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Autore: Lady R Of Rage    28/09/2019    4 recensioni
"-Quaggiù potrete chiacchierare quanto vi pare. Nessuno vi sente. Nessuno vi asciuga le lacrime se piangete. Siete all’inferno, ragazzi: ma chi siamo noi per separare una così bella famigliuola?-
Non voglio, pensa Baby 5. Voglio andare via, io sono la promessa sposa di Don Sai della terra di Kano, e lui ha bisogno di me. Serra i pugni, come se avessero ricominciato a tirarle addosso spazzatura. Deve scegliere, a un certo punto – anzi, ha già scelto, ed è troppo tardi per recriminare."
Baby 5 ha scelto: non un nuovo inizio come moglie di Don Sai, ma l’inferno, la condanna perpetua, nelle viscere ghiacciate di Impel Down, assieme a coloro con cui è cresciuta.
Dopo il calderone di sangue bollente e i tormenti di Sadi-chan, solo un’eterna attesa accoglie la sconfitta Famiglia Donquixiote. In mezzo alla neve perenne, dove nemmeno i lumacofoni mantengono il contatto col mondo, senza più un Padroncino da seguire e amare, Baby 5 non si è mai sentita meno utile.
Eppure, prima di Sai, aveva chiamato “famiglia” i suoi compagni di cella. Sarà l’inferno a ricordarle perché.
[Accennate Baby 5/Sai, Trebol/Diamante, Senor Pink/Lucian]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Baby 5, Donquijote Family, Gladius, Pica, Sugar
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Gli Alti E I Bassi Della Famiglia Donquixiote'
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Sorelle, Figlie, Padri – Il Dolore di Sugar E Un Sogno Di Baby 5

"Little Sister,
Playing hide and seek
Even though momma told you I'm really gone
If you miss me
Sneak a peek at my diary

Or read the peek-a-boo sky that lights the night"
(Indica, In Passing)



-Perché hai tutto quel moccio?-
La bambina ha le mani sui fianchi e un’espressione delusa da prima della classe. L’uomo la guarda dall’alto in basso, un ghigno sdentato sulla bocca larga e violacea. Due candelotti di muco verde dondolano davanti alle sue labbra, a un’unghia di distanza dalla barba incolta e nera.
-Ne, non c’è un perché. Mi piace così. Mi rappresenta.-
La bambina alza un sopracciglio. Non capisce cosa dovrebbe rappresentare, e solo guardarlo le dà la nausea. -È maleducazione. Ti dovresti soffiare il naso.-
-Ne, chi lo dice? Tu? Nee.- L’uomo tira fuori la lingua. -Behehehe: hai ancora molto da imparare, su come si sta al mondo. Se devi far parte di questa famiglia è necessario che impari come ci comporta.-
La sua faccia è quasi appiccicata a quella della bambina, quell’orribile moccio traballa fino a sfiorarle la pelle. La bambina rabbrividisce disgustata. -E come mi devo comportare?- sussurra. L’uomo si drizza di scatto, gocciolando altro moccio dai palmi e dalle vesti. Sembra una lumaca azzurra, grossa abbastanza da schiacciarla. Ma è solo una mano ossuta, dalle unghie piene di tagli e spacchi, che le pizzica la guancia fino a farle male.
-Come pare a te, ne. L’unica risposta valida.-
E si trascina via verso la cabina di poppa, con un rumore molliccio e persistente, mentre il suo “behehehe” si perde nel vento assieme ai gridi dei gabbiani.
Baby 5 ha gli occhi in fiamme, come se le avessero immerso la faccia in un secchio di sale, e le guance hanno una consistenza plastica quando le tocca. Le guardie appoggiano la sacca contro le sbarre e quella senza occhiali da sole tira un blocco di legno ai piedi.
-Che succede, bella ragazza? Hai freddo?-
Non sono gli stessi dell’ultima volta. Hanno entrambi le guance chiare, arrossate dal gelo, e le labbra coperte dai colletti dell’uniforme. Eppure il fischio che emettono si sente forte e chiaro.
-Vieni a scaldarti con noi, avanti.-
Baby 5 sbatte le palpebre. Forse hanno bisogno di lei: sarebbe così bello, se succedesse ancora. Prima che possa dire qualcosa la mano di Buffalo si stringe al suo braccio.
