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Autore: TaliaAckerman    29/09/2019    1 recensioni
L'ultimo atto della saga dedicata a Fheriea.
Dubhne e Jel si sono finalmente incontrati, ma presto saranno costretti a separarsi di nuovo. Mentre la minaccia dal Nord si fa sempre più insistente, un nemico che sembrava battuto torna sul campo di battaglia per esigere la sua vendetta. Il destino delle Cinque Terre non è mai stato così incerto.
Dal trentaquattresimo capitolo:
"Dubhne si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e ricordò quando, al suo arrivo a Città dei Re, l'avevano quasi rasata a zero.
- Quando ero nell'Arena... - mormorò - dovevo contare solo su me stessa. Un Combattente deve imparare a tenere a bada la paura, a fidarsi solo del proprio talento e del proprio istinto. Non c'è spazio per altro.
Jel alzò gli occhi e li posò su di lei - E che cosa ti dice ora il tuo istinto?
- Sopravvivi. "
Se volete sapere come si conclude il II ciclo di Fheriea, leggete!
Genere: Azione, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'II ciclo di Fheriea'
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NB: capitolo ad alto tasso introspettivo, non uccidetemi!!!!

40








UN ANNO DOPO


Il reticolato delle stradine che componevano la zona più povera del centro di Tamithia era intricato come lo ricordava. I ricordi attraversavano la sua mente ad ondate, scene di un passato non così lontano che ora gli appariva infinitamente distante.
Era riuscito ad ottenere le informazioni che gli servivano con un po' più di difficoltà del previsto: aveva cercato la casa dell'allevatore - curioso, ma il suo nome era scivolato via dalla sua mente - pensando di andare assolutamente a colpo sicuro, ma giunto sul posto si era ritrovato davanti soltanto un rudere e una staccionata divorata dai rovi.
Era evidente che non vivesse più lì.
Contrariato, era tornato sui suoi passi e aveva deciso di rivolgersi alle Guardie Cittadine, sperando che la persona che cercava avesse avuto qualche guaio con la giustizia ultimamente.
Svoltò un angolo, e senza preavviso si ritrovò nei pressi di quella che un tempo era stata la casa di Ftia. I ruderi anneriti ancora occupavano lo spazio tra le due casupole confinanti, che invece erano state parzialmente ricostruite. Un lieve groppo alla gola lo colse a quella vista.
I tafferugli verificatisi a causa loro quasi due anni prima non non erano passati inosservati e, anzi, erano rimasti piuttosto impressi nei ricordi dei cittadini e dei soldati di Tamithia. La morte di Ftia Elbrik, l'incendio che aveva devastato la sua casa e gravemente danneggiato le adiacenti avevano fatto sì che il nome degli Elbrik acquisisse una certa notorietà in città.
Ed era in virtù di ciò che era riuscito a risalire al nome di Norah con una certa faciltà. La sua casa era a pochi isolati da quella della sorella, forse in una zona lievemente più agiata.
Senza avvertire il minimo disagio - la cosa lo sorprese: pensare a Ftia non era mai stato facile dopo la sua morte - il mago salì i due gradini che lo condussero sotto il porticato di legno. Bussò con tre sonori colpi alla porta.
Per qualche secondo pensò che non ci fosse nessuno in casa, perché non avvertì alcun movimento all'interno.
- Eccomi, eccomi - disse poi una voce di donna, accompagnata dal rumore di passi che si avvicinavano alla porta. - Chi è?
- Jel Cambrest - rispose lui sicuro. - Sono qui per riscattare il debito nei confronti di vostra sorella.
Udì la serratura scattare e dopo un paio di mandate la porta di legno si aprì. Una Ftia di qualche anno più giovane e, in qualche modo, di aspetto lievemente più aggraziato, apparve davanti a lui. Sembrava contrariata.
- Voi? - rimarcò con sarcasmo. - Non sono mica una nobile.
- Non vi conosco - ribatté Jel con semplicità. - Mi pareva d'obbligo.
- Che cosa volete? - domandò la donna aggressiva, ancora con una mano sulla porta come a intendere che avrebbe potuto sbattergliela in faccia da un momento all'altro.
- Ve lo già detto. Sono qui per ripagare il mio debito.
Norah Elbrik arricciò il naso. - Non vedo nessun forziere. Per cui, a meno che non nascondiate ottocento york sotto il mantello, non credo che...
