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Autore: time_wings    01/10/2019    3 recensioni
Alla 1-A viene data l'opportunità di passare un'estate in un resort di lusso. Sembra forse esserci un modo migliore di combattere il caldo e i duri allenamenti al chiuso?
Purtroppo, però, sogni così inverosimili, si sa, finiscono sempre per schiantarsi al suolo ed i ragazzi scopriranno presto, a loro spese, che non è tutto oro quello che luccica e che, come ogni eroe che si rispetti, anche a loro toccherà guadagnarsi la fortuna che tanto desiderano.
Riusciranno i nostri futuri eroi a trovare il modo di godersi l'estate nonostante imprevisti ed incidenti di percorso?
Piccole avventure e brevi sconfitte riempiranno i capitoli con il fascino travolgente dei personaggi che abbiamo amato.
Una storia di amicizia e di paura, che mostra il percorso di adolescenti in cerca di loro stessi, alle prese con timori da superare e amori da conquistare.
[KiriBaku, KamiJirou, Tododeku]
Genere: Comico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou, Kirishima Eijirou, Mina Ashido
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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ASTRAPHOBIA
paura dei tuoni e dei fulmini

 

 


Pedibus timor addidit alas.
(La paura aggiunse ali ai piedi.)
Publio Virgilio Marone
 
 

Il terzo giorno di permanenza al Lotus Resort, per Tokoyami, non era iniziato granché bene. Di norma era un tipo tranquillo e pacato. D’altro canto, con la sua Unicità, sbraitare e cedere all’ira era un lusso che non poteva assolutamente concedersi. Generalmente, quello era tipico di Bakugo.
Eppure c’era una cosa, una cosa sola sulla quale assolutamente non transigeva e quella cosa erano i suoi calzini. Sì, perché per motivi che non amava affatto diffondere i suoi calzini erano, appunto, suoi e non voleva assolutamente che venissero toccati. Peccato che Mineta, per sua grande sfortuna, avesse ben pensato di far ingelosire le ragazze, almeno a detta sua, ponendo un calzino sulla maniglia della porta della loro stanza, per far credere loro che avesse ‘passato una notte di follie’. Tra i tanti, il calzino incriminato apparteneva proprio a Tokoyami. In effetti, Mineta una notte di follie l’aveva avuta eccome e, per questa ragione, quella mattina il suo silenzio contribuì a donare al resto della 1-A una pacifica colazione.
“Perché Mineta ha quella faccia?” Domandò Sero e Kirishima scrollò le spalle.
“Non lo so…” La frase di Kaminari fu interrotta da uno sbadiglio: “Ma oggi ho ben altro a cui pensare.” Continuò, sorridendo furbescamente. Kirishima gli regalò un sorriso compiaciuto ed uno sguardo d’intesa: “Lo fai oggi?”
“Sì, è il mio giorno libero, vuol dire che dovrei riuscire a prendermi il tempo necessario per non provocare un altro black out o, in quel caso, far ritornare la corrente prima che se ne accorgano tutti.”
“Già, non so se riuscirò ancora a cambiare discorso senza che Iida se ne accorga.”
“Senza che Iida si accorga di cosa?” S’intromise Ashido, di ritorno con un bicchiere colmo di succo d’arancia ed un vassoio.
“Niente!” Risposero in coro i tre, mentre Mina alzava un sopracciglio. A quanto pareva non se l’era bevuta.
“Kirishima, tu faresti meglio…”
“A non finire di nuovo in punizione, lo so, lo so.” Il rosso alzò gli occhi al cielo: “Però non è così male, alla fine.” Considerò. Ashido scambiò uno sguardo veloce con Kaminari e con Sero, per poi tornare a guardare Kirishima: “Perché?” Domandò, fingendosi confusa.
“Ci sarà anche Bakugo.” Replicò semplicemente Kirishima, tornando con lo sguardo sui suoi amici, che non mossero un muscolo. Al rosso venne istintivo arrossire: “Cioè, una punizione con il tuo migliore amico non è davvero una punizione, dico bene?” Si spiegò, passandosi una mano sulla nuca e sforzandosi di sorridere, anche se non riuscì a non lasciar trapelare un'incomprensibile punta di nervosismo. Lanciò uno sguardo in direzione di Bakugo, qualche sedia alla sua sinistra: non sembrava star ascoltando. Non sapeva bene perché, ma i suoi amici lo stavano mettendo a disagio.
“Vero, ci può stare.” Convenne Ashido, con un’alzata di spalle, come se stesse ponderando la credibilità della sua scusa. E con ciò, girò i tacchi e si diresse verso le amiche, poggiando il suo vassoio a tavola. Kirishima non smise di guardarla neanche per un secondo: si sentiva studiato, attaccato, come se fosse stato colto con le mani nel sacco. Un sacco colmo di cosa? Questo non lo sapeva.
“Allora, mi coprite?” Kirishima tornò con lo sguardo su Kaminari, emergendo finalmente da quella bolla tossica che erano diventati improvvisamente i suoi pensieri.
“Ovvio.” Confermò, dando il cinque ai suoi amici.
 