-Siete superflui, dasuyan.- Le scocca uno sguardo per traverso, ostile per uno come lui. -Baby 5 non è un pezzo di carne. Dovete meritarvela, per stare con lei.-
-Tanto poi ce la prendiamo. Ci sono poche ragazze, in questo carcere, e Sadi-chan è stanca di sentire urla tutte uguali.- La guardia tira un pezzo di legno – non è legno, Baby 5 realizza stropicciandosi gli occhi, è pane congelato – dritto in testa a Pica. Il colosso, rannicchiato nell’angolo dove si è piazzato dopo la scomparsa di Trebol, solleva gli occhi dalle braccia.
-Hai sentito? Ti farà strillare, prima o poi. Un bocconcino di leggero-castrato come te è il sogno della sua vita. Tieni in caldo l’ugola, d’accordo?-
Pica li squadra con disgusto e serra le labbra screpolate. Non si alza. Non solleva nemmeno le braccia. È come se fosse immerso fino al collo nell’acqua di mare.
-Secondo te sa parlare, quel coso?- domanda l’uomo con gli occhiali.
-Magari si è dimenticato come si fa. Dopo la botta in testa alla camminata…- solleva la mano e la abbassa di scatto con un fischio. -Giù, faccia a terra. Deve essere diventato scemo.-
-Immagina che bell’urlo. Chissà come si annoiano adesso, senza elemento comico.-
-Ehi, Mister Soprano, facciamo una gara di sguardi? L’ultimo che ride vince. Anzi, no: così hai vinto in partenza.-
Sghignazzano e lo indicano, tenendosi la pancia con l’altra mano. Baby 5 si copre gli occhi d’istinto, ma non una pietra si muove dal suo posto. Nessuno, a Dressrosa come a Spider Miles, si sarebbe permesso di dire qualcosa del genere senza intenzioni suicide. Una vena pulsa sulla fronte di Pica, i pugni vacillano, i denti scricchiolano tra le mascelle.
-Vi prendete troppe libertà.- esclama Buffalo. -Appena ci togliamo le manette, il mio Ufficiale vi schiaccia con un solo dito, dasuyan.-
-Su, lasciali stare.- interviene Gladius. -Come ti senti, piuttosto? Sei fermo lì da…-
“Male. Come tutti. Voglio stare da solo, vattene via.” Un rivolo di sangue scorre sulla mano sinistra, dall’incavo tra il medio e l’anulare.
-Ti si è riaperta un’altra ferita. A destra, la vedi?- insiste Gladius.
“Ho la pressione alta” sbuffa Pica senza un suono. “E quegli stronzi non mi hanno cauterizzato”.
-La pressione alta?- sibila Sugar. -Con questo freddo boia?-
“Ho detto che voglio stare solo. Lasciatemi in pace.” Abbassa di nuovo la testa contro le braccia, lasciandovi ricadere sopra i capelli. Ha divelto lo chignon e le trecce di Dellinger, in qualche momento e senza più nemmeno l’elmo a dargli una qualche forma, le lunghe chiome lilla paiono spesse e pesanti come stoffa grezza.
Se il ragazzo è offeso dall’attentato alla sua creazione, non lo da a vedere. Afferra al volo il suo pane congelato e lo adagia accanto a sé. -Posso fare qualcosa per tirare su il mio Ufficiale?-
Diamante prende un respiro profondo, strofinandosi la manica sugli occhi cisposi. -Sei un angelo, Dellinger. Mi pass-sherà. Devo lasciarlo chetare.-
Si asciuga la bava a piccoli gesti, come se avesse paura di farsi altro male. È pallido come la neve oltre le sbarre, le sue mani sono scosse da tremiti incessanti. Allunga le braccia per prendere al volo la sua razione, ma il pane congelato scivola tra le sue dita e rimbalza ai suoi piedi. Se le risate delle guardie lo offendono, non lo dà a vedere.
Baby 5 aspetta che i due energumeni si siano tolti dai piedi per raccogliere da terra la sua razione. Il pane è così freddo da farle male alle dita, acqua gelida le gocciola lungo il gomito appena stringe la presa. Lo stomaco ringhia, così vuoto da toccarle la schiena.
Il cibo è prezioso, Neonata Cinque. Azzanna la crosta umida con tutte le sue forze, finché gli incisivi non bruciano di freddo e dolore.
-Aghh!-
Piomba in ginocchio, sputando qualcosa di freddo e molliccio sulla pietra. Il pane le rotola via dalle mani e scivola fino a sbattere contro le sbarre.
