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Autore: _Agrifoglio_    25/09/2019    17 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Riassunto dei capitoli precedenti
Da non leggere se si è dei nuovi lettori capitati qui per caso e non si vogliono spoiler
 
A metà maggio del 1788, Oscar e i soldati della Guardia Metropolitana parigina devono scortare alla frontiera franco – austriaca un gentiluomo straniero, il Conte di Falkenstein che altri non è che l’Imperatore Giuseppe II d’Asburgo Lorena, recatosi in incognito in Francia per discutere di un argomento segreto col cognato.
Giunti sulle rive del Reno, alcuni sgherri – che lo stemma impresso sull’elsa di un pugnale rivelerà essere stati mandati dal Duca d’Orléans – cercano di uccidere il fratello della Regina, ma sono sconfitti e uccisi. Durante la colluttazione, un improvviso attacco di cecità di André rivela a Oscar e a tutta la compagnia le condizioni di salute dell’uomo che è congedato dall’esercito per infermità.
L’improvviso e inesorabile allontanamento da Oscar, il senso di colpa per averla assalita in occasione dello strappo, la consapevolezza di essere diventato un peso e un pericolo per lei e la convinzione di non poterla sposare per le insormontabili differenze di censo e di rango che rovinerebbero Oscar e tutti i de Jarjayes oltre che per la particolare situazione psicologica ed esistenziale di lei spingono André a ubriacarsi in una taverna. All’uscita dalla bettola, l’uomo è aggredito e derubato e, trovatosi riverso a terra, con la faccia nella polvere, giura solennemente a se stesso di non ridursi più in quello stato e di non prendere mai più in mano una bottiglia. Soccorso da Alain, l’uomo è trasportato a Palazzo Jarjayes da un vetturino di piazza pagato col denaro dell’amico.
Recatosi a casa di Alain – nel frattempo, finito agli arresti per una scazzottata in taverna – per restituire il denaro alla madre dell’amico, André arriva giusto in tempo per salvare dal suicidio la giovane Diane che si innamora, non ricambiata, di lui. Da quel giorno, Alain farà di tutto per indurre André a sposare la sorella.
Nel frattempo, dei balordi al soldo del Duca d’Orléans, travestiti da soldati della Guardia Metropolitana, stanno gettando discredito su Oscar e sulla compagnia da lei comandata.
Le indagini seguite ai disordini portano Oscar a scoprire un arsenale di armi rubate e una stamperia clandestina di libelli scandalistici. L’ultima serie di libelli stampati, raffigurante l’uccisione del Conte di Falkenstein sulla riva del Reno e rimasta inutilizzata grazie all’intervento di Oscar che ha scongiurato l’attentato, inchioda il Duca di Orléans alle sue responsabilità, in quanto Oscar trova nella stamperia un plico contenente una copia del libello e una lettera di accompagnamento, indirizzata a Lord William Stratford, Ambasciatore inglese a Parigi e firmata dal Duca d’Orléans in persona. Oscar, su invito di Maria Antonietta, conserva questa lettera presso di sé.
La scoperta dei libelli osceni induce la Regina a recarsi in incognito nei bassifondi parigini, scortata da Oscar e dai soldati della Guardia Metropolitana, allo scopo di sentire cosa la plebe dice di lei. Sollevato per un attimo il velo che le copriva il volto, Maria Antonietta è riconosciuta da Théroigne de Méricourt, un’esaltata agitatrice belga che passava di là.
Intanto, André conosce un medico veneto che gli cura l’occhio destro da un’infezione e gli opera quello sinistro da un ematoma che gli cagionava la cecità e che svela a Oscar che la tosse che l’affligge non è un sintomo di tubercolosi, ma una manifestazione psicosomatica di nervosismo, dovuto ai problemi di scarsa accettazione che la donna si porta dietro.
Durante la convalescenza, André accetta la proposta del Generale di diventare il nuovo amministratore delle proprietà della famiglia Jarjayes e contemporaneamente, pur continuando ad amare Oscar, decide di “rimettersi in carreggiata”, di vivere di realtà e non di fantasia e di non farsi condizionare da pensieri dolorosi e privi di sbocco.
La scoperta delle armi rubate, su molte delle quali è impresso il marchio del reggimento dei soldati di Oscar, induce il Duca d’Orléans a brigare per fare deferire l’antica rivale alla Corte Marziale, con l’accusa di essere complice di quei traffici. Il tempestivo intervento della Regina, che offre all’amica l’incarico di Comandante Supremo delle Guardie Reali, salva la situazione, ponendo Oscar sotto la diretta protezione della Casa Reale e allontanandola dal focolaio del pericolo.
Tornata a prestare servizio alla reggia, Oscar fa due nuove conoscenze: il Conte Maxence Florimond de Compiègne, cugino di Girodel (nel frattempo promosso Colonnello), un brillante uomo di mondo dal fascino enigmatico che, in realtà, è uno spiantato cacciatore di dote e Mademoiselle Henriette Lutgarde de Chambord, una nuova dama di compagnia della Regina, amica di Madame de Jarjayes e segretamente innamorata di Girodel. Oscar sfrutta il suo ritorno alla reggia anche per rinverdire il rapporto con la madre.
Oscar, quindi, ha scoperto di non avere la tisi, André ha riacquistato la vista e ha un buon lavoro da amministratore e, fra i due, accantonate le incomprensioni, è tornata l’intesa di un tempo. Il destino, però, è ancora in agguato e si manifesta sotto le spoglie della forsennata e bellicosa Théroigne de Méricourt, decisa ad assaltare la reggia perché convinta che Maria Antonietta fosse andata nei bassifondi parigini per prendersi gioco delle sofferenze del popolo. Durante un evento mondano organizzato nei boschetti di Versailles a metà luglio del 1788, Théroigne de Méricourt piomba addosso ai cortigiani con una banda di facinorosi e, con una scorrettezza, riesce a prevalere su Oscar che sta proteggendo la Regina. André, avvertito del pericolo da Alain, venuto fortuitamente a conoscenza del folle piano, giunge in tempo per salvare Oscar, ma è colto da un malore e Théroigne de Méricourt ne approfitta per ferirlo. Oscar fa lo sgambetto alla donna e riesce a deviare il colpo, ma il giovane si accascia ugualmente al suolo, privo di conoscenza.
La ferita di André è superficiale, tanto che l’uomo guarisce nel giro di un mese, durante il quale il rapporto di amicizia fra lui e Oscar si rinsalda e torna ai livelli del passato. Nel corso di una visita di convalescenza, Oscar si accorge della cotta di Diane per André – situazione che un successivo dialogo fra André e la nonna evidenzia ancora di più – e ne rimane colpita.
Contemporaneamente, il Duca d’Orléans viene a sapere da Lord William Stratford, Ambasciatore inglese a Parigi e suo amico di vecchia data, che Re Giorgio III e il Principe di Galles non intendono più appoggiarlo, perché dissuasi dal Conte di Canterbury, lontano cugino di Oscar. Il Duca d’Orléans convince, quindi, il Duca di Germain che la mancata assegnazione della Contea di Lille, alla quale il secondo tiene moltissimo, è dipesa dalla ferma contrarietà di Luigi XVI anziché dallo scarso aiuto fornitogli dall’alleato, che un avvicendamento sul trono cambierebbe le cose e che quest’avvicendamento è stato reso più difficile dall’intromissione del Conte di Canterbury. Il Duca di Germain invia, allora, due sicari in Inghilterra per uccidere il Conte di Canterbury che, però, si salva grazie alla propria prontezza di riflessi e al provvidenziale aiuto del cugino, Sir Percy Blakeney.
Il 15 agosto 1788, dopo le celebrazioni dell’Assunzione, nella sala del trono, ha luogo la solenne cerimonia di premiazione di coloro che sventarono l’assalto perpetrato da Théroigne de Méricourt, salvando la vita alla famiglia reale e a tutti i presenti. Oscar è promossa Generale di Divisione, il padre di lei riceve la Signoria di alcune terre a Nevers mentre il Conte di Fersen e il Colonnello de Girodel sono insigniti della Croce di San Luigi. Al termine della cerimonia e del tutto a sorpresa, il Re crea André Cavaliere e Conte di Lille, grazie ai buoni uffici del Generale de Jarjayes e della moglie di lui che, alleati con Madame Élisabeth, Fersen, Girodel, Mademoiselle de Chambord e con la stessa Regina, si erano fortemente prodigati per ottenere quel risultato. Il Duca d’Orléans tenta di opporsi, ma è zittito da Oscar che minaccia di smascherarlo, simulando di avere nella giubba la lettera di accompagnamento al libello osceno che il Duca aveva indirizzato a Lord William Stratford.