- Ho ritenuto fosse più saggio recarmi qui da solo, senza il denaro, per parlare con voi. I vostri ottocento york sono al sicuro nella mia stanza a palazzo. Posso farveli recapitare oggi stesso, se volete.
- Smettetela di darmi del voi - proferì lei seccamente. - Mi mette a disagio.
- Siamo d'accordo allora?
Norah rimase per qualche istante a squadrarlo in cagnesco. Era evidente che non gradisse la sua presenza, ma la promessa di un pagamento così ingente era troppo allettante per essere ignorata.
- Portatemi i miei soldi il più in fretta possibile - decretò infine. - Poi non voglio più vedervi.
Jel rispose con un cenno di cortesia. Stava per girare i tacchi e tornare nel vicolo, quando la voce di Norah lo indusse a fermarsi.
- Mia sorella Ftia era una donna in gamba - disse lentamente. - Non posso credere che si sia lasciata invischiare nei vostri affari. Cosa l'ha indotta a fidarsi di voi?
I ricordi lo assalirono non graditi e, per un attimo, emozioni dolorose lo avvolsero. Alla fine scosse la testa. - Ftia era una donna che sapeva prendere accordi, e noi ne avevamo uno. Non poteva prevedere quello che sarebbe successo.
Saremmo dovuti essere noi a prevederlo.
La porta della casa di Norah si richiuse e Jel non perse tempo nell'incamminarsi nuovamente verso il centro della città. Mentre ripercorreva le stradine in senso opposto, si chiese se il senso di colpa avrebbe mai smesso del tutto di tormentarlo. Dopotutto era stata Ftia a tradirli, vendendoli a Sephirt e permettendole di tendere loro l'imboscata che era sfociata nel primo, vero duello di magia che il giovane avesse condotto alla pari nella sua vita. Soltanto che alla fine, la prima a rimetterci la vita era stata proprio Ftia.
E la stessa cosa sarebbe accaduta a lui, se non ci fosse stata Gala a frapporsi fra lui e la morte.
Da quando la loro impresa aveva avuto inizio, la strega lo aveva salvato per tre volte.
La prima fra le miti colline fuori Tamithia, quando era riuscita a guadagnare tempo impedendo a Mal e Sephirt di ucciderlo.
La seconda a casa di Ftia, quando aveva pugnalato Sephirt alla schiena un attimo prima che lei gli sferzasse il colpo di grazia.
E poi c'era quanto accaduto ad Amaria quasi un anno prima.
Se ripensava a quanto l'amica aveva fatto per lui, il giovane ancora stentava a crederci. Prima di allora aveva sentito parlare soltanto una volta della magia del sangue: quella che Jon Coleman aveva utilizzato per creare le Sei Pietre. Ora, grazie a Gala, ne aveva sperimentata una sulla propria stessa pelle. Non sapeva esattamente quanti libri la ragazza avesse dovuto spulciare, quanti maghi esperti avesse consultato, fino a quali angoli del continente si fosse spinta per venire a conoscenza di quella particolare applicazione di una branca di magia dimenticata pressoché da tutti.
Infondendo qualche goccia del proprio sangue nelle sue vene e pronunciando la formula dell'incanto Enhassen lo aveva strappato a quel limbo in cui egli aveva trascorso le settimane successive allo scontro finale con la Strega Rossa, ma il prezzo da pagare era stato spietato. Gala aveva rinunciato ai propri poteri magici pur di permettergli di tornare a vivere.
Enhassen, ripensò Jel con amarezza. In antico Eridhir significava "sacrificio". Jel era sicuro - e la cosa lo riempiva di affetto infinito, ma anche di uno sgomento molto simile al terrore - che Gala sarebbe stata disposta a dare la propria vita per lui, non solo i propri poteri.
La prima e unica volta in cui ne avevano parlato, la ragazza aveva risposto con una schiettezza e un'amara ironia che l'avevano commosso. Alla sua domanda su come avesse potuto fare una cosa del genere per lui, lei aveva scrollato le spalle. - Non ero una strega abbastanza valida per anteporre i miei poteri a te.
A quelle parole Jel l'aveva abbracciata e l'aveva tenuta stretta a sé per quella che era parsa un'eternità. Non sarebbe mai stato in grado di sdebitarsi del tutto con lei.
Fu nella piazza centrale di Tamithia in meno tempo di quanto avesse impiegato all'andata per raggiungere la casa di Norah. Il marmoreo palazzo reale ariadoriano si stagliava contro il cielo sereno splendido come sempre.
