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Autore: iron_spider    24/09/2019    4 recensioni
"Ho pensato di prendere Wasp, e tu Iron Man,” rivela Ned.
Sono delle spillette d’acciaio, una per ogni Vincitore del Distretto 12. A Peter non piace molto partecipare alla goliardia generale, considerando che Capitol sta letteralmente torturando e uccidendo delle persone rendendo la loro vita un inferno; ma, in segreto, ha un Vincitore preferito. È stato Tony Stark sin da quando ha memoria.
Vorrebbe avere la metà del coraggio che ha lui.
È un eroe. È un eroe.

[Traduzione // HungerGames!AU // Tony&Peter]
Genere: Azione, Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 11: E adesso




 
Con gli alieni, la situazione si complica. Come se non fosse già abbastanza complicata. Ma questo è Capitol in tutto e per tutto. Votato allo spettacolo.

Si rifugiano in laboratorio così che Peter possa finire le sue ragnatele, e sentono gli alieni che entrano nella torre, frantumando le finestre e distruggendo ogni cosa. Peter non sa se sappiano dove siano loro, o se siano privi d’intelligenza e semplicemente votati ad annichilire tutto ciò che incontrano. Sa che alla fine dovrà esserci un Vincitore, quindi loro non possono morire tutti insieme. Cerca di visualizzare chi altri ci sia là fuori, e come se la stia cavando.

Il gruppo si fa silenzioso. Rimangono in ascolto di quella follia mentre le ragnatele di Peter si raffreddano, in attesa di essere depurate. Lui si sta in parte pentendo di aver scelto il processo più lungo, ma sa che così saranno più resistenti, più versatili, e potrà farne un uso migliore. Non vuole rimanere senza al momento del bisogno.

Sentono altri due cannoni nell’arco di due ore, e a Peter fa male il cuore. Nessuno è al sicuro, là fuori, e questo fatto lo uccide.
MJ parla, anticipandolo.

“Non dovremmo andare là fuori?” chiede, guardandosi attorno. “So che probabilmente tre quarti dell’Uno e del Due sono ancora in giro, ma ci sono anche gli altri, non dovremmo provare a… coinvolgerli nella nostra alleanza? C’è l’inferno, là fuori.”

“Dobbiamo,” dice Natasha, con un’occhiata fugace a Steve. “O almeno proviamo a inventarci qualcosa per farli arrivare qui da noi.”

“Questo potrebbe attirare da noi anche l’Uno e il Due,” dice M’Baku. “Oppure gli alieni.”

“Quelli sono già qui,” replica Shuri, con un gesto verso la porta.

“Non con noi,” ribatte M’Baku.

“Lo saranno presto,” dice Steve, alzandosi in piedi. Si scrocchia il collo, lanciandosi un’occhiata in giro. “Vado a cercare chiunque sia rimasto. Si meritano tutti una possibilità.”

Peter guarda fisso nella sua direzione.

“Steve,” lo chiama Natasha, avanzando per piazzarsi di fronte a lui. “È già buio. So cosa succede quando è buio, qua dentro, soprattutto con tutto il casino che…”

“Vengo con te,” dice Shuri, alzandosi a sua volta.

“Col cavolo,” replica M’Baku, imitandola. Sono tutti in piedi tranne MJ, e lei guarda Peter come se avesse involontariamente innescato la cosa.

Peter replica sbarrando appena gli occhi, e torna a lavorare sulle sue ragnatele. Non vuole che nessuno di loro vada là fuori, ma ne comprende la necessità. Vorrebbe farlo lui, ma sa che causerebbe scompiglio, e dovrebbe letteralmente sgattaiolare via per riuscire a combinare qualcosa. Hanno tutti dato di matto quando è uscito, poco prima, e non stava nemmeno succedendo nulla.

Sospira tra sé. Ci sono ancora delle persone innocenti, là fuori, forse prive di un rifugio. Qualcuno deve andare, se lui non può. A patto che quel qualcuno non sia MJ.

“Sai che so difendermi,” dice Shuri, fissando M’Baku.” Sai che sono sempre stata in grado di farlo.”

“Non sono un grande fan di tuo fratello, ma gli ho promesso di tenerti al sicuro fino al mio ultimo respiro–”

“La proteggo io–” comincia Steve.

“Mi proteggo da sola,” ribatte Shuri.

“Non ci saranno ultimi respiri,” dice Natasha, scuotendo la testa. “Da parte… di nessuno.”

“Prendi il mio coltello,” dice Peter, indicando il proprio zaino. Sa che non è molto, ma è qualcosa.

“Staremo via solo per un paio d’ore,” dice Steve, mentre Shuri recupera l’arma. “Torniamo subito.”

“Steve, quegli esseri sono troppi,” dice Natasha. “Sono ovunque, si muovono in gruppo, sono armati e voi siete due tizi con un coltello.”

“Staremo bene,” dice Steve, sorridendole. “Torneremo con gli altri, quindi rimanete nei dintorni. Se doveste andarvene, non allontanatevi troppo.”

Non permettono alla discussione di protrarsi troppo a lungo, e poco dopo si dirigono all’esterno, spostando da parte l’armadietto d’acciaio con cui hanno barricato la porta. C’è una strana atmosfera in loro assenza, dopo che Natasha ha rimesso a posto l’armadietto. Peter non riesce a focalizzarla, ma sente una forte tensione nel petto e cerca di non farci caso. Da sopra di loro proviene ogni sorta di rumore, e sono tutti consapevoli che dovranno spostarsi verso l’alto. Non possono parlarne ad alta voce. Possono solo comunicare con gli sguardi, con i gesti, ed è dannatamente difficile mettere in atto un piano senza poter discutere del piano stesso. Sarebbe un buon momento per avere il potere di leggere nel pensiero.

Peter si concentra sulle sue ragnatele. Sono quasi pronte.

“Parker, perché ti ci vuole così tanto?” chiede M’Baku, camminando avanti e indietro alle sue spalle. È molto più attivo adesso che Shuri non c’è, e si muove ansiosamente qua e là. “A cosa servono? Come ti sono venute in mente?”

“Uh,” replica Peter, iniziando il processo di filtrazione. “Beh, questo è il processo più lungo. Mi servono forti e appiccicose, così possiamo usare le ragnatele per immobilizzare la gente, per inchiodarla ai muri, uh, intrappolarla in un ragnatela–” [1]

“Ragnatele, ragnatele, ragnatele,” ripete M’Baku. “Sei proprio un ragno.”

“Con quelle può anche spostarsi in aria,” dice MJ, poggiandosi al bancone col mento sulla mano.

M’Baku sbuffa.

“Le ho inventate durante una lezione di scienze,” spiega Peter. “Stavo solo… giocando un po'.”

“Beh, spero che servano a qualcosa,” conclude M’Baku.

“Dovremmo riposarci un po’, qua,” interviene Natasha. “Rimango sveglia io, sto di guardia.”

“Sto sveglio con te,” dice M’Baku, avvicinandosi a lei con un’occhiata verso la porta. “Lascia fare un po’ di nanna ai bambini. Se ce ne andiamo all’alba, dovranno essere al massimo delle forze.”

Peter non pensa che riuscirà a dormire, sapendo ciò che c’è là fuori, sapendo che c’è un’uscita da raggiungere in mezzo al cielo, se solo riuscissero a capire come. Ma il sonno della notte scorsa è stato effimero, e la giornata è stata… intensa. Adesso Steve e Shuri non ci sono, e chissà cosa diavolo dovranno affrontare. Chissà se torneranno con gente nuova, da soli, o se non torneranno affatto.

Il pericolo in cui si trovano gli fa tremare le mani.

“Fatemi finire queste,” chiede loro.

Gli ci vogliono altri venti minuti, ma alla fine ha abbastanza ragnatele per un paio di giorni, più di quante ne abbia mai fatte in una volta. Le carica negli spara-ragnatele e li indossa per sicurezza. Sente qualcosa tremare da qualche parte sopra di loro. Degli schianti. Sembra che il mondo stia cadendo a pezzi, e non ha idea di come riusciranno a sopravvivere.

Stende a terra la coperta termica e lui e MJ si sdraiano affiancati, il che lo spaventa a morte. Sono entrambi rivolti verso il muro, lei di fronte a lui, e i suoi occhi seguono ogni ricciolo dei suoi capelli. Il modo in cui le sue spalle si muovono a ritmo col suo respiro.

Chiude gli occhi perché si sente un maniaco, e Natasha spegne la luce.

“Ha trovato qualcun altro, prima di trovare me?” sussurra MJ. “A parte Beck e Hardy?”

“No,” risponde Peter. “Tu?”

“Solo Richard,” dice lei. La sente soffocare un singulto. “Lo stavo seguendo, più o meno, non sapevo se… se noi, uh, l’avessimo coinvolto nella nostra… alleanza o meno–”

“Non lo so,” dice Peter. “Non credo.” Sbircia oltre la propria spalla e vede che Natasha e M’Baku stanno parlottando tra di loro. Non li ascoltano.

“Credo di aver sentito un clic, prima che mettesse il piede su quella mina,” dice, con voce brusca e, con un moto d’orrore, realizza che forse sta piangendo. “Non lo so, ma penso di sì. Ho solo– insomma, in ogni caso, avrei potuto dire qualcosa, no?”