Il giorno dopo l’investitura, il Generale de Jarjayes, anticipando i tempi e forzando la mano ad André, fa sapere a Oscar che l’uomo vorrebbe sposarla, ma lei lo rifiuta e lascia la stanza. André è distrutto dal dolore e, dopo avere avuto un’accorata discussione con Diane, nel cui amore non corrisposto si è rispecchiato, decide di prendere possesso delle sue terre a Lille e di lasciare Palazzo Jarjayes.
Nelle sue nuove terre, André sperimenta l’inedita condizione di nobile, le grandi responsabilità legate alla gestione di un feudo e all’organizzazione del lavoro proprio e altrui e le difficoltà connesse al suo proposito di dimenticare Oscar. Sempre a Lille, André conosce la sgradevole Marchesa d’Amiens, intenzionata a fargli sposare la brutta figlia Geneviève e Maurice Le Barde, uno strano poetastro. Stringe amicizia col Conte di Canterbury e con Sir Percy Blakeney, passati da lì durante la tappa di un viaggio a Parigi e col Marchese di Saint Quentin e la di lui sorella, una giovane e bellissima donna, caratterialmente molto simile a Oscar, che si innamora, non ricambiata, di lui.
Dopo la partenza di André, Oscar è sempre più in balia della solitudine, alla quale cerca di sopperire accogliendo in casa la giovane Diane, la cui madre è andata a Nevers per prestare assistenza alla sorella malata. La distanza caratteriale che la separa da Diane non consente a Oscar di trovare un sollievo dalla solitudine. Inizialmente, neppure Diane – che ha alle spalle un doloroso passato, segnato dall’abbandono e dalla precoce morte del padre alcoolizzato che l’ha indotta a cercare l’amore in figure idealizzate – si trova a suo agio a Palazzo Jarjayes.
Oscar, oltre che con la solitudine, deve anche misurarsi con molte missioni fallite, causate dal sabotaggio di un’ignota spia, col fastidioso corteggiamento del Conte di Compiègne e col disagio arrecatole da alcune strane osservazioni di Diane che le riportano alla mente il suo travagliato e complesso rapporto con André.
Girodel, nel frattempo, vincendo le iniziali resistenze paterne, sposa l’amata Mademoiselle de Chambord.
Passano i mesi e iniziano gli Stati Generali che aumentano il carico del lavoro di Oscar. André continua a vivere a Lille, Diane, pur non avendo dimenticato André, grazie agli insegnamenti di Oscar, è diventata molto più matura e Girodel e la moglie sono in attesa del loro primo figlio.
Oscar, dopo avere avuto un’accorata discussione con la madre, che l’aveva esortata a non immolare la sua vita dietro a miti irraggiungibili e a non idealizzare il padre, ha un ulteriore trauma, causato dall’attentato subito dal genitore ad opera di Saint Just che lei non era riuscita a sventare per colpa dei depistaggi della spia. Il Generale se la cava con una ferita superficiale, ma padre e figlia sono raggiunti dalla notizia dell’evasione dal carcere di Théroigne de Méricourt.
Nei giorni successivi, Oscar prende commiato dal Delfino morente e rifiuta la proposta di matrimonio del Conte di Compiègne, scoppiando a ridergli nervosamente in faccia e ferendone la vanità e l’orgoglio. Subito dopo, la donna cade in un’imboscata tesa dalla spia ed è catturata da alcuni sgherri del Duca d’Orléans. Nel rapimento, sono implicati anche Théroigne de Méricourt, Robespierre e Saint Just. Quest’ultimo, in base alle ferite riportate, è riconosciuto da Oscar come l’autore del fallito attentato ai danni del padre e del Generale de Bouillé.
André è avvisato da Alain del rapimento di Oscar e si precipita a Versailles per salvarla. Il Generale organizza la missione di salvataggio della figlia, mettendo insieme tutte le persone a lei care. Il Conte di Fersen, il Colonnello de Girodel, il Capitano de Valmy, André, il Conte di Canterbury e Sir Percy Blakeney (che altri non è che la Primula Rossa), utilizzando una mappa procurata da Bernard Châtelet, entrano nella fortezza nei cui sotterranei è imprigionata Oscar e, dopo una serie di rocambolesche avventure, grazie anche all’intervento esterno di Alain e dei soldati della Guardia Metropolitana e all’apporto della stessa Oscar che riesce a evadere dalla segreta in cui era rinchiusa, hanno la meglio. André decide di tornare a Lille senza farsi vedere da Oscar, che, nel frattempo, era svenuta, per non farla sentire in debito verso di lui.
In questo frangente, Oscar e André hanno modo di udire i deliranti discorsi di Saint Just e di Théroigne de Méricourt e di rendersi conto della pericolosità di questi personaggi e dello stesso Robespierre.
Pochi giorni dopo, il castello di campagna di André è cinto d’assedio da alcuni mercenari reclutati dal Duca di Germain che non ha mai perdonato ad André lo “scippo” della Contea di Lille.
Oscar apprende da Alain che André si è battuto come un leone per salvarla, ma è raggiunta dalla notizia dell’uccisione dell’uomo, durante l’assedio del castello. Disperata, la donna vede crollare la sua corazza, capisce di amare André e parte alla volta di Lille.
Girodel, nel frattempo, da un bottone di madreperla ritrovato in un fascicolo d’ufficio, capisce che la spia è il cugino, il Conte di Compiègne (responsabile, tra l’altro, anche dell’attentato al Generale de Jarjayes e del rapimento di Oscar) e lo caccia da palazzo. L’uomo, allora, ricatta Madame de Girodel, minacciandola di portare a conoscenza del marito i trascorsi da usuraio del padre di lei, se non avesse acconsentito a spiarlo in vece di lui. La donna, però, confessa tutto al marito che sfida a duello il Conte di Compiègne.
Nel corso del duello, il Conte di Compiègne spara proditoriamente al Colonnello de Girodel e lo ferisce a una spalla.
Oscar arriva a Lille, si accorge che André è ancora vivo e, comandando la milizia cittadina, salva gli assediati da morte sicura. Oscar e André si ritrovano e, pur in preda a mille dubbi e paure, si dichiarano il reciproco amore.
Il Duca d’Orléans e il Conte di Compiègne, alleati già da alcuni mesi, sono trionfanti, perché, con Oscar a Lille, Girodel ferito e il Capitano de Valmy agli arresti domiciliari per avere fatto da padrino al duello, si sono liberati, seppure temporaneamente, dei più strenui difensori della Corona e hanno ottenuto campo libero.
Oscar e André si sposano e trascorrono a Lille il primo mese della loro vita coniugale. Il loro idillio è, però, interrotto dall’arrivo del Tenente Henri Beauregard il quale li informa che Alain e altri undici soldati della Guardia Metropolitana sono stati condannati alla fucilazione, a causa di un grave atto di insubordinazione commesso mentre erano di servizio agli Stati Generali, nel frattempo divenuti Assemblea Nazionale.
I due sposi tornano di corsa a Versailles dove trovano una situazione alquanto particolare: nell’assenza di Oscar e di Girodel, il comando delle Guardie Reali è stato affidato al Maggiore de Limours, un uomo molto vicino al Duca d’Orléans e, malgrado la mancanza di fondi, sono stati assunti una nuova Guardia Reale, Charles de Valenciennes e un nuovo valletto, Hervé Huppert.
Oscar convince la Regina, stanca e indurita dalla morte del figlio, a graziare i dodici soldati mentre il Re, in preda a un crollo nervoso, si lega molto ad André che gli consiglia di andare a Parigi e di parlare al popolo.
