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Autore: Ksyl    26/09/2019    4 recensioni
Alcuni mesi dopo la 2x24
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Seconda stagione
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2. Castle

Si sforzò di sollevarsi a fatica – i muscoli a riposo non erano pronti a gestire il brusco risveglio, nonostante le pronte sollecitazioni mentali -, non appena riconobbe la sua voce. Si sfregò gli occhi con violenza, nel vano tentativo di riattivare i neuroni ancora storditi dalla sonnolenza e dallo shock. Definirlo un brusco risveglio sarebbe stato un eufemismo. Stava forse ancora sognando? A dirla tutta, era piuttosto realistico per essere un prodotto della sua mente, ma così sospettosamente simile alle sue consuete fantasie da farlo dubitare delle percezioni dei suoi sensi. D'istinto controllò che ore fossero, scoprendo che era notte fonda. Rabbrividì. Che cosa stava succedendo? Perché d'improvviso era vittima di allucinazioni telefoniche? Eppure non aveva bevuto prima di andare a dormire. O forse sì e non lo ricordava? Era così che si iniziava a scendere la china, senza nemmeno rendersene conto?

Doveva trattarsi di un'apparizione, molto probabilmente. La risposta alle sue inconsce preghiere, dopo aver smesso di elevarle al cielo, o qualsiasi altro ente preposto.
E se invece fosse stato tutto vero – ipotesi che cominciò ad assumere sempre più rilevanza con il progressivo ripristino delle basilari funzioni mentali -, che cosa diavolo significava? Perché si faceva viva dopo essere scomparsa nel nulla per mesi? Un'improvvisa inquietudine, legata ai possibili scenari che si affastellavano disordinati e incompiuti nel cervello, servì a metterlo in allerta e svegliarlo del tutto.

Aveva risposto al telefono in modo automatico, un'abitudine sviluppatasi negli anni quando lei era solita chiamarlo a ogni ora del giorno per annunciargli un nuovo caso di omicidio, spesso tirandolo giù dal letto, cosa che, aveva sempre creduto, la divertisse un mondo, in quel modo adorabile e crudele che aveva di prendersi gioco di lui. Bei ricordi. Che erano, amaramente, solo quello. Ricordi.

Ed eccola tornare da chissà dove, senza essersi annunciata, senza nessun preavviso. Dopo che lui si era rassegnato ad averla distrattamente, o colpevolmente, persa.
L'aveva riconosciuta subito, nonostante il tono insolitamente insicuro, come se il solo sforzo di pronunciare il suo nome l'avesse messa alla prova. Ma era rimasto zitto, semplicemente perché non era riuscito a raccapezzarsi al punto da ritrovare un po' di solidità interiore. O di amor proprio.

"Beckett?" mugugnò, prima di schiarirsi la voce, dopo aver frettolosamente deciso che, qualsiasi cosa significasse, doveva essere affrontata in maniera più dignitosa.
Facendo violenza sulle sue membra ancora intorpidite scostò nervosamente le lenzuola, diede una rapida occhiata al corpo addormentato disteso al suo fianco – con un po' di disagio che non seppe giustificare nemmeno a se stesso- e si mosse in silenzio per non spezzare quello che era a tutti gli effetti l'unico tenue filo che, apparso dal nulla, adesso lo legava a lei.

Si tuffò nell'oasi solitaria del suo studio, maledicendo la mancanza di porte che non garantiva la privacy necessaria. Dall'altra parte si era mantenuto un silenzio che aveva dell'inquietante.
Si convinse che avesse riattaccato, ma, dopo un rapido controllo, realizzò che la comunicazione non era stata interrotta, quindi doveva solo essere fuggita lontano, abbandonandolo lì. Subito dopo, dal vuoto dal quale era appena riemersa, venne di nuovo la sua voce.
"Deve essere molto tardi da te... scusami, non ho... non ci ho pensato", mormorò incerta.
"Non c'è problema", si affrettò a rassicurarla, nel timore di compiere gesti avventati che avrebbero posto fine alla telefonata.

Sarebbe stato stucchevole, e probabilmente non corrispondente alla realtà, dirsi che risentirla gli avesse restituito la sensazione di essere finalmente tornato a casa dopo mesi di vagabondaggio emotivo, ma l'effetto era senza dubbio curioso. Era come se si fossero salutati il giorno prima o come se, di colpo, tutte le emozioni che aveva meticolosamente archiviato sotto la voce "Irrisolte", avessero deciso di riapparire di botto, sopraffacendolo.