Peter si accosta a lei, avvolgendole le spalle con un braccio. “Me l’avresti detto subito, se fossi stata sicura di aver sentito un clic. Adesso ci stai solo… pensando troppo. Pensi a come avresti potuto evitarlo.”

“Forse sì,” dice lei, tirando su col naso.

“Non avresti potuto,” dice Peter, con la gola che gli fa male. Se lo ripete anche lui, riferito a Beck. Ripensa a ciò che ha detto Steve. Beck non gli avrebbe mai permesso di salvarlo. Avrebbe sabotato il piano. Li avrebbe uccisi tutti cercando di farcela da solo. E addio icona per la rivoluzione.

“Peter,” sussurra MJ. “Io… puoi– mi dispiace, è così stupido, odio essere così–”

“No, no, va bene,” dice Peter, con l’impressione di star rovinando tutto. “Cosa c’è?”

“Pensi di poter… puoi abbracciarmi? Solo per... per ora? Solo mentre dormiamo?”

A Peter svolazza il cuore nel petto e mette in dubbio che abbia davvero detto ciò che ha detto, se l’abbia chiesto davvero, e gli si ferma il respiro in gola. “Certo,” risponde, come se gli avessero sferrato un pugno nello stomaco, e si muove più vicino così da far toccare i loro corpi, cingendole la vita con le braccia. Lei mette subito le mani sulle sue, liberando un profondo sospiro.

Adesso non sa davvero come riuscirà ad addormentarsi, ma chiude comunque gli occhi.

Nei suoi sogni vede il volto di Beck, vede il bagliore e le fiamme delle esplosioni. Vede il cadavere di Tony, lo vede con quel cappio al collo. Peter corre nell’oscurità ed è intrappolato in un’altra illusione, una dalla quale non può scappare. Rimarrà qui per sempre. Rimarrà in questo luogo come un fantasma.

Si sveglia con un suono ronzante fuori dalla loro porta. Non si muove, perché MJ sta ancora dormendo profondamente, e sente Natasha e M’Baku che spingono da parte l’armadietto, cercando di non far rumore. Sente ancora dei rimbombi ai piani superiori, tutt’intorno a loro, e si chiede se adesso non ci siano in giro più alieni rispetto a quando si è addormentato. Si chiede cosa ne sia di Steve e Shuri. Pensa che avrebbe sentito un altro cannone. Tendono a svegliarlo.

“È per Peter,” sussurra Natasha.

“Stark si è accaparrato tutti gli sponsor,” commenta M’Baku.

Natasha sbuffa divertita.

“Lo apriamo?” chiede M’Baku.

“Aspettiamo,” replica lei. “Li svegliamo tra un’oretta. Dovremmo muoverci, c’è troppo trambusto qua fuori.”

Peter sente il cuore che si dibatte nel petto e chiude di nuovo gli occhi, stringendo forte MJ.

Si assopisce. Oscilla nel dormiveglia, quel tipo di riposo che non è davvero riposante, con le ore che sembrano secondi.

C’è uno schianto, e Peter apre di scatto gli occhi. Si tira su puntellandosi sul gomito, guardandosi alle spalle, e lo sente di nuovo. Sia M’Baku che Natasha spingono con forza l’armadietto contro la porta che trema sotto la forza di un altro colpo. Natasha intercetta il suo sguardo.

“Oh, bene,” dice, senza fiato. “Già, è ora. Scusate per la sveglia.”

“Stanno cercando di entrare?” chiede Peter, coi brividi lungo la schiena. MJ si muove nel sonno accanto a lui.

“Proprio così,” replica Natasha. “Dobbiamo darci una mossa.”

“Apri il tuo regalo,” dice M’Baku, facendo un cenno verso di esso col mento. “Speriamo che il signor Stark ci abbia spedito delle mitragliatrici.”

MJ emette un lamento e si alza a sedere stropicciandosi gli occhi.

“Hai sentito?” sussurra Peter, guardandola.

“Sì,” replica lei. “Perfetto. Proprio quello di cui abbiamo bisogno.”

Peter scaccia via il sonno dagli occhi e si mette in piedi, avvicinandosi al pacco. Gli fa male tutto, e il panico che sente nelle ossa per gli schianti alla porta lo rallenta. Si chiede dove diavolo siano le telecamere, qua dentro, e cerca di immaginarsi Tony che lo guarda. Che lo guida.

Apre il pacchetto. Ci sono quelli che sembrano dei gilet, rigidi al tatto, un paio di tirapugni appuntiti, un altro coltello e un biglietto.

Mantieni il sangue freddo. So che sai come sono fatti i campi di forza. Pensi di poterne vedere uno in un posto molto ovvio? Sono davvero orgoglioso di quelle ragnatele. Sembrano molto appiccicose. Magari si possono attaccare in posti sorprendenti.
Tirapugni per Natasha. Coltello per M’Baku. Stai vicino a loro, usa le ragnatele. Carol e Thor stanno lavorando con gli sponsor per avere altro. Giubbotti protettivi per te e MJ, dovrebbero difendervi dagli alieni.
Sam dice che un gruppo di alieni potrebbe essere un’occasione perfetta per fare sfoggio della spilla che ti ha dato.
Rimani al sicuro. Vai sempre più in alto. Ci vediamo presto.
-T

“Ok, sembra che quelli ci aiuteranno un po’,” dice M’Baku. “Un po’.”

Peter si raddrizza, porgendo il biglietto a Natahsa. Si chiede se Capitol legga questi messaggi prima di inoltrarli a lui… per forza, devono farlo, sono loro che assemblano le scatole, vista la rapidità con cui arrivano a volte.

Peter si lascia quasi sfuggire qualcosa di stupido, e prima o poi non si fermerà per tempo. Tende semplicemente il foglietto verso di lei, insistente, e lei lo prende. Lo guarda dopo averlo scorso, e lui le fa un cenno, sperando di essere sulla stessa lunghezza d’onda.

C’è un altro schianto alla porta, che scuote l’armadietto. M’Baku emette un basso ringhio.

“Okay,” dichiara Natasha, restituendo a Peter la lettera. “Ho capito. Ho capito quel che vuole dirci.”

“Okay,” dice Peter. Ha un’immagine di se stesso mentre tesse reti di ragnatele fino al campo di forza dello squarcio nel cielo, in una sorta di scala. Si chiede se dall’altra parte sia come un tubo, o se ci sia un bordo. Dovrà capire come scendere una volta là.

“Mettetevi quegli affari,” dice Natasha. “Dobbiamo uscire subito da qui.”

Peter si affretta. Gli schianti all’esterno diventano più forti e più frequenti, e la paura sembra una sacca d’aria nel suo petto. Indossa il giubbotto sotto la maglietta e porge a MJ il suo, poi si assicura di avere tutto mentre lei lo indossa. Prende con sé ciò che gli serve per altre ragnatele, per sicurezza, sperando di poter accendere un fuoco ovunque sarà. Il suo zaino si sta riempiendo.

Si dispongono di fronte alla porta. È strano muoversi senza Steve e Shuri, e Peter prega che siano ancora nei paraggi. Sani e salvi. Non ci sono ancora stati cannoni.

Sgancia la spilla di Spider-Man, rigirandola tra le dita. Davanti agli occhi ha un’istantanea del momento in cui Sam gliel’ha data, mentre stava partendo per venire qui. Gli viene la nausea.

“A cosa pensi che serva?” chiede Natasha, stringendo gli occhi per osservarla.

Gli schianti sono fin troppo forti adesso, ripetuti, con intervalli inferiori a pochi secondi.

“Non ne ho idea,” gracida Peter.

“Un gruppo di alieni…” Natasha si interrompe.

“Beh, quello ce l’abbiamo di sicuro,” dice M’Baku.

“Allora quando usciamo puntagliela contro e speriamo che faccia meglio di quanto penso,” conclude Natasha.

“Qual è il piano?” chiede MJ, vicino alla spalla di Peter. “Corriamo e basta?”

“Andiamo verso le scale,” replica Natasha. “Voglio salire di almeno tre piani. Provate solo a rimanere uniti. Speriamo di trovare un luogo migliore da usare come rifugio. Con accesso a una finestra per vedere l’esterno, così teniamo d’occhio gli altri.”

“Correte e non fermatevi,” dice M’Baku, respingendo all’indietro l’armadietto con un grugnito. “Non fatevi prendere.”

“Ma davvero,” sbuffa Natasha.

“Va bene, va bene.”

Entrambi si scambiano un cenno mentre iniziano a spostare l’armadietto dalla porta. Peter ha il cuore in gola, e non appena la porta si apre gli alieni la sfondano. Quasi li sopraffanno sul posto, rabbiosi, mulinando gli artigli verso tutto ciò che vedono, ma riescono a farsi largo tra loro, imboccando di corsa il corridoio.

“Via!” grida Natasha, non appena sbucano sul pianerottolo.

Corrono, tutto è sfocato, e Peter sente gli alieni che li inseguono in una cacofonia di schianti. Uno di essi spara quello che sembra un raggio laser, e Peter scarta a sinistra per schivarlo. Stringe i denti, torcendosi all’indietro e sollevando la spilla verso di loro. Sono ripugnanti, e fa una smorfia nel vederli, ricoperti di gusci duri, con occhi da insetto e angoli aguzzi ovunque, e preme la spilla più forte che può.

