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Autore: Eilan21    22/09/2019    6 recensioni
Cosa vuol dire essere regina di un regno diviso, ambito da cristiani e infedeli e al centro di lotte per il potere e per le sue incommensurabili ricchezze? Cosa vuol dire sposare l'uomo più potente del mondo per salvare quel regno, un uomo geniale e intelligente, ma anche freddo e calcolatore? Regina a soli pochi giorni di vita, Imperatrice pochi anni più tardi, Yolande si trova ad essere la pedina di una lotta di potere più grande di lei. Questa è la storia di Isabella di Gerusalemme, moglie di Federico II di Svevia.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
Capitoli:
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San Giovanni d'Acri

Giugno 1225


Uno straniero che per la prima volta avesse posato lo sguardo su Acri non avrebbe potuto trattenere un commento di ammirazione. Il gioiello della corona brillava come una perla rara nel diadema del regno di Gerusalemme, e il suo palazzo reale non poteva essere da meno, concepito per essere quanto di più lussuoso si potesse immaginare. Immenso e magnificamente decorato: i giardini curati fin nei minimi dettagli, i frutteti traboccanti di deliziosa frutta variopinta, i colonnati costruiti secondo la moda araba, i mosaici colorati e le fontane zampillanti erano solo alcune delle meraviglie che colpivano lo sguardo. Non a tutti era dato di ammirare anche i lussi che si celavano all'interno del palazzo, come gli hamam - le grandi stanze con enormi vasche in cui si riversava acqua calda per mezzo di fontanelle a forma di animali, piastrellate con mosaici dagli intricati disegni e circondate da colonnati di marmo.

Ed era qui che Yolande aveva trascorso il tempo in attesa del matrimonio con l'imperatore. In vista di questo importante avvenimento erano arrivati a corte nuovi maestri incaricati di insegnare alla regina il volgare di Germania e quello di Sicilia, perché era del tutto probabile che il suo futuro marito la portasse con sé durante i suoi spostamenti tra i suoi due regni. Yolande aveva saputo che Federico aveva una predilezione per il suo regno siciliano, che amava le meraviglie di quel regno così simile al suo; questo l'aveva rincuorata un poco, perché come lui era abituato a vivere in un regno in cui si era a stretto contatto con i saraceni, così lo era lei; come lui era innamorato di una terra dal clima caldo e ricco di delizie per la vista e il palato, così lo era lei. Poteva darsi davvero che il loro matrimonio sarebbe iniziato con il piede giusto.

Jean di Brienne non era più tornato a Gerusalemme dalla sua ultima visita, due anni prima. Era stato in Francia, e poi in Inghilterra, fino a spingersi, qualche mese dopo, fino a Santiago di Compostela, dove il re Alfonso IX di Leon gli aveva offerto in moglie sua figlia minore Berenguela. Yolande non lo avrebbe mai creduto possibile, ma alla non più verde età di cinquantaquattro anni suo padre si era risposato con una principessa di appena vent'anni. Aveva scritto una lettera alla figlia per annunciarle personalmente la notizia, e con l'occasione le aveva inviato un dono di nozze: un pendente a forma di croce e un paio di orecchini d'oro con tante piccole ametiste e perle, nel tipico stile della moda bizantina. Si andarono ad aggiungere al suo corredo, che le serve avevano già cominciato a preparare, insieme alle lenzuola di lino ricamate e ai servizi di piatti in oro e argento. Anche Federico le aveva inviato diversi gioielli, e ammirandone la bellezza Yolande non aveva potuto scacciare la sensazione di venire comprata. Il suo regno per un mucchio di pietre luccicanti.

Nell’ottobre di quell’anno la piccola regina avrebbe compiuto quattordici anni ed erano dunque iniziate le lunghe trattative per fissare una data per le nozze e la minuziosa organizzazione del viaggio che l’avrebbe infine portata in Italia. Dopo un lungo tira e molla fu decisa la data del 25 agosto per la cerimonia per procura; dopodiché la regina e neo imperatrice sarebbe salpata per il regno siciliano del suo sposo. Se le correnti fossero state propizie sarebbero giunti a destinazione nei primi giorni di novembre. E cioè in tempo per evitare l’inizio dell’inverno, stagione niente affatto favorevole alla navigazione.

Era un giugno già molto caldo e assolato, e quella mattina la regina era uscita dal palazzo con un piccolo seguito: Anais, Mariam e due guardie di scorta. Si era diretta alla cattedrale di San Giovanni Battista godendosi il sole che scomparve non appena varcò la soglia del portale di pietra. L'interno della chiesa era fresco e in penombra, ma ancora sufficientemente luminoso grazie ai grandi archi e alla cupola in stile romanico.

