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Autore: Selena Leroy    23/09/2019    0 recensioni
Su Jack Vessalius è stata imposta una damnatio memorie per non dover ricordare che quell'uomo è l'artefice del più grande tradimento mai subito dalla famiglia Baskerville: l'uomo più vicino a Glen, l'uomo che ha sfruttato quella vicinanza per colpire nel cuore del potere dei Baskerville e tentare la distruzione delle catene che impediscono al mondo di crollare in Abyss.
Però Jack è stato fermato, è stato spedito nella stessa Abyss dove voleva condannare tutti. Glen è riuscito persino a fermare lo spezzarsi delle catene, ma ha pagato il prezzo di una città che si è riversata negli abissi dove tutto il mondo doveva finire.
E adesso sono passati cento anni. Cento anni di pace, che sembrano non dover finire mai. In questo presente una ragazza di nome Oz viene presentata a due uomini appartenenti alla famiglia Baskerville, ricevendo l'invito di andare a trovare l'uomo che si presuppone essere suo padre.
Quell'incontro con gli dei della morte sarà per lei l'inizio di una lunga serie di disgrazie...
Genere: Angst, Dark, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gilbert Nightray, Jack Vessalius, Oz Vessalius, Vincent Nightray
Note: OOC | Avvertimenti: Gender Bender
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Jack Vessalius, nel suo perire, avrebbe forse rivisto la sua Lacie. Questo pensava Oswald, mentre osservava l’inerte suo amico ammanettato dinanzi a lui. Era tutto un rosseggiare, intorno a loro, un mondo dalle tinte fosche che ancora ricordava il dolore infertogli da Jack, e che attendeva una fine prossima e tempestiva. Lui, il nuovo Glen, non aveva neppure mai supposto che, nel mondo, un male tanto grave potesse infettare la mente degli uomini, che dal semplice amore si generasse un odio tanto cancerogeno da anestetizzare la pura ragion d’essere. Si chiese, mentre evocava il suo chain, il chain che aveva personalmente scelto per quell’ingrato compito, quale delle mille maschere indossate dal ragazzo lì dinanzi potesse definirsi autentica. Non quella del migliore amico, certamente, non quella del disgraziato che tenta di risollevare il suo spirito nella compagnia di un fratello rimasto solo. Non c’era stato alcun senso di affetto, nel  muoversi dei suoi gesti, e per Oswald l’essersene avveduto solo così tardi era segno di un profondo rancore che tentava parzialmente di dissimulare.

Lui stava per ottenere la sua vendetta, alla fine; per il vile tradimento subito, avrebbe gettato Jack Vessalius nel luogo più cupo di Abyss, nell’estremo confine che debilitava l’anima al punto da negarle la reincarnazione, e l’unico neo che avrebbe dovuto ostacolare la sua mano doveva venire solo dal pensiero di una morte troppo rapida e, forse, voluta dallo stesso condannato. Comodo morire nelle stesse condizioni della povera Lacie, richiamare il suo nome per la scelleratezza consumatasi dinanzi ai suoi occhi, per la follia che ormai albergava nel corpo del giovane...

Ma Oswald soffriva. Nella rabbia, nel tradimento, nel rancore, egli soffriva. Nel dover infliggere una simile e disgraziata pena, nel dover condannare alla morte definitiva Jack, nel privarsi per sempre della sua vista... egli continuava stupidamente a soffrirne. Quella gioia selvaggia che l’aveva investito i pochi attimi precedenti la cattura era già cenere, fugace in un sentimento che non gli apparteneva e fin troppo fievole nel poterlo rappresentare. Nel suo cuore, egli non riusciva a dettare la giustizia del suo operato, l’obbligo di quanto costretto a fare; quel suo organo pulsante, prossimo al suo primo sfiorire, già singhiozzava penosamente per una perdita non ancora prossima. Ne soffriva e, per questo, si detestava in maggior  misura di quanto odiava Jack.

Ma come convincersi che quell’uomo non aveva fatto null’altro se non una recita, dinanzi a lui? Come portarsi nella semplice ragione delle azioni illusorie, quelle che lo avevano creduto compreso e accettato da chi invece già meditava come imbrogliarlo?

Non aveva voluto crederci, all’inizio, quando le guardie gli avevano comunicato l’aprirsi involuto dei cancelli per Abyss. Il sangue che loro portavano come prova avrebbe dovuto essere uno sgradevole scherzo, meglio ancora una farsa da guitti organizzata da terzi, e certamente nel momento peggiore che si potesse scegliere.

Ma poi alle grida si erano sovrapposte le urla disumane della bestia, e la deflagrazione udita in lontananza pochi dubbi aveva lasciato sull’identificare degli invasori all’interno del castello.

Jack dominava l’inferno, e ne guidava l’emissario procuratosi col mistero. Ghignava del dolore che lo circondava, del sangue gocciolante dalla sua spada, delle catene che il suo chain riduceva a brandelli; nelle iridi così inquietanti per il loro non riflettere altro che il nulla, lui aveva tremato per il lucore sinistro che le aveva bagnate; non seppe identificarla, l’origine di quell’emozione, ma ne ebbe timore perché esso, così innaturale su un viso tanto allegro quanto spento, vedeva la sua origine proprio nella morte, nella follia e nelle urla del massacro. Morivano, le persone, si vedevano prossime al crollo del proprio mondo, e chiamavano a gran voce lui, il nuovo Glen, affinché ripristinasse l’antico e sicuro ordine.