Esplode, ma non in una fiammata: una scarica di ragnatele si sprigiona all’esterno, avvolgendoli e fermandoli direttamente.

“Porca troia,” esclama Peter, quasi inciampando nei suoi stessi piedi mentre li vede dimenarsi.

“Bel colpo, Parker”, si complimenta M’Baku.

“Ne arrivano altri,” grida MJ, correndo accanto a loro.

Peter si gira: sono molto più indietro, ma stanno arrivando, una massa di sibili e armi pronte a colpire. Natasha lo tira oltre l’angolo e lui afferra il polso di MJ mentre sfrecciano sulle scale, saltando i gradini.

Ce ne sono altri sul pianerottolo del quarto piano, e si scagliano contro di loro, fendendo gli artigli verso Natasha. Lei sferra due colpi ben piazzati, i tirapugni fanno il loro dovere e l’alieno emette un orribile rumore viscido quando lo colpisce, ribaltandosi all’indietro contro il resto del gruppo. Peter ne calcia uno, ne immobilizza un altro con le ragnatele e MJ ne carica uno a terra, scaraventandolo contro il muro. Poi fa la cosa migliore che potesse venirle in mente: afferra una delle loro armi e gliela strappa di mano.

“Oh, mio Dio,” esala lei.

“Sparagli con quella!” grida M’Baku, pugnalandole uno in faccia.

MJ esegue, mentre li aggirano diretti alla rampa successiva. Peter continua a guardarsi alle spalle, sparando ragnatele, e quelle che ha fatto sono resistenti e inchiodano gli alieni a terra, alle colonne, gli uni agli altri. Salgono di corsa le scale e quando arrivano al quinto piano c’è… silenzio.

È quasi più spaventoso.

Peter guarda in basso, e gli alieni hanno formato un’enorme folla rabbiosa ai piedi delle scale, e adesso non c’è modo di tornare indietro. Però non stanno salendo. Volontariamente.

“Perché diamine se ne stanno là sotto?” chiede MJ, col fiatone accanto a lui.

“Chi se ne frega,” replica M’Baku. “I mutanti di Capitol non hanno alcun senso. Sono qui per ferirci, confonderci, per spaventarci.”

Peter pensa di nuovo ai suoi genitori. Li immagina rinchiusi in un laboratorio, sotto minaccia di morte, che creano cose come queste. Paura e sensi di colpa costanti, rimorso. Gli fa male, lo spinge a voler disperatamente fare a pezzi tutto quanto, più di quanto già non volesse fare. Sarebbe come salvarli, anche da morti.

Ha uno di quegli orribili presentimenti, quelli che lo divorano, lo fanno sudare e gli mandano brividi freddi al contempo. È come se ogni particella del suo corpo urlasse, avvisandolo di andarsene di qui prima che sia troppo tardi. Ma hanno un’unica opzione, e c’è troppo ad ostacolarli. Peter non ha neanche idea di come diavolo faranno Steve e Shuri a salire fin quassù, superando ciò che hanno appena attraversato.

Tutto gli sembra insormontabile. C’è una via d’uscita, ma è fuori portata. È lì per stuzzicarli. Troppo ovvia. Troppo lontana.

Peter guarda indietro, fuori dalla finestra, e gli alieni stanno sciamando in ogni dove. Ne vede uno di quelli più grandi che passa lì accanto, eclissando l’intera lunghezza del loro piano.

Si sente torcere lo stomaco.

“Va bene,” esordisce Natasha, mentre Peter cerca di uscire dalla propria testa. “Non stiamocene qua impalati, dobbiamo–”

Si interrompe e, nel silenzio, Peter lo sente. Sembra un qualcosa che si sta accendendo, e Peter getta un’occhiata in basso oltre il corrimano, verso la direzione da cui proviene il suono.

“Non mi piace,” commenta M’Baku.

Prima che qualcuno possa rispondere, la fonte del suono sbuca fuori volando da uno dei corridoi di fondo, e Peter quasi sviene sul posto.

Un’intera flottiglia di armature volanti di Iron Man, con fiamme che si sprigionano da mani e piedi. Sono di ogni forma, colore e dimensione, e si stanno dirigendo a rotta di collo verso lui e il resto del gruppo. Peter sente il cuore che inciampa, il terrore che gli riempie la bocca, e si oppone leggermente quando gli altri prendono a spingerlo, cercando di farlo indietreggiare.

La sua esitazione gli costa caro.

Una delle armature più piccole, rossa e oro come quella originale di Tony, si abbatte a tutta forza contro di lui. Sfrecciano in aria sotto la forza dell’impatto, poi sfondano la finestra.
Peter lancia un grido quando l’armatura lo lascia, precipitandolo verso la strada devastata sotto di loro.

 
§

 
“Cristo, Cristo,” impreca Tony, in piedi di fronte alla TV, una mano a stringersi il petto e l’altra il bracciale. “Maledizione, questo è il peggio... ci prendono in giro, usano me contro di lui. Janet, se lo ammazzano così– se lo…” Guarda Peter cadere, circondato dai vetri, l’armatura di Iron Man che si libra nell’aria in mezzo agli alieni. Si sente male, vede delle macchie. “Dio, Janet, il suo cuore–”

“Guarda, guarda,” dice Janet, accanto a lui.

Vedono Peter mirare verso il palazzo e sparare una ragnatela che fa presa sul muro. La cima si tende e lui ondeggia a mezz’aria come ha fatto nella palestra, con grazia, sparandone un'altra per tuffarsi in un vicolo.

“Thor,” grida Tony, ancora con gli occhi sullo schermo. “Peggiora sempre di più.”

“Sono gli Hunger Games…”

“Sì, ma adesso ci sono io a svolazzare là fuori,” scatta lui, girandosi e indicandolo con furia. “Stanno usando qualcosa che rassicura il ragazzo per spaventarlo, stanno prendendo qualcosa di importante per lui–”

“Possono sfruttarle,” dice Thor, avvicinandosi. “Possono usarle per arrivare al portale.”

“Portale?”

“Sì,” replica Thor. “Lo chiamiamo così.”

Tony sente un paio di esplosioni e si volta di nuovo, vedendo l’armatura di Iron Man che insegue Peter, sparandogli contro, col terreno che salta in aria dove corre. Tony deve tendere una mano e aggrapparsi al braccio di Janet per non collassare a terra. È un incubo senza fine. Stanno dando del loro peggio.

La ripresa si sposta su Steve e Shuri e sull’unico Tributo che sono riusciti a trovare, Misty Knight [2]. Sono ad appena un paio di isolati dalla torre, bloccati in un corpo a corpo contro un gruppo di alieni.

Hela e Osborn si stanno avvicinando alla posizione di Peter. Hardy sta cercando di scalare la torre dall’esterno. Le altre armature sparano raggi di energia al gruppo ancora dentro la torre, e MJ ha un attacco isterico per Peter. Sembra quasi sul punto di gettarsi lei stessa dalla finestra per seguirlo.

Tony rivolge lo sguardo a terra, respirando a fondo dal naso. “Devo andare in città,” annuncia. “Devo– devo procurargli qualcosa di utile. Non lo so. Potrei, in teoria… far aprire un rifugio da qualche parte, per quando starà tornando alla torre… Carol è ancora fuori, vero?”

“Sì,” conferma Thor.

Tony annuisce e guarda le armature che si riversano per tutta la città, seminando distruzione. Scuote la testa, sentendo montare la rabbia. “Mi stupisco che abbiano aspettato così tanto, per farlo,” commenta. “Si vede che Peter era la scusa perfetta.”

Quella rosso-oro incombe sul ragazzo, spedendogli il cuore in gola, e lo vede spararle contro una ragnatela dopo l’altra. Poi una mano lo afferra e lo trascina via, fuori dall’inquadratura.

“Cos’era?” sbotta Tony, con voce incrinata. “Dove diavolo è la mappa?”

 
§

 
Peter spintona la persona che l’ha agguantato, ma l’uomo alza immediatamente le braccia in aria. Sono in un vicoletto buio, ma Peter riesce a vedergli gli occhi, e lo riconosce subito.

“Ehi, piccoletto,” dice Scott Lang. “È un macello là fuori, eh? O meglio, qua fuori. Tecnicamente siamo ancora… qua fuori.”

“Oddio,” sospira Peter, allungando una mano per toccare Scott sulla spalla e assicurarsi che sia reale. “Dio, mi hai spaventato.”

“Scusa,” replica Scott, dandogli una pacca sulla mano. “Mi piace un sacco agire nell’ombra, sai, farmi piccolo, e alcuni di questi muri hanno dei passaggi… strano, eh? Dei minuscoli corridoi, è facile nascondersi.”

Peter getta un’occhiata all’esterno, dove uno squadrone di alieni passa volando, assieme a qualche armatura. Nessuno di loro si volta verso il loro nascondiglio.

“Visto?” dice Scott. “Sono uscito allo scoperto solo sporadicamente… tentavo di trovare Sharon. L’hai vista? So che Cassie si incazzerà, se non la trovo.”

“Non l’ho vista… chi è Cassie?”