Yolande fece cenno alla sua scorta di aspettarla fuori ed entrò solo con Anais e Mariam. La chiesa era semideserta a quell'ora del mattino, e i pochi fedeli assorti in preghiera si alzarono per un breve inchino alla regina che sia avviava lungo la navata centrale. Alcuni sacerdoti la notarono e in pochi secondi un cerimonioso Jacques de Vitry le andò incontro pieno di ossequi. Yolande lanciò un'occhiata al vescovo di Acri, suo confessore, che le porgeva la mano e, senza dire una parola, si chinò a baciargli l'anello. Dopodiché il vescovo si inchinò alla sua regina. Era così: il potere ecclesiastico veniva prima di quello temporale. Per tutti i principi della cristianità, tranne forse il suo fidanzato. Yolande si chiese cosa il vescovo pensasse realmente di Federico, noto per sfidare spesso l'autorità papale.

Venite da questa parte, mia regina. Il confessionale è a vostra disposizione.”

Vi ringrazio, vostra eccellenza.”

Il confessionale era una struttura ancora più adombrata del resto della cattedrale, e il legno di cui era fatta emanava un buon odore di cera appena passata.

Il vescovo si accomodò e tracciò nell'aria il segno della croce, mormorando le parole di rito.

Potete parlare liberamente con me, mia signora. So che sono dieci giorni che non vi confessate. Quali peccati avete commesso? Quali ombre gravano sul vostro cuore?”

Ombre, dite bene eccellenza”, mormorò Yolande, aggiustandosi il velo che le copriva i capelli.

Sapete che il mio matrimonio con l’Imperatore si avvicina, ed io… temo per la riuscita di questa unione.”

E perché mai mia regina? Questa unione è voluta da Dio, da Sua Santità e anche di vostro padre. E Dio ci ha comandato di onorare il padre e la madre, non scordatelo. Dunque voi state compiendo la volontà del Signore e obbedendo a vostro padre. State facendo ciò che il vostro ruolo vi impone e ciò che una brava figlia farebbe.”

Questo è vero, vescovo de Vitry, ma sono preoccupata per ciò che si dice del mio fidanzato, della sua… mancanza di fede. Sapete che anche Sua Santità si è scontrato con lui su questo.”

Il Vescovo sospirò. “Siete perspicace mia signora. Più di quanto ci si potrebbe aspettare da una giovane della vostra età. Ma avete ragione: la fede dell’Imperatore è traballante, lo è sempre stata. E la vicinanza degli infedeli di cui si circonda non lo aiuta. Ma forse è proprio per questo che il Signore lo ha messo sulla vostra strada. Voi potete riportarlo sulla retta via.”

E come potrei mai, eccellenza?” esclamò Yolande, attonita, quasi scandalizzata a quella prospettiva.

Con l’esempio della vostra fede naturalmente! La vostra devozione non può non ispirarne altrettante nel vostro sposo.”

Yolande si chiese come il Vescovo potesse pensare possibile una cosa del genere, soprattutto conoscendo l’indole di Federico. E soprattutto come poteva pensare che lei, che aveva la metà dei suoi anni potesse avere una qualche influenza sul marito, quando non sembrava esserci riuscita neppure la sua prima moglie Costanza, che di anni ne aveva il doppio di lui.

Ma De Vitry non sembrò notarlo, mentre la esortava a confessarle altri peccati e lei diligentemente eseguiva. Ascoltò distrattamente anche le penitenze che le venivano assegnate e mentre si congedava dal religioso e tornava dove le sue dame e la sua scorta l'attendevano, continuò a rimuginare sul fatto che, oltre alla riconquista di Gerusalemme con l'inizio della nuova crociata, il Papa potesse aspettarsi da questo matrimonio anche un riavvicinamento di Federico alla Chiesa.


Il 25 agosto, la data che Yolande aveva atteso e temuto allo stesso tempo, infine giunse. La popolazione di Acri si era riversata nelle strade per godersi lo spettacolo senza precedenti, e il suo vociare era udibile perfino attraverso le finestre del palazzo reale. Una folla festante in attesa che gridava il suo nome. Yolande si sentì stringere lo stomaco.

La sua cameriera Philippa le stava finendo di spazzolare i capelli davanti allo specchio.

Siete emozionata, bambina mia?” le chiese l’anziana donna, con un sorriso che le illuminò il volto rugoso.

Yolande deglutì visibilmente, annuendo.

Forse voi non lo sapete, ma sono stata io a preparare vostra nonna, per tutte e quattro le sue nozze, molti anni fa.”

Davvero?”

