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Autore: Roiben    30/09/2019    0 recensioni
[Arsène Lupin (Maurice Leblanc) – Sherlock Holmes (Arthur Conan Doyle)]
Quando si ha per le mani un caso delicato e la concreta possibilità di fallire, nella migliore delle ipotesi, o di venire arrestati nella peggiore, in che modo risolvere un problema che sembra non avere sbocchi? A chi chiedere un estremo aiuto? Quando un uomo probo è disperato, prende decisioni disperate.
|Revisionata 11.08.2020|
Genere: Avventura, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, John Watson, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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10 - Incontri, scontri, preparativi e contromisure 

 

 

 

 

 

Stanno ancora camminando, lungo una strada piuttosto affollata questa volta. Per loro fortuna non piove, se non altro; laltro lato della medaglia è che tutte le vetture o sono già partite oppure già occupate. Pare infatti che siano incappati in un orario balordo in cui chi è fuori cerca il modo di tornare a casa e chi invece è a casa vuol a tutti i costi uscire fuori. “Gente indecisa” si ritrova a pensare Cyril, mugugnando fra sé. 

 

Arsène Lupin si volta e fissa con curiosità il proprio cameriere personale. «Che ti succede, mio buon Cyril? Non mi dire che sei stanco» insinua ironico. 

 

«Potrei dirlo, signore, poiché in effetti è la pura verità. Ma non è questo il motivo per cui mi trovo di malumore». 

 

«Oh? E quale sarebbe, dunque?». 

 

«Questo: dal momento che avevamo stabilito che sarebbe stato saggio per voi prendervi un breve tempo di riposo, è seccante che si debba essere ancora nellimpossibilità di attuare tali proponimenti». 

 

Scuote la testa, sorridente. «Non serve che tu stia in pensiero per me. Sto molto bene, ora; la mia mente è meno oppressa e più svelta. Merito tuo, dopo tutto, e quindi non ti angustiare e anzi sii lieto». 

 

«Sarò realmente lieto quando saremo di nuovo a Parigi» borbotta Cyril, poco persuaso da quel cambio repentino di umore. È un po lunatico, il suo padrone, e non se la sente di contare troppo sulla sua attuale buona disposizione danimo. 

 

«Non ti garba Londra?» si interessa. 

 

«È sporca. Puzza. Ed è abitata da molta gente incivile e altrettanto sporca» elenca Cyril con spietata efferatezza. 

 

Lupin ride, divertito. «Ti concentri solo sugli aspetti negativi. Tutto quello che hai detto è vero, ma cè molto altro, particolari che sembrano sfuggire alla tua attenzione e al tuo interesse». 

 

«Che tipo di particolari, signore?» si ostina Cyril, dubitando che possano davvero controbilanciare i lati negativi. 

 

«Cè fermento che permea questo luogo. Lanima delle persone sembra costantemente alla ricerca di una direzione, di un cambiamento, di qualche cosa di nuovo e mai sperimentato. Cè una sorta di apertura mentale latente e pronta a esplodere con gran fracasso. E inoltre...». 

 

E inoltre ci sono i borseggiatori. Uno di questi, per la cronaca, ha appena urtato Arsène Lupin, nellarrogante idea di sottrargli i suoi averi. Ma poiché il suddetto Arsène Lupin si è voltato con un brusco gesto impedendo il misfatto, il borseggiatore in questione ha palesemente tentato la fuga; fuga che è stata bloccata sul nascere e senza troppe remore. 

 

«Fermo un po, tu! Sciocco mariuolo, dove pensi di scappare con quelle gambette secche e malnutrite?» esclama, trattenendo il furfantello, abbigliato rozzamente come un monello da strada, per un braccio sottile. Con sua somma costernazione, dal ragazzino che trattiene con forza proviene un singulto e un gemito che lo fanno sussultare. Allenta un poco la presa con lintento di non arrecagli ulteriore sofferenza e, piano, gli si accosta, voltandolo con gentile decisione e sollevandogli il mento con la mano rimasta libera. «Ah! Una ragazza» soffia appena, suo malgrado sconvolto dalla notizia imprevista. «No, ferma, smetti di agitarti. Non ti faccio nulla» mormora con dolcezza, nel tentativo di calmarla. Losserva con intensa concentrazione negli occhi; occhi verdi, spaventati, gli stessi occhi di un animale braccato. «Sei troppo giovane per avere questi occhi così sofferenti» le sussurra con un tenero sorriso. «Non devi avere paura di me. So che a vedermi non si direbbe, ma sono un gentiluomo, sai?» scherza con leggera delicatezza, muovendo le dita sul suo polso sottile per alleviare il dolore della stretta precedente. Affonda la mano libera nella tasca della giacca e ne estrae alcune monete dargento che posa sul piccolo palmo della ragazza. «Ecco, prendi. Spero che il tuo padrone non te le sottrarrà. Usale per comperarti qualche cosa da mangiare; sei così magra» si rattrista, osservandole le spalle sottili e il collo che sembra reggere a stento la testa sormontata da un berretto di lana lacera. 