-Comincio a rimpiangere il riso di ieri.- sospira Buffalo, ma Baby 5 lo sente a malapena. Una mano protesa – enorme, scura, familiare – la aiuta ad alzarsi.
-Ti è caduta. Vuoi mangiarla ancora, dasuyan?-
Baby 5 biascica un sì. Stringe la pagnotta al petto, nonostante il gelo pungente: le sue mani tremano troppo per reggerla ancora.
Si accucciano sui gradini accanto a Diamante, appoggiato con la schiena al muro. Gocce di sudore scorrono da sotto il collare cervicale. La Squadra dei Combattenti, la dimezzata Squadra con Poteri Speciali, la Squadra Commando senza comandante, siede attorno a lui come pecorelle attorno al pastore. Sorride, con quella che pare fatica titanica.
-Vorrei chiedervi scusa,- mormora, -per la crisi isterica di ieri. Sarò…-
Tutte quelle “S” gli tolgono il respiro. Diamante si strappa la bava dal mento con gesti secchi, come se volesse lacerare la propria stessa pelle. -Sarò il comandante che vi serve.-
Gli tremano le ginocchia, i polmoni sembrano volergli perforare il petto. Baby 5 abbassa lo sguardo verso il pane nelle sue mani. 
-Vieni, Diamante. Sdraiati qui. Appoggia la testa sulle mie ginocchia.-
-Ora sono io…- Diamante non sembra aver sentito le parole di Machvise. Leva il capo all’indietro, nei limiti consentiti dal collare cervicale. -Il comandante. Non voglio fallire. Non…-
Si irrigidisce, quando la mano di Machvise gli sfiora la fronte. Il lottatore serra i denti, ritraendo il braccio. -Diamante, sei un forno. Mettiti giù.-
-Oh… sì, si.-
Jora conduce l’uomo a sedersi e gli carezza la fronte come se fosse il piccolo Dellinger. Lao G stacca un pezzo di pane congelato – la mollica è una polpa, ma è soffice abbastanza da farsi mandar giù – e glielo mette in bocca.
-Il mio povero Ufficiale era un uomo di carattere. Nessuna sorpresa ti piacesse così tanto.- riprende Jora. Diamante sorride, lo sguardo perso nel soffitto.
-Trebol…- c’è un singhiozzo, sepolto in quella frase smozzicata. -Trebol ci ha salvati. Io e Pica vivevamo per strada, prima. Quando passavano i Nobili Mondiali in cerca di schiavi potevamo reggere per una settimana senza mangiare, nascosti nel nostro buco.- Storce le labbra. -La principessa Scarlett non ce l’ha fatta per tre. Ha avuto la fine che si meritava.-
-Avresti dovuto ammazzargli anche la figlia.- proclama Señor Pink. -Certi genitori non meritano di esserlo.-
-Mi avrebbe rotto anche altre ossa.- ansima Diamante con un fil di voce. Con la lingua, spinge un altro pezzo di pane giù per la gola. -Dovevamo difenderci da soli, allora. Se aves… aveste visto che bambino delizioso che era Pica, non avreste saputo dirgli di no.-
Baby 5 immagina un bambino squadrato, piccoli occhi furenti e sopracciglia aggrottate in un cipiglio scorbutico. “Delizioso” non è una parola con cui lo descriverebbe. Diamante straparla, si costringe a pensare. Forse è una cosa da genitore.
Serra le labbra. Nessuno ha bisogno delle persone inutili. Di genitori non sa niente e non pretende di sapere. Diamante sorride, estatico.
-Anche Trebol era bravo a nascondersi. L’ho conosciuto a dodici anni. Aveva già le catene ai piedi, sa-sapete?-
Baby 5 impallidisce. Non può, né vuole pensarlo. Se anche fosse successo, ripete a sé stessa, lo sguardo a terra lontano dagli occhi lucidi di Diamante, è stato molti anni fa. Non era ancora nata, allora, e ben pochi uomini al mondo sono stati più liberi del Trebol che ha conosciuto.
-In verità, non so perché le portasse.-
È la voce di Sugar, fredda come le mura attorno a loro. Lao G e Jora si aprono ad ala per farla passare. Il naso della donna-bambina è affilato, gli occhi arrossati, e si stringe nelle braccia come se non riconoscesse i volti famigliari.
