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Autore: Angelica Cicatrice    30/09/2019    1 recensioni
Clopin aveva dedicato tutta la sua vita nel donare il sorriso ai bambini di Parigi. Non desiderava altro nella sua umile vita da giullare della piazza. Eppure, qualcosa stava per stravolgere quella felice monotonia, e la paura di essere dimenticato o messo da parte ( per colpa dell'arrivo di un nuovo cantastorie ) lo avrebbe logorato. Per non parlare dell'imminente giorno della Festa dei Folli. I due giullari si sarebbero scontrati in un duello all'ultimo spettacolo? O sarebbe accaduto qualcosa di assolutamente inaspettato da far rovesciare gli eventi? Il re degli zingari non si era mai posto il quesito: e se esistesse, in questo mondo folle, una persona come me ?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clopin, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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                                                                                  Come il sole e la luna

Un cielo notturno si stava oscurando man mano che passavano i minuti, con nuvole nere che si ammassarono l'una a l'altra, nascondendo gli splendidi diamanti e l'astro brillante. I primi lievi bagliori di un temporale si stavano cominciando a scatenare, dando così l'allarme ai piccoli animaletti del bosco dell'arrivo del pericolo imminente. L'aria era diventata fredda, con quella leggera nota di terra bagnata, tipica delle giornate di pioggia. Gli scoiattoli e le lepri si rifugiarono nei buchi e negli incavi degli alberi, mentre uccellini tornavano nei loro piccoli nidi, e qualche volpe si intrufolava in una piccola dimora sotterranea, ben scavata. Per gli animali bastava poco per sentirsi protetti e al caldo, ma per gli esseri umani, di taglia più grande e con esigenze maggiori, ci voleva di più. Ma anche un modesto carretto, con tetto e mura di legno, poteva essere un ottimo rifugio. Almeno per due giullari poco esigenti e che riuscivano ad adattarsi a situazioni anche meno favorevoli. Roxanne e Clopin si trovavano nel teatrino mobile, al riparo, nascosti tra i cespugli del bosco, ma in un momento delicato, che avrebbe cambiato il loro rapporto, in bene o in male. Il re degli zingari era pronto a svelare un pezzo del suo passato che aveva sempre celato dietro alla sua vita, fatta di feste colorate e spettacoli stravaganti.    

PV Clopin

Tutto ebbe inizio quando mia madre morì di una strana malattia, che nessun stregone o guaritrice riuscì a sconfiggere. Era il 1453, un periodo di sollievo per la fine della guerra, ma di sconforto per la mia perdita. La povertà, causata da anni e anni di conflitti, ci aveva portati a prendere in considerazione di lasciare la calda Andalusia, e di trasferirci in Francia, ormai libera dai coloni inglesi. Per noi, Parigi era una terra fertile dove poter ricominciare da capo e vivere serenamente. Ma dovettero passare due anni prima del grande cambiamento. Intanto, mio padre, il capo famiglia, aveva scelto una nuova sposa, e nacque una bambina a cui dettero il nome Esmeralda. Quando partimmo, mi sentivo pieno di entusiasmo, e presi quel viaggio come una bella avventura. Peccato che, una volta a Parigi, le cose furono più difficili di quanto avessimo sperato. In città era stato da poco eletto un nuovo funzionario di giustizia, un giovane uomo di nome Claude Frollo, che sembrava tutto fuorché clemente e giusto. Ciò che ci fece dubitare di una vita migliore, fu proprio il suo innato odio verso gli zingari. Non eravamo liberi di vivere nei carretti o nelle nostre tende per le strade, perché venivamo sempre braccati e cacciati come la feccia più orrenda del mondo. L'influenza di Frollo era così forte, da aver innescato pregiudizi anche tra la brava gente comune. Se provavo ad avvicinarmi a qualche bambino della mia età, per fare amicizia e giocare, venivo sempre allontanato, come se fossi stato una temibile minaccia. Per questo motivo, mio padre decise di trovare un luogo adatto per noi emarginati. Insieme ad altri gitani, non solo della nostra famiglia, ma altri della strada che appoggiarono la sua idea, scavò un tunnel proprio sotto un cimitero abbandonato. Un luogo dimenticato da Dio e dal resto della città, proprio come noi. Così nacque la Corte dei Miracoli. 
Un posto che potevamo finalmente chiamare casa. Mio padre diceva che aveva scelto quel nome per due motivi: la "Corte" cioè il regno di cui ne era divenuto il re, e " Miracoli" perché era il solo luogo dove anche gente schiacciata dalla società come noi, poteva essere libera e felice. Quel miracolo che non avremo mai visto in mezzo alle strade della bella Parigi. Per quanto riguardava me, la Corte era il mio regno dei balocchi. Giocavo a fare il re e tutto mi sembrava un gioco, facendo partecipare spesso la mia sorellina, dolce e ingenua. Mio padre cercò in tutti i modi di impartirmi i giusti insegnamenti. 