La corte si trasferisce temporaneamente alle Tuileries, dove Hervé Huppert, con un sotterfugio, allontana Oscar, André, Girodel e Valmy da palazzo, dando modo a Charles de Valenciennes di sparare al Re. Il Sovrano muore il 13 luglio 1789 e la notizia del decesso interrompe, il giorno dopo, la presa della Bastiglia, perché la folla abbandona l’assedio e si riversa alle Tuileries per avere notizie. Oscar parla ai parigini e assicura che sarebbero state emanate leggi più giuste.
André, intanto, dona al popolo affamato parte del suo raccolto e l’esempio di lui è seguito da molte famiglie ricche, nobili e borghesi.
La Regina, dapprima riluttante perché incupita dai lutti e dall’odio di cui è vittima, si lascia convincere ad avviare alcune riforme e ad emanare la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, ma esige che Oscar, André e Girodel entrino a far parte del Consiglio di Reggenza dove dovranno coabitare con la scomoda presenza del Duca d’Orléans. Nel frattempo, il Conte di Mirabeau popone di nominare Robespierre Ministro di Giustizia, per creare una spaccatura fra lui e Saint Just, per avvicinare l’Avvocato di Arras agli ambienti di corte, così da tenerlo più facilmente sotto controllo e anche nella speranza che l’ubriacatura di potere lo induca a gettare la maschera, mostrando al mondo il suo vero volto di estremista sanguinario.
Diane, invitata a Versailles dalla Regina, vede Alain aggredire il suo ex fidanzato, Tristan de Monmorency e scopre che il vero motivo dell’abbandono non fu un nuovo legame sentimentale dell’uomo, ma il carattere oppressivo e nevrotico di lei. Sconvolta e indotta a una serie di riflessioni, la ragazza riceve una proposta di lavoro dal Tenente Henri Beauregard, segretamente invaghito di lei.
In questi frangenti, Oscar rivela ad André di essere incinta.
La Contessa di Polignac ha, però, capito che Diane è innamorata di André.
Nel settembre del 1789, l’Imperatore Giuseppe II d’Asburgo Lorena, in fin di vita perché malato di tisi, invia in Francia la sorella, l’Arciduchessa Maria Cristina di Sassonia Teschen, per stipulare un trattato con Maria Antonietta. Si scopre, così, che, l’anno precedente, l’Imperatore era giunto in Francia sotto mentite spoglie per trattare con Luigi XVI la cessione all’Austria dell’Alsazia e della Lorena in cambio dell’invio in Francia, per dieci anni, di un contingente militare di cinquantamila uomini. Prima di accomiatarsi dal mondo e dalla sorella Maria Antonietta a cui è affezionato, l’Imperatore vuole reiterare la proposta a condizioni più vantaggiose per la Francia, esigendo, in cambio dell’invio del contingente militare, non più la cessione dell’Alsazia e della Lorena, ma un decimo delle rendite di quelle regioni.
La gravidanza di Oscar procede senza complicazioni, ma la donna vive la sua condizione con fastidio, sentendosi strana e impacciata. Questo particolare stato d’animo, unito alla caparbietà della donna nel continuare a fare le stesse cose di prima senza riguardarsi, crea attrito fra lei e André. Il nervosismo dell’uomo è accresciuto dalle particolari attenzioni che l’Arciduchessa Maria Cristina, bisessuale, rivolge a Oscar durante il suo soggiorno francese.
Di questa situazione di attrito approfitta la Contessa di Polignac che, divenuta l’amante del Duca d’Orléans, vuole minare la stabilità del Consiglio di Reggenza su richiesta di lui. La figlia della Contessa, la Duchessa Aglaé de Gramont et de Guiche, conquista facilmente l’amicizia di Diane de Soisson e, con un sotterfugio, riesce a introdurre la giovane negli appartamenti di Oscar alla reggia. Vedendo André, rientrato negli appartamenti prima di lei, in compagnia di Diane, Oscar ha un attacco di gelosia e inveisce contro l’uomo, ma i due hanno modo di chiarirsi. Diane, invece, fugge dalla stanza in preda alla vergogna e si imbatte in alcuni ubriachi che l’aggrediscono. La giovane è salvata dall’ex fidanzato, Tristan de Montmorency, con cui ha modo di spiegarsi, aggiungendo un nuovo tassello alla sua maturazione.
Nel novembre del 1789, nasce Grégoire Henri de Girodel, figlio del Colonnello e della moglie.
André è nominato vice Ministro da Robespierre e, lavorando gomito a gomito con lui, ha modo di conquistarne la fiducia e di mitigarne il fanatismo. Questo stato di cose irrita il Duca d’Orléans che decide di uccidere André.
Il 21 marzo 1990, Oscar dà alla luce un bambino cui è imposto il nome di Honoré François e, durante una visita di cortesia, Alain rivela che Bernard Châtelet nutre del risentimento verso di loro, perché gira voce che Robespierre e André sottraggano parte del frumento destinato ai poveri per arricchirsi. André va a trovare Bernard e chiarisce la propria innocenza, invitando l’uomo a recarsi a Versailles per visionare i documenti nel proprio ufficio. Tornando a casa, è aggredito da alcuni sgherri del Duca d’Orléans, ma riesce ad avere la meglio.
Nel giugno del 1790, ha luogo, nella Cattedrale di Reims, l’incoronazione di Luigi XVII, ma la processione dei monaci che portano alla Cattedrale la Santa Ampolla è interrotta da un gruppo di facinorosi, fra i quali Oscar riconosce Hervé Huppert, il finto valletto che aveva avuto un ruolo nell’uccisione di Luigi XVI. Durante la colluttazione, cade dalle mani dell’uomo un’ampolla identica a quella recante l’olio sacro.
Nella reggia di Versailles, Antoine Laurent de Lavoisier analizza il contenuto della falsa ampolla, scoprendo trattarsi di un potente veleno che agisce a contatto con la pelle. Contemporaneamente, Bernard Châtelet, che si trova nell’ufficio di André per leggere gli incartamenti relativi alle elargizioni di frumento, è ucciso da un sicario del Duca d’Orléans che lo scambia per André. L’intenzione del Duca era di sbarazzarsi sia di lui sia di Oscar sulla quale sarebbe dovuta ricadere la responsabilità dell’omicidio.
Rosalie è riaccolta a Palazzo Jarjayes dove diventa la vice governante e dove, nel novembre del 1790, dà alla luce una bambina che chiama Bernadette.
Del delitto è accusato il chimico Lavoisier, presente alla reggia per analizzare il veleno. Suoi maggiori accusatori sono Saint Just e Marat, col quale Lavoisier aveva dei conti in sospeso. I due rivoluzionari individuano come movente dell’omicidio certe indagini condotte da Bernard su alcuni episodi di peculato, avvenuti alla Fermée Générale di cui Lavoisier era una dei dirigenti. Certa dell’innocenza dell’uomo, Oscar convince la Regina a liberarlo e, in questa impresa, riceve l’insperato aiuto di Robespierre, persuaso dell’innocenza del chimico da André. Davanti alle porte del carcere, Marat, che si trova in mezzo alla folla, è assassinato da Carlotta Corday d’Armont.
Lo schierarsi di Robespierre a favore di Lavoisier e contro Saint Just acuisce i dissapori fra i due rivoluzionari, minando i loro rapporti, già tesi da quando Robespierre era diventato Ministro di Giustizia.
Il 18 dicembre 1790, dopo una mattinata tumultuosa, Oscar dà prematuramente alla luce la sua secondogenita, Antigone Auguste.
Nel gennaio del 1791, Maria Antonietta rivela a Oscar di avere sposato in segreto il Conte di Fersen e di aspettare un figlio. La Regina si ritira nel Petit Trianon dove, amorevolmente assistita da Rosalie, dà alla luce una bambina, Élisabeth Clotilde, che è fatta passare come figlia secondogenita dei coniugi Girodel. Il parto della Regina è estremamente complicato, ma la fibra forte di lei prevale. Maria Antonietta sopravvive, ma dei fastidiosi e debilitanti sanguinamenti continuano ad affliggerla.