“Oh, mia figlia,” risponde Scott. È sempre parso molto brillante, nelle poche occasioni in cui Peter ci ha parlato, ma la sua espressione si incrina un poco nel menzionare quel nome. “Uh, Sharon era la sua maestra di karate. La Mietitura… è stato un brutto giorno per Cassie.”

“Mi dispiace,” dice Peter, mordicchiandosi il labbro inferiore. Altre famiglie lacerate. Altri figli abbandonati.

“Ehi, non è colpa tua,” dice lui, dandogli delle pacche sulla spalla. Si sentono un paio di esplosioni vicine, degli alieni che sibilano, e Peter sa di dover tornare alla torre. “Ma sono con te, Spider-Man, capito? Capisci che intendo?” Gli fa un occhiolino talmente esagerato che Peter non potrebbe mai non capire cosa intende.

“Bene,” dice Peter, sorridendo. “Allora stai con me.”

“Sì, certo, ti sto addosso come un ragno sulla ragnatela,” dice lui, con un sogghigno. “È molto… appropriato– comunque, sei davvero bravo, sai volare sul serio, ragazzino.”

“Non sono ancora così bravo,” ribatte Peter, scrocchiandosi i polsi e passando una mano sullo spara-ragnatele destro. “Non mi sono allenato abbastanza.” Vorrebbe davvero essere stato in grado di volteggiare in modo da dirigersi di nuovo verso la torre. Però poi non avrebbe trovato Scott.

“A me sembrava perfetto,” replica Scott.

Alzano entrambi lo sguardo quando altre armature li superano, e Peter pensa che forse stanno cercando lui. Porta gli occhi a terra, provando a non pensarci. Tocca la sua spilla di Iron Man, ricordandosi di quando era piccolo e aveva visto i filmati. Ricorda la forza di Tony, la sua resilienza. L’ingegnosità. È quello l’Iron Man che Peter conosce. Non quello che stanno cercando di presentargli.

“Non farti influenzare dalle loro stronzate,” dice Scott. “Lo fanno per destabilizzarti. Si vede che ce l’hanno fatta. È fin troppo ovvio.”

“Già,” dice Peter, sapendo che ha ragione.

“Iniziamo ad andare verso la torre, ok?” propone Scott. “Speravo di trovare uno di voi, ma non, uh, scaraventato da una finestra e durante un inseguimento… ma ora sei qui. Scordiamoci il come.”

“E ho un palmare,” ricorda Peter, allungando una mano all’indietro e tastando lo zaino, lieto che sia ancora intero dopo la caduta. “Magari possiamo… sfruttarlo per nasconderci o qualcosa del genere. O proiettarci mentre andiamo là per distrarli.”

“Perfetto,” dice Scott. “So che l’Uno e il Due sono qui da qualche parte.”

Si avvia lungo il passaggio in ombra, e a Peter si blocca il respiro in gola. “Li hai visti?” chiede, seguendolo.

“No,” dice Scott, guardandolo da sopra la spalla. “Ma ho un brutto presentimento. O magari è solo… tutto. Tutto mi fa venire un brutto presentimento.”

“Uh, uno di loro è fuori gioco, da quanto ne so,” dice Peter, facendo scorrere la mano sul muro di mattoni mentre camminano. “Beck.”

Bene,” commenta Scott. “Lui era un casino. Una minaccia. Aveva quegli occhi da folle.”

Peter non vuole pensare a Beck o ai suoi occhi e al modo in cui si sono appannati subito dopo quelle ultime parole mordaci. A volte si dimentica di essere in uno spettacolo televisivo. Un evento. E Beck lo sapeva, è stato al gioco, ha cercato di rendere tutto divertente. Morte e distruzione. Divertenti. Un muro a separare Loro e Tutti Gli Altri. Stanno allo zoo. Sono leoni che saltano nei cerchi.

Peter si chiede se anche Beck non stesse semplicemente cercando di sopravvivere. A modo suo.

Vuole smettere di pensare.

Raggiungono la fine di quel passaggio buio e Scott fa capolino all’esterno, guardando da entrambe le parti. Là fuori sembra una zona di guerra, e non ci sono neanche lontanamente abbastanza Tributi per così tanti alieni. Peter si chiede che diavolo stiano facendo, se stiano mettendo a soqquadro la città più di quanto non sia già devastata.

Una delle armature sfreccia lì accanto e Scott si ritrae, rapido. Si vede che è un padre dal modo in cui tende un braccio per spingerlo all’indietro, come se avesse un istinto automatico per tenerlo fuori pericolo.

Sbircia da sopra la sua spalla, osservando l’armatura che si impenna e rilascia dei missili contro uno degli edifici più vasti. Volano così in alto, quasi all’altezza dello squarcio nel cielo, e Peter si chiede se sia possibile hackerarne una col palmare. O più di una. Potrebbe essere un buon piano di riserva, in caso le ragnatele non siano infallibili. Potrebbero volare fin lassù.

Sono ancora molto vicini alla torre. Peter la vede, due strade più in là. Potrebbero raggiungerla, se si muovono in fretta. Chissà se in giro ci sono altre nicchie e nascondigli, e se Scott riesce a trovarli facilmente, anche sotto pressione.

“Che ti avevo detto?” sussurra lui, facendoli indietreggiare ancora un po’.

Peter sbircia oltre l’angolo e vede Osborn ed Hela poco più avanti, impegnati ad avanzare lungo la strada. L’alleanza gli sembra fragile, a dir poco, e Peter conclude che Hela non sia il tipo di donna che fa gioco di squadra.

C’è un cannone in lontananza e i due si fermano, guardandosi intorno.

“Grandioso,” mormora Scott.

Peter sente la medesima paura ribollirgli nelle viscere, perché è di nuovo lontano da MJ e non sa se lei sia al sicuro. Il cannone è un coltello che gli strappa via la pelle. Deve tornare da lei e dagli altri.

“Aspettiamo finché non vanno via, poi proviamo a correre,” sussurra Peter.

Si tengono bassi, sperando di essere coperti dal buio, e Osborn ed Hela li superano, entrambi correndo, perché un gruppo di alieni li insegue. Peter si chiede se tenterebbero comunque di ucciderli nel vederli, a dispetto di quello che accade.

“Bene,” dice Scott, cercando ancora di tenerlo al riparo. “Credo che ora ci sia una distanza di sicurezza tra gli assassini e noi, potenziali… assassinati?” borbotta tra sé.

Peter ha un brutto presentimento e si sfrega lo sterno. Porta in avanti lo zaino e ne pesca fuori il palmare, per poi richiuderlo. Accende il congegno e vede la schermata del menu principale che mostra il loro quadrante. È esattamente come i palmari con i quali si è esercitato durante l’addestramento, e cerca di non prestare attenzione alla lista di comandi che Beck ha impartito contro lui e MJ.

Crea un’illusione che mostri la strada così com’è ora, in modo che nessuno li veda passare, e ne vede i contorni acquosi quando si attiva.

“Promette bene, ragazzino,” commenta Scott.

“Grazie,” dice Peter, sorridendogli. Ripone rapidamente il palmare e spera che l’illusione regga per un po’.

Mettono piede in strada e quando Peter lancia un’occhiata nella direzione dalla quale sono venuti Osborn ed Hela, la vede. Una densa nuvola di nebbia sta avanzando, corrodendo tutto sul suo cammino. Gli alieni fuggono e non cercano neanche di sparare o attaccare loro due mentre volano via.

“Non è quello che speravo di vedere,” commenta Scott, con un pesante sospiro.

“Ho della corda,” dice Peter, prendendo di nuovo lo zaino, mentre la nebbia continua ad avvicinarsi. “Possiamo usarla per rimanere uniti–”

Prima che riesca a completare la frase la nebbia li avvolge, e non respira. Gli sale in gola, offuscandogli la vista fino a non vedere nulla, e tossisce cercando di immettere aria nei polmoni. Ma c’è solo nebbia, adesso, ed è come se fosse anche nei suoi pori, con ogni voluta che pesa un quintale e lo trascina verso il basso. Non riesce a respirare. Non riesce a respirare.

Sente Scott che si allunga verso di lui, afferrandogli il polso. Stanno entrambi tossendo, spaccandosi i polmoni, ma adesso corrono, cercando di seminarla, poi c’è un cannone, e subito un altro. Peter sente la gola che si restringe, il respiro rotto, e quasi cade, rimane in piedi solo perché lo sta tenendo Scott.

La nebbia è di un bianco intenso, ma è circondato da oscurità. Non riesce neanche più a tossire, ha solo dei conati ed emette dei suoni disumani mentre cerca di artigliarsi agli ultimi spasmi di vita. C’è un cannone col suo nome sopra che si prepara in lontananza. May, May… Tony…

Del vetro si rompe, percepisce un salto e poi inghiotte un respiro ansimante. Aria pulita.

Apre gli occhi e vede Scott piegato in due accanto a lui, scosso dai conati.

“Porca puttana,” tossisce, dandosi da solo delle pacche sulla schiena. “Dio, li odio… li odio tutti.”

Peter respira a fatica, con una mano sulla gola, mentre la sua vista si fa più nitida. Si guarda intorno. Sono in un negozietto che sembra essere stato saccheggiato, con la maggior parte degli scaffali rotti e vuoti, dei poster strappati sulle pareti, il registratore di cassa fatto a pezzi. Getta uno sguardo all’esterno, oltre la finestra appena rotta, e vede la nebbia che continua ad avanzare. Non entra qui dentro. La gola gli brucia.

