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Autore: Roiben    03/10/2019    0 recensioni
[Arsène Lupin (Maurice Leblanc) – Sherlock Holmes (Arthur Conan Doyle)]
Quando si ha per le mani un caso delicato e la concreta possibilità di fallire, nella migliore delle ipotesi, o di venire arrestati nella peggiore, in che modo risolvere un problema che sembra non avere sbocchi? A chi chiedere un estremo aiuto? Quando un uomo probo è disperato, prende decisioni disperate.
|Revisionata 11.08.2020|
Genere: Avventura, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, John Watson, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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11 - La rete 

 

 

 

 

 

La rete di Lupin, la definisce colui che le ha fornito il nome e i mezzi. Allatto pratico si tratta di semplici persone, gente di tutti i giorni, che si può incontrare con facilità allufficio postale, in banca, dal macellaio, dal dottore e, perché no, al dipartimento di polizia. Arsène Lupin ha le sue piccole, invisibili pedine che si muovono nei tempi e nei modi da lui stabiliti, come un perfetto meccanismo efficiente, ben oliato e sincronizzato, nel quale ogni rotella ha la sua funzione precisa e a sé stante, che lavora alle dipendenze di uno scopo principale. Ed ecco come, la sera precedente, alla porta sul retro di casa sua si presentano alcune persone che non sembrano centrare nulla luna con laltra, eppure ognuna di quelle persone si trova lì per uno scopo, e quello scopo è fare rapporto, ovvero consegnare informazioni utili al padrone di casa. 

 

«Per essere un segretario, capo, questuomo si fa vedere molto di rado nel suo ufficio. Cè stato ieri, per quasi tre ore». 

 

«E poi? Dovè stato, prima? Dove, dopo?». 

 

«Prima è stato convocato da Patrickson, il vice-capo di Scotland Yard, direttamente al distretto. Ci ha trascorso più o meno unora e tre quarti. Quando è uscito aveva una faccia scura e un plico di fogli che quando è arrivato non aveva». 

 

«Daccordo. E dopo?». 

 

«Dopo si è recato dalla vedova Sterlish, in Holland Park». 

 

Spalanca impercettibilmente gli occhi e si fa di poco più vicino al suo interlocutore. «Davvero? E sappiamo il motivo di questa visita?». 

 

«Non di sicuro, capo. Ma Thomas, che quel pomeriggio era con me, ha fatto il giro della casa che sul lato opposto aveva una delle finestre socchiuse, così a quanto sembra ha ascoltato alcuni brandelli di una conversazione, per così dire». 

 

Aggrotta la fronte, indeciso. «Sta bene, fammi parlare con lui» ordina. «Rimani nei paraggi, ho bisogno di discutere di alcuni dettagli con te, Michael». 

 

«Ok, capo». 

 

Mentre aspetta che Michael sia uscito e abbia avvertito il suo compagno di presentarsi, si accosta pensieroso alla persiana della finestra che dà sul giardino del retro e osserva fuori, sollevando gli occhi sul cielo che è prossimo allimbrunire. 

 

«Signore» lo avvisa la voce del nuovo arrivato. 

 

Volta la testa e annuisce con un lieve movimento. «Siedi pure, Thomas. Parlami della vedova Sterlish». 

 

«Purtroppo il segretario era già entrato da qualche minuto, quando sono riuscito a trovare un buon punto di ascolto, quindi non ho potuto sentire linizio del loro scambio. La vedova parlava di un figlio, che doveva trovarsi fuori città, e che è avvocato a Birmingham. Le sue parole sono state allincirca: “Sono certa che sistemerà questa brutta faccenda. È un bravo ragazzo, sapete, ma è sempre così impegnato e non riesco a vederlo molto spesso”. Sulle prime non riuscivo a capire che interesse potesse avere quel vostro segretario nel figlio di questa signora, poi...» tentenna, sembrando indeciso su come spiegarsi a dovere. 

 

«Continua» mormora pacato. 

 

«A quanto pare, e lho scoperto ascoltando le parole del vostro segretario, il marito della signora, il compianto signor Sterlish, ha lasciato non solo questo mondo ma anche una certa quantità di debiti». 

 

«Uhm, una bella preoccupazione per la poveretta. Lei, immagino, non dispone di entrate dirette». 

 

«Beh, non che si possa esserne certi, ma sempre dai discorsi del segretario Ashley-Cooper pare proprio di no. Lunico che guadagna qualche somma di una certa importanza è questo suo figlio. Ha anche una figlia, ma è sposata con un armatore di poco conto e abitano sulla costa, in Cornovaglia». 

