Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: LazyBonesz_    29/09/2019    1 recensioni
“Questa canzone mi faceva pensare a te”, mormorò il ragazzo, contro un mio orecchio quando la musica cambiò. Mi concentrai sul testo. Ascoltammo la canzone in silenzio fin quando, verso la fine, Eren non parlò nuovamente, quasi cantando.
“But I just cannot manage to make it through the day without thinking of you, lately.”
Accennai un breve sorriso e mi sporsi verso di lui, senza aprire gli occhi. Riuscii a baciare le sue labbra piene e sentii il sapore delle lacrime su di esse.
“Eren”, sussurrai confuso. Sollevai le palpebre e vidi qualche goccia salata sulle sue guance. Però sorrideva.
“Sono felice, non preoccuparti. E penso che ti dedicherò un’altra canzone perché questa è fottutamente triste”, mormorò e decisi di bloccare la sua parlantina con un altro bacio. Un altro ancora e ancora un altro finché non ci addormentammo con le labbra stanche ma i cuori felici.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Los Angeles - 10 aprile 2020

Levi


Le mie giornate si ripetevano uguali a loro stesse. Mi alzavo la mattina, andavo a scuola, tornavo a casa, studiavo un po' e infine dormivo. Non parlavo con Kenny e ogni tanto mi presentavo a teatro per la preparazione dello spettacolo. 
Non che mi andasse particolarmente di recitare ma lo avevo promesso ai miei amici e non volevo discutere nuovamente con loro. Inoltre, quando mi calavo nel personaggio che avrei interpretato, riuscivo a lasciare da una parte i miei problemi, fingendo che non esistessero. 
Stavo usando il teatro come terapia anche perché Mikasa aveva preferito non continuare le sedute e di andare alle feste non se ne parlava. 

Quel venerdì il mio umore non era pessimo come tutti gli altri giorni. L'idea che avrei avuto più di quarantotto ore per potermi chiudere in camera era abbastanza piacevole. 
Come ogni mattina presi lo scuolabus che passava non lontano dalla mia abitazione. Non c'era più Eren che mi dava un passaggio. 
Odiavo salire sull'autobus ed essere al centro dell'attenzione. Sentivo gli sguardi dei miei compagni perforare la mia pelle per quanto fossero intensi. Potevo quasi sentire le loro stupide domande su di me ed Eren. 

Entrai nel mezzo e mi lasciai cadere su uno dei sedili in fondo, guardando fuori dal finestrino per evitare gli sguardi che si poggiavano su di me. Dopo quasi due settimane ero ancora in grado di attirare pettegolezzi. 
Cercai il telefono e le cuffie, infilandole nelle mie orecchie per mettere della musica. Ironia della sorte, la prima canzone fu Fireside. Ero quasi sul punto di lanciare fuori dal finestrino quel dannato telefono perché non faceva che ricordarmi Eren. Fino a dieci giorni fa avevo una nostra foto come sfondo ma mi ero premurato di toglierla immediatamente. Vedere il suo sorriso spensierato mi faceva male. 

All'entrata di scuola beccai i miei amici a cui rivolsi un segno veloce. Non ero dell'umore per chiacchierare ma non era una novità. Quest'anno si era trasformato nella peggior montagna russa della storia. 

Entrai nella mia aula e scivolai su una delle sedie in fondo, prendendo i libri che mi servivano per la lezione. Aspettai l'inizio sfogliando le pagine di uno di essi, sperando che il tempo potesse passare più in fretta rispetto al solito. 

La mia ultima lezione del giorno era con Eren. Mi avviai verso la classe e lo vidi parlare con Historia. Neanche lui sembrava molto felice in questi giorni e la cosa mi faceva stupidamente piacere. Mi faceva credere che in futuro avremmo potuto chiarire. Si dice che si dovrebbe essere contenti quando chi ami è felice anche senza di te, ma non ero così di buon cuore. 
La ragazza bionda mi vide e diede un colpetto ad Eren che voltò il viso. I nostri sguardi si scontrarono e mi sentii annegare nelle sue iridi caraibiche. Avevo sempre adorato il colore dei suoi occhi, molto simile ai mari tropicali. 

Distolsi lo sguardo ed entrai in classe, non riuscivo più a sostenere il suo. Mi mancava così tanto e più cercavo di negarlo più soffrivo quando mi rendevo conto della realtà. 
Mi sedetti e per tutta la lezione decisi di guardare Eren, qualche posto davanti al mio. 
Fissai nella mente il modo in cui si passava la mano fra i capelli spettinati, come si sedeva, la sua voce quando l'insegnante chiedeva qualcosa. 
Sentivo la mancanza anche delle cose più stupide, come i messaggi senza senso che mi inviava prima di crollare. 
Le foto che lui riteneva sexy - e si, lo erano - ma  che per me diventavano l'input per prenderlo in giro. Anche i suoi baci del mattino, quelli fastidiosi. 