"Stavo... ero ancora sveglio". Sperò che si bevesse la bugia.

Nell'intervallo di silenzio che seguì quest'ultima uscita, il suo cervello cominciò istintivamente a macinare indizi. Del resto, glielo aveva insegnato lei. Non aveva idea di dove si trovasse, non l'aveva mai saputo, ma da quanto aveva appena affermato, la differenza di fuso orario doveva essere notevole. Doveva essere pieno giorno, dall'altra parte del telefono, un momento più consono allo scambio di convenevoli, se non si era resa conto di averlo chiamato di notte.

Avvertì la necessità di una dose doppia di caffeina, senza la quale trovava faticoso carburare o uscirsene con qualche brillante deduzione.
Visto il perdurare del silenzio e dell'imbarazzo - due presenze sempre più ingombranti-, decise di assumersi la responsabilità di sostenere una parvenza di conversazione un po' più strutturata. Qualcuno doveva pur parlare. O almeno, riempire una distanza che non era solo fisica.

"Come stai?", le domandò, modulando il tono su una nota più bassa, affinché le fosse possibile percepire tutto il calore che gli era salito spontaneamente alle labbra. Non aveva idea del motivo per cui gli si fosse stampata nella mente, al solo sentire la sua voce, l'immagine di lei in pericolo, bisognosa di aiuto. Forse perché non si era mai messa in contatto con lui, quindi doveva esserci un motivo molto più che serio perché si fosse decisa a farlo? O erano solo fantasie maschiliste a buon mercato, che avrebbe fatto meglio a tenere per sé?

Tornò istintivamente con la mente all'autunno precedente, quando era tornato dagli Hamptons e si era presentato al distretto, solo per scoprire che se ne era andata. Peggio, si era trovato davanti un muro impenetrabile. Gli era parso perfino di avere a che fare con degli estranei, il cameratismo che aveva condiviso con loro fino a qualche mese prima del tutto svanito, come se non fosse mai esistito, come se non avesse condiviso gli alti e bassi della loro professione. No, non potevano dirgli dove si fosse trasferita, né per quanto tempo sarebbe rimasta altrove. Si trattava di qualcosa di Riservato, conosceva, vero, il significato di quella parola? Aveva quindi dedotto, in base agli scarni frammenti di informazione raccolti, che avesse accettato un incarico segreto – o, almeno, segreto per lui - che l'aveva portata lontano.

Era rimasto di stucco. Avrebbe quasi avuto bisogno di accasciarsi sulla sedia, a parte il fatto che era scomparsa insieme a lei e insieme al mondo che aveva conosciuto, al quale aveva creduto di tornare.
Era riuscito unicamente a pensare, stupidamente che lui, a differenza sua, aveva mantenuto fede a quella promessa che si erano fatti, Ci vediamo in autunno, Castle? Sì, ci vediamo in autunno. Se l'erano fatta davvero? O era un'altra delle sue fantasie?

Si era maledetto per non essere tornato prima, per non aver chiamato, per essere stato geloso di Demming, per quell'inaspettata sensazione di rifiuto da cui era stato colpito, sarebbe stato meglio dire tramortito, vedendoli insieme. Si era sentito messo in angolo – e non era esattamente stata solo una sua impressione. E quindi aveva deciso di lasciar libero il campo, ma non prima di averle dimostrato, solo per orgoglio e parecchia petulanza, che anche lui aveva altri programmi. Che erano pari. Che non aveva investito nessuna speranza nell'ipotesi che lei accettasse il suo invito negli Hamptons. Perché era così che credeva che fosse andata, prima di rendersi conto che, invece, ci aveva sperato davvero e che non era bastato sostituirla con chicchessia. Lui avrebbe voluto lei. Nessun'altra. Ma a quel punto era stato troppo tardi.

