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Autore: Fabio Brusa    01/10/2019    1 recensioni
"Fenrir Greyback è un mostro. Un assassino. Un selvaggio licantropo. Approcciare con cautela."
Quello che il mondo vede è solo il prodotto di ciò che mi è stato fatto.
La paura li ha portati a ritenerci delle bestie, dei pericolosi predatori da abbattere. E la vergogna per non averci aiutati li spinge a tentare di cancellare la mia stessa esistenza.
Forse finirò ad Azkaban. Più probabilmente, qualcuno riuscirà a uccidermi, prima o poi.
Non mi importa.
Non mi importa, fintanto che sopravvivrà la verità su come tutto è iniziato e sulla nostra gente.
Sui crimini del Ministero e sull'omertà di uomini come Albus Silente.
Su come il piccolo H. sia morto e, dalle sue ceneri, sia venuto al mondo Fenrir Greyback.
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GREYBACK segue la storia del famoso mago-licantropo. Attraverso vari stili narrativi, dai ricordi di bambino ad articoli di giornale, dagli avvenimenti post ritorno di Voldemort a memorie del mannaro a Hogwarts, in 50 capitoli le vicende dietro il mistero verranno finalmente portate alla luce.
Genere: Dark, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Fenrir Greyback
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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17/50

Con le sciarpe bene avvolte attorno al collo, io e Driade restavamo ad osservare i fiocchi di neve scendere come soffici piume e posarsi sulla fontana, aggrapparsi alle colonne di pietra e infilarsi fra le fessure nei ciottoli del cortile. Ci sentivamo affini ai piccoli cristalli: lasciati cadere da un piccolo nido in un mondo ostile, troppo vasto per noi. 

Era stato l'animo di Driade a farci legare, spontaneo e sincero come acqua di fonte. All'arrivo delle vacanze invernali, l'astio verso Diggory si era fossilizzato in un vero e proprio disprezzo. Possedeva una tale arroganza farmi prudere le mani. Cercavo di stargli il più lontano possibile e così finivo per evitare anche Rumble e Tattercow, parti ormai inscindibili del terzetto. Se Diggory pontificava al Campo di Volo, gli altri due si univano a dare dimostrazioni che la professoressa Spine aveva espressamente proibito.

Se ci penso ora, nonostante l'antipatia che provavo all'epoca, direi che erano solamente dei ragazzi. Buoni studenti, con amici, bravi negli sport: non avevano motivo per non comportarsi da perfetti idioti.

Moody, seduto sotto uno degli archi perpendicolari al portone, spalle a una colonna e con un tomo di Difesa Contro le Arti Oscure aperto sulle ginocchia, era un'altra faccenda. Sembrava che il mondo attorno non potesse sfiorarlo. Passava le giornate a leggere e a esercitarsi con la bacchetta, sempre solo. Ero abbastanza sicuro che si stesse portando avanti con il programma, perché in più di una occasione lo avevo visto cercare in biblioteca testi più avanzati dei nostri. Mi piaceva, Alastor. Immagino che, in un certo senso, anche io piacessi a lui, pur mancando qualsiasi minimo interesse a darne dimostrazione.

- Penso che sarà bello passare qui le vacanze. - Driade, gambe a penzoloni, teneva lo sguardo perso nel cielo sterminato.

Il fiato mi si condensò in una nuvoletta bianca. - Potremo stare tranquilli per un po'. -

- E portarci avanti con le lezioni. O in pari - mi disse, strizzando l'occhiolino.

- Non è colpa mia se Lumacorno va alla velocità dei suoi preferiti. -

- Oh, non importa. Anche se parlasse lento come una lumaca tu faresti solo pasticci. - Sorrise, allungando i petali di rosa che aveva al posto delle labbra.

- Scusa, se non sono bravo come te. -

- Ognuno ha il suo. Con gli incantesimi te la cavi decisamente bene. Potresti anche darmi qualche aiuto, non so. -

- Zittawack dice che sono uno sregolato. Se lo sento ripetere un'altra volta che ho bisogno di disciplina, potrei esplodere. -

Driade mise i piedi sul ciottolato, abbandonando la protezione delle arcate. - Non è bellissimo? - I fiocchi di neve le si posavano sulla pelle di luna, soffici quanto i suoi passi sul velo candido del cortile. - Vieni, Fen! Vieni a ballare. -

Forse aggrottai la fronte, forse un insensato tremore mi percorse il viso, perché lei mi guardò e rise. - Come mi hai chiamato? - Sentii le pupille dilatarsi, una reazione incontrollata e inspiegabile. Osservavo la sua pelle, alabastro perfetto, e non riuscivo a spiegarmi come potesse il calore delle sue gote sciogliere la neve in un battito di ciglia.