Ero così immerso nei pensieri che quasi non mi accorsi del suono della campanella. Tutti si alzarono e li imitai per dirigermi verso il teatro della scuola per le prove. 
Camminai fra gli studenti che andavano verso l'uscita e notai Petra poggiata vicina alla porta del teatro. Sembrava stesse aspettando qualcuno. 

La salutai con un cenno e lei mi afferrò un braccio, bloccando la mia camminata. 

"Dobbiamo parlare", esordì convinta ed io aggrottai la fronte. 

"Abbiamo le prove tipo ora." 

"Non mi interessa, vieni con me", disse senza togliere la mano dal mio braccio. Mi trascinò fuori dall'edificio e ci trovammo nel cortile della scuola, quasi del tutto vuoto. 
Io e Petra avevamo poca differenza d'altezza quindi non fu difficile trascinarmi dove voleva. 

Si fermò in un punto appartato e lasciò andare, finalmente, il mio braccio. Alzai un sopracciglio, aspettando una spiegazione. 

"Tu ed Eren. Che state combinando?" 

Dritta al punto. 

"Ci siamo lasciati, succede fra le coppie", risposi, stando sulla difensiva. Distolsi lo sguardo dal suo che sembrava voler scoprire ogni mio segreto. 

"Oh si, certo. Ma a me sembra che nessuno dei due lo voglia", continuò, afferrandomi il mento per costringermi a guardarla. Il contatto con Petra non era fastidioso, ci ero abituato. 

"E quindi? Succede anche quando non lo si vuole." 

"Levi Ackerman, smettila di rispondere da stronzo perché so che non lo sei. Non voglio darti nessun parere personale sulla questione ma si vede lontano un miglio che vi amate quindi cerca di rimettere le cose a posto", disse con decisione, lasciando andare il mio mento solo per potermi minacciare con un suo indice. 
Quasi mi strozzai con la mia testa saliva al sentire il verbo amare
Mi ero confessato ad Eren ma non lo avevo detto a nessuno. 

"Mi ama?", domandai flebilmente, pentendomi subito dopo. Non volevo inoltrarmi ancora di più nel discorso di Petra. Sarebbe stato doloroso. 

"Beh, io credo di sì. E ho saputo anche qualcosa da Jean che sta uscendo con il suo amico, quello biondino", disse saccente, curvando le labbra in un sorrisetto. Portava sempre il solito lucidalabbra alla pesca, potevo sentirne l'odore. 

Pensai a Jean e ad Armin. Un'immagine un po' strana e che non volevo mantenere nella mia testa. 

"Che diavolo dovrei fare? Mi sembra tutto inutile", borbottai, abbassando lo sguardo sulla punta delle mie Air Force. Mentirei se dicessi di non amare queste scarpe. 

"Conosci Eren da una vita, sono sicura che troverai una soluzione. Solo non... non mandare tutto all'aria", disse mantenendo il suo sorriso e poi si allontanò, tornando verso l'edificio. 
Rimasi un po' per conto mio, immerso nei pensieri. 

 

**********


Tornai a casa sentendomi esausto. Finalmente iniziava il settimana che comportava non dover vedere Eren. 

Scesi dall'autobus e camminai verso casa ma mi bloccai mentre spingevo il cancello con una mano. 

Era venerdì sera e ciò significava che Eren sarebbe stato da Ymir. Mi voltai e vidi la macchina di sua sorella. Mi venne la stupida idea di andare a parlarle. Mi sembrava l'unico modo per iniziare a trovare la soluzione di cui parlava Petra. 
Prima che potesse cambiare idea cambiai direzione e andai verso la casa degli Jaeger, suonando al campanello. 

Fu proprio Mikasa ad aprirmi e appena capì chi fossi assottigliò lo sguardo. Era sempre stata protettiva nei confronti del fratello, fino a risultare insopportabile in certi casi. 

"Hey, possiamo parlare?", chiesi dato che lei era immobile e non sembrava molto propensa a salutarmi. 

"D'accordo, entra pure", disse infine, sciogliendosi leggermente. Si fece da parte e io entrai in casa. L'odore familiare mi investì, portando a galla vari ricordi di poche settimane prima. 
Mi morsi il labbro inferiore con decisione, cercando di non pensarci. 

"Chi è, tesoro?"