Se ne era andata. Era finito tutto. Aveva capito e accettato il motivo per cui lui non potesse esserne messo ufficialmente al corrente dai suoi colleghi. Si era aspettato, però, che in qualche modo lei lo avrebbe contattato. D'accordo, non erano stati amici, non così intimi perlomeno. Dubitava, anzi, che, nel caso in cui la situazione fosse proprio quella che si era immaginato, avesse potuto confidarsi con qualcuno in generale, forse nemmeno con il padre. Avrebbe apprezzato in ogni caso un gesto qualsiasi, anche solo una telefonata di commiato, senza specificare dove fosse diretta. Era pur sempre stato la versione più vicina a un partner, in senso strettamente lavorativo, che lei avesse mai avuto. Forse così sarebbe riuscito ad accettare quel vuoto insopprimibile, che con il tempo si era fatto sempre più vasto e lo aveva colto in contropiede.

Non era stato riammesso al distretto e, a dire la verità, non lo avrebbe comunque desiderato, non senza di lei. Gli veniva la nausea al solo pensiero.

"Io...", Beckett si fermò, esitante, prima di dargli una risposta coerente. Dimmi dove sei e ti vengo a prendere, senza fare domande, fu quello che si ritrovò a pensare, convinto di averci visto giusto. Perché forse era vero che non la conosceva del tutto – se fosse perfino possibile una cosa del genere nel suo caso – ma ora gli era chiaro, grazie al suo istinto, che non fosse in perfetta forma. Non era la Beckett che conosceva, ne era sicuro.

"C'è il sole?". Non ricevette segno di vita, doveva averla confusa. "È una bella giornata, lì da te? Sento gli uccellini cinguettare". Non era vero, voleva solo distrarla, farla parlare di sciocchezze per sciogliere quel blocco di ghiaccio che doveva avere conficcato in gola, identico al suo.
"Sì". La sentì sorridere. "È sorto da qualche ora e comincia a fare molto caldo".
Aveva ottenuto la prima informazione, senza quasi cercarla. Era mattina, ma non l'alba. Contò a ritroso. Doveva essere in Europa. Ora gli serviva solo di restringere il campo, un po' troppo ampio per i suoi gusti. Si soffermò sui rumori che percepiva in sottofondo: doveva essere un ambiente urbano – nessun cinguettio bucolico-, ma non aveva altri elementi per identificarlo.

"Stai bevendo un caffè? Percepisco l'aroma fin qui". In realtà aveva solo sentito un rumore che aveva identificato come il tintinnio di una ipotetica tazza su un piattino.
Kate scoppiò a ridere. "Ti hanno mai detto che saresti un ottimo detective, Castle?".
Non doveva esserle sfuggito il terzo grado al quale stava fingendo di non sottoporla per localizzare la sua posizione.
Rise anche lui. "No, la persona che mi ha addestrato non credeva negli elogi. Forse perché in segreto temeva che sarei diventato migliore di lei".
"Nei tuoi sogni", lo sferzò, proprio come ai vecchi tempi. Ne fu lieto.
"Non farmi iniziare a raccontare i sogni che ti riguardano, Beckett, non sono mai cambiati, si sono solo arricchiti". La sentì trattenere il fiato per lo stupore – aveva intenzionalmente dato una sferzata alla conversazione, cercando una reazione forte per tastare il terreno, ritrovare la loro solita sintonia, che però non era magicamente tornata. Prima che potesse replicare, tornò quindi a un argomento neutro. "È buono?". Buono come quelli che ti portavo al distretto?

"È un caffè casalingo imbevibile, direi".
"Non avevo alcun dubbio. Tu non hai mai saputo preparare un caffè come si deve". Si domandò, incupito, se non glielo avesse preparato qualcun altro, ma del resto... lanciò un'occhiata colpevole verso la sua camera da letto. Non era nella posizione nemmeno di osare sperarlo.
Lei non negò la sua supposizione, che però non aggiunse nessun dato di rilievo alla sua mentale lavagna degli indizi, puntualmente predisposta. Non significava che fosse sola, poteva essere stata lei a prepararlo per sé e per chiunque altro fosse stato in sua compagnia. Magari un intero locale di persone.

"Mi dispiace averti disturbato. Davvero, non so cosa mi sia preso", riprese lei, riempiendo un silenzio che si stava prolungando, mentre lui era impegnato a costruire ipotesi e intrecci, che faticava a tenere per sé – era abituato a condividerli con lei – anche se era vitale che non si mostrasse troppo curioso o invadente.
"Non dispiacerti. È bello risentirti". Cogliendo il tono di congedo, si chiese se non si fosse spinto troppo oltre, ma del resto stava navigando senza uno straccio di bussola. Era difficile perfino per uno come lui trarre qualcosa di sensato da quell'incredibile sorpresa.

