tanto per vederla gli pareva una fin troppo evidente presa in giro.
Camminò per le vie del centro per dieci minuti buoni e, per la seconda volta in una settimana (ma in realtà in tutta la sua vita), si ritrovò di fronte alla biblioteca comunale. Di giorno l'edificio gli parve diverso, più moderno, più arioso, meno misterioso.
Entrò guardandosi attorno e oltrepassò il bar in cui era stato giovedì sera. Il barista biondo era intento a impilare tazzine e piattini puliti, ai tavolini di fronte a lui solo un uomo che sfruttava la presa elettrica per il suo pc e una ragazza con una pizzetta mezza morsicata in una mano e il cellulare nell'altra.
Per un attimo Bruno si sentì perso, in quel luogo così silenzioso e sconosciuto, ma fortunatamente adocchiò subito delle indicazioni che lo indirizzarono verso la sala giusta. Quel luogo lo metteva a disagio, con i suoi scaffali di metallo e le sedie di plastica, con le pareti bianche asettiche e le luci a led gli parve freddo e inospitale e sentì la mancanza del legno, delle sue sfumature calde e del suo profumo familiare.
Poi salì una rampa di scale e in mezzo a tutto quel bianco vide una nota di colore che gli scaldò subito qualcosa dentro.


«Ciao.»
Susanna, coperta da un maglione di lana a strisce marroni e senape, alzò gli occhi dal computer e accolse Bruno con un sorriso smagliante.
«Ciao! Non ti aspettavo più.» ammise.
Bruno balbettò delle scuse grattandosi nervosamente il collo.
«Sono... stato trattenuto, mi dispiace.» disse.
«Oh, non fa niente, siamo ancora aperti... per altri otto minuti, precisamente.»
Bruno si sentì mortificato, sapeva di aver fatto tardi, sperava solo che la ragazza non si fosse trattenuta a causa sua, ma questo non lo disse e si limitò a rinnovare le sue scuse.
«Beh... insomma, cosa volevi darmi?» si affrettò a dire, cercando di riprendere un contegno.
Susanna si stupì del fatto che un ragazzone grande e grosso come lui si imbarazzasse per un'inezia del genere. Alla fine era arrivato, perché era così a disagio e si guardava intonro come se si aspettasse un agguato?
«I mostri rimangono sempre dentro ai libri fantasy, non escono mai, te l'assicuro.» disse, provando a rassicurarlo.
«Mh?»
«Sembra che ti aspetti che un drago salti fuori da dietro uno scaffale da un momento all'altro.» spiegò.
Lo vide sbuffare, ma forse era una risata trattenuta.
«Non mi sento molto a mio agio in questo posto, è un po'... bianco.» ammise allora il ragazzo.
Susanna ebbe un'idea e controllò l'orologio.
«Hai... cinque minuti o sei di fretta?»
Bruno scrollò le spalle e la guardò con aria interrogativa.
«Se mi aspetti ti faccio vedere lo spazio meno bianco della biblioteca. È la mia parte preferita, un po' nascosta, ma è come un tesoro: senza la caccia per trovarlo che soddisfazione c'è? Hai solo cinque... anzi no, quattro minuti?»
«Sì, certo.» disse Bruno, incuriosito.
«Intanto... ecco gli scritti che volevo darti.» disse la ragazza aprendo un cassetto della scrivania e traendone un pacco di fogli ordinatamente spillati a gruppi di 20 o più.
Bruno li prese, sbirciando distrattamente il primo foglio. Stava cercando qualcosa di intelligente da dire per fare un commento qualsiasi, ma per fortuna fu lei a parlare per prima.
«E... ci siamo! Spengo tutto e ci sono.»
Bruno controllò l'orologio.
«Sono passati sì e no due minuti.»
«Uff... che fiscale! Tanto a quest'ora non c'è più nessuno. Vieni, ti porto nella stanza delle meraviglie!»
Susi si alzò dalla scrivania e gli passò accanto. Il suo maglione sembrava morbidissimo e il suo profumo, non molto persistente, sapeva di pulito e chissà che altro. Bruno ebbe lo strano impulso di abbracciarla e strusciare il viso sul suo maglione, si schiarì la gola, intontito, e si avviò dietro di lei.