Cosa che lui aveva fatto.

Nel rito di condanna appena apertosi nella disfatta di Jack lui avrebbe dovuto parlare di pentimento, di colpe che macchiano l'anima senza precise obiezioni di coscienza, e della giustizia quindi insita all'interno del suo gesto. In altre parole, una sorta di beneplacito da dichiarare nell'ucciderlo.

Gryfon fece il suo ingresso, ammantato di lucenti piume nerastre che ben presto invasero l'intero aere della stanza. Si cullavano nell'inesistenza di una forza capace di farle sfuggire alla gravità, conferivano all'ambiente la ricercatezza del male che stava per compiersi. Perché Oswald, in tutta franchezza, non riusciva a vedere, in simile e mortale rituale, un bene all'anima sua e del condannato. Una tortura lenta e definitiva che impediva perfino il miracolo dei cento giri poteva davvero chiamarsi giustizia, in fondo? Il titolo di Glen avrebbe dovuto cancellare, spazzar via come le foglie nella carezza del vento, simili elucubrazioni. Quale guadagno avrebbe ottenuto nel dubitare di se, delle sue azioni, del suo operato e del suo ruolo? Il semplice porsi di una simile domanda avrebbe certamente meritato la più incline delle avversioni da parte di quella Jury tanto crudele quanto lieta nell'ordinare la condanna a morte della sua amata sorella.

Rifletteva sul passato, Oswald, ripensava a quella sottile tentazione avvertita quando Jack, presentatosi alla sua porta nella vigilia della cerimonia, si era in qualche modo identificato quale suo salvatore, il tramite perfetto nella garanzia di una vita lunga e felice che Lacie meritava più di chiunque altro, più di coloro che, della vita, non sapevano apprezzare nulla sebbene nati con più doni di lei. Cosa sarebbe accaduto, pensava Oswald, se avesse deciso di dir tutto a Jack, di affidarle la ragazza, di disobbedire al suo naturale ruolo e di rispondere solo a quanto suggerito dalla sua anima?

"Questo poteva forse evitarsi?"

Non si rese nemmeno conto, lui, di aver pronunciato simile pensiero in un modo tale da rendersi udibile. Il suo pensiero ormai galoppava nel sentore di un cuore preso a battergli con una frenesia pari a quella avvertita nella battaglia appena conclusa e, forse per la prima volta nella vita, mostrò deliberatamente se stesso a discapito del suo ruolo, del suo titolo e degli sguardi di tutti.

"Dimmi, Jack, poteva evitarsi, simile tragedia?"

Il biondo non accennò nemmeno a fissarlo, perso in un fiume di pensieri di cui non voleva rendere partecipe nessuno. Lo sguardo smeraldo esplorava i delicati mosaici del pavimento quasi vi fosse lì inciso la risposta alla domanda appena posta, eppure quella voce, calda e suadente, che tante volte aveva sentito risuonare all'interno della sua magione, non venne a lui incontro, non ribatté alla richiesta fattagli, non interruppe il silenzio venutosi a creare. Oswald comprese - o almeno pensò di farlo - che la disfatta ricevuta dovevano ormai aver compromesso in modo indelebile il raziocinio del ragazzo, e che dalla sua follia egli non ne sarebbe mai più venuto fuori.

"Il mondo potrà anche essere un'infinità di se, ma proprio per questo non ci è dato conoscere del nostro destino nel caso di decisioni opposte"

E, sospirando, Oswald... Glen emise il suo verdetto.

"Jack Vessalius... con la catena della condanna, ora è metterò il tuo giudizio"

"Per il mio peccato?"

La platea generale, tutti gli astanti di Baskerville – gli unici rimasti vivi dopo il massacro brutale ma necessario - rimasero a bocca aperta, nel sentirlo parlare. Chi piangeva i morti appena subiti non gli perdonava quel tono canzonatorio sfumato nella punta delle sue parole; chi lo aveva combattuto si sentì quasi deriso dalla sua strafottenza. Oswald, invece, ne rimase totalmente indifferente. Era l'ultima volta che avrebbe udito la voce del suo amico, e non avrebbe permesso ai sentimenti iniqui - per quanto fosse sbagliato pensarla così - di incrinare i suoi ultimi istanti.

"Sì, Jack. Il tuo peccato... è l'aver tentato la distruzione delle catene, e aver condannato l’intera Sablier a precipitare in un oblio che nemmeno io posso evitare. Per questo, verrai condannato nel luogo del non ritorno. Nell'angolo di Abyss dove la tua anima non conoscerà il beneficio dei 100 giri"

Sollevò la mano.

"Addio, Jack"

Il rumore delle catene si fece insopportabile. Un frastuono unitosi al canto del chain, un verso straziante che rievocava il dolore ardente nel cuore di Oswald.

L'istante successivo vide il corpo di Jack divorato dalle catene, avvolto dal nero del mondo oscuro e trascinato dabbasso.

 

"Addio, Oswald"

   
 
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