“A volte penso che stiano cercando di ammazzarci tutti quanti,” commenta Scott. “Vorrei… farli fuori, levarli tutti di mezzo.”

“Mi hai salvato la vita,” dice Peter, ancora impegnato a riprendere fiato. “G-grazie.”

“Di nulla,” dice Scott. “Ci servi, sai.”

Peter scuote la testa e si siede sul posto. Non sa quanto ci metteranno a rimettersi in marcia, e gli sembra che la terra stia tremando sotto di loro. “Non servo a nessuno per davvero,” replica. “Non… non per davvero.” Altri significati impliciti, ma spera che Scott capisca. Il volto della rivoluzione… potrebbe essere chiunque. Capitol massacra così tante persone, e Peter è solo uno tra i tanti.

“Nah,” ribatte Scott, negando col capo. Si siede anche lui. “Servi più di quanto credi, okay? Diciamo solo che, uh, la tua alleanza è molto esclusiva. Tutti volevano farne parte.”

“A parte l’Uno e il Due,” osserva Peter.

Scott fa un gesto noncurante. “Ma loro sono pazzi. Insomma, chi dedicherebbe la propria vita a questo? Chi si sognerebbe di volersi offrire volontario, Peter? I pazzi, Peter. I pazzi.”

Peter annuisce. Vuole sentirsi normale. Vuole cercare di capire cosa significhi, nel bel mezzo di tutto ciò. Non l’ha mai saputo, e ora teme che sia troppo tardi. “Raccontami di Cassie,” dice.

Un sorriso triste e orgoglioso attraversa il volto di Scott. “È la leprotta migliore e più furba che ci sia,” comincia. “Cintura rossa di karate, l’hanno quasi esclusa dal corso perché stava diventando troppo brava. Ho dovuto fingere di essermi rotto una caviglia per tenerla a bada. Ama scrivere storie, ama piantare fiori… vicino a casa nostra c’è questo prato enorme, e lei pianta delle margherite lungo il bordo, poi corre fingendo che sia un percorso a ostacoli.” Ride tra sé.

“Sembra fantastica,” dice Peter, col cuore che si contorce mentre pensa alla famiglia che ha lasciato indietro.

“Le piaceresti,” dice Scott. “Probabilmente si prenderebbe una cotta per te. Si invaghisce sempre dei suoi istruttori di nuoto, è troppo da sopportare per il suo povero, vecchio papà. Le piace mettermi sotto torchio. Ha solo sette anni! Non sono pronto.”

Peter soffoca una risata dal naso. “Beh, i bambini sono lì per quello,” dice. Sembra che la terra tremi di nuovo e Peter abbassa lo sguardo, preoccupato.

“Sì, lo sento anch’io,” dice Scott. “Insomma, sapevo che ci avrebbero tenuti in bilico, sulle spine, ma se avessi saputo che sarebbe stato così, merda… avrei preso lezioni di balletto. [3] Già, Cassie ha fatto anche quello. È una tuttofare.”

Peter sorride. Si guarda alle spalle e vede la nebbia che si dissolve a poco a poco. Si volatilizza e all’improvviso tutto è di nuovo visibile, col sole che splende. Si ricorda dei due cannoni che hanno sparato mentre soffocava a morte e sospira, con lo stomaco aggrovigliato.

“Quindi, come pensi che sarà?” chiede Scott, quando Peter si volta di nuovo verso di lui. “Vincere?”

Peter lo fissa, perché quella domanda l’ha colto alla sprovvista. Scott ovviamente sa del piano, e immagina che stia cercando di depistarli. Ma non sa comunque cosa dire.

“Non lo so,” risponde, stupidamente. “Ma Cassie sarà contenta di vederti quando tornerai a casa.”

C’è sorpresa negli occhi di Scott, come se Peter avesse rivelato qualcosa, e sembra che stia cercando di stare al gioco. “Ah, mi spezzi il cuore,” dice Scott. Si rimette in piedi e tende la mano verso di lui per stringergliela. “Sei tu il Vincitore, signor Doppio Tredici.”

“Non si sa mai,” ribatte Peter, ed è così contento di averlo trovato. Scott deve scappare, deve tornare da Cassie.

Scott gli rivolge uno sguardo eloquente. “Bene,” dice. “Usciamo e vediamo quali altre meraviglie hanno in serbo per noi.”

Peter annuisce e si dirigono all’esterno, scavalcando la finestra rotta.

Non appena sono fuori, un’ascia vola sopra la sua testa. Ha un sussulto al cuore mentre scorge Hela e Osborn, appaiati.

“Dovevi lasciar fare a me,” dice Hela, guardando storto Osborn.

“Vai!” grida Peter. “Corri!”

Fanno per correre verso il vicolo più vicino, verso la torre, ma Hela è più veloce e li manda al tappeto come se fossero incorporei. Peter atterra di schiena e prima di potersi muovere si ritrova addosso Harry Osborn. Da vicino sembra più magro, quasi malaticcio, e il suo sorriso è distorto.

“Ecco il ragazzo d’oro,” dice, e fa per stringere le mani attorno alla gola di Peter, ma lui lo spintona via e si affretta a rialzarsi.

Vede Hela avventarsi su Scott e la carica, sbalzandola via da lui. Si abbattono a qualche metro di distanza e lei gli rivolge un ampio sorriso.

“Oh, Peter, non preoccuparti,” dice, spazzandosi via le ciocche scure dagli occhi. “Tu sei il prossimo.”

Peter sente una mano che lo strattona lontano da lei: per fortuna è Scott, e Peter svicola via prima che lei riesca a chiudere le dita attorno alla sua caviglia.

Non riescono a fare un altro passo, che la terra si apre. Peter ha già visto dei crepacci, prima, ed è l’unica cosa a cui riesce a pensare mentre scivola in basso verso la frattura spalancata. Erano questi i rimbombi, la tempesta in arrivo. Il loro prossimo trucco.

“No, no,” esclama Hela, bloccata in una posizione più svantaggiosa.

Peter lotta per aggrapparsi a qualcosa, cerca di mantenere la presa su Scott mentre l’intera strada continua a creparsi e sprofondare, proprio dov’era situato il negozio nel quale si erano rifugiati. Sul fondo c’è una voragine buia, e una cassetta delle lettere vi cade dentro, sparendo nel nulla.

Peter si guarda intorno e vede un camion rovesciato che rotola nella voragine ribaltandosi per due volte, diretto contro Hela.

“No, dannazione–!”

Si abbatte proprio su di lei. E, quasi all’istante, si sente un cannone.

Peter si tende mentre sprofonda più in basso, e Scott scivola sull’asfalto, più vicino all’abisso.

“No!” grida Peter, e si allunga afferrandolo per l’avambraccio.

Il camion precipita sottoterra, portando con sé il corpo smembrato di Hela. Peter si tiene aggrappato con tutte le proprie forze, poi ha un’idea. Lascia la presa sullo spuntone irregolare da cui sono appesi e, non appena riprendono a scivolare, spara una ragnatela. Si appiccica a un lampione, abbastanza lontano da non venire trascinato nel vuoto, e sembra un appiglio solido.

“Reggiti a me,” dice Peter, serrando i denti. “Ci tiro fuori.”

“Okay,” dice Scott, obbedendo e aggrappandosi strettamente alla sua spalla e al suo zaino. “Mi scuso in anticipo, non sono esattamente un peso forma…”

Peter stringe la ragnatela con entrambe le mani e tira. Si muovono appena e gli sembra che i suoi denti stiano per spaccarsi per quanto sono digrignati, ma continua a provare, con le vene delle sue braccia che si gonfiano. Ha di nuovo quel terribile presentimento, quello che ferma il tempo e gli stringe il cuore con una molla, e ha finito per odiarlo, è come un allarme che scatta in ritardo. Ma si sforza e si sforza, escoriandosi la coscia sulla strada attraverso i pantaloni, e alla fine li trascina sulla terraferma.

Si gira, afferrando il braccio di Scott, e fa leva per rimettersi entrambi in piedi, col cuore che gli batte nelle orecchie. Fanno qualche passo esitante lontano dal crepaccio, e Peter lo lascia andare.

“Cristo,” dice Scott, scuotendo la testa. “Sulle spine, eh?”

“Già,” sbuffa Peter. “E ora dobbiamo trovare–”

Scott sbarra gli occhi e lo spinge via con forza. Peter barcolla, quasi cade, e quando si gira vede Osborn. Con un coltello piantato nel ventre di Scott.

Peter è paralizzato. Non riesce neanche a lanciare un grido di rabbia come vorrebbe fare, e Osborn sembra disgustato mentre ritira il coltello con una torsione maligna e spinge da parte Scott. Lui crolla di schianto, scompostamente.

“Non ce l’avevo con te,” dice Osborn, voltandosi a fronteggiare Peter.

Peter vede rosso. Non gli permette di fare la prima mossa. Lo afferra per le spalle e lo sbatte contro il muro. Il coltello tintinna a terra e Peter spara tutte le ragnatele che può contro di lui. Lo immobilizzano lì, si accumulano finché non sembra imbozzolato e lui si dibatte, con occhi enormi di rabbia.