“Sei giù di morale senza il tuo amicone?” Domandò Jiro, sporgendosi sul bancone, per poggiare la limonata ghiacciata che Kirishima le aveva chiesto. Il sole era ancora alto nel cielo, segnando le dieci e non accennando a lasciarsi coprire da nuvole fresche. Il rosso sospirò, passandosi una mano sul ponte del naso e bevendo un primo sorso ghiacciato, che per poco non gli gelò il cervello.
“È solo molto stancante stare da solo.” Commentò, non appena ebbe mandato giù la limonata gelata, poi poggiò il bicchiere momentaneamente sul legno scuro.
“Sono davvero così terribili?” Si intromise Midoriya, con un paio di bicchieri in mano da pulire con uno straccio.
“Sono vivaci.” Si limitò a replicare stremato Kirishima, rialzando il bicchiere, sotto il quale si era creata ora una pozza di acqua fredda, dovuta alla condensa.
“Beh, sono stati davvero ironici a farti fare l’animatore.”
“Guardiano dei bambini, grazie.” La corresse Kirishima, alzando un dito con fare teatrale e alzando poi gli occhi al cielo: “E poi cosa vorresti dire, scusa?” Il suo tono cambiò radicalmente. Si girò con tutto il busto verso la ragazza, guardandola mezzo offeso.
“E cosa vorrebbe dire ‘Guardiano dei bambini?’” S’informò Jiro, scimmiottando la sua voce.
“Non hai risposto alla domanda!” La incalzò Kirishima e fu il turno di Jiro di alzare gli occhi al cielo: “Che sei un pazzo irresponsabile.” Gli concesse, schioccando la lingua e sorridendo ironica.
“Come osi!” E, detto ciò, Kirishima ebbe la brillante idea di raccogliere con un dito l’acqua caduta dal bicchiere e schizzarla negli occhi della ragazza.
A dire il vero, era da un po’ che Midoriya non prestava attenzione ai battibecchi dei due amici. Per prima cosa non voleva intromettersi in quelli che erano chiaramente scherzi tra loro. Sarebbe stato inopportuno e non avrebbe saputo che dire. In realtà questo era il mitico alibi che si era raccontato per evitare di affrontare la verità. Sì, perché, ad essere onesti, il vero motivo per cui si era improvvisamente distratto o, per meglio dire, per cui era stato improvvisamente distratto era totalmente, innegabilmente ed irrimediabilmente collegato al fatto che Todoroki avesse deciso in quel momento che faceva decisamente troppo caldo per tenere la maglietta blu che il Lotus resort aveva gentilmente concesso ai ragazzi. Midoriya fu rapito dai gesti lenti del ragazzo a metà, che aveva preso ad alzare i lembi inferiori della maglia, lasciando che sempre più porzioni di pelle venissero direttamente esposte ai raggi cocenti del sole delle dieci. I muscoli guizzavano sotto la pelle, rivelando un glorioso fisico scolpito, interrotto, ahimè, dall’elastico del costume rosso che, secondo il modestissimo parere di Midoriya, era posizionato decisamente troppo in basso perché potesse sentirsi a suo agio.
“Midoriya?”