Come voleva la tradizione, io, il figlio maggiore, avrei ereditato il suo ruolo. Ma ero un ragazzino testardo, vivace, che per puro divertimento disubbidiva agli ordini. La cosa peggiore, è che a un certo punto cominciai ad adottare il vizio di rubare, che fosse cibo o denaro. Il solo pensiero di dover sudare per guadagnarmi da vivere, non mi passava proprio per la mente. Ovviamente facevo di tutto per non farmi beccare e tenere mio padre all'oscuro di tutto. Avevo da poco compiuto 12 anni, e il re degli zingari si ammalò, e sul suo letto di morte mi fece promettere che sarei stato all'altezza del compito. Forse, per via del dolore, di tutto quel peso e delle responsabilità, non riuscì a svincolarmi dal mio brutto vizio, e lo usai addirittura come sfogo per sopportare quella situazione che era troppo grande per me. Neanche le regole di Zacarias, che cercò di essere sia un mentore che un fratello maggiore, mi aiutarono a seguire la giusta strada. Ero solo un marmocchio superficiale ed egoista. Inoltre, mi prendevo gioco delle guardie personali del giudice Frollo. Ogni volta che lo vedevo passare, con quella sua aria altezzosa, non resistevo nel fare delle boccacce e a dedicargli pernacchie, per poi scappare di corsa, ridacchiando. Non mi importava di nient'altro, mi bastava divertirmi e non avere altri pensieri. Due anni dopo, quando anche la madre di Esme ci lasciò, dovetti fare un'altra promessa, ma molto più importante. Mi sarei preso cura di quella bimbetta di 9 anni. In poco tempo, tutto il mio mondo fatto di giochi e spensieratezza si stava sgretolando. Non ero affatto pronto per una cosa simile, ma volevo tanto bene ad Esmeralda. Purtroppo, i buoni sentimenti non mi fecero migliorare subito. Ricordo ancora quel maledetto giorno. Zacarias ci aveva portato al mercato per fare un po’ di spese. C'era molta gente che si accalcava tra le bancarelle, e allora il tarlo del vizio si fece sentire. Approfittai di un momento di distrazione del mio tutore, e mentre tenevo Esme per mano, allungai l'altra per rubare un sacchetto di monete che portava un uomo alla cinta. Era andato tutto liscio, e stavo per nascondere il mio bottino. 
Ma una mano, grande e grossa, mi afferrò per la veste e mi trascinò via. Tra sgomento e stupore della folla, fui portato da una guardia al cospetto del giudice Frollo. Fui accusato di borseggio, e dato che il giudice mi aveva riconosciuto, per tutte le mie marachelle, di sicuro aveva una gran voglia di farmela pagare. Ero spaventato, ma non avevo alcuna intenzione di chiedere perdono e pietà davanti a quel mostro. Allora mi fu data la punizione da scontare: una decina di frustate. Non avevo mai avuto tanta paura in vita mia. Ma Zacarias intervenne e si inginocchiò ai piedi di Frollo, chiedendo scusa al mio posto. Poteva finire lì la questione, ma il giudice non fu comunque soddisfatto, e gli sembrò giusto che la pena fosse applicata. Il mio mentore fu portato via e rinchiuso in una cella, dove avrebbe subito più di dieci frustate. Finalmente libero, ero ancora terrorizzato per ciò che era appena accaduto, ma le grida di Esme mi scossero ancora di più. La mia sorellina corse ad abbracciarmi e scoppiò in lacrime. 
" Ho avuto paura che mi stessi abbandonando anche tu..." disse lei tra i singhiozzi. Quella reazione mi fece precipitare in un senso di colpa, che tutt'ora porto con me. Potevo sopportare qualsiasi cosa, ma non la mia Esmeralda, l'unica persona che mi era rimasta e che faceva parte del mio mondo felice, nella più cupa sofferenza. Con gli occhi straziati, abbracciai la piccola e le feci una promessa. Una vera e sincera promessa; mai più avrebbe sofferto. Mi sarei davvero preso cura di lei, rendendola forte, indipendente e valorosa. Ma soprattutto, una persona onesta. Io stesso sarei stato il cambiamento. E grazie al mio esempio, lei sarebbe cresciuta felice e non avrebbe più versato lacrime, specialmente per colpa mia. E così fu. Passarono gli anni. Da quel giorno avevo smesso di rubare, e invece di bighellonare, cominciai a lavorare sodo, esibendomi per le strade di Parigi. All'età di 20 anni ero ormai re a tutti gli effetti, e potevo prendere tutte le decisioni, anche quelle più difficili e delicate. Zacarias, da parte sua, mi osservava da lontano, senza intromettersi. Da quell'esperienza, fui certo di averlo deluso, perché poneva grandi aspettative su di me. Man mano, smettemmo di parlarci e non lo vidi più. La mia Esmeralda stava crescendo in fretta, e mentre lei ballava per la piazza col tamburello, io pensai che avrei dovuto marcare la promessa