 

Lei non ha mai pronunciato una sola parola. Si è limitata a fissarlo tremante di spavento, dapprima, e poi con sorpresa mista a soggezione. E quando luomo ha ritirato la mano che ancora si attardava sul suo braccio ha fatto tre passi indietro per poi voltarsi e correre via, alla massima velocità consentitale dalle proprie forze. 

 

Lupin si volta, dopo diversi attimi spesi a seguire la direzione presa dalla ragazza, e incontra lo sguardo di Cyril che riflette il suo, desolato. «Ecco che il tuo giudizio sembra prendere maggior valore rispetto al mio, Cyril» ammette contrito. 

 

«Vi sentite bene, signore?» si preoccupa Cyril. 

 

Nega, con un gesto fiacco della testa. «No, mon ami. Quella ragazza sta morendo di fame. Perché succede? E io, che cosa sto combinando di buono perché non accada? Sciocco». 

 

«Signore, non siete certo responsabile della sua vita. Nemmeno la conoscete» protesta. «E poi le avete dato del denaro» gli ricorda, ansioso. 

 

Ride, ma è una risata vuota e priva di allegria la sua. «Il suo padrone se lo prenderà tutto. A meno che non si faccia furba e lo vada a spendere prima di tornare nel buco in cui sta per sopravvivere». Cammina e cammina, girando in tondo con la mente tormentata da infauste previsioni. 

 

Cyril lo segue con lo sguardo per diversi minuti, poi, non riuscendo più a sopportarlo, si fa avanti e gli si para a fianco. «Signore, vi prego, fermatevi! È andata, ormai. Per oggi non possiamo fare altro. Non fatevi del male in questo modo. Troverete certo una soluzione, ma domani, a mente lucida» promette, pregando di riuscire a placarlo almeno per quella sera. 

 

«Sì» soffia, incerto, guardandosi attorno smarrito. «Sì, hai ragione tu, mio buon Cyril». Sorride, di un sorriso un po tirato, ma questa volta sincero. «Come sempre, del resto». 

 

 

 

Sono passate da poco le dieci di mattina quando bussano alla porta. Cyril si augura che non ci sia nessuno di quei noiosi borghesi laccati che intenda chiedere del conte dAndrésy e delle sue condizioni di salute, o teme che non riuscirà a controllarsi e dovrà proprio prenderlo a pugni in faccia, e allora il borghese di cui sopra dovrà preoccuparsi delle proprie di condizioni di salute. Quando socchiude luscio, tuttavia, ritrova ad attendere con poca pazienza niente meno che linvestigatore Holmes, che lo fissa, ricambiato, con uno sguardo truce. 

 

«Signore» saluta rispettosamente Cyril. «Sono veramente desolato di dovervi informare che avete scelto decisamente il giorno sbagliato per una visita di cortesia» avverte, sentendosi stranamente magnanimo nei suoi confronti. 

 

«Non si tratta affatto di una visita di cortesia» replica Holmes in tono asciutto. «Ho lurgente necessità di parlare con il vostro padrone, e devo assolutamente farlo oggi». 

 

Cyril lo soppesa con una certa perplessità. Fa spallucce, infine, e gli apre la porta per farlo entrare. «A vostro rischio, signore. Prego» lo invita, con poco entusiasmo e maniere ben poco rassicuranti. 

 

«Conosco la strada, grazie» lo anticipa Holmes, senza avvedersi del fatto che Cyril non ha la minima intenzione di accompagnarlo (non è mica matto, lui). 

 

Quando linvestigatore, salito al primo piano con una certa impazienza, si fa incontro alla porta che la volta precedente ha identificato come entrata alla sala di ricerca e allenamento, il suo udito intercetta suoni differenti, più marcati rispetto a quelli della visita di qualche giorno prima. Perplesso, inizia a sentirsi a disagio e un po preoccupato, ma presto rammenta il motivo per cui si trova lì e scaccia i pessimi presentimenti deciso a risolvere il prima possibile quellincontro. Poggia una mano sulla maniglia, labbassa e schiude luscio per annunciarsi. Quello che succede, invece, è che il suo sguardo non ha il tempo di individuare il padrone di casa che già si ritrova pesto e dolorante, raggomitolato a terra a ridosso della parete opposta del corridoio. Prova a rimettersi in piedi, geme e ritorna ad affannare al suolo senza fiato. 