Nel frattempo, il Conte di Compiègne, corrotto e scansafatiche cugino di Girodel, tenta di aggredire la Marchesina Victoire Aurélie de Saint Quentin, ospite a Palazzo Jarjayes per alcune settimane, della quale si era invaghito durante i festeggiamenti per l’incoronazione. Al rifiuto della donna, tenta di strangolarla. L’adolescente fratello di lei, il Marchese Camille Alexandre, decide di sfidare a duello il Conte di Compiègne, ma il Conte di Canterbury, il cugino inglese di Oscar, per salvare il ragazzo, sfida per primo il malfattore, proclamandosi falsamente fidanzato della Marchesina. Oscar, conoscendo la scorrettezza del Conte di Compiègne, che già era costata una ferita alla spalla a Girodel, minaccia l’uomo, ingiungendogli di non presentarsi al duello. L’occasione è, però, propizia al Conte di Canterbury e a Mademoiselle de Saint Quentin per dichiararsi i reciproci sentimenti e fidanzarsi davvero.
Giunge, intanto, a Parigi la Contessa Bérénice Eulalie de Compiègne, madre del Conte Maxence Florimond e sorella del Conte de Girodel. La donna, autoritaria e narcisista, stanca della vita di sperperi e di scandali del figlio, a lei del tutto sottomesso dalla nascita, gli ordina di sposare la Marchesina Geneviève d’Amiens, brutta e zoppa, ma immensamente ricca e, per concessione reale, madre del futuro Marchese d’Amiens. Il Conte di Compiègne è riluttante, perché la donna lo disgusta mentre la Marchesina d’Amiens è follemente innamorata di lui sin dal loro primo incontro, avvenuto durante i festeggiamenti per l’incoronazione. Per vincere le resistenze della Marchesa d’Amiens, madre di Geneviève, che detesta il Conte di Compiègne, la Contessa madre invita la Marchesina in un padiglione di caccia concessole in uso dal fratello dove il Conte di Compiègne la droga e abusa di lei. Il matrimonio riparatore ha, quindi, luogo.






 
Il viaggio
 
Oscar e André varcarono la soglia del Petit Trianon con lo stato d’animo lieto e fiducioso di chi reca buone notizie. Era giugno e, a circa due mesi dal parto, Maria Antonietta aveva ripreso quasi del tutto agilità e colorito. Camminava da sola e saliva e scendeva le scale speditamente, ma i sanguinamenti, sebbene fossero meno copiosi rispetto all’inizio, continuavano ad affliggerla. Il medico personale del Conte di Fersen – che aveva fama di essere esperto e discreto – l’aveva assistita con estrema cura, migliorandone di molto le condizioni che, all’inizio, apparivano disperate. L’Archiatra di Corte era, invece, stato tenuto all’oscuro di tutto per ovvie ragioni di segretezza.
Appena la Regina fu informata della presenza dei due visitatori, li fece accomodare in un salottino dove li raggiunse dopo qualche minuto. Accoglienza e conversazione ebbero luogo all’insegna della consueta cordialità che la Sovrana riservava alle persone che le andavano a genio, accresciuta da quel lieve tratto informale che era d’uso al Petit Trianon.
– Vorreste, quindi, parlarmi di quando riacquistaste la vista, Conte di Lille? – domandò Maria Antonietta, stupita dalla piega insolita che stava prendendo la conversazione – E perché no? Non ho mai udito questo aneddoto che, per Voi, costituì un’importante pietra miliare.
– Veramente, Maestà, André non vuole parlarVi di come e quando riacquistò la vista, ma di chi gliela fece riavere – si inserì Oscar.
– Pensavo che Vi foste rivolto al Dottor Lassonne, Conte di Lille – commentò, perplessa, la Regina mentre fissava, senza un reale interesse, il bastoncino di cannella che si stava squagliando nella sua cioccolata.
– No, Maestà, non fu così – rispose André, tacendo sull’errata diagnosi dell’Archiatra ormai defunto – In realtà, incontrai per caso degli stranieri, due giovani provenienti dal Veneto, caduti vittime di una banda di grassatori. Uno di loro era uno studente di Medicina, già molto esperto e brillante, che mi operò l’occhio sinistro e mi guarì quello destro da un’infezione. In questi tre anni, sono rimasto in contatto epistolare con quel giovane talento che, nell’ultima missiva inviatami, mi informò del suo prossimo arrivo ad Amnéville, un borgo sito in Lorena, vicino al confine austriaco. E’ intenzionato a studiare le proprietà delle acque sorgive che sgorgano lì, rinomate, fra gli abitanti della regione, per i loro poteri curativi e mi ha chiesto di raggiungerlo per incontrarci.
– André e io abbiamo pensato che Voi potreste venire con noi in incognito, Maestà e farVi visitare da quell’uomo. Se foste d’accordo, potremmo provvedere subito al lasciapassare – disse Oscar, con immediatezza e semplicità.
– Ma, io….
– Utilizzando una berlina tiro a sei di proprietà della famiglia Jarjayes, potremmo essere lì in due giorni, Maestà – si inserì André – Ci siamo già informati sul cambio dei cavalli e sulle locande dove pernottare, all’andata e al ritorno. Si tratta di alberghetti modesti, ma dignitosi.
– Dovreste vestire da donna della media borghesia e fornire una falsa identità, perché sarebbe impossibile spiegare al popolo le ragioni del Vostro viaggio. Tutta l’operazione avverrebbe all’insegna della massima segretezza – spiegò Oscar.
– Non sarebbe più semplice se quell’uomo venisse qui? – ribatté la Regina – Gli pagherò io il viaggio, il soggiorno, la visita e, qualora fossi costretta a rivelargli la mia identità, la discrezione….
– Non è possibile, Maestà – disse André, scuotendo la testa – Avrete modo, parlandoci, di capire che quel giovane ha un carattere sui generis. Non ama mutare i suoi progetti e, se ha deciso di andare ad Amnéville, soltanto lì si recherà.
– Oltretutto, egli ha idee anticlericali e antimonarchiche e, se sapesse che la paziente siete Voi, potrebbe anche rinnegare il giuramento di Ippocrate e rifiutarsi di assisterVi.
– Mi dispiace, ma temo che Oscar abbia ragione – fece eco André.
– Bene – sospirò la Regina – è dalla morte del Re che ho a che fare con gente di tal fatta per la salute del Regno…. Vorrà dire che, questa volta, incontrerò l’ennesimo senza Dio per la mia salute personale…. Prepariamoci al viaggio….
 
********
 
– Come sta, adesso, la nuova Contessa di Compiègne? – domandò Maria Antonietta, smettendo di mirare fuori dal finestrino della carrozza e posando lo sguardo sui volti stanchi di Oscar e di André – I matrimoni riparatori recano prospettive di felicità ancora più scarse di quelli combinati. Spero, tuttavia, che quella povera donna abbia ugualmente trovato la gioia o, perlomeno, un po’ di pace.
La berlina tiro a sei stava attraversando le rocce e le brughiere delle Ardenne, diretta verso Amnéville e la Lorena. Trasportava, oltre a Oscar, ad André e alla Regina, anche il Conte di Fersen e la Principessa di Lamballe mentre un cabriolet di dimensioni più ridotte fungeva da mezzo di trasporto per alcuni servitori. Il paesaggio agreste si snodava pigro e incantevole, offrendo ai viaggiatori la vista, da un lato, della Mosa e di un gruppo di alberi e, dall’altro, dell’altopiano sinuoso, ricoperto da una foresta di querce, faggi, carpini e betulle.
– Né l’una né l’altra, temo, Maestà – commentò laconicamente Oscar.
– Non siamo mai stati in rapporti d’amicizia con le famiglie d’Amiens e de Compiègne, Maestà – spiegò André cui non era sfuggita la fronte aggrottata, in segno di perplessità, della Sovrana – Ma il Conte di Compiègne non ha mai fatto mistero della sua scarsa inclinazione verso la consorte e le continue richieste di denaro che rivolge alla suocera lasciano trasparire quale sia il vero elemento unificatore di quel matrimonio.
– Sono desolata – sospirò la Regina con un filo di voce mentre il Conte di Fersen la guardava.