“EH?” Il ragazzo sobbalzò e, il bicchiere che reggeva, ancora sporco, da qualche minuto volò per un attimo, prima che lo riacciuffasse in modo tutt’altro che fluido. Kirishima e Jiro si scambiarono uno sguardo confuso.
“Stavi di nuovo borbottando.”
“EH?” Quasi gridò Midoriya, di nuovo, raggiungendo una tonalità di rosso brillante che i capelli di Kirishima speravano da anni di conquistare.
“Beh, allora?” Lo incalzò Jiro.
“Allora cosa?”
“A te Kaminari l’ha detto cosa sta architettando?” Midoriya scosse la testa, ancora troppo provato dall’imbarazzo, per elaborare frasi più complesse.
“Rassegnati, non te lo dirà mai.” La canzonò Kirishima, con aria scherzosamente superiore.
“Ah, si? Io oggi smonto presto, magari vado a vedere che combina.” Ribatté tagliente la ragazza.
“Cosa? E perché smonteresti presto, tu?” Kirishima poggiò entrambe le mani sul bancone, avvicinandosi col viso a quello di Jiro.
“Lo scoprirai domani.” Rispose lei, reggendo il suo gioco: “Anche io ho i miei segreti.”
“Oh, avanti.” La incitò il rosso.
“Rassegnati, non te lo dirà mai.” Ripetè Midoriya, tornando a lucidare il bicchiere e guardando la scena con un pizzico di ironia.
“Dekuuuuuu!” Bakugo camminava verso il chiosco del bar con un’aria decisamente più esplosiva del solito. Kirishima inarcò un sopracciglio e tornò ad accasciarsi sullo sgabello, lanciando una veloce occhiata in direzione dei piccoli: grazie a Dio non si erano ancora stancati di costruire castelli di sabbia. Non che odiasse i bambini, anzi, solo che lì poteva godersi un po’ di freschezza concessa dalla leggera brezza che l’ombra donava al chiosco. L’odore tipicamente marino del sale gli pizzicava il naso e la sua bevanda ghiacciata rischiava davvero di rilassarlo oltre l’inverosimile.
Midoirya, invece, sembrava tutt’altro che rilassato: “Kacchan, è successo qualcosa?” Domandò, preoccupandosi nel vedere il suo amico fumare letteralmente.
“Direi di sì.” Sentenziò il biondo, sedendosi sullo sgabello accanto a quello di Kirishima con la sua tipica grazia, ovvero quella che rasentava quella di un elefante in crisi di mezza età: “Quel bastardo a metà mi fa girare le palle. Versami della limonata.” Si lamentò. Il suo ginocchio toccò involontariamente quello di Kirishima, con un leggero strofinio, pelle contro pelle. Kirishima abbozzò un sorriso, mentre ascoltava le assurdità di Bakugo, ma una parte irrazionale di lui continuava a ripetergli che la sua contentezza non era affatto dovuta all’ironia della situazione. Beh, allora a cosa? Si domandò ingenuamente il ragazzo.
“Che ha fatto, scusa?” Gli Midoriya, affrettandosi ad esaudire i desideri del biondo, ma interessandosi alla questione. Jiro alzò gli occhi al cielo e si tirò fuori da quella ridicola situazione, decidendo che era arrivato il momento giusto per rifornire il frigo di bevande gasate che, grazie a Dio, doveva andare a prendere alla reception. Almeno così sarebbe potuta passare a salutare Hagakure.
 