 

«Bisogna scoprire se il segretario era diretto conoscente del signor Sterlish. Oppure... Ah! Ma certo, non del marito deceduto» soffia, fissando nel vuoto. 

 

«Capo?». 

 

«Sì, ho chiaro la faccenda. Questo sir Dominick è un bel furfante. Non è un caso fortuito il fatto che abbia sottratto quella lettera. Aspettava il momento giusto» riflette ad alta voce. «Va pure. Se scopri altri particolari interessanti fammi sapere. Rimandami Michael, e chiama anche Scott e Loris». 

 

La situazione sembrerebbe complicarsi, eppure adesso che conosce taluni particolari tutto gli appare più chiaro. E la partenza, così improvvisa, prende un nuovo significato. Deve affrettare il suo intervento, e per farlo è necessario che quellAshley-Cooper entri in contatto con lui e alle condizioni che sceglierà Lupin. 

 

Entrati gli uomini richiesti, distoglie l’attenzione dal giardino e dai propri pensieri per riportarla nella camera. «Voi tre vi farete un bel giro nel quartiere di sir Ashley-Cooper. Dato che attirare attenzione non è bastato, ebbene, procederemo con le maniere forti». Dopo queste parole prende a illustrare ai suoi affiliati il suo semplice piano e si accerta che nessuno dei tre se ne salti fuori con idee strampalate dell’ultimo momento con un «Mi raccomando, nessuna iniziativa personale. Se il mio piano salta, io faccio in modo che trascorriate il prossimo mese dietro le sbarre. Tutto chiaro?». 

 

I tre annuiscono allunisono con espressioni più che convinte e Lupin può ritenersi soddisfatto. 

 

«Andate, ora. Ci ritroviamo per le nove, dopo che avrà fatto colazione». Usciti i suoi uomini, si affaccia alluscio e poggia una spalla allo stipite, arricciando le labbra in un piccolo ghigno sfrontato allindirizzo di una donna ancora seduta nella sala attigua e che ricambia le sue attenzioni. «Entrate, Marine». Si scosta dallo specchio della porta per permetterle di farsi strada e accomodarsi sulla poltroncina accanto alla finestra. Arsène Lupin le si siede di fronte, poggia un gomito sul morbido bracciolo della sua poltrona e si dispone allascolto. 

 

«Il plico di fogli per il segretario, giusto?» si accerta la donna. 

 

«Esattamente» conferma Lupin. 

 

«Il vice-capo Patrickson mi ha fatto telegrafare a lord Kendleback, ieri mattina». 

 

«Il cancelliere?». 

 

«Sì. Al momento si trova a Liverpool, pare a causa di problemi di embargo. Eppure la sua risposta a Patrickson è arrivata nel giro di non più di due ore. Deve essere una questione urgente, oltre che delicata come già sapevamo». 

 

«Decisamente sì. Sembra che il segretario sia in partenza». 

 

«Ah, questo sì è un bel guaio. E prima che il cancelliere sia di ritorno, immagino». 

 

«Probabile. Di cosa trattava quel plico?». 

 

«Era inerente a una contrattazione non andata a buon fine con alcune colonie asiatiche. Mi ero chiesta perché ora, ma sapendo di questa partenza, è chiaro che il vice-capo e il cancelliere stiano cercando di ritardarla. Patrickson ha ricevuto un messaggio, prima di pranzo. Ho dato una piccola sbirciata: era di quel vostro bizzarro investigatore». 

 

Gli occhi di Lupin si accendono di sorpresa e divertimento. «Lamico ha deciso di lavorare per noi, si direbbe». 

 

«Pensate abbia avvisato il vice-capo delle vostre intenzioni?». 

 

«Quanto meno gli ha dato a intendere che ci siano nuovi sviluppi in ballo e, forse, in questo modo eviterà di metterci i bastoni fra le ruote mentre noi ci spremiamo le meningi per tirarli fuori dai guai. Sempre una bella cosa la collaborazione, soprattutto se viene a vantaggio mio». 

 

Marine si rimette in piedi e si attarda con lo sguardo sul suo capo. «Se dovessi notare altri movimenti vi farò avere un messaggio dal piccolo Matthew. Vi troverà in casa, questa sera?». 

 

«Se non dovessi esserci io, che lasci pure il messaggio a Cyril». 

 

«Daccordo. A presto». 