 

«Monsieur Holmes! Che fate qui?» sbraita Lupin, anche se più che unesclamazione il suo è molto più prossimo a un ringhio infuriato. 

 

Alla voce alterata del padrone di casa fanno seguito le sue lunghe gambe ricoperte da pantaloni di taglio sportivo che si accostano alla visuale di Holmes. Con un poco di fatica, solleva appena la testa e vede laltro piegato verso di lui e intento a fissarlo duramente e a tastarlo in un modo che linvestigatore giudica irrispettoso. 

 

«Smettete immediatamente di toccarmi» borbotta rauco e sfiatato, tentando invano di scrollarselo di dosso. 

 

«E voi dovreste cessare di divincolarvi. Sto controllando se non abbiate qualche cosa di rotto. Ma se insistete posso sempre lasciarvi a marcire nel mio corridoio e tornarmene di là a tirare calci al mio manichino» replica scontroso Lupin. 

 

«Siete un padrone di casa ben poco ospitale» gli fa notare Holmes, che nel frattempo si è deciso a rimanere fermo e buono mentre laltro lo esamina. 

 

«È il giorno sbagliato, se vi aspettate ospitalità, Monsieur. E comunque il vostro modo di entrare in casa degli altri non è affatto appropriato. Si suppone che il ladro sia io, ma da come vi aggirate, dovrei pensare il contrario». Sbuffa, irritato e molto nervoso. Si rimette in piedi e scrolla le spalle e le braccia con vigore. «Nulla di rotto, comunque, solo qualche contusione. Sono certo che il vostro docteur Watson si limiterà a prescrivervi qualche unguento e un paio di giorni di riposo... Che voi ovviamente rifiuterete perché siete un uomo fin troppo testardo». Detto ciò lo lascia lì in corridoio a smaltire le fitte di dolore e come annunciato torna in sala a tentare di demolire linnocente fantoccio che ha come unica colpa quella di appartenergli. 

 

Dopo aver ripreso un po di fiato e di colore in viso, Holmes si attarda a osservare il suo poco ospitale padrone di casa e non manca di chiedersi cosa possa averlo turbato in quel modo. Poi la testa del fantoccio salta allaria andando a sfasciarsi contro lo specchio sul lato opposto della sala e linvestigatore sussulta e rabbrividisce. Quel che è certo è che non sta male, non fisicamente, data lagilità e la destrezza che dimostra; ma di sicuro non può affermare altrettanto delle sue condizioni psichiche. Ora soltanto gli torna alla mente lavvertimento del cameriere personale, e con tardivo rincrescimento è costretto ad ammettere che forse (ma solo forse) non avesse tutti i torti a consigliargli di rimandare lincontro. 

 

Trascorre quasi unora prima che Arsène Lupin appaia sufficientemente provato da fermarsi e tornare a riflettere con sufficiente lucidità. Allora si volta con incertezza verso il corridoio ancora visibile oltre la porta lasciata spalancata e lì ritrova Sherlock Holmes, il quale non si è mosso di un palmo da lì ma in compenso è rimasto a fissarlo con inquietante interesse. Le sue labbra si piegano in una smorfia contrita; si passa con frustrazione le dita fra i capelli umidi e scompigliati. Sospira. 

 

«Ah, Monsieur Holmes... Io... Pardonnez-moi, mi dispiace davvero molto per avervi colpito. Non so come... Ah!» esclama confuso e disperato. 

 

Holmes, apparentemente disinteressato alle richieste di perdono del ladro francese, si rialza finalmente da terra, borbottando per le occasionali fitte di dolore, e si decide a entrare, ritenendo non ci sia più pericolo di morte imminente e dolorosa nellavvicinarsi al padrone di casa. 

 

«Che cosa vi è accaduto? Perché sembrate tanto sconvolto?» si risolve quindi a chiedere, troppo curioso di venire a capo di quel dilemma. 

 

Lupin decide di raccontargli a grandi linee ciò che ha fatto negli ultimi giorni, e in seguito anche ciò che è accaduto la sera precedente. «E poi sono andato a letto, e speravo davvero che in qualche modo questa mattina avrei visto la situazione sotto una luce nuova. Ma non è stato così, purtroppo. Sembra che nulla sia cambiato, tranne la mia frustrazione che invece è aumentata di parecchio. E quel vostro maledetto segretario non si è ancora visto, e avrei un gran piacere nello spezzargli le gambe alla prima occasione in cui mi capitasse sotto tiro. Ma suppongo non sia possibile, ciò, a meno di non volersi trovare a marcire in qualche umida segreta delle prigioni londinesi, nest-ce pas?». 