Una volta giunto in cima alla scalinata presidiata come sempre da due Guerriere avvolte nei loro mantelli, gli fu sufficiente un cenno del capo per essere lasciato passare.
I tempi erano cambiati rispetto a quelli della Ribellione, si disse il giovane con un sorrisetto mentre i portoni della reggia dei sovrani dell'Ariador si spalancavano. All'epoca non si sarebbe potuto nemmeno sognare di entrare così facilmente in un palazzo reale. Quante volte lui e Gala erano stati costretti a mostrare le spille d'appartenenza al Gran Consiglio, a esibire documenti o, addirittura, ad avere bisogno che un maestro si facesse garante per loro? Uno strano pizzico in fondo allo stomaco lo punse a quei ricordi. Era lo strano paradosso del passato: per quanto i due anni scarsi in cui la Ribellione era stata al centro dei loro pensieri fossero stati i più duri e spietati della loro esistenza, Jel non riusciva a non provare una sorta di nostalgia nel ripensare a tutte le avventure - anche se forse sarebbe stato meglio chiamarle disavventure - che lui e Gala avevano condiviso. O forse era più che altro nostalgia nei confronti di quel sé stesso ancora così giovane e inesperto, che pure aveva dovuto cimentarsi con così tante sfide, e così tanti pericoli. La guerra del Nord era stata il suo banco di prova, il più arduo che si potesse immaginare, e lui ne era uscito irrimediabilmente mutato.
- Maestro Cambrest - lo accolse all'interno la voce di un valletto in livrea appostato appena oltre l'ingresso. - Mi sono permesso di dare disposizioni alla servitù affinché ripulisse e arieggiasse la vostra stanza. Se avessimo saputo prima del vostro arrivo...
Jel gli fece gentilmente cenno di non preoccuparsi e tirò dritto in direzione della scalinata che conduceva ai piani superiori. Davvero non aveva pensato, al momento della sua partenza da Città dei Re, a spedire un corvo a Tamithia che annunciasse il suo imminente arrivo.
Sentirsi chiamare maestro produceva ancora su di lui una sensazione strana. Compiacimento, senza dubbio, ma anche disagio. Quel titolo lo costringeva a pensare ogi volta a ciò che le Cinque Terre avevano perso nella guerra passata, tra cui vi erano ben due maestri dello Stato dei Re.
Anérion, morto eroicamente nella battaglia del Santuario battendosi contro Theor in persona. E prima ancora Camosh, il loro mentore, l'uomo a cui lui e Gala dovevano la propria formazione politica e larga parte di quella nella pratica della magia. Ma soprattutto, l'amorevole e severa figura di riferimento su cui il giovane aveva potuto contare dopo la morte di suoi padre.
La votazione si era tenuta pochi giorni dopo il suo ritorno, redivivo, a Grimal. La notizia che Jel Cambrest fosse risorto dal mondo dei morti aveva già fatto il giro pressoché dell'intera Fheriea. Caso aveva voluto che il mandato ad interim dei nuovi maestri nominati poco dopo la battaglia di Amaria fosse a pochi giorni dalla scadenza e lui, come Consigliere, era stato convocato nella capitale per partecipare al voto. Il Re in persona aveva insistito con tale veemenza affinché si candidasse a quell'incarico che il giovane non aveva potuto rifiutare. Non che l'idea gli dispiacesse, naturalmente: in fin dei conti, diventare maestro dello Stato dei Re era stato il suo sogno fin da quando aveva cominciato l'addestramento nelle arti magiche. Certo, anche quando aveva intrapreso la propria carriera politica e il sogno si era trasformato in qualcosa di un po' più concreto, non si sarebbe mai aspettato che potesse accadere così presto. Jel era rimasto sgomento nel vedere la quasi unanimità dei Consiglieri dello Stato dei Re assegnare a lui il proprio voto.
Quando l'Altissimo di Città dei Re gli aveva posto sul capo la corona di gigli che suggellava simbolicamente il suo ingresso nell'ordine dei maestri, il ricordo della verità che Gala gli aveva confidato aveva attraversato la sua mente dandogli per un istante l'impressione di stare sbagliando tutto. Decidendo di non rivelare a nessuno la propria natura di Ves'dyn'doev, si era sottratto a un destino che in molti avrebbero ritenuto fermamente vincolante.
La cerimonia della sua investitura si era conclusa con la sua firma nelle pagine dell'albo cremisi e il suo giuramento di fedeltà al proprio nuovo ordine.