facendo qualcosa di più. Non solo per me o per lei. Con i soldi risparmiati, costruì il mio teatrino mobile. Anche se ero il re Clopin, mi mancava il mio altro me, quello che amava divertirsi e che viveva in un mondo tutto suo. Fu allora, che decisi di indossare le vesti di un giullare. Avrei portato le mie storie fantastiche in giro per Parigi, donando gioia e spensieratezza ai più piccoli. Questo avrebbe reso felici sia loro, sia la mia sorella preziosa. Grazie al mio ruolo, ben presto ottenni la fiducia di chi mi circondava. La gente comune, come il caro Marcel, cominciò a conoscermi meglio, e non vedevano solo lo zingaro, ma il buffone di piazza, socievole e amichevole. Avevano smesso di evitarmi. Tutto era perfetto. Di giorno, quando indossavo la maschera, ero Clopin il giullare, e quando tornavo la sera alla Corte, ero nuovamente Clopin, il re degli zingari. Avevo ovviamente smesso di schernire il giudice Frollo, ma mi era concesso almeno in quelle occasioni speciali, come la festa dei Folli, e ne approfittavo per fargli qualche burla. D'altronde, non avevo dimenticato quel giorno, e sapendo come si comportava con il resto dei miei simili, in me crebbe sempre di più una gran voglia di farlo fuori. Il mio lato selvaggio e sanguinario nacque proprio per quel motivo, e lo manifestai su chiunque, spia e soldato, villico o ricco che provasse a intrufolarsi nel mio reame. Ecco perché ero diventato un giullare. Vorrei tanto poter affermare che fu solo per la passione, per i miei sogni di fanciullo, o per il mio lato infantile. No, per quanto amassi quel mio ruolo, e che non avrei mai rinunciato, dovevo ammettere che era il mio modo, surreale e festoso, di scontare una colpa che mai si sarebbe esaurita.

Avevo da poco terminato quella storia che tanto mi era costata, e sentivo un gran dolore al petto. La bottiglia di vino era ormai vuota, e Roxanne aveva dovuto aprirne un'altra. Non ero ubriaco, ma sentivo già gli effetti dell'alcool darmi alla testa. Avevo il viso tra le mani, e sentì le lacrime che mi invadevano gli occhi. Era come se quel capitolo della mia vita, così doloroso, l'avessi rimosso proprio perché non solo mi faceva male, ma anche per via di un gran senso di vergogna. Non ne avevo parlato mai con nessuno, e per me quell'evento doveva rimanere sepolto nel passato. Sentì Roxanne che mi accarezzava la schiena con una mano. Fino a quel momento, mi aveva lasciato raccontare, senza pormi domande.
- Clopin...- disse, infine. Mi girai di lato. Una lacrima uscì fuori dagli occhi e cercai di schiarirmi la voce.
- No, Roxanne. Non voglio che tu prova compassione e pietà, per uno come me - cominciai, combattendo contro il groppo alla gola e mantenendo la voce chiara.
- Non è pietà. Voglio solo che tu sappia che mi dispiace molto. Non potevo immaginare una cosa simile - aggiunse la violinista e mi accarezzò di nuovo la schiena, evitando il più possibile la zona della ferita. Quel tocco, sulla mia pelle, era così delicato e tenero. Ma io mi sentivo uno schifo.
- Adesso lo sai...Dillo pure. Sei delusa, vero? - le chiesi, mentre mi asciugavo quelle lacrime silenziose. Roxanne tacque per un secondo, poi avvertì la sua mano tra i capelli, e infine la sua voce così dolce e rassicurante.
- Delusa? Cosa dici? Non lo sono per niente. Come ti ho già detto, qualunque fosse stato il tuo segreto, non sarebbe cambiato nulla - mi rispose convinta. Sentivo che quelle parole erano davvero sincere, ma non sarebbe bastate per cancellare ciò che avevo fatto.
- Cherì, ma ti rendi conto di quello che ho fatto? - dissi, mentre cercavo di guardarla con la coda dell'occhio - Non solo ho fatto soffrire Esmeralda, ma ho deluso il mio mentore, che si era offerto di prendersi cura di me, come un padre...e io, l'ho ripagato mettendolo nella situazione di sacrificarsi, per colpa della mia condotta superficiale e immatura. Ecco perché alla fine mi ha evitato -.
Mentre pensavo al mio amico Zacarias, mi ricordai che ormai lui non c'era più, e il groppo in gola mi fece singhiozzare.
Dovetti coprirmi nuovamente il volto con le braccia, come un bambino rassegnato a una punizione.
- La cosa peggiore...è che non solo non potrò mai ricambiargli il favore...ma che, di nuovo per colpa mia, lui...- le lacrime caddero copiose, mentre le parole mi morivano in gola - ...e questa volta, non tornerà mai più...- terminai, e la vergogna di farmi vedere in quello stato mi devastò l'anima. In quel momento, delle braccia mi accolsero e mi strinsero con dolcezza, come una morbida coperta che ti scalda nelle notti d'inverno. 