-Però mi ha detto una cosa, al riguardo. La notte in cui portaste via me e mia sorella.-
Monet aveva un occhio nero, coperto malamente da una manciata di fondotinta giallastro. Le mancavano un canino e due molari, ma la sua voce era stata chiara. -Non bevete! Arsenico!-
Il padrone di casa l’aveva gettata a terra con uno schiaffo, l’aveva presa a calci sotto al tavolo mentre Padroncino e famiglia sputavano il vino che avevano in bocca. “Non la rivedi più, tua sorella!”, aveva ringhiato il capo dei lavoranti. Le aveva tirato almeno tre calci sul petto prima che i fili si tendessero. Vi prego – Monet piangeva, il sangue colava a fiotti lungo il suo mento – vi prego, ho una sorellina, la tengono rinchiusa nel ripostiglio, dovete aiutarci, non abbiamo dove andare, mamma e papà si sono suicidati dopo che è nata mia sorella, mi fanno lavorare e ci picchiano, vi prego, vi prego, vi prego.
-Ne, siete libere.- Monet si era stretta Sugar al petto, squadrando Trebol con orrore. -Siete libere, e lo sarete per sempre. Avete più palle di quei bastardi lì, behehehe. Se volevano delle schiave, potevano comprarsele. Questo è solo pietoso, ne.-
Baby 5 aveva sette anni, allora, ma sembrava una donna fatta paragonata al mucchio di ossicini che non si chiamava ancora Sugar. -Siamo libere, zuccherino.- aveva singhiozzato Monet, e Baby 5 non aveva osato farsi avanti, nemmeno per una carezza. Almeno, aveva pensato, io una madre l’ho avuta.
-Ci disse di guardarle.- Sugar drizza la schiena. -E ricordare per sempre le uniche catene che mai porterà. Spezzate. Legate al n-niente.-
Serra i piccoli pugni all’uniforme, spiegazzata attorno al corpo fin troppo piccolo. Tira di nuovo su col naso. -Sono fiera di essere stata parte dell’Armata di Trebol. Gli avrò detto mille volte di morire, e l’ha fatto proprio quando non lo volevo. Trebol era libero. È morto come tale.-
Il labbro trema, a pronunciare quelle parole. Sugar corre fra le braccia di Jora e si getta nel suo seno cascante come se di anni ne avesse dieci per davvero.
Quando solleva la testa, le guance hanno un lieve lucore.
-Ora rilassati, Diamante. Devi riguardarti, sai. Finisce che ci lasci anche tu.-
-Non provare a dirlo, neanche per idea.- Dellinger solleva il pugno, sgranando gli occhi alla maniera dei Pesci Guerrieri. -Ci hanno già preso Trebol. Dobbiamo trovare un modo per andarcene.-
-Ma quale? Se ci fosse, non l’avremmo già trovato?-
Quando Gladius tace, nessuno risponde. Dieci sguardi bassi circondano il suo. Solo gli ansiti di Diamante, e il rumore sommesso di dodici mascelle che masticano, spezzano il silenzio pesante.
Si mettono a dormire tutti insieme, in un accordo silenzioso che a Baby 5 va più che bene.

Hanno entrambi le guance chiare, arrossate dal gelo, e le labbra coperte dai colletti dell’uniforme. Eppure il fischio che emettono si sente forte e chiaro.
-Vieni a scaldarti con noi, avanti.-
Baby 5 si alza e volteggia attraverso le sbarre come un’ombra. Porge la mano a uno dei due, ridendo, rossa come un pomodoro al suo nostalgico calore. Buffalo urla il suo nome, e Gladius, e tutti gli altri assieme, in una cacofonia stonata che al suo nome non assomiglia più. Le manette rimbalzano sulla neve, tintinnando.
La neve si scioglie dalle pareti, gocciolando attraverso il pavimento. “Hanno bisogno di me”, pensa Baby 5, e mai opportunità di essere utile le è parsa più dolce. Ha trovato qualcun altro così’ presto, subito dopo aver perso Sai. Sarebbe stata una brava moglie, una brava madre, una brava… non sa che posizione gli abbia ceduto Don Chinjao, ma qualunque fosse merita una consorte come si deve. Non importa: anche Miss Uholisia saprà esserlo. C’è qualcosa di meglio che la attende.