Ormai quel che è fatto è fatto, aveva pensato. Il suo segreto sarebbe morto con lui.
Quando Gala gli aveva raccontato del proprio incontro con il custode Ryeki e del motivo per cui lui, Jel, era sopravvissuto allo scontro con Sephirt, la prima reazione del Consigliere era stata il rifiuto. L'idea di essere in qualche modo un prescelto della Magia non lo aveva mai neppure sfiorato, ma in quel momento lo aveva terrorizzato.
I Ves'dyn'doev erano estremamente rari. Nella maggior parte, coloro che si manifestavano venivano precettati affinché diventassero Alti o, nei casi più rari, Custodi. Se avesse accettato la propria natura e l'avesse resa pubblica, avrebbe dovuto rinunciare alla sua carriera politica. La sua intraprendenza, il suo fervore, la sua ostinazione persino, sarebbero state fustigate per sempre.
E, anche se non avrebbe desiderato ammetterlo, aveva impiegato pochi istanti per maturare in cuor suo una decisione: che le parole del custode fossero veritiere o meno, nessuno aldilà di lui e Gala avrebbe dovuto venirne a conoscenza.
Jel fece scattare la serratura della porta che gli stava davanti ed entrò nella camera che era appartenuta ad Anérion e, prima ancora, a Camosh. Il valletto aveva avuto ragione: le ampie finestre spalancate permettevano a una piacevole brezza estiva di refrigerare l'ambiente.
La stanza era più grande di quella che il giovane era stato solito occupare di quasi il doppio. Un immenso letto a baldacchino troneggiava a ridosso della parete di destra, diametralmente opposto al camino che si trovava dall'altro lato. Una scrivania lunga almeno tre metri era adagiata di fronte alle finestre in modo da ricevere più luce possibile, unita a uno scranno che pareva piuttosto un trono. Ai piedi del letto si trovava un ampio baule che, probabilmente, Jel non sarebbe riuscito a riempire nemmeno se si fosse portato dietro tutto il proprio vestiario e, accanto ad esso, un tavolino rotondo su cui erano poste una bacinella e una brocca colma d'acqua fresca. Tappeti pregiati e arazzi completavano il quadro senza tuttavia renderlo eccessivamente opulento.
Jel si sedette sul letto ed estrasse dalla tasca la chiave del forziere di medie dimensioni che vi era adagiato; nell'aprirsi esso rivelò il contenuto: ottocento york d'oro che attendevano solamente di essere recapitati al loro nuovo proprietario, Norah Elbrik.
Il mago sorrise lievemente: finalmente avrebbe estinto il proprio debito e chiuso quel capitolo per sempre. Dopo tanto tempo anche il senso di colpa per la morte di Ftia si era affievolito; in effetti, nei mesi prima di recarsi a Tamithia per incontrare Norah il pensiero lo aveva sfiorato in poche occasioni. In cuor suo aveva sempre saputo che l'unica responsabile del proprio fato era stata la stessa cacciatrice. Ftia li aveva accolti in casa sua, certo, ma solo con la promessa di una lauta ricompensa; ma non erano stati loro a chiederle di inoltrarsi nella foresta il giorno in cui quel Letjak l'aveva ferita mortalmente. E la decisione di consegnarli a Sephirt era stata esclusivamente sua. Eppure, la consapevolezza di averla coinvolta lui in quella storia era stata sufficiente a farlo macerare nel rimorso per molto tempo.
Quello poteva essere l'atto conclusivo che avrebbe simbolicamente chiuso il ciclo che si era inaugurato in quella riunione del Gran Consiglio di tanto tempo prima, quando si era offerto volontario per radunare le Sei Pietre.
Sarebbe stato tutto perfetto, non fosse stato per lei.
Finché il suo ricordo fosse rimasto impresso nella sua memoria e nel suo cuore, Jel era cosciente che quel capitolo non sarebbe mai finito.
Il giovane estrasse un tonico dalla credenza incassata nella parete adiacente alla porta. Era stanco, più di quanto si sarebbe aspettato. Ma i lunghi mesi di lavoro quasi ininterrotto come nuovo maestro dello Stato dei Re pesavano sulle sue spalle quasi quanto lo avevano fatto quelli trascorsi a Città dei Re come apprendista di Kryss.
Il mago versò una piccola quantità del liquido azzurrino in un bicchierino e ne vuotò il contenuto.