- Non dirle nemmeno queste cose - disse Roxanne, con una voce commossa, ma sempre dolce - gli errori del passato ci aiutano a crescere. E tu, Clopin, hai imparato dal tuo passato. Sei diventato una persona splendida. La migliore che io abbia conosciuto. Lo vedo ogni volta, in ogni singolo momento, che ti dedichi agli altri, soprattutto ai bambini -. La mia amica fece sciogliere l'abbraccio, si mosse di un po’ dal suo posto, e cercò di alzarmi il viso. Detestavo mostrare la mia debolezza, ma dato che si trattava di lei, la lasciai fare. Con le guance che mi andavano a fuoco, la guardai in quei splendidi occhi vermigli.
- Poi, non darti nuovamente la colpa per quello che è successo a Zacarias. Lui ha scelto di sacrificarsi non solo per te, ma anche per me. E' stata una sua libera scelta -. Mentre mi diceva ciò, passò le dita sul mio volto, per asciugarmi via le lacrime. Era così amorevole.
- E questo mi dà la certezza che non solo lui non fosse deluso, ma che in tutto questo tempo non ha mai smesso di stare dalla tua parte - terminò, donandomi un sorriso per consolarmi. Tirai su col naso, e lei fece scivolare le dita nella sua scollatura, e ne fece uscire fuori uno dei suoi fazzoletti rossi. Ebbi un altro deja vù. Dopo aver accettato quel pezzo di stoffa, la guardai e per spezzare il momento triste, le dissi sorridendo:
- Ma quanti fazzoletti hai lì dentro?! -. Lei divenne paonazza, e la cosa mi fece sorridere con piacere. Era bella anche in quei momenti. Dopo essermi soffiato il naso, presi le sue mani con affetto, racchiudendole nelle mie. Ripensando a quelle sue parole mi sentivo meglio. Inoltre, dovevo ammetterlo, confidandomi con lei, era come se mi fossi tolto un macigno dal cuore. Una sofferenza silenziosa che pesava da troppo tempo.
- Grazie, cherì - le dissi - grazie per tutto, davvero -. Mentre le accarezzavo le mani, i miei occhi si posarono su di lei. In quel preciso istante ebbi la certezza che qualcosa dentro di me stava sbocciando, e non desideravo altro che stare in quel posto, accanto a lei. Poi, le mie orecchie captarono uno strano suono, che proveniva a pochi centimetri tra noi due. Lo stomaco di Roxanne reclamava il cibo quotidiano.
- Cos'era quello? Il rimbombo del tuono?! - feci io, prendendola in giro. La giullare si coprì la pancia, e gonfiò le guance imbarazzata. Scoppiai a ridere. Con cautela mi alzai in piedi. Lei mi ammonì di restare fermo, ma la rassicuri che stavo meglio, e che la ferita non mi faceva tanto male.
- Adesso, rimani tu qui. Torno subito - dissi, e mi diressi verso un lato del carretto, dove c'era il cesto delle provviste. Cercai di non barcollare e di non dare l'impressione di cadere. Anche se ero abbastanza lucido, il vino mi stava giocando brutti scherzi. Come un perfetto gentiluomo, preparai un vassoio pieno di buone cose, come piccoli panini dolci e grappoli di uva scura. Quest'ultima fece gola perfino a me, perché doveva essere molto dolce. Mentre decoravo il tutto con delle foglie, prese in prestito da alcune mele, sentivo fuori dalla finestrella che ben presto il temporale ci avrebbe fatto l'onore della sua presenza. Presi il vassoio e lo portai alla mia giullare, che mi stava aspettando con l'acquolina in bocca. Appena le offrì la cena, lei rimase piacevolmente sorpresa da quel gesto, seppur piccolo, ma per lei così grande. Mentre divorava i panini, io ne approfittai per bere dell'altro vino. Non avevo fame, ma in qualche modo volevo farle compagnia, e io del nettare rosso non ne ero mai sazio. A un certo punto, pensai che fosse arrivato il suo turno, per completare il nostro patto. 
- Beh, ora che hai saputo del mio segreto personale, tocca a te, cherì - le feci notare, e lei si bloccò, mentre aveva la bocca piena di cibo. Le diedi il tempo di ricomporsi, e prima di iniziare, prese un chicco d'uva e lo mangiò. Aspettai con pazienza, intanto le versai del vino nel calice, e mi misi comodo.