La ragazza lo condusse verso una porta verde pastello, che spiccava in mezzo alle pareti bianche, con una mano sulla maniglia lo aspettò e quando fu sufficientemente vicino aprì la porta con un:
«Ta-dan! La biblioteca dei bambini!»
Bruno si guardò intorno, osservò gli scaffali che lì si alternavano colorati, i due tappeti di diverse dimensioni, forme e colori che coprivano un angolo della stanza, accanto ai quali c'era uno scaffale basso, infine, un tavolino tondo con seggioline minuscole stava al centro della stanza. Bruno sorrise: quello almeno era di confortevole legno.
«Allora? Che ne dici? Non sembra una caverna del tesoro?»
«Manca il forziere per il tesoro, ma non è male.»
«No, il forziere ce l'abbiamo!» disse Susi e si precipitò verso un angolo della stanza, da cui trasse una scatola di cartone con un lucchetto dipinto a tempera che ricordava vagamente un forziere pirata.
«Beh, non è il massimo...» si scusò osservando l'oggetto che aveva tra le mani.
«Comunque avevi ragione: è sicuramente la stanza più bella tra quelle che ho visto. Soprattutto se... ti piace il genere, diciamo. Io da bambino preferivo i mattoncini colorati ai libri.» ammise Bruno.
Susanna rise.
«I libri si possono usare anche come mattoncini, sai? Anzi, un sacco di bambini lo fanno, soprattuto con questi.» disse la ragazza indicando una serie di librini cartonati dalla forma quasi cubica.
Bruno osservò il suo volto pieno di entusiasmo e si intenerì per la felicità che poteva scaturire da una cosa tanto semplice come una scatola dipinta e dei libri senza parole per piccolissimi.
Susanna dovette sentirsi osservata perché a quel punto sollevò gli occhi e trovò Bruno intento a guardarla con un mezzo sorriso e il sopracciglio col piercing alzato. Diede un colpetto di tosse, si sistemò il maglione e poi disse:
«Adesso conosci la mappa per il tesoro, mi raccomando: puoi rivelarla solo a persone di fiducia!»
Concluse in un sussurro come se stesse condividendo un segreto.
«Se ti piace tanto perché non sei a quella scrivania?» chiese Bruno mentre Susanna chiudeva la porta e si avviava accanto a lui verso l'uscita.
«Appena posso vengo qua, infatti, perché al momento non c'è una persona fissa alla sezione ragazzi.»
Susanna spiegò che in biblioteca si trovavano a corto di personale, e, a parer suo, i fondi stanziati dal comune erano mal gestiti, ma per fortuna la direttrice era una vecchia incartapecorita che stava giungendo alla pensione e lei puntava (disperatamente) a quella posizione.
«Perché lo dici in questo modo? Non hai buone probabilità di diventare la nuova direttrice e trasformare tutta la struttura in una caverna del tesoro?»
Susanna sorrise, grata.
«Certamente sono la più qualificata qua dentro, ma sai com'è, sono anche la più giovane e gli anziani potrebbero risentirsi se avessi il posto. Anche perché con tutto il tempo che loro hanno passato a svolgere male il loro lavoro sono riusciti a pubblicare diversi studi, mentre la lista delle mie pubblicazioni è ferma a zero.»
Raccontò tutto a mezza voce, in tono da complotto, ma alla fine aveva un sorriso sincero e concluse con un'alzatina di spalle. Nel mentre che raggiungeva l'uscita si preoccupava di spengere le luci e rimettere a posto qualche sedia lasciata un po' storta.
La ragazza controllò l'orario e disse:
«Beh, adesso devo chiudere, grazie ancora per essere passato.»
«Figurati!» rispose Bruno scrollando le spalle.
Salutò la ragazza e si diresse verso l'uscita, soppesando il pacco di fogli che gli aveva dato.
Pensò a quello stesso giovedì, in qello stesso luogo, quando Susanna l'aveva rincorso nel parcheggio della biblioteca ripetendo “Scusa! Scusa!” e lui si era voltato con la fronte corrugata quando aveva riconosciuto la voce della ragazza. Lei l'aveva raggiunto di corsa e si era fermata di fronte a lui.