La dolce voce di Carla proveniva dalla cucina. Poi la donna si affacciò e schiuse le labbra nel notarmi. Durò pochi secondi perché poi mi sorrise. 
Mi sentivo in una tana di leonesse pronte a sbranarmi per aver fatto del male al loro cucciolo. 

"Ciao, Levi. Eren non è in casa", disse semplicemente, senza nessun tipo di astio nella voce. Non sapevo cosa Eren le avesse raccontato per cui mi limitai a stringermi nelle spalle. 

"In realtà volevo parlare con Mikasa", borbottai imbarazzato. 

"Ah okay, fate pure", commentò prima di sparire nuovamente nella cucina, chiudendo la porta dietro di se forse per evitare di origliare il nostro discorso. 

Ci sedemmo nel salone e iniziai a torturare le mie mani nervosamente. Ero sempre stato bravo a rimanere calmo anche nelle situazioni peggiori. O almeno, a far finta di essere calmo per non lasciar trasparire le mie emozioni. Ma quando si parlava di Eren la mia maschera d'indifferenza cadeva. 
Mikasa mi studiava dalla sua poltrona, aspettando che dicessi qualcosa. 

"Probabilmente saprai che io ed Eren ci siamo lasciati", iniziai, cercando di trovare le parole giuste, "ed è stata principalmente colpa mia."

Lei non disse nulla e mi guardò senza lasciar trasparire alcuna emozione. Così continuai. 

"Ho provato a chiedergli scusa ma non ha funzionato. Mi chiedevo se potessi darmi una mano a capire cosa dovrei fare", mormorai le ultime parole, smettendo di giocare con le mie dita. 
Mikasa rimase in silenzio ancora per un po' poi schiuse le labbra. 

"Ho notato come il vostro rapporto è cambiato. Eren non è mai stato un tipo da feste e per te ci andava. Il suo umore dipendeva dal tuo così come ogni minuto della sua giornata. Si era quasi dimenticato del suo compleanno. 
Quella non era una relazione sana", disse e io annuii perché aveva perfettamente ragione. Non doveva dipendere da me, non doveva accudirmi ne accontentarmi in tutto. Ed era colpa mia se passava più tempo a sentirsi preoccupato che sereno. 

"Lo so e vorrei cambiare le cose, sul serio."

"Devi affrontare i tuoi problemi, Levi. Sappiamo entrambi che sono quelli che ti bloccano. Non sei cattivo e so che tieni ad Eren ma la rabbia e il rancore ti fanno comportare in modo sbagliato. Ti fanno relazionare male con le altre persone", mi spiegò. 

"So di Kenny, okay? Immagino che anche tu capisca che non è stata veramente colpa sua. In ogni caso, anche questo è legato al fatto che non riesci ancora ad accettare la morte di tua madre."

Serrai le labbra, desiderando di poter scappare da quel discorso che non volevo sentire in nessun modo. 

"E devi farlo perché non c'è altra soluzione. Solo questo ti farà stare meglio e ti farà andare avanti. E forse potrà anche aiutarti a riavere Eren", concluse, sospirando subito dopo.

"Io pensavo di farcela, di stare accettando la sua... morte", mormorai mestamente, poggiando le mani sulle mie gambe. Sentivo le dita sudate. 

"Ed era così ma la rivelazione di Kenny ti ha giustamente turbato e hai reagito in quel modo. 
Comunque Eren non si fida di te, non è arrabbiato, ha paura. Devi essere la versione migliore di te stesso per poterti riavvicinare e temo che sarà piuttosto difficile ma non impossibile." 

Annuii e mi alzai dal divano, sentendo il bisogno di tornare a casa per far chiarezza. 

"Dagli ancora del tempo, okay? Non fare stupidaggini e prova a riparlarci."

"D'accordo. Ehm, grazie", le dissi, passandomi una mano fra i capelli. Le mi rivolse un breve sorriso e mi aprì la porta. 
La salutai e tornai a casa mia.


Los Angeles - 15 aprile 2020 


Avevo passato cinque giorni a rimuginare sulle parole di Mikasa. Non avevo ancora trovato la soluzione che speravo di avere ma sapevo di voler tentare il tutto per tutto per riavere Eren nella mia vita. 

La sera di quel mercoledì decisi di andare a casa sua per poterci parlare. Fu Mikasa ad aprirmi e mi fece un cenno di incoraggiamento. 
Salii le scale con il cuore che mi martellava così forte per l'ansia che non riuscivo neanche a sentire i miei passi. 
Lentamente bussai alla porta e poi la aprii senza aspettare risposta, sperando che Eren non fosse nudo o stesse facendo qualcosa di strano. In quel caso avremmo potuto chiarire in modo più intimo. 