“No, no!” grida. “Non doveva finire così!”

Peter afferra il coltello e trema, trema, brandendolo in alto, vicino al suo orecchio.

“Dovevo rendere fiero mio padre,” piagnucola Harry, e ha le lacrime agli occhi. “Questo– questo era tutto ciò che voleva, voleva solo che vincessi–”

Peter lo fissa, orripilato, il coltello che trema nella sua mano. Lo lascia cadere, respirando pesantemente, col petto ridotto a un unico punto dolorante.

“Uccidimi e basta,” insiste Harry. “Uccidimi.”

Peter si avvicina di un passo e gli sferra un pugno. La sua testa sbatte contro il muro, poi ricade ciondoloni. Abbastanza da metterlo fuori gioco.

Peter si affretta verso Scott. Respira ancora.

“Ehi, ehi, ehi,” dice, sedendosi accanto a lui. “Ehi, guardami.”

Gli occhi di Scott sono già vitrei, ma cercano i suoi, forzando un piccolo sorriso. “Ehi, piccoletto,” sussurra.

“Ehi,” ripete Peter. Quasi scaglia via il suo zaino mentre cerca di aprire la zip, e tira fuori la coperta termica. La appallottola e la spinge delicatamente sotto la testa di Scott.

“Grazie,” esala lui, e un rivolo di sangue gli cola dall’angolo della bocca. Peter lo asciuga, rapido. “Che ti ho detto, eh?” gli chiede lui. “Sei… sei tu. Devi… devi essere tu.”

“No, no,” gracchia Peter, scuotendo la testa. “No, va tutto bene. Andrà tutto bene.”

Deve fare qualcosa. Deve fare qualcosa. Deve trasportarlo fino alla torre, possono perlustrarla, devono esserci altre provviste, là dentro, e sembra che per ora gli alieni la stiano lasciando in pace, magari hanno liberato i piani inferiori… deve fare qualcosa, deve fare qualcosa–

Il respiro di Scott diventa un rantolo, e Peter realizza. In un’ondata opprimente. Non può fare nulla. Non può fare nulla, se non cercare di alleviare il suo dolore.

Prende il palmare e prega di avere abbastanza tempo.

“Scott,” sussurra, digitando velocemente, selezionando ciò che gli serve. “Scott, ehi.”

“Peter…”

“Scott, guarda,” dice Peter, attivando l’illusione.

Il prato cresce attorno a loro fino a inglobare la strada, il crepaccio, la morte. Le margherite dondolano nella brezza leggera e Cassie trotterella lì accanto, con una veste da karate indosso. Un’immagine di Scott stesso la segue e la solleva, facendola roteare in aria. La risata di lei risuona, come se fosse davvero lì. Come se fossero davvero lì. Insieme. Al sicuro.

“Guarda,” sussurra Peter, con voce spezzata. Stringe la mano di Scott. “Lo vedi?”

Lui guarda padre e figlia che ridono, e Cassie rigira una margherita tra le dita. Un piccolo sorriso aleggia sul volto di Scott mentre guarda intentamente, con un brillio negli occhi. Poi, dopo un istante, si dissolve, e il suo viso si rilassa di colpo.

C’è un cannone.

“Scott,” lo chiama Peter, con un fiotto di paura che lo attraversa. La sua mano è inerte. “Scott,” ripete, con voce rotta, e le lacrime gli annebbiano gli occhi mentre scuote la testa. “No,” singhiozza stridulo, e ha sei anni, non sedici. “No, no, no, no.” Ha un singulto, risucchia un respiro e si china in avanti, premendo la fronte contro il petto di Scott.

Sente ancora l’erba. I loro passi, le loro risa, la loro felicità. Scott non vedrà più sua figlia. Perché Peter non è riuscito a salvarlo. Perché Scott ha intercettato un pugnale diretto a lui. Lui, che indossa una veste protettiva. La indossa, la indossa. Scott non lo sapeva. Non lo sapeva.

Peter singhiozza, aggrappandosi a lui. “Mi– mi dispiace tanto,” sussurra. “Mi dispiace tanto.”

 
§

 
Peter sposta il corpo di Scott in una delle alcove buie situate nei muri, e cerca di posizionarlo in modo che sembri in pace. Non vuole che lo trovino così facilmente, non vuole che Stane arrivi qui a depredare il suo corpo, selezionando e scegliendo qualcosa da mettere nella sua libreria degli orrori nascosta. Scott si merita di meglio. Sua figlia – Cassie – lei… si merita di–

Peter si inginocchia lì, accanto a Scott, e non riesce a costringersi ad abbandonarlo. Gli alieni sono tornati, volano qua e là allo scoperto e sparano a tutto ciò che vedono, e Scott… Scott non dovrebbe essere morto. A Peter non serviva la sua protezione, non– il giubbotto avrebbe probabilmente fermato il coltello, sarebbe– sarebbe stato protetto, ma Scott… non ha esitato, si è… semplicemente piazzato di fronte a lui, senza neanche pensare… e non è giusto, non è giusto, ora, perché Cassie non ha più un padre. Il padre di Cassie è morto.

Peter si schiarisce la gola, gli lancia un ultimo sguardo con le lacrime che gli offuscano la vista. Si è scusato un centinaio di volte, ma non è abbastanza. Prende la mano di Scott e la stringe, deglutendo a forza.

“Scusa,” sussurra, spezzato, un’ultima volta.

Si rialza, asciugandosi gli occhi, e ci vuole tutta la sua forza di volontà per non girarsi, per non trascinare con sé il corpo di Scott, perché anche a lui dovrebbe essere concesso di tornare a casa. Ciò che rimane di lui. Peter si chiede se Sharon sia ancora qui, da qualche parte. Se lo sta ancora cercando.

L’illusione in strada è ancora attiva e gli alieni la attraversano. Il ricordo, l’illusione di qualcosa che non accadrà mai più.

Peter risucchia un respiro e la supera correndo. La rabbia gli dà la carica, e la tristezza più totale e completa guida ogni suo passo. Gli alieni lo individuano, e non è la paura a farlo correre più veloce, è una necessità: deve tornare dagli altri, di nuovo, deve assicurarsi che non muoia una singola altra persona. Tornerà indietro anche per Osborn, se sarà ancora lì. Scapperanno tutti.

Spara due ragnatele sopra la propria spalla, e il gruppo di alieni capitombola a terra come birilli. Alcuni fanno fuoco nella sua direzione e lui schiva appena in tempo, correndo nella strada della torre, dal lato opposto da quello da cui è arrivato la prima volta. È più vicino al complesso di uffici rialzati, con tavoli ovunque, e la porta che prima era sbarrata è ora spalancata, invitante.

Peter si guarda di nuovo alle spalle e vede un altro gruppo di esseri in avvicinamento, incluso uno di quelli giganteschi e vermiformi, più grande degli edifici che sta superando. Respira forte, gettando un’occhiata lungo la strada, verso la svolta che conduce all’ingresso principale della torre. Vede altri alieni, uno sopra l’altro, e quattro armature di Iron Man dirette verso di lui. Sembrano annerite, con dei pezzi che si staccano, ma non si fermano, e guizzano nell’aria minacciose.

Vada per la porta aperta. Ha la sensazione che sia una trappola, ma dovrà farsene una ragione, considerando quello che gli sta arrivando addosso da ogni parte. Deve tornare, in qualunque modo, per qualunque strada sia più sensata, e corre, con il terreno irto di vetri che scricchiola sotto i suoi piedi.

Si sente il cuore che va a fuoco, come se stesse scavando un buco dentro di lui. Non pensa a Beck, o Scott, od Osborn, o nessun altro. Non pensa a casa sua, ai ricordi, o a com’era il sole che gli scaldava la faccia quando si sedeva sul portico con Ben. Non pensa a Ned che si pulisce gli occhiali. Non pensa a come si muovono i capelli di MJ al vento. Non pensa a quanto sembri spensierato Tony quando sorride, quanto sia raro vederlo così, come sembri ogni volta un regalo. Peter non pensa al modo in cui May lo abbraccerebbe se lo vedesse di nuovo, non pensa alla risata nelle sue orecchie, ai suoi baci soffocanti o a quanto si senta al sicuro tra le sue braccia.

Non pensa a niente. Non agli artigli e al trambusto dietro di lui, alle fiamme di quelle armature da incubo, agli alieni rabbiosi che sparano. Pensa al qui ed ora, e a quella porta.

Corre su per i gradini, cercando di non perdere l’equilibrio, e scatta, sentendoli alle calcagna. Si slancia verso la maniglia, con una sola preghiera negli occhi, e la afferra, gettandosi all’interno. Chiude la porta dietro di sé, ed è immerso nell’oscurità.

Si appoggia alla porta, riprendendo fiato, e li sente scagliarsi qua e là di fuori, nel tentativo di inseguirlo. Si sfrega le mani sul volto, poi si tocca la schiena per assicurarsi che non abbiano squarciato lo zaino. Sembra intatto e sospira, annuendo tra sé.