E’ così. E lasciatemi dire che voi le assomigliate moltissimo. Non portate solo il suo nome, avete anche i suoi stessi capelli, la sua bellissima chioma dorata, e il vostro viso mi ricorda così tanto il suo. Lei era emozionata come lo siete voi ora quando sposò il suo primo marito; e anche se non avrebbe dovuto lasciare la sua casa, come state per fare voi, l’attendeva lo stesso il gravoso compito di regnare. Era così giovane e così inesperta, proprio come lo siete voi. Ma è stata un’ottima sovrana ed ha assolto il suo compito con devozione e abilità. E voi farete esattamente lo stesso, fidatevi di me.”

Yolande si voltò, facendo bloccare Philippa con la spazzola a mezz’aria. La giovane regina aveva gli occhi lucidi e afferrò il fragile braccio dell’anziana cameriera.

Oh Philippa, come vorrei che potessi venire con me in Italia.”

La donna sorrise commossa. “Lo vorrei tanto anch’io bambina mia. Ma guardatemi: il mio volto porta i segni del tempo come nessuna delle vostre cameriere e ho visto più inverni di quanti possa contarne. Ho avuto cura di vostra nonna e di vostra madre dopo di lei; erano care al mio cuore come lo siete voi, e a entrambe sono sopravvissuta. Sono troppo anziana per affrontare un viaggio simile. Ci sarà Eufemie a vegliare su di voi in vece mia. E vostra cugina sarà al vostro fianco, non siete contenta?”

Certo che lo sono”, rispose la regina voltandosi di nuovo verso lo specchio. “E’ solo che vorrei tutta la mia corte con me. O meglio ancora… vorrei non dover lasciare Gerusalemme.”


La brezza leggera e calda che veniva dal mare scuoteva delicatamente la chioma dorata di Yolande, che brillava al sole come oro filato. Ancora per poco l'avrebbe lasciata sciolta: una volta che avesse pronunciato i voti nuziali, la pudicizia imponeva che li intrecciasse o li annodasse sul capo. Il velo candido che li copriva vibrava con la brezza gentile, tenuto fermo solo dal soggolo e dal cerchio d'oro e rubini che le cingeva la fronte. L'abito leggero di seta e mussola era intessuto con fili d'oro, e il lungo e pesante mantello di ermellino era trapunto di pietre preziose. Le dame di Yolande, dispiegate intorno a lei come un prolungamento del suo corpo, erano vestite con altrettanto sfarzo ed eleganza, ma non c'era da dubitare su chi fosse la sovrana tra di loro. Il sole che, in quel torrido giorno di agosto, si rifletteva sul mare cristallino lo faceva risplendere come un diamante dalle mille sfaccettature.

Le quattordici galee inviate dal suo fidanzato per portarla in Italia avevano gettato l’ancora due giorni prima, tra la curiosità della folla che riempiva il porto. La flotta, il cui comando era stato affidato al Conte Enrico di Malta, era qualcosa che nella sua imponenza i suoi sudditi non vedevano dai tempi dell’ultima crociata. A bordo della nave ammiraglia aveva viaggiato l’Arcivescovo Giacomo di Capua, che avrebbe rappresentato Federico nello sposalizio per procura. Il corteo reale procedeva tra le grida festose della folla, assiepate ai lati del lungo tappeto di fiori che era stato sparso sul cammino della regina. La porta della chiesa era ancora chiusa e sotto l’arco del grande portale di bronzo intagliato stavano il Vescovo de Vitry con un gran sorriso sul volto magro e un uomo di mezza età che Yolande immaginò essere l’Arcivescovo di Capua. La folla che avrebbe assistito quel giorno alle nozze non aveva mai assistito ad un matrimonio per procura, una pratica comune in occidente, ma del tutto inusuale a Gerusalemme. Anzi, la maggior parte di loro si chiedeva come potesse una coppia separata da mezzo Mar Mediterraneo a venire unita in matrimonio.

Yolande percorse gli ultimi metri che la separavano dalla chiesa con il cuore in gola e si fermò accanto all’ecclesiastico. Le sue dame posarono delicatamente a terra il velo che avevano sorretto durante il percorso e rimasero in piedi dietro di lei.

De Vitry pronunciò le formule di rito, chiedendo il consenso degli sposi, dopodiché l’Arcivescovo mise l’anello al dito di Yolande. Quando il celebrante dichiarò la coppia unita in matrimonio, si levarono grida di giubilo dalla folla.

Yolande stentò a credere che fosse fatta: era una donna sposata senza neppure aver mai visto in volto suo marito.

Tuttavia non ci fu molto tempo per elaborare quel cambiamento, perché il rito doveva proseguire. I due ecclesiastici si fecero da parte, lasciandola al centro della scena. Yolande salì ancora due gradini, poi batté sull’imponente portone intagliato che la sovrastava.

Una voce si levò dall’interno: “Chi chiede di essere ammesso nella casa del Signore?”

La tua serva, Isabella”, rispose lei, con voce alta e ferma, come mai avrebbe creduto di essere capace.