 

Uscita Marine lo raggiunge Cyril, che resta in rispettoso silenzio mentre il padrone è occupato a fare ordine nelle nuove informazioni in suo possesso. Quando ciò accade Lupin risolleva lo sguardo e annuisce. 

 

«Presto la situazione si muoverà, nella mia direzione se tutto andrà come deve. Intanto ceniamo, ho una fame da lupi!» esclama con un gran sorriso. 

 

Cyril sospira, ma è felice di sapere che il suo padrone è sulla pista giusta e che non rischierà di demolire la casa a breve. 

 

 

 

Sono le nove passate da quattordici minuti quando sir Dominick Ashley-Cooper esce di casa diretto al proprio ufficio. Laria è fredda ma piuttosto asciutta per il periodo, tuttavia un buon inglese è avvezzo ad accompagnarsi in ogni occasione con un ombrello, in previsione di unintera giornata da trascorrere fuori casa: non si può mai sapere ciò che accadrà nel cielo sopra Londra nellarco di qualche ora. 

 

Percorre a passo deciso il marciapiedi di Hertford Street, svolta a desta in Down Street, alla prima a sinistra in Brick Street, attraversa Piccadilly e oltrepassa i cancelli dei Buckingham Palace Gardens. Potrebbe procedere diritto per Grosvernor, risparmiando una parte considerevole di strada, ma nei giardini laria è meno avvelenata e passarci attraverso due volte al giorno gli dà lillusione di curarsi della propria salute fisica. Difatti dopo pochi passi si rilassa e si guarda intorno, attardando lo sguardo alle poche foglie gialle ancora attaccate con ostinazione agli alberi, alle bambinaie che portano a spasso poppanti ed eventuali cani, ai bambini più grandicelli che scorrazzano sui prati umidi o in mezzo ai cumuli di foglie che ricoprono i lati dei viali. Cè un laghetto, oltre un gruppo più compatto di querce, nel quale sguazzano alcune anatre in cerca di cibo, e qualche anziano ha portato con sé del pane secco da offrire loro. 

 

Affretta il passo, dopo aver dato uno sguardo al suo orologio appeso alla catenella fissata al panciotto e aver notato di essere in leggero ritardo. Dopo alcune grosse pietre che delimitano una vecchia proprietà in disuso, il viale svolta ad angolo e conduce allentrata sul lato opposto. Un bambino, ormai piuttosto distante alle sue spalle, strilla indignato, mandando gambe allaria un suo amico coetaneo e attirando lattenzione di alcune bambinaie e del segretario. Quando svolta langolo è ancora con il pensiero a quel bambino e manca di avvedersi della presenza di qualcun altro oltre a lui. Tre uomini sconosciuti ne approfittano per spintonarlo da parte; quasi cade a terra, ma recupera lequilibrio per tempo e si guarda attorno confuso, scoprendo che quei tre non lo hanno urtato per sbaglio ma, evidentemente, con il preciso intento di aggredirlo. Agita lombrello e colpisce uno degli uomini al polso, poi si scosta e li fissa incerto. 

 

«Che volete?». 

 

«Indovina» lo prende per i fondelli uno dei tre, quello più smilzo e più elegante dei suoi compari. 

 

Il segretario fa una smorfia di disappunto. «Il mio denaro, suppongo». 

 

«È intelligente, il signorino» commenta lo stesso di prima. 

 

«E se rifiutassi?» prova. 

 

«Beh, il denaro te lo prendiamo lo stesso, in omaggio ti diamo anche qualche bella bastonata. Che ne pensi, signorino?». 

 

«Furfanti!» ringhia. 

 

«Eh, lho detto che hai del cervello sotto quel cappello. Vediamo se sai anche come adoperarlo. Da qui, signorino» ordina, porgendo la mano. 

 

Fa un salto indietro e tenta di colpire un altro degli uomini ma manca il bersaglio e finisce a terra. Da lì però tira un calcio al più vicino, colpendolo alla tibia e strappandogli un grugnito e qualche insulto. Un paio di mani gli si infilano sotto il cappotto, allora infilza con la punta dellombrello il fianco di quello che gli sta sopra, il quale impreca e si scansa. Tre uomini si rivelano però un po troppi per le sue forze, e presto viene messo allangolo e teme di dover cedere alle pressanti richieste di quei mascalzoni. Uno di questi, dun tratto, estrae da sotto lorlo del pantalone un coltello, e sir Dominick, rimessosi in piedi in tutta fretta, indietreggia pallido, rendendosi pienamente conto del pericolo solo in quel momento. 

 

«Delinquenti» soffia, con un tremito leggero nella voce. 