 

«Concordo» commenta sintetico Holmes. «Che genere di disciplina è quella nella quale eravate impegnato pocanzi?» si informa invece. 

 

Lupin cruccia le sopracciglia, spiazzato. «Savate» replica atono. 

 

Holmes reclina il capo di lato, pensieroso. «Temo di non averne mai sentito parlare» si rammarica. 

 

«La chiamano anche boxe francese. Ma in verità è un po più complessa. Si avvicina più a unarte marziale, perché coinvolge molte parti del corpo. Me linsegnò mio padre... Beh, prima di finire incarcerato negli Stati Uniti e poi morto stecchito in cella, si capisce» commenta con sarcasmo. «Era un uomo poco pragmatico e previdente, mio padre». 

 

«Davvero? Che cosa faceva per vivere?». 

 

«Era impiegato come maestro di ginnastica; faceva anche listruttore di boxe e arti marziali. E nel tempo libero il ladro. Sapete: per arrotondare» riassume ironico. 

 

«Hum! Certo, immagino» commenta, scuotendo la testa. 

 

«Era un uomo molto forte e scaltro; sempre allegro e sorridente, o per lo meno lo era con meE tuttavia usava poco il cervello. Di certo farsi beccare dalla polizia americana non è stata una trovata molto intelligente, se posso dire la mia». 

 

«Dunque fu per questo motivo che vostra madre riprese il suo nome da nubile» riflette Holmes. 

 

«Oui, è proprio così. Ma oramai non poteva più contare sul supporto della sua famiglia, che non aveva visto di buon occhio lunione con un uomo di quel genere. Ah, nobili: gente meschina, di cui non ci si può fidare» esclama in un moto di malcelato rancore. 

 

«Intendete dunque cercare la fanciulla, ne deduco» si interessa, incerto se essere in apprensione per lapparente perdita di tempo che porterà ad allontanare da loro la soluzione del suo caso, oppure favorevolmente impressionato che quel semplice dettaglio abbia deragliato lattenzione del ladro da una missione della massima importanza a favore di unidea quasi utopica. 

 

«Se non posso avere sotto mano il vostro segretario Ashley-Cooper, ebbene, ho intenzione di levarmi il prurito spezzando le gambe del padrone di quella povera ragazzina denutrita. Oh, potete pure provare a farmi cambiare idea. Prometto che non vi metterò le mani addosso» scherza. 

 

«Non ne ho alcuna intenzione» nega Holmes, scuotendo la testa. 

 

«Unottima notizia, tanto per cambiare. Eh bien, come mai, in definitiva, siete qui?» si interessa a un certo punto, dato che non può certo trattarsi di un caso. 

 

Holmes lo fissa, serio, e annuisce. «Ho ricevuto la notizia da Scotland Yard, che è stata informata da Westminster Palace: a quanto sembra sir Dominick ha in progetto una partenza a breve». 

 

Lupin sgrana gli occhi e si rimette bruscamente in piedi. «Come? Parte? E per dove, il maledetto?». 

 

«LAustria, mi dicono. Ma è abbastanza evidente che si tratti di un mero pretesto». 

 

«Porta fuori paese quella lettera» ringhia Lupin, camminando avanti e indietro per la sala come una belva in gabbia. «No, no! Csfuggirà da sotto il naso! Quando parte?». 

 

«Cinque giorni da oggi» lo informa sintetico. 

 

I suoi occhi si fanno ancora più grandi, poi assottiglia le labbra e stringe i pugni. «Bene, dovrà proprio trovare qualcun altro che vada in Austria al suo posto, dopo che gli avrò fatto una visita di cortesia» sibila. 

 

Holmes socchiude le palpebre, sospettoso. «Che cosa intendete fare?». 

 

«Non datevi pensiero. Quel che importa è che non se ne vada con il vostro documento» taglia corto Lupin. 

 

Linvestigatore, turbato, gli si fa più accosto. «Non farete qualche sciocchezza, vero?». 

 

«Definite sciocchezza» replica acido. Poi sbuffa. «Ma no, nulla di tutto ciò. Il piano di ottenere un invito a casa sua è ancora valido, in realtà. Ha solo bisogno di una piccola spinta nella direzione giusta. E ho intenzione di provocarla entro domattina, prima di fare una passeggiata di svago giù ai quartieri poveri. Per distendere i nervi, vous savez» assicura con un sorrisetto calcolatore e sinistro. 

 

Chissà per quale ragione, Holmes non si sente per nulla rassicurato e con lo sguardo prega Lupin di non commettere pazzie che farebbero precipitare la situazione nel baratro di una possibile guerra. 

  
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