Alle sue parole i pesanti cardini girarono e i due battenti di ferro battuto lentamente si aprirono, mentre sembrava che tutti intorno stessero trattenendo il fiato. Marie e Anais si avvicinarono a lei e con pochi gesti esperti le tolsero il velo con il soggolo e il cerchio d’oro. Più nulla rimase sul suo giovane capo pronto ad accogliere la corona. Yolande prese un profondo respiro e entrò nella chiesa gremita di nobili e dignitari seduti ai loro posti. Tutti si voltarono a guardare la sua sagoma che si stagliava sullo sfondo della luce accecante che proveniva dall’esterno. I suoi occhi impiegarono qualche secondo ad abituarsi a quella penombra. Seguita dalle sue dame, dall’Arcivescovo di Capua e dal Vescovo de Vitry, la futura regina si avvicinò all’altare con passo misurato, avvolta da un religioso silenzio. Se avesse chiuso gli occhi avrebbe anche potuto immaginare la chiesa deserta e le panche vuote. Riuscì a lanciare qualche occhiata distratta intorno a sé e riconobbe tra le prime file suo cugino Baliano Conte di Sidone, il padre di Marie, Boemondo principe di Antiochia e il Conte di Tripoli Raimondo. E anche un paio di file di volti a lei completamente sconosciuti: dovevano essere i dignitari siciliani mandati da Federico con le galee per assistere all’incoronazione.

Dopo non vide più nulla se non il volto sorridente di Simone di Maugastel, l’Arcivescovo di Tiro, nonché cancelliere del regno, che le tese la mano perché baciasse l’anello. Yolande si inginocchiò, mentre le dame sistemavano il mantello lungo la navata. La giovane regina pronunciò la formula del giuramento che aveva imparato a memoria. Giurò di difendere e proteggere il regno di Gerusalemme da ogni nemico, interno ed esterno; di votare la sua vita a questo compito che Dio aveva voluto affidarle. Giurò di essere sempre fedele alla sua corona e di mettere sempre il bene del regno e del suo popolo prima della sua stessa vita. Cosa che – non poté evitare di pensare con una certa ironia – stava già facendo.

Uno dei ministranti porse quindi la corona all’Arcivescovo di Tiro. Yolande la riconobbe alla prima occhiata: era la corona indossata da sua madre e da sua nonna prima di lei. D'oro, traboccante di gemme – rubini, ametiste, ambra, granato e smeraldi - e con quattro croci, anch'esse in oro e gemme, che svettavano alte su ciascun lato. Le venne posta sul capo e lei ne saggiò la pesantezza. Seguirono lo scettro e l’orbe terracqueo, che tenne sollevati con mani appena tremanti. Infine si alzò in piedi e si voltò verso la folla, mostrando i simboli del suo potere. Era qualcosa che non si sarebbe aspettata, ma un’emozione improvvisa ed intensa la invase. Gli occhi le si riempirono di lacrime e un sorriso radioso le illuminò il volto, mentre le grida e le acclamazioni della nobiltà del suo regno le risuonavano nelle orecchie come riverberi di gloria.

Yolande poteva vedere sui loro volti la sincera felicità che provavano nell’avere di nuovo una sovrana incoronata; una sovrana che stava per legare gli interessi del regno di Gerusalemme a quelli dell’uomo più potente del mondo, qualcosa che nessun re dei regni d’oltremare aveva mai realizzato. Riponevano davvero in lei le loro speranze.


Le acclamazioni festose dei suoi sudditi, accalcati sul molo e nelle strade circostanti il porto alla partenza della flotta si erano lentamente assiepate, mentre le persone diventavano sempre più lontane, fino a diventare piccoli puntini variopinti e sfocati. La sagoma di Acri, i suoi tetti, i campanili delle chiese, con le campane che non avevano smesso di suonare a festa da quando era stata incoronata, tutto scomparve all’orizzonte mentre le galee solcavano le acque prendendo il largo. Yolande stava appoggiata al parapetto di poppa, avvolta in un mantello perché il vento era forte, nonostante il sole non fosse ancora del tutto calato. Anais osservava anche lei Acri sparire all’orizzonte, gli occhi arrossati, i lunghi capelli neri che le sbattevano sul viso. Teneva protettivamente un braccio intorno alle spalle della più giovane cugina. Entrambe stavano dando il loro silenzioso addio alla terra che le aveva viste crescere.




Nota dell'autrice: Grazie a tutti coloro che hanno letto e recensito fin'ora e spero che questo nuovo capitolo sia di vostro gradimento ^_^

Una piccola curiosità: non avendo indizi su come potesse presentarsi la corona del regno di Gerusalemme ho preso spunto da una famosa corona più o meno contemporanea, quella del Sacro Romano Impero, modificandola un po'.

Alla prossima

Eilan

   
 
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