Lo vidi seduto sul suo divano mentre giocava alla PlayStation. Mollò il joystick e mi guardò confuso e sorpreso. Le sue labbra si schiusero leggermente. 

"Che cazzo ci fai qui?", disse a voce fin troppo alta così chiusi la porta. Mi avvicinai piano, cercando le parole giuste da dire. 
Il breve discorso che mi ero preparato era finito chissà dove nella mia testa. 

"Dobbiamo parlare", dissi. Lui scosse la testa, alzandosi in piedi per sovrastarmi con la sua altezza. 

"Ti avevo detto che non potevo più fidarmi di te", disse freddamente. Mi sentii male al sentire quel suo tono di voce, così lontano dal suo solito. 

"Lo so, so che è stata colpa mia. Ma dammi un'ultima possibilità. Mi manchi, Eren", dissi disperato. Mi sarei anche gettato sulle mie ginocchia per pregarlo di perdonarmi. 

"Mi hai spezzato il cuore, ne sei consapevole? Mi fidavo di te, sei la persona che forse mi conosce meglio e mi hai tradito. Credevo veramente nelle cazzate che mi rifilavi, fino a diventare fottutamente dipendente da te. E te ne sbattevi", continuò. Il suo tono di voce non era più freddo ma carico di dispiacere. Non era arrabbiato, era deluso e forse era anche peggio. 

Mi passai furiosamente una mano tra i capelli e li tirai leggermente per la frustrazione. 

"Mi dispiace sul serio. Ho fatto tantissime cose stupide ma ho smesso perché per colpa loro ho perso te. E dimmi, che posso fare per riaverti?", domandai, sentendomi quasi sul punto di implorarlo con tutte le mie forze. Non me ne fregava niente della mia dignità. Avevo sbagliato, ero stato egoista, ignorando i suoi sentimenti. 

"Nulla, Levi, non si può fare nulla. Non credo di potermi fidare ancora di te. Fa male anche a me non poterti avere ma so che mi chiuderei ancora di più e soffriremmo entrambi", mormorò tristemente, mostrandomi i suoi occhi lucidi. Mi sentivo morire davanti a quello sguardo pieno di sofferenza. 
Mi appoggiai alla sua porta e mi lasciai cadere per terra, sommerso dai suoi sentimenti così forti da sembrare concreti e pronti a schiacciarmi. 

"Sono un disastro, Eren, mi dispiace così tanto. E ti amo così tanto da essere disposto a lasciarti andare", mormorai con la gola che mi bruciava per il bisogno di piangere. Sentii qualche lacrima calda bagnare le mie guance. 

Eren si mise davanti a me e allungò una mano verso il mio viso, accarezzandolo con il suo pollice. Fu un contatto dolce e doloroso. Volevo di più, volevo un suo abbraccio, un suo bacio. 

"Non sei un disastro, sei fantastico. Tutti quanti sbagliamo. Avrò commesso almeno mille errori negli ultimi mesi", disse, sorridendomi tristemente. Non riuscivo a non piangere davanti alla sua espressione. 

"Non dirmi queste cose, per favore. Dimmi che sono uno stronzo e che non merito nulla. Così è peggio", singhiozzai, passandomi le mani sul viso per smettere di essere così patetico. 

"Non posso dirti delle bugie. Io ti ho perdonato e so anche che non è tutta colpa tua ma anche di ciò che ti è successo. Ma non voglio soffrire ne veder soffrire te in una relazione che non funziona", disse piano come se gli facesse male fisicamente dire certe cose. 

Mi morsi il labbro inferiore, guardandolo e cercando di non piangere ancora. 

"Puoi farmi un ultimo favore? Ho bisogno di te per farlo", sussurrai con voce roca per colpa delle lacrime. 
Eren annuì, accarezzandomi una guancia con dolcezza. 

"Accompagnami al cimitero. So che da solo non ce la farei", continuai. 
Mikasa aveva ragione, dovevo cercare di andare avanti per migliorare la mia vita. Quello sarebbe stato un altro passo verso lo stare bene. 

"Certo Levi, ci sarò", disse con un leggero sorriso. Spostò la mano dalla mia guancia e mi aiutò ad alzarmi. 
Mi sentivo esausto per tutte le emozioni. Ed ero fottutamente triste. 

"Okay. Grazie. Io vado", dissi imbarazzato e aprii la porta. 

"Ci vediamo...", sussurrò Eren. Uscii dalla stanza e poi da casa sua, sapendo che ormai la nostra storia era finita.

   
 
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