PV Roxanne

Fin da quanto riesco a ricordare, i miei genitori erano così diversi l'uno dall'altra. Mia madre era una zingara nomade, originaria di Marsiglia. Mio padre era un semplice artista di strada, originario di Venezia. Avevano colori della pelle diversi, così come il colore degli occhi e dei capelli. Inoltre, mio padre era molto credente, mentre mia madre era atea. Lui era un uomo molto tranquillo e pacato, mentre lei era sempre vivace e attiva. Erano come il sole e la luna. E a proposito di questo, mia madre proveniva da una famiglia chiamata " i gitani della falce lunare" e come simbolo avevano una mezzaluna. Ricordo una volta, mentre eravamo accampati nei pressi di una brughiera, durante una delle innumerevoli soste quando viaggiavamo. Il cielo era ricoperto da mille stelle e la luna a forma di falce sembrava la regina di quel mondo. Allora chiesi a mia madre da dove provenisse lo stemma della nostra famiglia, e perché proprio il simbolo della mezzaluna. Davanti a un bel fuoco, mia madre si mise comoda e cominciò a raccontare. Secondo una leggenda molto antica, tramandata da generazioni, la luna e il sole furono generati per avere ognuno il proprio ruolo nel mondo. Ma dato che erano molto diversi, la prima sarebbe sorta durante la notte per illuminare il cielo ed essere una guida per i viaggiatori, mentre l'altro sarebbe sorto durante il giorno, e avrebbe riscaldato i campi per il raccolto. Potevano ritenersi fortunati, perché avevano un compito molto importante ed erano venerati dagli uomini come divinità. Ma il sole e la luna, per quanto diversi, si erano segretamente innamorati l'uno dell'altra e viceversa. Il sole era sempre così timido, o molte volte faceva finta di niente, mentre la sua amica luna, provava in tutti i modi di attirare la sua attenzione. Ma il loro era un amore impossibile. Non si sarebbero mai incontrati per potersi amare come desideravano. La luna, in particolare, soffriva tanto, mentre vedeva gli umani che dedicavano poemi romantici su di essa, e a lei era negato di poter 
vivere l'amore. Il cielo, suo padre, aveva anche cercato di spezzare la sua tristezza, creando delle piccole amiche, che furono chiamate stelle. Per un po’ di tempo funzionò, ma la luna continuò ad amare profondamente il sole. Per questo motivo, alla fine si riuscì a trovare una soluzione. In alcune occasioni speciali, il sole e la luna si sarebbe trovati finalmente faccia a faccia, una sorta di appuntamento, chiamato " eclissi". In quei momenti, i due amanti si sarebbero potuti incontrare e amarsi come volevano. E tutt'oggi, quando vi sono le eclissi, si consiglia di non guardare in modo diretto l'evento, poiché il loro amore è troppo abbagliante. Quando mia madre terminò di raccontare, i miei occhi di bambina brillavano ancora di emozione.
" Mamma, quindi tu e il papà siete come il sole e la luna?" chiesi, con tanta innocenza. Mia madre sorrise, e annuì, accarezzandomi i capelli. 
" Un giorno, anche tu troverai il tuo Sole" aggiunse, mentre guardava con occhi innamorati mio padre, seduto poco distante da noi. Infine, mi spiegò che da sempre la nostra famiglia venerava la luna come una guida spirituale. Come il sole, che simboleggiava il calore e la forza maschile, la luna era simbolo di grazia femminile, di cui i talismani donavano forza e benessere sessuale. Non a caso, il ciclo lunare durava 28 giorni, e anche questo era legato alla figura intima di ogni donna. Per questo motivo, sempre attraverso le tradizioni della famiglia matriarcale di mia madre, ci spostavamo da paese a paese, e le soste 
duravano tanto quanto un ciclo, che da luna crescente arrivava a luna calante. Questa tradizione l'ho portata avanti io stessa, dopo la morte dei miei cari genitori. Sapevo che, specialmente per mia madre, era molto importante. Quindi, secondo i calcoli, il giorno seguente sarei dovuta partire...

- Stai dicendo sul serio?! - mi chiese a un certo punto il giullare. Intanto, avvertì uno strano rombo in lontananza. Il temporale era ormai vicino.
- Sì, è così - risposi, mentre bevvi un altro sorso di vino. Non mi ero neanche accorta che quello era il mio terzo bicchiere. Avvertivo un dolce calore che mi invadeva lo stomaco, mentre le guance si stavano accaldando. Non ero abituata a bere tanto, ma l'ansia e il nervosismo della situazione erano troppo pesanti e sembrava che il nettare rosso riuscisse a distrarmi. 
- Come ti dissi in passato, sono giunta a Parigi per realizzare il sogno di mio padre. Ma ero già consapevole che, una volta giunta al 28esimo giorno, sarei dovuta ripartire. E' la tradizione, ed è tutto ciò che mi lega alla mia famiglia - non avevo ancora finito, che Clopin mi afferrò per le spalle e mi costrinse a guardarlo negli occhi. Il mio bicchiere mi scivolò dalle dita e rotolò sul pavimento. Per miracolo non si era rotto.
- Non voglio! -. Il suo alito aveva un forte odore di vino, e solo in quel momento, guardandolo bene in faccia, mi resi conto che aveva le gote rossastre. Quel gesto mi prese alla sprovvista. Mi teneva stretta e sembrava non voler mollare la presa.
Con un po’ di imbarazzo, ebbi la forza di chiedergli:
- Cosa? -. Lui si bagnò le labbra, come se un caldo immaginario gli stesse seccando la pelle. Un altro rimbombo si scatenò in lontananza.
- Non voglio che te ne vada - confessò - Non puoi lasciarci così. Non hai nessun motivo che ti invoglia a rimanere? -. Quella domanda mi rese cupa e triste.
- In un certo senso, sì...- risposi, mentre i miei pensieri tornarono agli eventi felici, prima del terribile incendio nel piazzale - Ma adesso, non ne sono più sicura -.