 

Non senza rammarico, si appresta a recuperare da una tasca interna il portafogli, incalzato dai tre uomini che lo fissano da troppo vicino con sguardi ben poco rassicuranti. Distoglie il proprio, solo un momento per abbassarlo al suo cappotto, e lo risolleva sentendo uno dei suoi aggressori lanciare un grido allarmato (o forse di dolore). Si guarda attorno, febbrilmente, suo malgrado spaventato da possibili, ulteriori complicazioni. 

 

Un altro uomo è giunto senza che sir Dominick se ne avvedesse, né tanto meno i tre malviventi, a giudicare dalle loro espressioni sorprese quanto seccate per linterruzione. Il nuovo arrivato, tuttavia, non sembra affatto della loro risma: è abbigliato in modo molto elegante e raffinato, ma ha unespressione irata in volto e, si rende conto con sconcerto, ha appena preso a bastonate quello che aveva giudicato il capo della piccola banda, gettandolo a sua volta a terra, e sta egregiamente tenendo testa agli altri due, mulinando con velocità impressionante il suo bastone. 

 

Egli volta appena il capo, quel tanto da fargli intendere che si sta rivolgendo a lui, ma senza perdere docchio i tre uomini. «State bene, signore? Vi hanno ferito?» chiede, con voce dura ma un tono che mostra preoccupazione per le sue sorti. 

 

«No, io sto… Attenzione!» grida, scorgendo un movimento repentino da parte di uno degli aggressori. 

 

Il coltello che il malvivente teneva in mano si pianta nel terreno, mentre il suo proprietario sbraita improperi allindirizzo delluomo che gli ha colpito la mano per fargli mollare la presa sullarma. Sir Dominick, nonostante lo spavento, punta lombrello davanti a sé, nellintento di minacciare a sua volta i rapinatori e, a giudicare dalle loro facce non più tanto sicure, ritiene che il lavoro congiunto suo e dello sconosciuto accorso in sua difesa stia funzionando egregiamente da deterrente. 

 

«Siete ridotti a mal partito, signori miei» avvisa di buon grado lo sconosciuto salvatore. Sospinge la punta del bastone alla gola di quello che evidentemente anche lui considera il capo, facendolo indietreggiare di qualche spanna. «È un buon momento per ritirarsi» consiglia. 

 

Pur recalcitranti, questi sembrano concordare con limpressione del gentiluomo che si para loro di fronte e, con un ultimo borbottio seccato, tolgono il disturbo filando via come volpi seguite da una muta di veltri infernali. 

 

Lo sconosciuto, senza perderli di vista, rilassa le spalle e infine si volta per guardare in faccia il suo compagno di sventure. «Ce la siamo cavata, sembrerebbe. Siete certo di stare bene?» domanda serio, avvicinandosi con passi lenti e misurati, quasi temesse di spaventare il suo interlocutore. 

 

Sir Dominick ha un fremito ma sembra riprendersi in fretta e annuisce. «Oh, sì. Solo un grande spavento e qualche graffio di poco conto, nulla di più. Grazie a voi, devo dire. Siete capitato tempestivo, come un vero miracolo» ammette con sollievo. 

 

Per la prima volta lo sconosciuto salvatore accenna un sorriso un po tirato ma comunque amichevole. «Ne sono lieto. Questa città è un autentico covo di creature tra le più abbiette e sgradevoli. Mi auguravo avesse più influenza la polizia londinese» lamenta con una nota di amarezza nella voce. «Pensate che negli ultimi giorni è già il secondo brutto incontro. E mi trovo qui da meno di una settimana!» argomenta, sembrando veramente sconvolto. 

 

«Mi rincresce per le vostre brutte esperienze. Vi assicuro che qui la polizia fa del proprio meglio. Purtroppo sembra che questa gentaglia si moltiplichi come i conigli» si dispiace. Schiude le labbra, mentre un dubbio lo assale. «Avete detto di essere in città da pochi giorni? Voi, forse… Vi chiedo perdono se posso sembrare sfacciato, ma voi venite dallestero?». 

 

«Vengo dal Belgio, anche se mio padre era francese di origini». Un sogghigno compare in un lampo sul suo viso, per scomparire un istante dopo come un miraggio. «Ma forse voi avrete udito già da qualche parte il mio nome, poiché i vostri concittadini non sembrano far altro che cercarmi, da che sono giunto qui: nemmeno fossi un fagiano e loro astori dagli artigli aguzzi. Sono il conte Bernard dAndrésy, per servirvi». 

  
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