“Bene,” sussurra, sbattendo le palpebre. Buio. Può farcela. Gli ricorda un po’ quando è stato assalito da quel Pacificatore, dopo i giudizi, e si chiede se anche stavolta sarà qualcosa del genere, così da acuire quei sentimenti di paura e rabbia. Dà del suo meglio quando si concentra sul fatto di essere contro di loro, quindi spera di sì.

Le luci si accendono, di colpo, come se fosse stato pianificato così, e non innescato da un suo movimento.

E c’è la paura.

C’è quella paura gelida e sfrenata che stava cercando di inghiottire finora, perché… ragni. Ragni. Montagne; montagne di ragni, per tutta– per tutta la stanza, ai margini– troppi ragni piccoli, rossi, neri, verdi, fosforescenti, altri grandi come cani, altri grandi come auto e Peter li sente alle sue spalle, che zampettano, e deve– deve muoversi, deve muoversi, ci siamo, ci siamo, questo è Stane–

La stanza è oblunga, da quel che vede, e stanno arrivando, si muovono rapidi, e lui scatta a sinistra, non sa neanche se quella sia la strada giusta, ma sono ovunque, sono ovunque, lo circondano–

Inciampa, cade di schiena, no, no, ce li ha addosso–

E non può accadere, non può, li respinge a calci, ne calcia via uno più grande e lo guarda volare lontano, sente la peluria delle sue zampe, e si ritrae strisciando, cercando di rialzarsi, di rimettersi in piedi–

Si guarda alle spalle e vede una porta, una porta, e potrebbero sbarrarla se è troppo lento–

Ce li ha addosso, ce li ha addosso, e spara ragnatele, respinge altri gruppi, ma ce ne sono così tanti, e quelli piccoli si muovono tutti insieme, rilucono e brillano di riflessi, e il suo cuore sta urlando di far cessare tutto ciò– si rimette in piedi affannosamente, quasi cade di nuovo, ma riesce a evitarlo– i ragni sibilano, fanno versi orrendi, e la porta, la porta, deve arrivare alla porta–

La testa gli pulsa violentemente e non riesce a scollare gli occhi da loro, continuano ad arrivargli addosso e non può permetterlo, non può, e prende qualche enorme passo all’indietro mentre si chiudono su di lui, e si muovono così velocemente, sono così veloci, e spara altre ragnatele, spedendone altri all’indietro, con la mano tremante che tasta dietro di sé per trovare la maniglia–

Deve solo arrivare nell’altra stanza– sono sulle pareti, quelli enormi stanno arrivando, stanno arrivando– sono sulle pareti–

Gira la maniglia e cade all’indietro nella nuova stanza, calciando la porta per chiuderla.

Respira affannosamente, guardandosi freneticamente intorno, ma qui non li vede. Si allontana rapidamente dalla porta, e rovescia un’alta scaffalatura di fronte ad essa. Spera che non riescano a passare sotto la soglia.

Si volta, con ondate di sollievo che gli si abbattono addosso. Stane gli ha scatenato contro tutto, e Peter è sopravvissuto. Per un soffio, ma ce l’ha fatta, ce l’ha fatta. Ride appena, guardandosi attorno in cerca di un’uscita. Tony adesso deve essere così fiero di lui. Peter vorrebbe vedere la sua faccia.

Sto andando a casa, pensa. Deve solo andare avanti.

Poi lo sente. Un dolore acuto.

Barcolla leggermente sul posto e abbassa lo sguardo. Arrotola la manica del giacchetto, e lo vede. Un piccolo ragno rosso. Peter lo scaccia via, rapido, e non vede dove va a finire. Vede solo il marchio sul suo braccio, con venature nere che si diramano dal morso.

Un brivido lo attraversa. Freddo. Barcolla di nuovo, incespicando all’indietro, cerca– cerca di tenersi in piedi. Si toglie lo zaino dalle spalle, perché si sente la schiena inondata di sudore. Stilettate di dolore, ovun– ovunque. Dappertutto. Prova a– prova a prendere fiato, ma la sua gola è infiammata, scorticata.

Non ha mai sentito il suo cuore battere così.

Terrore.

Guarda in alto. Lo vede, sul muro. Un luccichio.

Una telecamera.

 
§

 
Tony è in città.

Si è impegnato a negoziare con Lensher [4] per un qualche tipo di rifugio di fortuna da far costruire a Peter, almeno per il momento. Poi c’è stato Scott.

E adesso. E adesso.

C’è almeno un centinaio di persone qui, forse più, e hanno disattivato la fontana così da far sentire meglio i Giochi proiettati sul maxischermo.

E adesso.

E adesso, il volto di Peter.

Tony è rimasto in piedi per dieci minuti, avvicinandosi sempre di più. Ha avuto il cuore in gola, a vedere Peter soffrire in quel modo. E adesso.

Peter sta tremando violentemente, impallidisce a vista d’occhio, diventa cereo. Il suo battito cardiaco è fuori controllo. Gli trema il labbro inferiore, e fa due passi stentati verso la telecamera. Perché l’ha notata. Continua a guardarsi il braccio, e un’altra inquadratura mostra il morso. È rosso, infiammato, con le venature nere che gli si arrampicano sulla pelle. Preannunciano morte.

La piazza è una tomba, e Tony non riesce a respirare.

Non sta accadendo.

Peter rialza lo sguardo, con occhi più limpidi, come se fosse deciso a rimanere vigile, e due lacrime gli scivolano lungo le guance. Scuote la testa, aggrottando le sopracciglia, apre e chiude la bocca, e sembra così piccolo. Confuso. Spaventato.

“Tony,” dice, con la voce che riecheggia.

Tony si fa largo verso lo schermo, e la folla si fa da parte per lui.

Tony,” implora Peter, e si accascia a terra. La telecamera lo segue e Tony si aggrappa al bracciale. Al suo cuore. Peter torce all’indietro il collo ed emette un lamento agonizzante che gli artiglia lo stomaco. Respira affannato dalla bocca e cerca di nuovo la telecamera. Quella si abbassa al suo livello. Lo segue.

“Tony, aiutami,” prega Peter, con la voce rotta dalle lacrime. “Tony, ti prego, sto– oddio, sto– non posso, no... no, no, non posso...”

Tony si copre la bocca con una mano tremante. “Ragazzo,” sussurra.

Peter urla di nuovo, ed è straziante, quel suono squarcia Tony a metà, cerca di farlo a pezzi. Non sa cosa fare, non sa cosa fare. Non c’è abbastanza tempo. Deve arrivare qualcuno, uno di loro… poi vede le altre riprese, allineate su alcuni schermi più piccoli. Michelle è intrappolata sotto i detriti col corpo di Hardy, impossibilitata a liberarsi, M’Baku è ancora svenuto. Natasha è appesa per il polso, ora sicuramente rotto, mentre cerca di rientrare nella torre. Shuri, Steve, Misty e l’altra ragazza stanno ancora combattendo, e sono bloccati.

Nessuno può aiutarlo.

Peter si contorce, grida di nuovo per la sofferenza e il terrore, e Tony non sa cosa fare. Non può succedere, non può, non può. Finirà presto, starà bene. Starà bene, solo… farà male, ma perderà solo conoscenza. Starà bene, starà bene.

“Tony, aiutami,” piange Peter, allungando una mano verso la telecamera, con le dita scosse da tremiti. “Ti prego, ti prego, aiutami, ti prego, non voglio morire, non voglio andarmene, ti prego, ti prego, aiutami, aiuto– aiuto– Dio, Dio...”

“Oddio,” esala Tony. “Oddio, no.”

Qualcosa cambia negli occhi di Peter, e il suo intero viso si fa rosso, come se gli stessero strizzando via la vita. Le lacrime scivolano sulle sue guance e scuote la testa, artigliandosi il collo. “Fermalo,” rantola. “Ti prego, no... fermalo, ti prego, ti prego– fermalo– non fargli– prendere...” I suoi occhi si serrano a una nuova ondata di dolore e Tony si sente sul punto di svenire.

“Tony,” dice Peter, ancora aggrappato alla propria gola. “Non posso... non posso...”

Il suo battito impazzisce. Poi rallenta. Poi si ferma.

Silenzio.

Non si muove. Non si muove.

È repentino, e Tony rimane lì in piedi, fissandosi il polso. Guarda di nuovo lo schermo. Gli occhi del ragazzo sono aperti, e lui è immobile. È silenzioso. Non c’è più battito. Tony si era talmente abituato a sentirlo, intrappolato lì dentro, mentre premeva contro il suo stesso polso. Troppo rapido, ma un memento del fatto che Peter era ancora vivo. E adesso. E adesso è immobile, esattamente come ogni altro anno prima di questo. Neanche tutto quell’amore è riuscito a farlo continuare a battere.

C’è un cannone.

Il nome di Peter viene cancellato dal tabellone.

Lo spostano nella sezione sbiadita, coi Tributi caduti, privi di puntate.

Tony inizia ad avvicinarsi allo schermo, sentendo il proprio corpo farsi inerte. “No,” sussurra, mentre l’inquadratura non cambia. “No, non– no, no, c’è– c’è un errore, no, lui non può– non può, lui–” Gli si spezza la voce e scuote la testa, fermandosi, la bocca che trema con emozioni che non può trovare, perché Peter è morto. È morto.