-Su, fatti scaldare.- ripete una delle guardie – non sa dire quale, sono identiche come due gocce d’acqua. Sorride, arrossisce di nuovo, porge le spalle alle sue mani. Le sue dita tracciano cerchi sulle sue scapole tese, allontanano il freddo come nebbia al sole.
Baby 5 emette un sospiro di sollievo.
-Graz…-
Un strappo, e la sua uniforme da prigioniera scivola a terra. Il vento gelido le schiaffeggia fianchi e petto. Le stesse mani che la massaggiavano le cingono i polsi dietro la schiena, una terza mano le copre la bocca e gran parte della faccia. Dovrebbe scalciare, così l’hanno addestrata: ma le sue gambe sono immobili, pesanti come le pietre delle mura.
-Abbiano bisogno di te.- dicono tutti in coro.
Un altro strappo, un lampo di dolore rosso e profondo. Le torce alle pareti accendono di fiamme i suoi muscoli nudi. La mano che la zittisce si bagna di lacrime non meno calde.
Strappano le sue ossa, i suoi nervi, i capelli neri che Jora amava tanto acconciare. -Abbiamo bisogno di te.- ripetono, finché le parole non si mescolano in un turbine di versi. Baby 5 non può urlare, calcia e graffia l’aria con gambe che non sente più. Si frantuma come una bambola sul pavimento, mentre il calderone di sangue ribolle in attesa.
-Abbiamo bisogno di te.- Ma non c’è più nulla da prendere. Baby 5 non sa quanto di lei le rimane addosso: ha gli occhi fissi al soffitto e le sue mani tremano di febbre.
Scivola verso il calderone e sprofonda come un sasso, senza più la forza di urlare.

Un sogno. Un maledetto sogno. Baby 5 ha le guance calde, la pelle appiccicosa. I capelli paiono stringhe di fil di ferro quando vi passa dentro le mani. Sono in cella con la mia famiglia, nessuno aveva bisogno di me.
Quelle parole suonano ancora più orrende mentre si mette a sedere, premendosi la mano contro il petto. Il cuore picchia contro il suo petto, i polmoni stridono a ogni respiro. Degli undici corpi che la circondano, uno solo non è sdraiato, e svetta su di lei come una montagna. Due sottili occhi gialli la fissano nella penombra con fare indagatore.
“Baby 5?” Deve sbattere le palpebre per leggergli le labbra. “Cosa ti prende?”
Siede a gambe incrociate, le gigantesche mani raccolte in grembo, gli occhi fissi sui propri palmi. Le porge la destra per farla tirare su. Anche nel buio, Baby 5 può vedere due occhiaie gonfie come il suo pollice a deformare ulteriormente i suoi tratti sgraziati.
-Ciao.- mormora. -Stai bene? Perché non dormi?-
“Faccio il turno di guardia. Piuttosto, cos’è successo?”
Quale turno di guardia? Baby 5 allontana di fretta quel pensiero. Probabilmente l’hanno organizzato mentre dormiva, e con Pica a tenerli d’occhio devono sentirsi protetti. Anche senza più punte nelle spalle e con i polsi cinti di agalmatolite, pochi non sarebbero intimiditi dalla sua statura e dalle braccia enormi. Finché non lo sentono parlare.
-Nulla. Solo un brutto sogno.- Si ravvia i capelli, tormentandosi le dita. Non sa da che verso deve guardarlo, cosa si deve aspettare. -Tu- balbetta infine, -come stai?-
“Quale parte di ‘voglio stare solo’ non capite?” scandisce lui.  Baby 5 fa d’istinto un passo indietro. Non può fare niente, si ricorda – eppure è certa che quei pugni, nonostante le manette, potrebbero abbattere nudi una parete. Il palmo della destra è ancora teso, ma la sinistra è serrata.
Pica la squadra dall’alto in basso. Le sopracciglia aggrottate si rilassano. Espira dal naso.
“Ti interessa? Ti faccio contenta: sto un disastro.”
Baby 5 non avrebbe dovuto aspettarsi una risposta diversa – eppure quelle parole mute suonano sbagliate in quella bocca. Si rimprovera mentalmente: tutto è a rovescia, a Impel Down. Cinque pilastri aveva la Famiglia Donquixiote che l’ha accolta nelle sue ali morbide. Solo due ne rimangono, ed è sempre più difficile capire quale traballi di più.
-Se ti va di parlare, sono qui.- tenta. Pica la squadra di nuovo, come se facesse fatica a distinguerne i contorni. Inarca un sopracciglio.