La berlina piombò di nuovo nel silenzio che Maria Antonietta ruppe una decina di minuti dopo, ponendo un quesito figlio dell’angoscia che, da giorni, le faceva tremare il cuore.
– Madame Oscar, Conte di Lille, prima che ci mettessimo in viaggio, mi accennaste che c’è di nuovo fermento fra i sovversivi….
– Sì, Maestà – rispose Oscar – Ma si tratta, a quanto mi consta, di un dissidio interno. Robespierre vuole attuare delle riforme che, in parte, sono quelle che sosteniamo anche noi e a cui tentiamo di farlo affezionare…. ma, in parte, sono anche sue personali e piuttosto deliranti. L’ideologia del Ministro è molto rousseauiana. Egli vorrebbe che la Francia assomigliasse alle città – stato dell’antichità…. Peccato che, da allora, siano passati due millenni…. Saint Just, che non vuole restare indietro, rilancia con proposte ancora più strane: obbligare tutti i fanciulli al vegetarianesimo…. bandire dalla Francia le persone prive di amici…. proibire alle fanciulle vergini di camminare da sole per strada…. sciogliere d’ufficio tutti i matrimoni che, in sette anni, non sono stati allietati dalla nascita di figli…. E, mentre Saint Just ha una buona verve oratoria, Robespierre stenta a farsi seguire, perché tende a dilungarsi e a divagare. La popolazione è perplessa e fatica a simpatizzare per queste stranezze o così, almeno, mi hanno riferito le Guardie Metropolitane che, un tempo, comandai.
– Capisco – mormorò Maria Antonietta – Questi scellerati vogliono gettare di nuovo la Francia nel caos….
– Questo dissidio, che il Conte de Mirabeau previde molto tempo fa, potrebbe tornare a nostro favore – si inserì André – Più si sgretola il fronte dei ribelli, più si consolida quello dei moderati.
– Può darsi che sia come dite Voi, Conte di Lille, ma l’instabilità interna, purtroppo, rimane – sospirò la Regina col volto cupo – e, ad essa, si aggiungerà presto quella esterna. Mio fratello, l’Imperatore Leopoldo II, ha fatto delle indagini approfondite, dalle quali è emerso che il defunto Imperatore Giuseppe II non firmò alcun documento per legittimare l’Arciduchessa Maria Cristina a trattare con me. Era già molto malato e isolato dal mondo, all’epoca…. Il conferimento del mandato fu, quindi, soltanto orale e mia sorella non disponeva di alcun documento ufficiale che ne giustificasse i poteri. In conseguenza di ciò, l’Imperatore considera il trattato radicalmente nullo. Così era riportato in una missiva di alcuni giorni fa. In Francia, invece, abbiamo Monsieur Danton che spinge alla guerra….
– Non preoccupateVi, Maestà – disse Oscar – Perché abbiamo anche il Conte de Mirabeau che riesce a ben gestire sia le animosità fra i rivoluzionari sia le velleità belliche di qualche guerrafondaio. Mirabeau è l’uomo giusto, Maestà.
Maria Antonietta non rispose, ma accennò un sorriso e tornò a guardare fuori dal finestrino.
La carrozza, intanto, proseguiva il suo tragitto in direzione della Lorena.
 
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Lucilio Vianello alloggiava in una stanza di piccole dimensioni, sita nell’unica locanda di Amnéville. Era una camera spartana, ma linda e ordinata, rischiarata dalla luce, un po’ fioca e lattiginosa, tipica delle terre della Francia del nord. In quella stanza, alle dieci di mattina del ventuno giugno, giorno successivo al suo arrivo ad Amnéville, Maria Antonietta entrò insieme alla Principessa di Lamballe, per essere visitata dal giovane medico.
Lucilio Vianello si era mostrato entusiasta di incontrare André, moderatamente contento che con lui ci fosse Oscar e perplesso alla vista di quella strana e altera signora che si era offerto di visitare soltanto per compiacere l’amico. Quella che, in tale frangente, toccò il cielo con un dito fu la proprietaria della locanda che quasi stentava a credere di essere riuscita a fare il pienone, con ospiti, oltretutto, dall’apparenza così distinta.
– Bene, Madame Rochet, accomodatevi pure. Monsieur Grandier mi ha anticipato il vostro caso: sanguinamenti, flebite e fiacchezza quali postumi di un parto. Questo quadro non è infrequente nelle puerpere attempate.
Il giovane medico, che si era rifiutato di riferirsi ad André usando il titolo di Conte di Lille, scrutava la nuova arrivata senza eccessivo trasporto, con la fredda curiosità del chirurgo e – malgrado la dovesse guardare da sotto in su, essendo lui di bassa statura mentre lei era piuttosto alta – con aria di superiorità e di condiscendenza. Maria Antonietta ingoiò sia l’atteggiamento sussiegoso sia l’aggettivo “attempata” senza battere ciglio, conscia del fatto che la sopportazione si sarebbe dovuta protrarre al massimo per un’ora mentre persone come Mirabeau e Robespierre le frequentava già da un paio di anni. Ripagò, comunque, il giovane con l’algida cortesia che dispensava alle persone che le erano antipatiche e questa fu la massima concessione che riuscì a fare ai propri propositi di buon comportamento.
Il singolare medico effettuò una visita accurata, riuscendo, ben presto, a inquadrare la situazione e rimanendo incerto soltanto se a prevalere in lui fosse il crescente fastidio per quella donna o il chiodo fisso di averla già vista da qualche parte.
– Bene, Madame, le vostre condizioni sono, tutto sommato, accettabili per una donna della vostra età e, sebbene vi sconsigli di generare altra prole, date le condizioni in cui è ridotto il vostro utero, con un’adeguata terapia, potrete tornare a condurre una vita normale, riducendo i sanguinamenti e recuperando il vostro vigore.
– Sia ringraziato Iddio – si lasciò sfuggire Maria Antonietta.
– Dio non c’entra niente – sibilò, severamente e assottigliando gli occhi freddi, Lucilio Vianello – C’entra, in parte, la vostra fibra forte e, soprattutto, la terapia che vi appunterò su questo foglio e che dovrete seguire alla lettera, perché, mettetevelo bene in testa, in questa vicenda, l’unico Dio cui prestare ascolto e obbedienza sono io.
– Adesso, siete blasfemo….
– La vera blasfemia proviene dall’oscurantismo e dalla menzogna che ne origina, perpetuata e ingigantita da chi, governando, mantiene nell’ignoranza la popolazione.
– La vera blasfemia è negare l’esistenza di Dio che ha creato il mondo e lo ha messo nelle mani dei Re per preservarlo. Chi non crede in questo ordine naturale è destinato a vivere nell’errore.
– Mi fate sorridere, Signora! Fate l’apologia del nulla innalzato a divinità dalla tirannide menzognera! Il debole deve cedere al forte, lo stolto deve sottomettersi all’accorto e l’incolto deve inchinarsi al sapiente. Questo è l’unico ordine naturale che io conosco e ammetto.
– Siete un bestemmiatore e un sovversivo, ma siete anche un bravo medico e, in virtù della vostra giovane età, io vi perdono.
– Voi mi perdonate…. – bisbigliò Vianello mentre un lampo gli attraversava gli occhi.
– Sì, vi perdono e vi compiango, perché verrà il giorno in cui vi ritroverete solo e confuso e, allora, dovrete pentirvi del vostro scetticismo.
– Quanto è vero che voi siete Madame Rochet….
– Cosa?
– Tenete – disse Vianello, senza risponderle e porgendole un foglietto – Applicatevi gli unguenti e ingerite le soluzioni che ho elencato, rispettando scrupolosamente la posologia da me indicata. Seguite l’alimentazione che vi ho appuntato qui – mentre parlava, le porse un secondo foglio – fate passeggiate all’aria aperta e non trascurate di bere un bicchiere dell’acqua di questi luoghi per un mese. Riempitene alcuni barili e caricateli sulla vostra carrozza. Fate quanto vi dico e il mondo conserverà un’oscurantista ancora per molti anni.
– Vi ringrazio, Monsieur – gli disse Maria Antonietta, con tono elegante e cortese mentre lo salutava con un cenno del capo.