Erano le undici e mezzo e Kaminari non poteva credere di essere ancora bloccato nella sua stanza. Aveva in programma di completare l’opera in un paio d’ore e poi passare il resto del suo giorno libero ad infastidire banalmente i suoi amici e magari fare anche un tuffo, perché no? Invece il suo obiettivo gli stava dando del filo da torcere. Sospirò, abbandonandosi con la schiena contro il muro di legno. Era seduto a terra eppure faceva troppo caldo per riuscire a godere del minimo refrigerio. Fissò il soffitto per qualche secondo, chiedendosi quanto ne valesse effettivamente la pena: “Maledizione.” Sussurrò avvilito. Stava per gettare la spugna, ma tre colpi alla porta lo distolsero dai suoi pensieri.
“Cosa è maledetto?” Jiro entrò nella stanza senza aspettare una risposta.
“Che fai, origli?” Domandò Kaminari, un braccio appoggiato mollemente sul ginocchio piegato e lo sguardo che riacquistava lentamente irriverenza. Jiro, con somma sorpresa di Kaminari, arrossì e distolse lo sguardo: “T-ti avrebbe sentito chiunque.”
“Ho sussurrato.”
“Che stai combinando?” Jiro cambiò discorso, puntando gli occhi su uno strano aggeggio elettronico abbandonato sul pavimento, accanto al ragazzo. Kaminari si riscosse del tutto, saltando in piedi, e ricordandosi che quello che stava facendo non era propriamente legale.
“Mh, niente, studiavo.” Improvvisò, ben consapevole del fatto che la ragazza non se la sarebbe bevuta, ma sperando comunque di strapparle un sorriso, buttandola sull’ironia. Jiro, però, non sembrava dello stesso avviso: “Come no, cos’è?” Domandò schietta, forte del fatto che Kaminari fosse un terribile bugiardo.
“Tu che ci fai qui?” Ribatté il biondo, sulla difensiva.
“Ho il resto della mattina libera, perché domani sera faccio un extra. Cos’è?” Ripeté Jiro, insistente.
“Se te lo dico prometti che non lo andrai a dire in giro?”
“Se non me lo dici andrò certamente a dirlo in giro.” Rispose la ragazza, con un sorriso furbo. Kaminari sospirò.
“Bene.” Annunciò solenne. Si schiarì la voce, alzò un dito con un gesto degno di un direttore d’orchestra e: “Benvenuta nel CVS.” Esalò, come se l’acronimo fosse valido e famoso.
Seguirono dei momenti di imbarazzante silenzio, in cui Kaminari mantenne la sua posa teatrale, sperando in un’esultanza o in un qualche tipo di reazione della sua amica, mentre lei, al contrario, non poteva fare a meno di guardarlo come se fosse il più esperto degli idioti.
“Eh?” Jiro stroncò sul nascere ogni tentativo di sorpresa che Kaminari aveva intenzione di strapparle. Il ragazzo alzò gli occhi al cielo e si arrese: “Covo Videoludico SeKaKi.” Jiro lo guardò dritto negli occhi: “Non dirmi che…”
“Sì.” L’interruppe il biondo: “Sta per Sero, Kaminari e Kirishima.”
“Cioè, stai installando una consolle sfruttando la connessione dell’edificio?” Domandò, spoetizzando, pratica come sempre.
“Beh, sì…” Replicò mesto Kaminari: “Ma manca il cavo adatto, quindi sono io ad adattarmi.” Esalò, mostrandole una quantità miracolosa di fili e cavi collegati tra loro alla bell’e meglio, ricchi di tagli, unioni e scotch nel quali lo zampino di Sero era decisamente facile da rintracciare.
“Per questo stai provocando black out più o meno ogni minuto da quando sei qui?” Kaminari si passò imbarazzato una mano sulla nuca, scompigliandosi i capelli: “Più o meno.”
“Se la tua valigia era occupata da questo allora… A che serviva il fondotinta di cui hai parlato il primo giorno?”
“Oh, beh, Sero si è graffiato con un filo di rame e dovevamo occultare le prove.”
Jiro distolse lo sguardo, puntandolo sul muro al lato, come se vi fosse improvvisamente qualcosa di molto interessante. Sospirò, sapendo che se ne sarebbe presto pentita: “Avanti, fammi vedere qual è il problema.” Kaminari sgranò gli occhi e la guardò come se si fosse appena trasformata in una dea: “Cosa? Mi aiuterai?”
Oh, no, non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce: “Fammi vedere qual è il problema.” Ripeté, collegando i jack alla consolle, pronta a individuare la frequenza perfetta e, possibilmente, a non farsi investire dalle scariche elettriche di Kaminari.
 