"Lo è anche per me".
Un'ammissione in piena regola, fatta con un tono indecifrabile e solo dopo qualche attimo di riflessione. Era innegabilmente un commento positivo, anche se a lui gelò il sangue, senza saperne il motivo. Se la immaginò con lo sguardo rivolto a terra, la mascella serrata. Riusciva a visualizzarla con tale chiarezza da stupirsi che non fosse seduta accanto a lui, alle prese con un nuovo caso.

Era chiaro che si stessero avviando verso la conclusione della loro stramba conversazione. Tra poco avrebbe riattaccato, forse pentita di averlo chiamato, delusa dalla superficialità del loro scambio, di cui si addossava interamente la colpa. Perché non le aveva fatto domande più sensate? Dove sei, quando torni, perché te ne sei andata, soprattutto perché adesso ti è possibile farti viva, se prima non ti era concesso, o così mi hanno sempre lasciato credere.

Temeva, egoisticamente, che, se avesse espresso uno di quegli interrogativi ad alta voce, l'avrebbe fatta ritrarre, fino a farla scomparire di nuovo dalla sua vita. Stava quindi solo cercando di costringerla a stare al telefono solo per appagare il suo bisogno di vicinanza? Provò un pizzico di senso di colpa nel rendersene conto, che lo indusse a cambiare repentinamente registro; basta convenevoli, si doveva passare a qualcosa di più concreto e sperabilmente rassicurante.

"Stai bene?", domandò a bassa voce, cercando di camuffare la preoccupazione e l'idea che si era fatto che non stesse bene per niente. Non aveva risposto alla domanda diretta, aveva ogni motivo di essere in apprensione.
"Sì, certo, perché non dovrei?". Una risposta troppo rapida e innaturalmente allegra, quasi volesse convincere se stessa, prima di lui. C'era sul serio qualcosa che non andava e lei non aveva nessuna intenzione di dirgli di cosa si trattasse.

"Beckett...". Non doveva forzarla, lo sapeva perfettamente, la conosceva troppo bene per sapere che non avrebbe ottenuto niente se le avesse fatto pressione. Ma doveva almeno provarci. Venne interrotto da un rumore improvviso, qualcosa che si chiudeva di scatto o che cadeva a terra, dall'altra parte del telefono. Forse aveva davvero compagnia. Il solo pensiero riuscì a deprimerlo.

"È complicato. Io... devo andare".
Non poteva trattenerla. Non c'era niente che potesse fare a riguardo.
"D'accordo". Asseconda il flusso, Rick. Non forzarla. "Chiama quando vuoi", aggiunse, prima di riuscire a impedirselo.
"Grazie. Lo farò".

Non seppe decidere se lo avesse detto per liberarsi finalmente di lui, che aveva tentato di trattenerla con la forza della disperazione, o se fosse sua intenzione ricontattarlo di nuovo. Magari aveva solo voluto salutarlo, quel gesto di cortesia che non aveva fatto quando era partita, forse non potendoselo permettere. Del resto la loro conversazione non era certo stata un esempio di fascino e brillantezza. Era stata breve, venata di imbarazzo e non si erano detti praticamente niente di concreto. Aveva perso la sua unica occasione? Se lo chiese mestamente, fissando il telefono ormai muto.

Le invidiò il fatto che da lei fosse già giorno, lui non sapeva come avrebbe affrontato il resto della notte, con i pensieri molesti che avevano già iniziato a infestargli la mente in una spirale negativa che lo avrebbe lasciato spossato. Dormire era fuori discussione, non aveva senso nemmeno provarci. Sarebbe finito a fissare il soffitto in balia di se stesso fino al punto in cui sarebbe stato preferibile dare fuoco all'intero loft, solo per zittire il cervello.

Si lasciò andare contro lo schienale reclinato della poltrona, giocherellando pensoso con una matita.
Provò la via razionale, come lei gli aveva insegnato. Forse non doveva per forza esserci chissà quale significato da scoprire. Era stata una semplice telefonata. Non doveva leggervi cose che non esistevano, solo perché era abituato a farlo, la realtà non era per forza riconducibile a qualcosa di sensato, lei glielo aveva ripetuto spesso. Lui non era mai stato d'accordo. Non lo era soprattutto nelle attuali circostanze, che lo lasciarono più turbato che mai.

   
 
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