-Ti ascolto.- ripete Baby 5. -Nel senso, ti leggo le labbra. Puoi sfogarti.-
“Vuoi essermi utile?” Anche senza una voce ad accompagnarle, Baby 5 percepisce il tono beffardo di quelle parole. Forse lo vuole davvero, essere utile all’Ufficiale che l’ha bollata come traditrice senza nemmeno una domanda; in ogni caso non vuole pensarci troppo. Sarà sempre meglio che tornare a dormire e farsi strappare via altri pezzi.
-Puoi vederla così.- sussurra. -Ma sono qui per te. Non dirò nulla a nessuno, se ti va bene.-
Pica le volta le spalle, scende i gradini e ci si siede. Raccoglie le braccia in grembo e inarca le spalle senza più punte come per fare scudo al proprio petto. Si volta a guardarla.
“Se potessi scegliere chi essere, chi saresti?”
Ancora quel linguaggio labiale, senza un fiato, per una domanda che non c’entra nulla con niente. Con lo stomaco in una morsa, Baby 5 sussurra un “non lo so” – non può dirgli “utile”, non può e non vuole reggere una delle sue sfuriate. Raccoglie le ginocchia in grembo e si mette comoda di fianco al suo Ufficiale. Pica guarda il soffitto, come per leggervi sopra qualcosa per guidarli.
“Io vorrei essere Trebol. Avrei voluto. A lui non importa mai niente di nessuno.”
Baby 5 non ha da eccepire, e una morsa le stringe lo stomaco a leggere il nome dell’Ufficiale di Fiori. Si avvicina di un palmo a Pica prima di ricordare che la pietra non fa carezze.
“Abbiamo mangiato i Frutti tutti insieme.” continua lui. “Io, Trebol e Diamante. Nessuno di noi lo voleva, il Colla Colla, finché non si è fatto avanti lui. Come se anche ricoperto di moccio, potesse essere comunque il migliore. Io non avrei accettato nulla di meno che perfetto.”
-Anche la tua abilità è ottima.- tenta Baby 5. -Ti si addice. Sai usarla molto bene.-
Pica sbuffa. “Potrei essere alto fin oltre le nuvole, e dovrei continuare a stare all’erta. Potrei sentire qualcuno che sghignazza anche da lassù. Trebol valeva mille volte più di me, e adesso è morto perché non ho avuto le palle di alzarmi e andare in quella stanza.”
-Ehi.- Baby 5 appoggia la mano sul suo polso enorme. -Non è stata colpa tua. Trebol- ha un groppo in gola a pronunciare il nome dell’Ufficiale che non c’è più, -non si è offeso. L’ha fatto per tutti noi, e tu eri debole e stanco. Ti hanno tenuto il doppio di noi in quelle stanze.-
“E mi hanno tenuto così tanto perché…” Pica solleva il palmo della destra, come a indicare di voler chiudere la questione. “Diamante mi ha cresciuto, ma Trebol era il nostro maestro. Da cui non ho imparato niente.”
-Non devi essere come lui. Nessuno è come Trebol.- Glielo diceva sempre, quando da bambina lasciava colare il moccio dalle narici per imitarlo. Baby 5 sente la sua voce risuonare tra le pareti della cella. “Cosa fai, mi imiti? Ne, Gladius, io sono l’originale e il solo”. Sospira. Ci è voluta una ferita interna, per levare di mezzo quel vecchio lumacone, perché nulla da fuori lo tangeva.
-Non so cosa stai provando- bisbiglia verso Pica, -ma volevo anch’io bene a Trebol. Manca a tutti quanti. Vorrebbe che tu fossi fiero, ricordi?-
Pica si volta di scatto, occhi sgranati e denti serrati. Guardava così il Cacciatore di Pirati, prima che le sue tre spade gli frantumassero l’elmo ancora in testa. Baby 5 serra le labbra, costringendosi a sostenere quello sguardo.
“Trebol si aspetta troppo”, scandiscono di fretta quelle labbra tese. “E anche tu. Non posso tollerare che tu sia carina con me, non dopo quello che ti ho combinato.”