Passarono svariati minuti, durante i quali i due ragazzi si concentrarono sulle loro Unicità e sul modo migliore per metterle a frutto. Nonostante gli innumerevoli tentativi, la rete di cavi che Sero, Kamianari e Kirishima avevano costruito sembrava non condurre corrente o, per lo meno, non riuscire a farla rimanere stabile abbastanza a lungo da potersi dire funzionante e sicura. Jiro stava in ascolto, percependo ogni volta in che punto la connessione tra cavi si ostruisse. Era strano. In un certo senso sentiva l’elettricità di Kaminari fluire nella rete. Era quasi come entrare in contatto con lui. Un paio di volte si girò a guardarlo, il labbro inferiore tra i denti e gli occhi serrati, attento a incanalare correttamente la potenza. Era buffo, ma Jiro si ritrovò ad ammettere, almeno a se stessa, che non era solo buffo. Scosse la testa, all’ennesimo pensiero intrusivo. Non voleva neanche pensarci. Per fortuna la situazione la salvò.
“Fermo!” Gridò infatti. Kaminari spalancò gli occhi all’improvviso: “Funziona?” Chiese, con l’ingenuità di un bambino.
“Non lo so, ma penso che se colleghiamo questi…” Jiro si protese verso due cavi neri e a Kaminari venne la brillante idea di fare lo stesso. Sfiorò le mani della ragazza, ritraendole un attimo dopo e arrossendo violentemente. Jiro, per grande sollievo di lui, non lo vide mai, troppo occupata a gestire il suo, di imbarazzo. Che diavolo le stava succedendo? Perché era così strano? La stanza sembrava improvvisamente troppo piccola e le ginocchia le tremavano.
“Prova ora.” Disse, allontanando le mani dalla strampalata torre di fili aggrovigliati.
Kaminari trasse un respiro profondo, poi chiuse gli occhi e lasciò fluire l’energia. Quando, qualche secondo dopo, aprì un occhio, spaventato all’idea di veder crollare il suo castello di speranze, Jiro sorrideva ed il monitor che avevano collegato alla consolle brillava di un trionfante blu cobalto. Le sopracciglia aggrottate dalla concentrazione si distesero in un’espressione di pura gioia ed incredulità: “HA FUNZIONATO!” Gridò, fiondandosi su Jiro e trascinandola sul pavimento di legno, stando attento a non farle troppo male alla schiena. I due ragazzi scoppiarono a ridere, uno addosso all’altra.
“Che squadra!” Gridò Kaminari nell’orecchio di Jiro, alzando finalmente la testa e puntando per la prima volta gli occhi dorati in quelli scuri di lei, che lo scrutavano dal basso. Il riso gli morì in gola. Si schiarì la voce, decisamente a disagio, ma non riuscendo ad emettere alcun suono o a interrompere quel contatto magnetico, che si riscoprì totalmente incapace di tenere sotto controllo. Jiro, dal canto suo, lo fissava in risposta. Un misto di confusione e paura nel suo sguardo. Per la prima volta notò delle pagliuzze più scure negli occhi del ragazzo. Le ha sempre avute? Si ritrovò a domandarsi. Kaminari non seppe bene quanto tempo stesse passando, ma era sicuro che fosse tantissimo. Nonostante ciò, però, avrebbe voluto rimanere così per sempre. C’era qualcosa, nella sua testa, che non era paragonabile nemmeno alla solita vocina di cui parlano nei film, no, più che una vocina era un istinto. Un istinto che gli intimava in modo tutt’altro che delicato di avvicinarsi ulteriormente. Anzi, gli urgeva di avvicinarsi al punto che non ci fosse più modo di andare oltre. Il suo istinto gli stava dicendo di fondersi con le sue labbra, adesso addirittura più magnetiche dei suoi occhi. Jiro perse un battito quando lo sguardo di Kaminari si posò più in basso e sentì il respiro del ragazzo farsi più irregolare. Quasi non sentiva il suo peso, ma allo stesso tempo era addirittura piacevole sentirlo addosso.
Din
Il suono della consolle spezzò l’incantesimo, ricordando ai ragazzi che era perfettamente funzionante e che non vedeva l’ora di essere usata. Kaminari esitò ancora per qualche secondo tra i suoi occhi e le sue labbra, più come a imprimere quei dettagli per sempre nella sua testa, che per speranza di fare qualcosa di concreto. Il biondo si alzò, liberando la ragazza del suo peso e spazzolandosi i vestiti nervosamente, mugugnando qualche scusa imbarazzatissima. Jiro lo imitò, guardando lo schermo in un mix contrastante di odio e soddisfazione.
Kaminari non sopportava più quella pesante aria. Non era affatto da lui non dire idiozie per più di cinque secondi. Cosa gli prendeva?
Un’ide geniale gli balenò in testa: “Jiro.”
“Mh?” La ragazza distolse a fatica lo sguardo dallo schermo.
“Ti va di fare una partita?”
Si sedettero sul letto di Kaminari, un joystick a testa in mano e le ginocchia che si sfioravano.
“Ti distruggo.” Fu la dichiarazione di guerra di Jiro, che gli scoccò un’occhiata che trasudava sfida da tutti i pori.
“Provaci.” La provocò Kaminari, con un sorriso furbo.
Possibile che… Si ritrovò a pensare il biondo, mentre le dita volavano frenetiche sul joystick.
Mi piaccia? Si chiese Jiro, pensando all’unisono con lui, a qualche metro di distanza.


Note di El: è un miracolo signori.
Vi scrivo senza uno straccio di Wi-Fi e sfruttando la connessione del mio telefono sul computer. Sono paragonabile al CVS di Kaminari.
Bene. Praticamente è un capitolo tutto Kamijiro, ma è abbastanza di passaggio.
La storia di Tokoyami è palesemente un mio viaggio mentale, ma mi faceva piacere inserirlo (e magari usarlo di nuovo più avanti, chissàààà)
Bene, io devo scappare, spero riuscirete a leggere queste righe, il mio cellulare farà del suo meglio.
Grazie ancora a tutte le persone che stanno commentando e inserendo la storia tra le preferite/ricordate/seguite.
E grazie anche a te, lettore silente!
A martedì!
Adieu,

El.

 
   
 
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