– Se non vi faccio la riverenza, finisco dritto alla Bastiglia? – rispose lui, fissandola negli occhi e dispensandole un sorriso provocatorio.
– No – ribatté prontamente lei senza scomporsi – Vi sono già rinchiusi sette avanzi di umanità, fra depravati libertini, falsari e alienati mentali. Aggiungerci un senza Dio arrogante con vaneggiamenti di onnipotenza guasterebbe definitivamente la reputazione della fortezza, dando nuovo sostegno a chi vuole raderla al suolo.
Stupito dall’imperturbabilità e dall’arguzia di colei che pensava di avere messo con le spalle al muro, Lucilio Vianello la omaggiò con un lieve inchino.
Richiusasi la porta della stanza dietro le spalle, Maria Antonietta guardò la Principessa di Lamballe che aveva assistito alla visita e allo scambio di battute ad essa successivo seduta in un angolo della stanza, senza mai proferir parola e intervenendo soltanto quando era giunto il momento di pagare e, con un soffio di voce, le disse:
– Si torna a casa.
                                         
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I cinque viaggiatori, con i loro domestici che li seguivano nel piccolo cabriolet, si rimisero in viaggio alla volta di Versailles, nel primo pomeriggio dello stesso giorno in cui aveva avuto luogo la visita medica della Regina.
Dopo circa sei ore, un violento temporale esplose nell’aria e una pioggia scrosciante iniziò a frustare la carrozza mentre un buio molto fitto avvolgeva il paesaggio. Poiché c’era una visibilità inferiore ai dieci passi, l’acqua si infiltrava negli interstizi della berlina e le ruote di questa affondavano nel fango, Oscar consigliò un cambio di programma.
– Maestà, suggerisco di fare tappa nel più vicino villaggio, in attesa che spiova.
– Approvo. Come si chiama questo borgo?
Oscar consultò le carte e rispose:
– Si chiama Varennes, Maestà.
Giunti, non senza difficoltà, davanti alla locanda “Bras d’or”, i viaggiatori scesero dalla carrozza e si diressero verso l’uscio, schiaffeggiati dalla pioggia violenta e incessante. Oscar e André verificarono, per quanto la situazione climatica lo consentisse, l’assenza di pericoli e la rispettabilità del locale, entrandovi per primi mentre Fersen copriva la Regina col suo mantello.
Al rumore della porta che si apriva, gli avventori si voltarono e videro entrare, prima, due gentiluomini e, dopo una manciata di secondi, una decina di individui fradici come pulcini, stanchi a stravolti. Sarebbe stato davvero impossibile, per questi, passare inosservati, trattandosi di forestieri, per giunta ridotti in precarie condizioni. Si udì più di un mormorio, finché uno dei presenti, il Giudice Destez, esclamò:
– Ma quella è la Regina, la riconosco! Ho dimorato molto a lungo a Versailles, è lei!
Senza porre tempo in mezzo e prima che la gente bloccasse l’uscita, il Conte di Fersen, per evitare di compromettere Maria Antonietta con la sua presenza, si allontanò, dopo avere mormorato a Oscar:
– Torno a Versailles e informo dell’accaduto il Colonnello de Girodel e il Capitano de Valmy!
Detto ciò, uscì dalla locanda, staccò uno dei cavalli dalla berlina, vi montò sopra e partì, sfidando il buio e le intemperie.
La notizia della presenza della Sovrana nell’unica locanda del paese si diffuse per Varennes con la stessa velocità dei lampi che stavano squarciando il cielo, tanto che, nel giro di pochi minuti e malgrado il tempo da lupi, le guardie del paese si riversarono nell’osteria insieme ad alcuni cittadini comuni, incuriositi da quella strana visita. Oscar fulminava tutti con lo sguardo e apostrofava i più insistenti in malo modo, non esitando a elargire spintoni e pedate a chi si avvicinava con troppa aggressività.
Maria Antonietta e il suo seguito passarono una nottata allucinante, seduti nel ristorante della locanda e afflitti dagli abiti zuppi e dal vocio incessante della folla, perché le guardie, per ragioni di sicurezza, avevano impedito loro di accedere alle stanze da letto dei piani superiori.
Nelle prime ore del giorno successivo, arrivarono nella taverna, facendosi largo con fatica fra la folla, il Marchese de La Fayette con la Guardia Nazionale e Hulin che era stato inviato lì da Saint Just. Alcuni minuti dopo, giunsero anche il Colonnello de Girodel, il Capitano de Valmy e una decina di Guardie Reali a dare manforte al loro Comandante Supremo.
Hulin, secondo le istruzioni fornitegli da Saint Just, iniziò a urlare che la Regina voleva fuggire all’estero per consegnare la Francia al fratello e rovesciare Robespierre dalla carica di Ministro di Giustizia.
– Sciocchezze! – tagliò corto Maria Antonietta, al culmine della stanchezza e dell’esasperazione – Se volessi destituire Monsieur de Robespierre, lo farei in un solo istante e senza alcun bisogno di andare all’estero!
– Ma no, Tenente Hulin – protestò, diplomaticamente, La Fayette – Non si può accusare di alto tradimento Sua Maestà la Regina. Quanto è successo è avvenuto palesemente contro la volontà di lei. Ella è stata sicuramente rapita!
– E da chi? – ringhiò Oscar.
– Smettetela di vaneggiare tutti quanti! – tuonò Maria Antonietta, fuori della grazia di Dio – Mi sono semplicemente recata in una località termale per riprendermi dalle conseguenze di un affaticamento che mi ha colpita quest’inverno!
– Questo è da vedere! – tuonò Hulin – Per adesso, tornerete a Parigi con la Guardia Nazionale!
– Io non prendo ordini da voi, screanzato! Mi muoverò in pieno giorno, quando lo vorrò io e scortata esclusivamente dalle Guardie Reali. Vi ordino di abbandonare questa locanda e di lasciarci in pace! Oste! Dateci delle stanze dove riposare!! Fate in fretta!! – e, nel pronunciare queste ultime parole, fulminò le guardie cittadine con uno sguardo di fuoco.
 
********
 
Maria Antonietta la spuntò e tornò indietro con le Guardie Reali, dopo avere allontanato La Fayette e Hulin. Rientrata al Petit Trianon, fu colta da una febbre molto alta, causata dai disagi del viaggio, dall’avere indossato, per ore e ore, abiti fradici e dall’ira che si era impadronita di lei in occasione dei fatti di Varennes. Si paventò una ricaduta, ma la febbre, per fortuna, durò poco, così che la Regina, dopo essersi ristabilita, iniziò la terapia prescrittale dal medico.
Negli ambienti dell’Assemblea Nazionale, si cominciò a discutere dei motivi dell’allontanamento della Sovrana da Versailles e, mentre Saint Just e i seguaci di lui sostenevano con calore la tesi della fuga, allo scopo di chiedere la destituzione del Re e l’abolizione della monarchia, il Visconte Alexandre de Beauharnais, Presidente dell’Assemblea e altri componenti di essa, preoccupati di salvaguardare la monarchia, fecero propria la teoria del rapimento, formulata da La Fayette.
Ben presto, i fautori delle due correnti di pensiero chiesero a Robespierre – che, fino a quel momento, aveva mantenuto il più stretto riserbo sul punto – di prendere posizione. L’Avvocato di Arras, per puro calcolo politico, decise di appoggiare la versione delle terme, sostenuta da Maria Antonietta. Temeva, infatti, che il rovesciamento della monarchia avrebbe comportato la perdita della propria carica di Ministro di Giustizia e la conseguente impossibilità di attuare le riforme da lui caldeggiate. Pur continuando a disprezzare Maria Antonietta, Robespierre preferiva di gran lunga avere a che fare con lei e con il relativo entourage piuttosto che con l’estremista Saint Just, con il bellicoso Danton, con l’esaltata Théroine de Méricourt e finanche con l’ex compagno di studi Demoulins che, sin dai tempi del collegio, malgrado la balbuzie, lo superava nell’arte oratoria. Aveva presto compreso che la Regina non era la sciocca libertina grazie alla quale i libelli prosperavano, ma una donna volitiva, nervosa, reazionaria, in parte risentita e, soprattutto, politicamente inesperta e, come tale, ininfluente. A contare veramente era il Consiglio di Reggenza, nel quale spiccava per autorevolezza, accanto al Comandante Supremo delle Guardie Reali, il Conte di Lille che Robespierre aveva l’illusione di controllare mentre, in realtà, avveniva l’esatto contrario. Era stato proprio André a insinuare nella mente del suo superiore la preferenza per la tesi delle terme – che, poi, era l’unica corretta – nel timore che, se si fosse affermata quella del rapimento, Oscar sarebbe stata la prima a esserne accusata.