Il motivo era semplice. Avevo sperato fino all'ultimo che Clopin ritrovasse la memoria, ma ormai era troppo tardi. Non solo non avrebbe mai più ricordato, ma i suoi sentimenti per me sarebbero stati invariati. Ero andata a cercarlo solo perché volevo accertarmi che fosse vivo e vegeto. L'indomani mattina, una volta tornati alle porte di Parigi, gli avrei detto addio, e tutto sarebbe tornato come prima. Era la cosa migliore per tutti e due, e nessuno avrebbe sofferto ulteriormente.
- Ormai il mio compito è concluso... - aggiunsi, mentre cercavo di svincolarmi dalle braccia del mio giullare - inoltre, non sono riuscita a farti tornare la memoria -.
Detto ciò, pensai che la questione fosse chiusa, ma lui mi trattenne. Il re degli zingari mi prese il mento con una mano e mi guardò.
- E' davvero così importante per te, che io recuperi i ricordi? - mi chiese, con un'espressione seria. Con un po’ di esitazione, annuì col capo.
- Allora chiudi gli occhi - disse, quasi sussurrando. Quella proposta mi diede una sensazione strana.
- Perché? - gli chiesi, mentre sentivo la pelle d'oca e i brividi lungo la schiena. Cosa stava succedendo? 
- Chiudili e basta...- mi ordinò, e dopo un momento di titubanza, decisi di ubbidire. Non avevo la minima idea di cosa gli passasse per la testa. Beh, sarà per via di tutto il vino che si è scolato, pensai. Proprio in quell'istante, avvertì un calore sulle labbra e incuriosita, riaprì leggermente gli occhi. Ebbi giusto il tempo di vedere il suo volto vicinissimo al mio, per poi baciarmi. Un lampo squarciò il buio, e tutto si illuminò nell'arco di un secondo, e il tuono mi fece sussultare, distaccandomi dal giullare.
- Che fai?! - esclamai, mentre sentivo l'imbarazzo crescere. Poi, ricordandomi della situazione aggiunsi, un po’ seccata - Sei ubriaco... -. 
- Può darsi - mi rispose, tenendomi nuovamente stretta - ma sono più che lucido, cherì -. Le mie orecchie avvertirono il fruscio della pioggia che stava cadendo, ticchettando sul tetto del teatrino mobile. Un altro lampo si scatenò, inseguito poco dopo da un tuono che esplose con un suono assordante. Per lo spavento, mi accucciai sul petto del giullare, come una bambina terrorizzata dal suo primo temporale. Era il mio punto debole. Clopin rise, mentre mi accarezzava i capelli per tranquillizzarmi. Mi sentivo così stupida.
- Questa sì che è una novità! Così forte e coraggiosa, e hai paura dei temporali! - mi schernì lui. Infastidita, mi scostai e lo allontanai.
- Non prendermi in giro! - dissi, gonfiando le guance come uno scoiattolo. Lui sembrò essere piacevolmente divertito, ma mi afferrò le mani e disse:
- Non lo farei mai, cherì, e comunque - riprese, cercando di riavvicinarsi - non è vero che non ricordo più nulla. Ho capito che, stando accanto a te, i miei ricordi si stanno risvegliando. Ed è per questo che, poco fa, mi sono permesso di essere così audace -. Quella confessione mi fece sciogliere, e il giullare ne approfittò per avvolgermi di nuovo tra le sue braccia. Il cuore cominciò a martellare impazzito, e il respiro si fece più veloce.
- E sai una cosa? Ho fatto bene, perché ho rivissuto il nostro primo bacio. Eravamo nella mia tenda, alla Corte. Indossavi una vestaglia blu, e avevi da poco bevuto del vino -. 
Non potevo credere alle mie orecchie. Clopin aveva ricordato! In quel momento, la speranza che credevo perduta, stava risorgendo dalla sue ceneri.
- Perché non me l'hai detto subito? - gli chiesi. 
- Perché non ero del tutto sicuro, in fondo erano piccoli attimi, come allucinazioni. E tu invece, perché non me l'hai detto? -. Non capì a cosa si riferiva.
- Che cosa? - gli chiesi, mentre lui mi guardava con il suo modo furbo, come se celasse i suoi pensieri più vispi e maliziosi.
- Che avevamo un rapporto così speciale - rispose semplicemente. La vergogna salì alle stelle e allora non potei che sputare il rospo.
- Non volevo influenzare la tua libertà di vivere il nostro legame. Sarebbe stato come costringerti a tornare a quei momenti, invece di viverli davvero -.
Il re del piazzale sorrise teneramente, quasi commosso dalle mie parole. Mi bacio sulla fronte e tornò a concentrarsi su di me.
- Era questo che mi stavi nascondendo, vero? Il tuo grande segreto - disse, con voce vellutata - Adesso, però, dimmelo chiaramente. Cosa sono, per te? -.
La tempesta si stava facendo sempre più forte, come se stesse accompagnando i battiti del mio cuore, in balia delle forti emozioni.