Non avrebbe dovuto potersi sentire meglio di così. La Ribellione era stata sedata, i suoi gerarchi quasi tutti processati e giustiziati. Un'amnistia generale era stata concessa a tutti i guerrieri Ribelli catturati e Hareis Von Hilsen era stato graziato e incaricato di nominare nuovi ministri che componessero il Consiglio delle Terre Nord e di ridare un assetto politico alla nazione fino al momento in cui Robyn II avesse raggiunto la maggiore età. Degli emissari delle Cinque Terre avrebbero monitorato il suo operato ed espresso un giudizio dopo un arco di tempo di cinque anni. A quel punto le Terre del Nord avrebbero potuto disporre del proprio destino.
Nathaniel Theor era morto. Sephirt, la Strega Rossa, l'incubo di ogni uomo fedele alle Cinque Terre, era morta. E l'aveva uccisa lui, traendo da questo gloria e l'eterna riconoscenza del Gran Consiglio.
Eppure, il giovane era sicuro che la vittoria avrebbe avuto un sapore più dolce con Dubhne al proprio fianco.
Davvero aveva pensato che avrebbe potuto scegliere lui invece di Jack? Le parole che la ragazza aveva lasciato a Gala affinché gliele comunicasse erano state cristalline a proposito: mi dispiace. Jack era morto, come Jel aveva scoperto poco dopo il proprio risveglio, e in quel momento Dubhne aveva rinunciato a tutto. Era fuggita senza lasciare traccia, tranne quella che aveva scavato nel suo cuore. Dopo essere divenuto maestro, una volta assolti i principali doveri che gli competevano nella delicata situazione politica a seguito della fine della guerra, Jel aveva provato a cercarla; si era detto che avrebbe ispezionato ogni angolo di Fheriea per trovarla, ma l'amarezza della verità l'aveva investito molto presto: di fatto non sapeva nulla di lei, non aveva idea di chi fosse stata prima di diventare la Ragazza del Sangue. Non aveva una pista, non aveva indizi, non aveva idea di dove potesse trovarsi.
Ma non si era perso d'animo ed era partito dall'unico punto fermo di cui era a conoscenza nella vita della ragazza: la squadra di Combattenti di Malcom Shist. Non appena aveva saputo che la squadra era tornata in città dopo il consueto viaggio di reclutamento, si era recato a Palazzo Cerman e, forte del proprio nuovo ruolo di maestro, era riuscito ad ottenere un colloquio con Malcom su come Dubhne fosse entrata nella squadra. Aveva saputo che la ragazza era stata venduta a lui da un uomo di nome Archie Farlow, originario di Chexla. Ma Jel non si era accontentato e aveva interrogato tutti i Combattenti della squadra, sperando di scoprire qualcosa di più: era stata una giovane dai capelli neri e i tratti affilati a rivelargli che quella dei Farlow non era la sua vera famiglia e Dubhne era stata adottata. Solo in quel momento il mago aveva ricordato un attimo rubato a parlare insieme a Dubhne, tanto tempo prima sulla strada per Grimal, l'unica volta in cui la ragazza aveva accennato qualcosa sul proprio passato.
Si era recato a Chexla sperando di trovare lei o almeno qualcosa che potesse servire a rintracciarla. Aveva chiesto informazioni su Archie Farlow ed era riuscito a risalire a lui senza troppe difficoltà. Ciò che aveva udito da lui lo aveva sconcertato, ma d'altra parte gli aveva dato modo di comprendere ben più a fondo di quanto aveva creduto certi aspetti del carattere di Dubhne.
L'uomo era stato disposto a parlare a lungo di colei che era stata a lungo la sua figlia adottiva; Jel aveva percepito in lui, anche dopo tutto quel tempo, un rimorso e un biasimo per se stesso davvero insostenibile.
Secondo le informazioni di Farlow si era spinto fino al confine sud-orientale delle Stato dei Re, a Célia. Scoprire che da piccola Dubhne era stata sfruttata come una schiava nella stesa sartoria che forniva gli abiti dei Consiglieri dello Stato dei Re gli aveva dato la nausea. Ma neanche a Célia aveva avuto successo, e quando aveva chiesto informazioni su di lei al proprietario della sartoria, un certo signor Tomson, questi si era rifiutato di parlarne e si era congedato da lui in fretta.
Così si erano esaurite le sue piste. Alla fine era stato costretto ad accettare che Dubhne semplicemente non volesse essere trovata. Era scomparsa, lasciando tutto quanto, lasciando lui.
  
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