Reputando, quindi, l’entourage reale più gestibile degli antichi compagni di lotta e dando ascolto ad André, Robespierre, in un intervento all’Assemblea Nazionale, tagliò corto, dicendo:
– Se la Regina afferma di essere stata alle terme di Amnéville, io non ho alcun motivo di credere il contrario. Ci sono dei testimoni che l’hanno vista in quei luoghi e questo mi basta. Ciò detto, ritengo che si sia dato fin troppo peso a questa vicenda di donne.
Tale presa di posizione scontentò fortemente i giacobini che avevano sperato fino all’ultimo nel sostegno di Robespierre. Una sera, Saint Just e Théroigne de Méricourt, incontrandosi, diedero sfogo al loro malumore.
– “Ciò detto, ritengo che si sia dato fin troppo peso a questa vicenda di donne” – declamò, con voce impostata, Théroigne de Méricourt – Buffone! Se non fosse stato per una donna, adesso, non starebbe qui a dire stronzate!
– Robespierre mi ha veramente deluso! – protestò, a sua volta, Saint Just – Da quando è diventato Ministro, si è montato la testa e ha perso il contatto con la realtà. Nell’affaire Lavoisier, si è schierato contro me e Marat e neanche è venuto a dircelo di persona, ma ha inviato a fare il discorso quel suo tirapiedi, come un qualsiasi nobile vanesio e svogliato!
– Già e, come se non bastasse, l’assassina di Marat è ancora a piede libero!
– Pare che Carlotta Corday d’Armont sia emigrata in Inghilterra – replicò Saint Just.
– Secondo un’altra versione, invece, si nasconderebbe ancora nell’Alta Francia e sobillerebbe la gente contro di noi!
– Robespierre si è venduto al potere! – rincarò la dose Saint Just – E’ diventato il cagnolino dell’austriaca! Cosa non si fa pur di conservare una carica!
– Dice di detestare i nobili, ma, intanto, si veste come loro, con la parrucca incipriata e le calze di seta! Ha la pretesa di infiammare gli animi con quei suoi discorsi prolissi e ampollosi mentre fa soltanto addormentare o, bene che vada, distrarre! E come vorrebbe trasformare la Francia nella Grecia antica se, ora come ora, lecca il culo al re moccioso e a quella Messalina della madre? Qualcuno sostiene che vorrebbe addirittura assassinare il marmocchio e sposare Madame Royale, per farsi incoronare re.
– Non sarei mai voluto arrivare a questo punto, ma non c’è altra soluzione: dobbiamo farlo fuori!
– Approvo! – esclamò, battendo un pugno sul tavolo, Théroigne de Méricourt che, quando c’era da spedire qualcuno al Creatore, si trovava sempre a suo agio – Lo pugnalerò con queste mani! Spunterò fuori da una tenda, da un cespuglio o finanche da un armadio e lo scannerò!
– Calmatevi! – la esortò Saint Just – Robespierre, in questo periodo, non si allontana mai dalla reggia. Avete già tentato una volta di prendere le armi a Versailles, con l’unico risultato di essere incarcerata! E Oscar François de Jarjayes, dopo l’omicidio di Bernard Châtelet, ha quadruplicato la sorveglianza!
– Che fare, quindi?
– Sta per essere promulgata la Costituzione e, in occasione dei festeggiamenti, agiremo.
– Sì, ma come? – insistette Théroigne de Méricourt.
– Col veleno.
– Ma Robespierre ha il suo cuoco personale, un uomo a lui fedelissimo e non va mai a mangiare in locali pubblici o a casa di amici che, poi, neppure ha!
– Già, ma, quando ci saranno i festeggiamenti per la promulgazione della Costituzione, Robespierre, come Ministro di Giustizia, dovrà uscire dall’eremo e, a quel punto, noi agiremo!
 
********
 
Erano i primi giorni di settembre del 1791 e André, trafelato, si stava recando alla reggia, dove si sarebbe tenuto un banchetto al quale avrebbero preso parte la Regina, i componenti del Consiglio di Reggenza, Robespierre nella sua qualità di Ministro di Giustizia, Mirabeau, il Generale de Jarjayes e la moglie, la Principessa di Lamballe, Madame de Girodel e pochi altri dignitari di corte.
Il tre settembre, dopo due anni di attesa, era stata approvata la Costituzione e quel banchetto, che sarebbe stato molto sobrio, date le non floride condizioni economiche in cui la Francia ancora versava, avrebbe dovuto celebrarla. Oscar si trovava alla reggia già dalla sera precedente mentre André si era attardato a Palazzo Jarjayes, uscendone mezz’ora dopo rispetto a quanto aveva inizialmente pianificato, a causa di un mal di stomaco di Honoré e dei capricci di Antigone, tanto che, ora, rischiava di fare tardi. La Regina non aveva preso bene l’approvazione della Costituzione e arrivare in ritardo sarebbe stato il modo migliore per aggiungere tensione a una giornata che già si preannunciava snervante.
Stava entrando nella reggia dalla terrazza antistante, quando vide uscirne Geneviève, ora Contessa di Compiègne e la suocera. La Contessa madre aveva tentato inutilmente di ottenere un invito dell’ultim’ora al banchetto e, non essendoci riuscita, era adirata e offesa.
– Sbrigatevi, Madame de Compiègne, dobbiamo tornare a Parigi. Qui, non c’è più altro da fare – ingiunse la prepotente matriarca che, dopo il matrimonio, aveva abbandonato i modi melliflui, per assumere, con la nuora, un atteggiamento autoritario e sgarbato.
– Sì, Madame la Comtesse – rispose, con voce atona, Geneviève de Compiègne.
La donna era abituata sin dall’infanzia a fronteggiare i comportamenti opprimenti della madre mentre era ancora poco avvezza al carattere egocentrico e dispotico della suocera che pretendeva da lei un’obbedienza e un rispetto assoluti, non ricambiati dalla minima traccia di affetto.
Per un attimo, lo sguardo di André incontrò quello della neoContessa consorte di Compiègne. Quegli istanti così brevi furono, tuttavia, sufficienti a fargli cogliere, negli occhi della tartassata signora, una richiesta d’aiuto imbrigliata dal desiderio di nascondere al mondo il proprio disagio.
Il matrimonio dei Conti di Compiègne si era rivelato, sin dai primissimi giorni, un autentico disastro, come, del resto, gli eventi che lo avevano originato avrebbero fatto presagire a chiunque.
Il Conte mai aveva fatto mistero del fastidio e del ribrezzo che provava per la consorte. Tentava di evitarla il più possibile, mangiando e dormendo fuori casa e, quando era costretto a frequentarla, la trattava con freddezza se non addirittura con ostilità, mettendola a disagio con rimproveri e battute pungenti.
La neoContessa, invece, era ancora infatuata del marito, ma i continui maltrattamenti cui era sottoposta stavano rompendo l’idillio e, più di una volta, si era trovata a chiedersi se con uno di quei gentiluomini che aveva superficialmente e frettolosamente rifiutato a motivo della loro scarsa avvenenza – pur non essendo lei una Venere – si sarebbe trovata meglio.
Il Conte nulla faceva per nasconderle le sue infedeltà e, anzi, sembrava esibirgliele con sfrontatezza e finanche con un lieve tratto di crudeltà così che, quando ella trovò una rivale persino nella sua cameriera personale, la cacciò di casa con urli e sberle, trascinandola fuori della porta per i capelli mentre la suocera la inceneriva con un’occhiata omicida, cercando di minimizzare l’accaduto di fronte ai domestici e gratificandola, a bassa voce, dell’appellativo di “povera sciocca”.