- Tu sei...- incominciai, facendo vagare gli occhi sul volto del mio amato - ...sei il mio Sole -. Quelle semplici, piccole parole, erano tutto ciò che provavo per il re degli zingari, perché non serviva un papiro intero per descriverlo. Clopin rimase quasi spiazzato dalla mia risposta. Ma la sua mossa non tardò a lungo, e dopo avermi donato uno dei suoi sorrisi, mi baciò con passione, togliendomi il respiro. Il nostro abbraccio si fece più stretto, e dopo tanto tempo, tra ostacoli e sofferenza, vedevo finalmente un vero miracolo illuminare la mia vita. Avevo aspettato quel momento con tale pazienza che perfino io stessa ne fui stupita. Il nostro bacio si stava facendo più intenso, e avvertivo sulle labbra di Clopin le note forti del vino. Ci distaccammo per riprendere fiato.
- Sei davvero ubriaco - lo schernì, rimanendo stretta a lui. 
- Allora siamo in due, cherì - mi rispose, bisbigliando a pochi centimetri dalle labbra. Una piacevole sensazione mi fece sorridere, e realizzai.
- Ricordi anche quello? - gli chiesi, e mi afferrò per i fianchi e mi sistemò su di lui.
- Certo. Eravamo appena caduti nel ruscello, e tu eri a cavalcioni sopra di me - mi spiegò, e non potei che esserne felice. Questa volta fui io a baciarlo per prima, e lui ricambiò. Il temporale si stava facendo sempre più violento, ma stranamente non mi faceva più paura, al contrario. Mi sembrava quasi sopportabile, e che donasse addirittura un'atmosfera romantica. Sarà stato l'effetto del vino, o la grande euforia del momento, ma mi sentivo così piena di passione. Quei baci non mi bastavano mai, e ne reclamavo sempre di più. Clopin, dal canto suo, non era da meno, e le sue mani vagarono sulla mia schiena. Mi scostò i capelli da un lato, e senza averne il sospetto, distaccò le labbra dalle mie, per poi baciarmi il collo in quel punto. Quel gesto improvviso mi fece vibrare tutto il corpo, e mi scappò un gemito di sorpresa, ma anche di piacere. Clopin si ritrasse, rendendosi conto della situazione.
- Perdonami, sto esagerando. Meglio se mi fermo, altrimenti ti salterò addosso...qui nel tuo carretto - disse, passandosi una mano tra i capelli, e fece sciogliere l'abbraccio che ci univa. Un qualcosa in me mi spinse a fare un passo in avanti, che nemmeno io mi sarei aspettata.
- Chiedimelo - gli dissi, mentre la mia faccia si stava facendo paonazza. Una parte di me mi diceva di moderarmi, ma quella più selvaggia e impulsiva, mi stava incoraggiando, e che dovevo cogliere quell'occasione così intima e rara. In fondo, anche in passato avevo avvertito quel desiderio.
- Eh? - fece Clopin, come se non avesse capito. Mi sbottonai il corsetto, sciolsi i lacci, e mi liberai di quel pezzo di stoffa rigida. Subito, la scollatura della camicia si fece più profonda, e le prime curve del seno si mostrarono con facilità. Feci molta fatica a guardarlo negli occhi.
- Ricordi? Per la tua buona condotta di qualche giorno fa, se me lo avresti chiesto, ti avrei concesso il permesso di usare questo spazio per...- mi fermai subito. Lui intanto, era rimasto con lo sguardo fisso sulla mia scollatura, per poi sollevare lo sguardo. 
- O forse, preferisci le donzelle bionde e con i seni prosperosi? - aggiunsi, facendo riferimento a una certa persona. Mi stavo coprendo il petto con le mani, come se stessi per cambiare idea. Il giullare mi prese il viso tra le mani, ed non ero più certa su cosa sarebbe accaduto in seguito. Ma fu grande la mia sorpresa, quando abbracciandomi mi sussurrò all'orecchio:
- Cherì, posso avere l'onore di diventare tuo? -. Quella richiesta così dolce e sensuale mi bastò, abbastanza da farmi decidere di scoprirmi del tutto. Feci scivolare giù la camicia. Era la prima volta che lasciavo che un uomo guardasse la mia pelle nuda, e a quel punto non sapevo come comportarmi. Allora, come se avesse intuito il mio disagio, Clopin si limitò a baciarmi di nuovo, levigando dolcemente la mia pelle con le mani. Mi fece sdraiare sui cuscini, e dopo avermi sfilato la gonna, ed essersi liberato dei pantaloni, si concentrò solo su di me. Passammo parecchio tempo a coccolarci, con baci e carezze, mentre in sottofondo c'era lo scroscio della pioggia, e il tintinnio dei cammei del pareo, ancora intorno ai miei fianchi. Quando mi sentii pronta, divaricai le gambe, e lui procedette con cautela. Aveva capito che era la mia prima volta, e con pazienza e dolcezza ci unimmo l'uno a l'altra. Passato quell'attimo, che mi sembrò uno strappo, si assicurò se stessi bene, prima di continuare. La nostra danza iniziò, con gemiti e respiri colmi di