Lei ballava, da sola, leggera e incantata. Ancora non la vedevo in quel modo, ma fu allora che mi accorsi di quanto fosse bella. I ragazzi degli altri anni si fermavano ad ammirarla dal corridoio, soprattutto quelli più grandi, già pronti a lasciare Hogwarts per fare ritorno alle proprie case. Chi l'aveva ancora, una casa: quasi un terzo degli studenti sarebbe rimasto a scuola durante la pausa. Eravamo i figli della guerra. In molti non avevamo un posto dove tornare, o qualcuno che stesse aspettando davanti al camino.

Nemmeno Driade l'aveva.

- Guarda un po' chi da spettacolo: la gitana! -  La voce squillante di Alice Fawley ruppe in mille pezzi il quadro di cristallo che Driade tracciava nell'aria.

- Non sai che non è buona creanza mostrarsi in certi atteggiamenti, signorina? - Si era fatto avanti anche Preston Van Rubin, a quei tempi compagno di torture della Fawley. Si conoscevano da prima dell'arrivo a scuola. Quando Selwyn, minuscolo Corvonero, li incrociava nei corridoi, si affrettava ancora a cambiare strada. La cioccorana intera nello stomaco gli era costata la prima notte a Hogwarts in infermeria. 

A quei Grifondoro, però, piaceva mettersi in mostra. Di bell'aspetto, con accessori firmati (persino Van Rubin, che era nato babbano, ma in una famiglia oscenamente ricca), in vista... erano la versione disgustosa di Diggory, Rumble e Tattercow. E anche loro avevano un terzo compagno di crudeltà: Frank Paciock.

- Se ti devi comportare come una ragazzina indecente, forse dovresti farlo a casa tua - le intimò Alice, mani in tasca e sciarpa a penzoloni, mentre la neve le tingeva di bianco i capelli cortissimi.

- Quale casa? - fece eco Frank - Una con le ruote? Lo sai dov'è casa tua, Despins? -

- Forse non può tornarci, poverina - continuò Preston, avvicinandosi a lei come un principe pavone. - Hai bisogno di un passaggio per tornare dai tuoi? Ci sono ancora i tuoi, vero? -

- Lasciatela stare, razza di imbecilli. - Mi avvicinai a loro, fronteggiandoli come potessi abbatterli tutti con un solo pugno. A Driade mancarono le parole, ma nei suoi occhi vidi il fuoco accendersi d'impeto.

- E tu? Cosa sei, il cagnolino? - Frank si fece una grassa risata. Batteva i guanti nuovi, applaudendo alla propria stessa sagacia.

- Dì un po', - mi incalzò Preston - tu ce l'hai una cuccia dove tornare? No? Poverino. Poveri, strambi, depressi fifoni. -

Li guardavo, tutti e tre, prepotenti idioti come i ragazzi del Palo del Martire. Le immagini del sangue del furfante sulle mie mani tornarono vivide alla mente. Mi domandai se dovesse essere poi tanto diverso uccidere un ragazzino povero o uno ricco. Si sarebbero piegati, avrebbero urlato e poi lo stupore sui loro volti sarebbe diventata stupida rassegnazione. Se mi avessero incontrato la giusta notte, nemmeno me la sarei posta la domanda. Non avrei perso tempo a immaginare.

In quel pomeriggio scorsi invece una differenza: non in ciò che erano, boriosi arroganti alla ricerca del loro posto a scuola, ma in ciò che avevano fatto. Nel loro vissuto. Erano diversi dai ragazzi del Palo: lo sentivo dal loro odore. Dal tremolio incerto negli occhi. Loro non lottavano per sopravvivere. Lo facevano per noia.

Avevano aperto le code a ruota e cercavano di impressionare un pubblico, ragazzi e ragazze più grandi attorno al cortile zuppo di neve e terra.

- Lasciateci stare. - "Dai loro una possibilità" mi dissi, stringendo i pugni. Per gli insulti ricevuti, anche se non la morte, meritavano una punizione. Se non per me, almeno per Driade.

Alice Fawley mi fissò, arricciando le labbra, indignata. - Altrimenti? -

Strinsi i denti.

Strinsi i pugni.

"Stai calmo". 

Ma Paciock allungò il braccio. - Allora, cagnolino? -

La spinta fu la goccia che fece traboccare il vaso.

La furia è qualcosa di difficile da controllare. Pochi ne hanno davvero idea: tutti si arrabbiano, ma essere infuriati, ricolmi di quel liquido bollente e puro, è cosa davvero rara. Si perde il senso dello spazio, del giusto e sbagliato, i movimenti accelerano e sembra di guardare fuori dagli occhi di un'ape impazzita. 