I rapporti con la Contessa madre erano pessimi. Subito dopo la cerimonia nuziale, Madame Bérénice Eulalie aveva gettato la maschera, dismettendo i toni cortesi e iniziando a trattare la nuora con un riguardo appena superiore a quello che usava alle sue cameriere. Era, di fatto, una carceriera e Geneviève l’aveva spesso scoperta a frugare fra i suoi effetti personali e la sua corrispondenza. Non la faceva quasi mai uscire di casa, se non accompagnata e le impediva di farsi delle amicizie. La Marchesa di Amiens era stata oppressiva e ipercritica con la figlia sin da quando ella ne conservava il ricordo, ma aveva sempre agito per il bene di lei e l’aveva amata sinceramente, seppure in modo sbagliato. L’aveva portata con sé in ogni occasione e si era incessantemente prodigata nel procurarle un degno marito, rimanendo, però, inascoltata. Nella casa coniugale, invece, a nessuno importava di lei, tanto che la donna aveva intuito che, se fosse morta nel partorire il futuro Marchese d’Amiens, al marito e alla suocera poco sarebbe interessato e, anzi, avrebbero tirato un sospiro di sollievo.
La Contessa madre disprezzava la nuora che aveva soprannominato “la laida zoppa”, ma criticava aspramente il figlio che non si congiungeva quasi mai con lei. Il Conte di Compiègne, in effetti, adempiva ai doveri coniugali con disgusto e fastidio. Le poche volte che vi si sottometteva, era quasi sempre ubriaco e, in un’occasione, aveva persino vomitato addosso alla moglie. La madre lo rimproverava di continuo e, una volta, lo aveva finanche schiaffeggiato, ricordandogli che, se la moglie si fosse stancata di lui e se ne fosse tornata a Lille, li avrebbe lasciati entrambi sul lastrico. Doveva generare un figlio maschio forte nella mente e nel corpo e, per fare ciò, avrebbe dovuto intensificare i rapporti coniugali e presentarsi ad essi completamente sobrio.
Geneviève de Compiègne guardava la sua vita andare in pezzi e, confusa e frastornata com’era, neanche riusciva a piangere su di essa. Una sera, il marito, semi addormentato e ubriaco fradicio, aveva invocato il nome di Victoire Aurélie de Saint Quentin, per la quale aveva conservato l’insana ossessione che quasi lo aveva spinto al delitto e questa circostanza, per Geneviève, aveva avuto la portata di una stilettata al cuore. Mademoiselle de Saint Quentin era sempre stata la più bella donna di Lille, intelligente, brillante e stimata mentre lei era l’esatto opposto e il continuo confronto – che si protraeva dall’infanzia – l’aveva, in passato, soltanto offuscata e contrariata mentre, adesso, l’annichiliva. Più di una volta, aveva avuto l’impulso di abbandonare il tetto coniugale e di tornarsene a Lille, ma si era sempre trattenuta, perché non riusciva a staccarsi dall’uomo di cui, malgrado tutto, era ancora infatuata e perché non voleva ripresentarsi a casa sconfitta. Le era sufficiente prefigurarsi la disapprovazione della madre e le risate di Laure per arrossire violentemente.
La vita parigina di Geneviève d’Amiens col marito e la suocera era l’inferno in terra, ma, intanto, con la dote di lei vivevano tutti.
 
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Il banchetto si stava svolgendo in un’atmosfera pesante e opprimente. I convitati erano troppo male assortiti per potere interagire serenamente fra loro e l’oggetto del festeggiamento – l’approvazione della Costituzione – non era, eufemisticamente parlando, fra i preferiti di Maria Antonietta che, col suo silenzio risentito e il suo volto corrucciato, stava condizionando negativamente l’umore di tutti i presenti. Robespierre considerava quell’atteggiamento un affronto al popolo, ma taceva per conservare la carica di Ministro.
Desiderosa di portare un po’ di distensione, la Principessa di Lamballe, rivolta a Robespierre, disse:
– L’Inghilterra, come fece notare, un giorno, il Conte di Lille, ha la sua Magna Carta sin dal medioevo e vanta una monarchia molto solida. Si tratta soltanto di mediare fra le varie istanze e di trovare nuovi punti di equilibrio.
Robespierre, che era seduto fra André e Mirabeau, gli unici a sopportarlo o a fingere di farlo, contrasse i muscoli del volto, assottigliò le labbra e si rifiutò ostinatamente di rispondere, considerando la politica un affare da uomini.
La Principessa di Lamballe restò vistosamente male per essere stata ignorata in un modo tanto plateale. Allo scopo di salvare l’amica dall’umiliazione, Madame de Girodel intervenne per darle manforte:
– Nei periodi di transizione, conservare gli equilibri, evitando gli estremismi, è il modo migliore per garantire un passaggio indolore. Le donne sono inclini, sin dalla nascita, a mediare e a rasserenare gli animi e un loro parere, semplice e pragmatico, è, negli affari delicati, assai auspicabile – concluse sagacemente, dimostrando di avere compreso il problema.
– Madame, io non direi a Voi come fare bambini – sbottò Robespierre – Voi non dite a me cos’è la politica e come essa va gestita.
Esterrefatto per l’inurbanità usata alla moglie, Girodel strinse il tovagliolo fra le mani e, dopo avere serrato i denti e aggrottato la fronte, si accinse a presentare le sue rimostranze, ma l’azione fu provvidenzialmente interrotta dai camerieri che servirono, a ciascun commensale, un piatto contenente della carne arrostita.
Dopo qualche istante, Robespierre, per nulla scalfito, proseguì il discorso:
– Ci sono frangenti, ci sono epoche, ci sono accadimenti che sconsigliano il mantenimento degli equilibri, ma esigono, al contrario, un totale capovolgimento degli assetti. Se le nuove generazioni di francesi saranno educate come i giovani delle antiche città – stato, esse obbediranno spontaneamente alle nuove leggi, venereranno la Costituzione, si faranno sostenitrici del riformato assetto sociale e opereranno volentieri per il benessere collettivo, accantonando gli egoismi. Tutto avverrà senza coartazione alcuna.
– Ciò che dite è pura utopia, Eccellenza – si inserì, con un mezzo sorriso sarcastico, Mirabeau – Perché l’uomo è egoista per natura e tende soltanto al raggiungimento del suo interesse. Potrete educare le nuove generazioni come vorrete, ma, in condizioni normali, il simile tenterà sempre di prevaricare il simile e di sconfinare nel territorio di lui.
Ciò detto, il nobiluomo allungò fulmineamente la forchetta sul piatto di Robespierre e, infilzato un pezzo di carne, se lo portò, con altrettanta velocità, alla bocca. Il Conte iniziò, con studiata e compiaciuta indifferenza, a masticare l’oggetto di quel furto dimostrativo, sotto gli occhi ora stupefatti, ora divertiti, degli astanti, finché il volto gli si contrasse in una smorfia di dolore. Senza aria e madido di sudore, Mirabeau si portò le mani alla gola e, dopo essersi aggrappato alla tovaglia e averla trascinata parzialmente in basso, stramazzò al suolo privo di vita mentre André si alzava per soccorrerlo e Oscar balzava dalla sedia con gli occhi spalancati.






Torna, in questo capitolo, Lucilio Vianello, personaggio tratto dal romanzo “Le confessioni di un italiano” di Ippolito Nievo.
Nel diciottesimo secolo e anche prima, esistevano, in Francia, alcune stazioni termali, ovviamente riservate ai più ricchi. Non so cosa ci fosse ad Amnéville a quell’epoca, ma la fonte termale ci sarà sicuramente stata.
Storicamente, la famiglia reale intraprese la sfortunata fuga, terminata a Varennes, dopo l’improvvisa morte di Mirabeau che era l’unico a difendere la monarchia. Nella mia ricostruzione ucronica, invece, sono proprio il viaggio della salute intrapreso da Maria Antonietta e il successivo riconoscimento a Varennes a innescare la catena di eventi che porterà alla morte di Mirabeau, avvelenato al posto di Robespierre.
Buona lettura a tutti e grazie a chi ha deciso di ricominciare a seguirmi dopo tanto tempo!
   
 
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