Ha gli occhi così sbarrati ed enormi che li sente quasi uscire dalle orbite, e tutto è sfocato, la sua faccia è calda, va a fuoco per l’orrore e il dolore causati dalla cosa peggiore che abbia mai visto in vita sua, e ne ha viste, di cose, ha visto cose orribili, tremende, e questo – questo– questo

L’inquadratura non cambia. Non cambia.

“No, non può,” balbetta Tony. “Non è vero. No.”

Sente la gente che piange, attorno a lui. Gli fa male il petto, come se fosse legato strettamente a qualcosa, come se qualcuno lo stesse percuotendo. Torturando. Cerca di inghiottire un respiro, ma non ci riesce.

Peter è morto. È morto. L’hanno ucciso. Stane l’ha ucciso. Dopo tutto. Dopo tutto questo. Tutte le promesse che Tony si era fatto. Tutte quelle che ha fatto a Peter.

È successo così in fretta.

Tony sprofonda in ginocchio senza volerlo, sul mattonato duro che gli invia una piccola scossa di dolore. Ma non c’è dolore comparabile a quello che Peter ha appena provato, e Tony ne ha sentita ogni singola goccia addosso. È stato lui. È colpa sua. L’ha deluso. L’ha deluso e ha dovuto guardarlo morire. Quella è stata la sua punizione. Adesso ce l’ha dietro le palpebre. Sarà sempre lì.

L’inquadratura si sposta su Steve e gli altri, ed è in quel momento che Tony si spezza.

“No, no,” geme, stringendosi la testa con le mani scosse dai tremiti. “No, no, no, non può– non possono– oddio, non è vero. Non è vero, non possono... non possono portarmelo via, non possono, non possono…”

Respira a fondo e non vede più nulla, non lo vede. Non è lì, non è lì. Il suo corpo, il suo– Stane, no, lo farà, lo farà– non può, non può– Tony l’ha promesso, Tony l’ha promesso, ha detto a Peter mai e poi mai e non può fermarlo, non può fermare lui, non può, non può…

Non può proteggere Peter. Non può proteggerlo. Neanche da morto. Non può tenerlo al sicuro. Non può tenerlo al sicuro. Quella stanza, quelle cose, i suoi souvenir, e adesso Stane lo avrà, lo avrà, e a Tony si rivolta lo stomaco…

Un singhiozzo gli risale il petto, lo apre in due, e di lui non è rimasto più nulla ormai, niente, solo cenere e polvere, un dolore straziante, nessuna speranza o felicità o futuro. Si affonda le unghie nella fronte e un altro singhiozzo gli viene strappato dalla gola, scuotendo il suo corpo in preda ai tremiti.

“No, gli– gli volevo bene,” piange, scuotendo la testa. “Gli volevo bene, lui– lui– non può… non può andarsene, non può…”

Sente delle mani su di lui, e non gli importa. Possono portarlo via, possono ucciderlo, non gli importa, non importa. Ci sono più di due mani, più di quattro, di sei, delle braccia lo cingono, e quando solleva lo sguardo vede… la gente di Capitol, stanno… si stanno raggruppando attorno a lui in… in un abbraccio, tutti si stringono l’uno all’altro, tutti piangono, e quel gesto si diffonde, continua a montare e altri ancora si uniscono, con quella disperazione assoluta che oltrepassa le mura attorno a loro, affondandole.

Peter è morto.

Peter è morto, e Tony crolla. Continua a tremargli il labbro e scuote la testa, lasciando cadere ondate di lacrime, piange come non fa da anni. Da Pepper.

Amalo come se fosse tuo.

Non ha il diritto di amare niente. E non dovrebbe mai farlo. Li mette in pericolo, quando li ama. Erano troppo buoni, troppo importanti per essere amati da lui. Basta pensare a dove sono adesso. I suoi genitori, Pepper, Rhodey, Peter. Sono tutti morti. Per causa sua. Come diavolo guarderà in faccia May? Lo ucciderà. Ne ha ogni diritto.

Non avrebbe mai dovuto immaginare altro che questo. Questo è sempre stato l’unico esito possibile, perché Capitol vince sempre. Si è preso in giro: hanno avuto troppa speranza. E adesso fa più male… fa molto più male, perché avevano dei progetti. Peter merita – meritava – meritava di andare avanti. Di vivere. Doveva avere una vita, essere felice.

La sua vita era preziosa.

Ci sono delle grida. Degli schianti. Vetri in frantumi. Alza lo sguardo sulla folla di gente ancora annichilita dal dolore e vede un’orda che si gonfia. Altra gente di Capitol, e stanno… stanno devastando la piazza. Rovesciano tavoli, rompono finestre, abbattono statue. Gettano cibo contro gli schermi. Emettono grida e lamenti e sembrano ribelli in costume. Come se non fossero chi sono davvero. Lanciano dei cori su Spider-Man.

Tony cerca di rimettersi in piedi e si sottrae dal gruppo di persone in lutto che lo circonda. Non lo conoscevano, non hanno conosciuto Peter, lo pensavano e basta: non lo conoscevano, non sapevano quanto fosse buono e gentile, quanto coraggioso, e altruista, quanto... fosse vivace, pieno di vita… e Tony si dirige a passo di marcia verso il Centro Tributi, col dolore che si evolve in qualcosa di bruciante, qualcosa di tagliente e doloroso. Il suo Peter. Il suo ragazzo.

Tony non riesce a concepirlo.

È andato. Un’ombra. Uno spazio vuoto. Proprio come temeva lui. Questo spazio vuoto è così grande, più grande di quanto Tony avesse mai potuto immaginare. Un vuoto mostruoso che gli oscura per metà la vista, il suo intero mondo, risucchiandolo, e non può conviverci. Non può aggirarlo. La sua vita è a brandelli, colma di oscurità, ed è arrivato. L’incubo che Tony ha avuto sin dall’inizio, da quando ha aperto il proprio cuore, da quando un brillante raggio di speranza dal passato gli era stato messo tra quelle sue mani incapaci: l’ha sprecato. Ha sprecato la possibilità di salvarlo. E ha dovuto guardare Peter che moriva. In quel modo. Agonia. Come essere scorticati vivi. Proprio come aveva detto Stane. Proprio come voleva Stane.

Tony lo sente ridere.

Lui non era lì. Peter stava guardando la telecamera, lo cercava, lo implorava, terrorizzato, nei suoi ultimi istanti di vita. E Tony non era lì. È stato inutile, lì impalato, inutile. Come sempre. May non avrebbe mai dovuto fidarsi di lui. Peter era l’eroe. Non Tony.

Adesso Stane… farà ciò che ha promesso. Tony non riesce a pensare quelle parole, non può permettere loro di formarsi, ma le immagini crescono per conto loro nella sua mente frastornata, diventano più terrificanti con ogni battito agonizzante del suo cuore. Si figura in quell’ufficio, legato a una sedia. Ubriaco di dolore. Che cerca di non guardare, ma guarda lo stesso. Che implora il perdono di Peter. Che prega il tempo di riavvolgersi. Di tornare a quando erano insieme. Erano spaventati, ma erano vivi. Peter era vivo.

Guardala marcire.

Adesso è reale.

Non può fermarlo. Tony non può fermare Stane. E Peter aveva così tanta paura, proprio di quello, e adesso… e adesso.

Ci sono rivolte ovunque. La gente dà fuoco alle macchine, distrugge i negozi, e ci sono degli spari. Dei maledetti Pacificatori. Tony intravede qualcuno con un palmare, accovacciato in un angolo mentre guarda delle riprese da uno dei Distretti. Tony non capisce quale sia. Ma anche là regna il caos.

Sta cominciando. Ad ogni modo, Peter ce l’ha fatta. È stato dall’inizio il loro salvatore. E adesso è il loro martire.

Tony inizia a correre. Deve tornare al Centro Tributi. Niente di tutto questo ha importanza, e non gli importa se lo uccidono.

Vedrà Janet un’ultima volta. E poi si getterà dalla finestra.


 

 
 
 
Note:
 
[1] Qui purtroppo c’è un lost in translation, in quanto Peter dice “web people up, web ‘em to walls, web ‘em together” e M'Baku per prenderlo in giro ripete “web, web, web”. Purtroppo in italiano non esiste il verbo “*ragnatelare”, quindi ho dovuto trovare un’altra soluzione ripetendo il più possibile "ragnatela".
[2] Mercedes “Misty” Knight, ex-agente della NYPD con un braccio prostetico. Collabora con Iron Fist e Luke Cage.
[3] In inglese l’espressione è on our toes, letteralmente sulle punte.
[4] Erik Lensher aka Magneto.

Note della traduttrice:

Cari Lettori,
esordisco subito col dire che l'aggiornamento sarà al massimo entro dopodomani, quindi non disperate... non troppo, almeno, ché mi rendo conto che qua c'è poco da stare allegri, in effetti. Per i danni causati da infarti, crepacuore, tachicardia e simili, rivolgersi direttamente all'autrice, che io ancora sto pagando un buon cardiologo per riprendermi da lettura e traduzione, che mi hanno procurato uno stress post-traumatico :')
Ringrazio infinitamente Eevaa, Paola Malfoy, ericaron Manulalala per aver commentato gli scorsi capitoli, e un grazie speciale a T612 che sta recuperando la storia recensendone i capitoli <3
A prestissimo (giuro),

-Light-

  
   
 
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