Serra il pugno della sinistra, lo depone nella destra e lo stringe. Baby 5 ha la bocca secca, e respira per idratarsi. -Il passato è passato. Non ci pensare. Se fossi arrabbiata non sarei qui a parlare con te.-
“Baby 5.” Pica depone il pugno della sinistra al suo fianco e solleva la destra fino al volto, coprendosi gli occhi. “Sei dannatamente impossibile.” Piega il collo all’indietro, ritrae le labbra dentro la bocca. Come se qualcosa, dentro la sua gola, stesse premendo per uscire.
Sospira. Il suo volto è contratto quando torna a guardarla.
-Sai tenere un segreto?-
Baby 5 sbarra gli occhi, strisciando all’indietro. Si era dimenticata, in quei giorni senza definizione, quanto fosse fuori posto quella voce in quel corpo. Non ride, non ha la voglia né le forze, ma i suoi occhi sgranati devono essere difficili da non vedere.
Annuisce e abbassa la testa, pregando che i riflessi di Pica siano stati annebbiati dalla prigionia e dalla debolezza. L’uomo non la guarda più negli occhi: ha entrambe le mani aperte di fronte a sé, e gliele porge aperte come le pagine di un libro.
Baby 5 si fa all’indietro. -Pica.- ansima. -Cos’hai fatto?-
Rivoli di sangue gocciolano lungo la sinistra, dall’indice senza unghia al gomito.

A.A.:
Dopo la finaccia di Trebol, non potevo non dedicare un po' di spazio a lui. Spazio che è stato un po' "mangiato" dalla sottotrama seguente, ma mi premeva tanto arrivare là, perché non potevo non far interagire gli unici due membri della Famiglia cui importa qualcosa dell'opinione del prossimo. Spero che comunque sia valso la pena. Ormai Trebol è andato, e bisogna ricominciare come lui stesso vorrebbe. 
Come sempre le debite spiegazioni:
1. Sul passato di Monet e Sugar si sa poco, solamente che venivano da "un ambiente terribile" da cui Doffy & Co. le hanno salvate. La mia idea le vede non propriamente schiave (non portano collari, non sono state comprate...), ma serve trattate come tali di una ricca famiglia terriera. Dopo la morte dei loro genitori, suicidatisi per la miseria quando Sugar era ancora piccola, Monet è costretta dai padroni di casa a fare da serva, viene spesso picchiata o peggio, e non può ribellarsi perché i lavoranti e i padroni se la prenderebbero con la sua sorellina. I suoi carnefici sono tuttavia abbastanza superbi da pensare di far fuori la Famiglia Donquixiote con del banale veleno: onestamente c'erano quasi, non fosse stato per Monet. La ragazza coglie nei Donquixiote qualcosa di più di una ciurma normale, e decide di tentare il tutto per tutto salvandoli da una fine indegna, e trovando una famiglia come si deve per sé stessa e la sua sorellina. Dieci contro uno che, più avanti, Oda darà loro un passato canonico completamente diverso. 
2. Molti headcanon ipotizzano che le catene spezzate ai piedi di Trebol indichino che l'uomo sia stato effettivamente fatto schiavo in passato. Non volevo scendere a conclusioni così dirette, avendo visto questa idea anche in altre fanfiction, preferendo piuttosto un'interpretazione tutta mia. Madre degenere e anche hipster, andiamo benissimo. 
3. Un "tenore leggero" o "di grazia" è un registro maschile dal campo particolarmente acuto. Ne è un esempio Kellin Quinn, cantante degli Sleeping With Sirens. Crash Thompson, del canale YouTube The Rock Critic, lo descrive come "prendete un tenore qualunque, dategli quattordici calci nelle palle e iniettategli dell'elio direttamente nei polmoni in stile Pulp Fiction, e avete ottenuto un leggero". Cosa ne sanno di opera lirica le guardie di Impel Down... mi sfugge. Avranno fatto ricerca solo per fare i bulli con Pica. 
4. L'idea dell'incubo di Baby 5 mi è venuta di getto e ne vado fiera. Spero non sia troppo truculento, anche se solo un accenno. 
5. A qualcuno sarà già chiaro qual'è il segreto che Pica sta per confessare a Baby 5. Chi non lo sa, temo, dovrà aspettare il capitolo seguente. A chi lo sa, posso solo fare i complimenti per l'acume deduttivo, nella speranza di trattare con rispetto questa tematica. 
6. La battuta sulla gara di sguardi è mia. Mi è venuta guardando lo scontro tra Pica e Zoro, in una delle innumerevoli scene in cui si fissano vicendevolmente senza attaccare. 
Alla prossima.
Lady R.
  
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