«Tu... sei nipote di Giandomenico Dossi?» aveva chiesto con il respiro grosso e un ciuffo di capelli finito all'angolo della bocca.
«Sì.» aveva risposto lui fissando quel ciuffo di capelli.
«Ommioddio. Non posso crederci!»
Con una mano la ragazza aveva allontanato i capelli dalle labbra, riportandoli dietro l'orecchio e il suo viso aveva assunto un'espressione estatica.
«Il Dossi è il mio scrittore vivente preferito in assoluto! Non sto scherzando! È il mio idolo, così poliedrico, così poetico... ho letto la sua opera completa. Ti prego, posso chiederti un favore?»
Bruno non riuscì a negare di fronte a tanto entusiasmo e si limitò ad annuire.
«Io, ecco... io ho scritto delle cose. Non è che potresti fargliele leggere? Se non è troppo disturbo, s'intende. Non voglio che mi faccia un commento o altro, solo... se solo li leggesse sarei contenta. Potresti farlo?»
Bruno ci aveva pensato su per quello che parve un minuto, un minuto intero di silenzio. Non era una buona idea, ma lei era così sorridente, così frizzante, parlava così tanto e così bene...
«D'accordo.» aveva borbottato alla fine.
Non era così debole di fronte al fascino femminile, non lo era mai stato, se lo giurava nella mente e si convinceva che stava solo facendo un favore ad un'amica di un'amica. Tutto qua. Così si erano messi d'accordo e lei l'aveva salutato sventolando la mano con un gran sorriso sul volto.
Bruno sospirò e sorrise, di se stesso soprattutto. Era arrivato al bar della biblioteca, al bancone non c'era più nessuno, e non c'erano più nemmeno le due persone solitarie che Bruno aveva notato quando era arrivato. Su un tavolino, però, un oggetto nero colse la sua attenzione: era il caricabatterie dell'uomo che aveva usato il pc.
Pensando che quello, distratto, fosse uscito da poco dalla biblioteca, Bruno lo raccolse e corse fuori, si guardò intorno quando arrivò al parcheggio, ma lo trovò deserto, con solo un paio di auto posteggiate. Allora tornò indietro e sulla soglia si imbattè in Susanna, che stava chiudendo a chiave la porta.
«Ehi» cominciò «scusa, qualcuno ha dimenticato questo sul tavolino del bar.» disse tutto d'un fiato mostrando l'oggetto ad una Susanna dall'aria stupita.
«Oh. Uffa... ho già chiuso tutto. Dammi qua, lo porterò domattina nel cassetto degli oggetti smarriti.» disse infilando il caricabatteria in borsa.
«Un altro forziere del tesoro?»
«Assolutamente sì! Non hai idea di cosa la gente abbia dimenticato in biblioteca. Abbiamo un evidenziatore, un berretto di lana, un pacchetto di salviette rinfrescanti e anche un cane. Di plastica, ma molto fedele all'originale.»
Erano arrivati ormai al parcheggio e Bruno si fermò.
«Allora... ci vediamo, ciao.» disse.
«Sì, a presto!»
Dopo pochi passi si accorsero che stavano andando nella stessa direzione.
«Non sei in macchina?» chiese Bruno, in imbarazzo.
«No, sto qua vicino. Tu?»
«Nemmeno io, l'ho lasciata più in là.» disse senza spiegare dove e perché.
«Oh... bene.»
Proseguirono per un po' in silenzio, poi Susanna scoppiò a ridere.
«Scusa, è stata una situazione un po' imbarazzante, non è vero?»
Bruno si limitò a ridere.
«Tu non ami parlare, vero?»
«Preferisco ascoltare.» ammise, vergognandosi un po'.
«E questo, devo dire, è un pregio bellissmo quanto raro. Bene! Questa è casa mia, così adesso hai la mappa del tesoro e quello della torre della bella principessa.» scherzò.
«Il muto manterrà segreti entrambi, non dubitare.»
Susanna rise e i due si salutarono per l'ennesima volta.
«A presto.» disse Bruno e dentro di sé lo sperava davvero.


 
   
 
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