E proprio come un insetto lunatico fui spazzato via, sbalzato a terra sulla schiena, a una manciata di metri di distanza. Il colpo fu forte e improvviso, ma ne avevo sopportati di molto peggiori. Così, dopo un istante di stordimento, alzai la testa: Preston Van Rubin impugnava all'altezza della vita la sua bacchetta. Aveva farfugliato qualcosa e ora scagliava il suo secondo incantesimo: un sorriso languido a Driade, spaventata e furibonda.

BOOM, ragazzo-cane - sputò fuori Frank.

- E tu, ora vedi di... -

Non lasciai terminare Alice di nuovo. In meno di un istante fui in piedi, lanciato come una belva contro quel bastardo di Frank Paciock. Nemmeno immaginava quanto brucianti fossero i suoi stupidi insulti! Non aveva idea nemmeno del perché se la stesse prendendo con noi: seguiva solo la corrente. Ma un fiume di collera stava risalendo verso la fonte.

- Fen, attento! - Driade urlò e portò le mani alla bocca.

Van Rubin rialzò la bacchetta, puntando verso quel facile bersaglio che gli stavo offrendo.

Un secondo dopo, la voce di un cannone colpì: - Flipendo! -

Van Rubin fu spinto a terra, inzaccherandosi i pantaloni e soprattutto mancando il colpo. Io, su Frank, non mancai. Il pugno si piantò dritto fra zigomo e naso. Frank si inginocchiò, coprendosi il viso e cercando segni del proprio sangue.

- Mi hai rotto la faccia! Mi hai rotto la faccia! -

Respirai a fondo, per riprendere il controllo. Solo allora mi accorsi di Preston, con quell'espressione disarmata per il fango sui vestiti immacolati. La bacchetta era finita nella neve, ma lui era scivolato nella poltiglia e fatto un volo a sacco di patate dove umidità, foglie e terriccio si erano mescolati in un lordo amalgama.

- Ne vuoi ancora? Afferra la bacchetta, dai. Sto aspettando. - Quella voce. Non avete idea di quanto mi manchi, quella voce.

Magnus, avvolto nel lungo mantello bordato di verde, si scostò il lungo ciuffo dalla fronte. Puntava la bacchetta contro i tre, ondeggiandola come se fosse senza peso.

- Non puoi farlo, Lovegood. Non sai che è vietato? - L'unica cosa che riuscì a inventare Alice Fawley, trovandosi improvvisamente a parti invertite, fu una mera idiozia.

- Allora dovremmo dire a qualche professore che avete iniziato un duello magico con V. e Despins. E che loro, nel rispetto delle regole, hanno risposto senza magia. Giusto? -

Così com'era iniziato, tutto finì in un batter d'occhi. Fawley, Paciock e Van Rubin si tolsero di mezzo, preoccupati più degli sguardi divertiti dei ragazzi più grandi, piuttosto che di me, Magnus o Driade.  Si ritirarono come topi all'arrivo del contadino.

- Guardati, - mi disse Magnus, facendo sparire la bacchetta e rimproverandomi con lo sguardo - sei tutto sporco. Hai la schiena tutta grigia di fango. -

- Grazie - esplose Driade, recuperando all'improvviso la parola. Abbassò la voce: - Grazie per averci aiutati. -

- Ce l'avrei fatta - millantai. Non conoscevo nemmeno un singolo incantesimo che avrebbe potuto servirmi a difesa. A far levitare le piume ero piuttosto bravo, ma con le mie competenze magiche potevo ancora fare ben poco.

- Avresti potuto star zitto e toglierti di mezzo. Ti sei graffiato e sporcato e quasi umiliato solo per proteggerla. - Quella di Magnus non era una domanda.

- Se il prezzo è aver la schiena grigia, non è poi così un grande problema. -

Driade mi prese sottobraccio. Poi fissò Magnus, indecisa per qualche istante su come comportarsi. Ma aveva già deciso che il tondo biondino le piaceva.

- Andiamo, dobbiamo darti una pulita, Fen. -

- Perché mi chiami Fen? - le domandai. Ma lei scrollò le spalle e ammiccò, come se sapesse un segreto del quale non voleva rendermi partecipe.

- E insegnarti qualcosa - aggiunse Magnus. - Prima di tornare a casa, lascia che ti spieghi una o due cosette che puoi fare agitando il bastoncino che tieni in tasca. -

Ci trascinammo lontano dal cortile, non senza l'applauso di qualcuno, divertito dallo spettacolo. La calma tornò a scorrere al comparire di un perplesso professor Lumacorno, che salutò ogni volto noto incontrato nei passatoi senza comprendere il motivo di un tale assembramento di studenti.

All'altro lato del cortile, Alastor Moody chiuse il suo libro. Mi fissava con il volto inespressivo di chi ha poche risposte a una quantità preoccupante di domande.

   
 
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