piacere. Gli occhi color pece del mio giullare brillavano di desiderio, mentre la sua voce non smetteva di pronunciare il mio nome e ripeteva ogni volta quanto fossi bella. A un certo punto, rallentò per chiedermi se doveva fermarsi, preoccupandosi per me. Come risposta mi sollevai, gli rubai un bacio, e lo spinsi giù, per poi ritrovarmi sopra di lui a cavalcioni. Quella posa, cosi familiare, mi diede scosse di desiderio maggiore. Colto inizialmente di sorpresa, il mio re mi lasciò il pieno comando, e con premura mi diede il tempo necessario per trovare il ritmo giusto. Era come una delle nostre danze che avevamo condiviso, ma più intima e focosa. Nonostante fossi ancora inesperta, Clopin mi lasciò libera di essere la parte dominante, come se quello scambio di ruoli non gli dispiacesse affatto. Non so quanto tempo passò, ma quando i tuoni cessarono, avevamo raggiunto insieme il culmine del piacere, e ben presto ci trovammo accoccolati sui cuscini. La cera delle candele si stava consumando. Una lieve luce riusciva a illuminare i nostri corpi nudi e uniti. La tempesta fuori si era placata, e si udiva solo il leggero sgocciolare dalle tegole del tetto. Esausti, ci stavamo godendo quel momento di dolce estasi, osservandoci negli occhi. Poi, lui si alzò su un fianco, sorreggendosi la testa su una mano.
- Non avevi detto che " non saresti mai entrata nel mio letto"? - mi chiese, lanciandomi un'occhiata ironica e furbetta. Risi divertita, mentre la mente vagava a quel giorno tanto imbarazzante, ma che in quel momento mi faceva solo sorridere. Con una nota di sarcasmo, mi avvicinai al suo viso e risposi:
- Appunto! Sei tu che sei entrato " nel mio letto" -. Allargando un sorriso, il giullare mi accarezzò la pelle del viso, per poi baciarmi nuovamente. Alla fine crollammo addormentati, l'una nelle braccia dell'altro. Prima di quel momento, avevo pianificato di rispettare la tradizione, e di partire il giorno dopo. Ma, forse, i miei cari mi avrebbero perdonata, specialmente mia madre. Perché avevo ritrovato il mio giullare. Avevo riavuto il motivo per poter restare. 
La Luna, che tanto aveva sofferto per amore, si era finalmente unita al suo amato Sole, nella prima luminosa eclissi.

La notte lasciò spazio all'alba, e come ogni giorno, la luce solare illuminò la terra, donandole colori di ogni genere. L'aria era ancora frizzante, ma all'interno del carretto regnava ancora un dolce tepore. Il re degli zingari era sveglio già da un'ora, e se ne stava lì, sdraiato sui cuscini, accoccolato dietro alla sua giullare, che dormiva beatamente. Con un leggero tocco per non svegliarla, le stava accarezzando le punte dei capelli. Mentre la osservava amorevolmente, i suoi lineamenti del volto si indurirono in un'espressione seria. Senza fare alcun rumore, lo zingaro si alzò e si vestì velocemente. Afferrò il suo pugnale e lo sistemò legato alla cinta. Dopo aver preso cappello e mantello, si voltò verso la sua bella amata, che dormiva ancora ignara di quello che stava accadendo. Con occhi pieni di amarezza, Clopin fece un sospiro, e con una mano fece volare un bacio in direzione di quella meravigliosa creatura che gli aveva donato tutta se stessa. Dopo di che, molto lentamente, aprì la porta sul retro, uscì, e richiuse la porta a chiave. Rimase per un attimo a riflettere, infine decise di infilare la chiave nella fessura, sotto la porta, in modo che Roxanne potesse trovarla. Fino a quando non si sarebbe svegliata, sarebbe stata al sicuro. Fatto ciò, il giullare si allontanò a passo svelto, scomparendo nel folto del bosco, senza voltarsi indietro.

Angolo dell'autrice:
Rieccomi, finalmente sono tornata con un nuovo capitolo. Ci ho messo un po’ perché questo era uno dei più importanti e difficili da rendere ^^' e capirete il perché <3 mi sono dovuta trattenere e stare attenta a non rendere questo capitolo motivo per modificare il rating da giallo ad arancione XDD Ma ci tenevo, sono sincera, ad aggiungere una scena amorosa di quel tipo nella storia (cioè, dai, per uno come Clopin, e per tutto il tempo che Roxy ha dovuto aspettare, mi sembrava il minimo XD). Beh, la cosa importante è che il re degli zingari abbia ritrovato alcuni pezzi dei suoi ricordi, (recuperando quello più importante di certo <3) e che si sia accorto di Roxanne. Però, manca ancora qualcosa. La vera resa dei conti. Secondo voi cosa accadrà? Preparatevi che ci stiamo avvicinando sempre di più alla fine, e di colpi di scena ce ne saranno <3
Grazie a tutti per l'attenzione <3  
   
 
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