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Autore: RosaRossa_99_    02/10/2019    2 recensioni
“Lasciami andare ho detto”
dissi con più convinzione provando a liberare i polsi, ottenni solo che la sua stretta aumentò, scavandomi la pelle e facendo pulsare il sangue sotto di essa. Il mio corpo tremò sotto quel tocco così rude e il suo respiro aumentò lasciandomi andare e allontanandosi, mi diede le spalle e si incamminò verso la strada da cui era venuto.
Non vedevo Seth da così tanto che se non fosse stato per quegli occhi non lo avrei riconosciuto.
Genere: Azione, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Triangolo, Violenza | Contesto: Universitario
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Una settimana, due settimane, tre settimane. Eravamo di nuovo punto e a capo.

Flora aveva spedito Gioia dai miei genitori, non volevo che mi vedesse in queste condizioni. Loro credevano che la avessi adottata, cosa in parte vera, salvandola da una vita in orfanotrofio. E Gioia era stata talmente tanto convincente che i miei ci avevano creduto senza troppe domande. Lei non sapeva che in realtà era davvero un'orfana… e non lo avrebbe saputo. Le avevamo detto che i suoi genitori erano partiti per un lungo viaggio d'affari e che presto sarebbero tornati ma lei sarebbe dovuta rimanere con noi. Non sembrava averci creduto ma non aveva chiesto altro, rendendoci meno faticoso mentire.

I miei genitori all'inizio non credevano che sarei stata in grado di gestirla, dicendo che ancora ero troppo immatura ed era troppo presto per formarmi una famiglia. Volevano che pensassi prima a farmi una carriera, ma presto cambiarono idea, conoscendo la bambina vivace e felice che era; se ne erano subito innamorati, e lei di loro. Avevano capito che lei non era un impedimento per il mio futuro, anzi mi faceva bene, spronandomi a migliorare. Mi avevano proposto di entrare nell'azienda di famiglia non appena avevano scoperto che avevo lasciato il lavoro e che mi ero trasferita in Francia e di questo loro erano stati molto felici, nel profondo non avevano mai accettato il mio lavoro né la mia città, troppo caotica e frenetica. Erano venuti a farci visita un mese fa e ne erano rimasti talmente tanto colpiti da non insistere più sul farmi entrare nell'azienda di mio padre, vedendomi felice e spensierata, o almeno di facciata.

Sembravano così lontani quei tempi… ora avevo smesso completamente di mangiare, ero come un fantasma costantemente in pena. Ero arrivata a talmente tante volte in cui stavo per farla finita… ma poi ripensavo sempre a Gioia, avrebbe perso la sua seconda mamma, la sua ultima famiglia disposta a tutto per lei. Sarebbe rimasta sola, di nuovo, e sta volta anche lei si sarebbe spezzata.

Ma ora non ce la facevo, dovevo prima guarire, dimenticarlo, per poterla riaccogliere. Flora cercava di starmi il più vicina possibile, obbligandomi a mangiare quel tanto che mi bastava per continuare e tenendomi sempre compagnia, non lasciandomi quasi mai sola. Ma la notte lei non sapeva che io la passavo con gli occhi spalancati, fissi al soffitto. Flora aveva preso l'abitudine di dormire con me, per non lasciarmi sola, ma non sapeva che ogni notte mi alzavo: andavo in bagno e spostavo una mattonella del pavimento, nella quale tenevo nascosto quello che mi aiutava a superare le giornate con più facilità, rendendomi meno morta e spegnendo tutto nella mia testa. Tutti i ricordi, tutte le sensazioni, tutte le emozioni. 

Così quella notte non fu diversa. Mi alzai non appena sentii il respiro di Fiona appesantirsi e sgattaiolai in bagno, chiudendomela alle spalle. Mi accasciai alla parete prendendo un respiro, poi mi accovacciai a terra, vicino il lavabo, spostando la mattonella al lato di esso ed estraendone un sacchetto trasparente. Dentro di esso vi erano delle pilloline viola, le ultime tre della confezione. Ne estrassi una con la mano tremante soffermandomi a guardarla un attimo: una cosa così piccola era in grado di farmi sentire così bene… almeno per qualche ora. Vedevo solo lui nella mia testa e l'ecstasy me l'avrebbe fatta dimenticare, cancellato come se non fosse mai esistito.

La portai alla bocca, ingoiandola senza pensarci due volte, sdraiandomi sul pavimento e guardando il soffitto. Quando le mie palpebre iniziarono a farsi pesanti e la mia mente a svuotarsi capii che la droga aveva fatto il suo effetto.

 

Mi svegliai di soprassalto: ero ancora distesa sul pavimento ghiacciato del mio bagno. Mi asciugai la fronte sudata e mi accorsi di avere la gola totalmente secca e asciutta così decisi di alzarmi, tirandomi su aggrappata al lavello, barcollando ancora per gli effetti della droga. Uscii il più silenziosamente possibile, notando ancora Flora addormentata, e iniziai a scendere le scale. Il che fu un'impresa poiché la testa mi girava pericolosamente; rischiai di cadere e scivolare una decina di volte ma riuscii sempre ad aggrapparmi al corrimano in vetro che accompagnava le scale, evitando così di fare rumore e svegliarla: avrebbe scoperto delle mie pilloline della felicità e sicuramente questo non l'avrebbe resa altrettanto felice. Finalmente arrivai al piano terra e non appena posai un piede sul parquet intrapresi un balletto di vittoria, girandomi su me stessa saltellando, ma un giramento di testa mi fece finire con il sedere a terra. Per fortuna dalla mia stanza non si sentiva niente così come se nulla fosse, e non percependo il dolore sul coccige, mi rialzai correndo e inciampando sui miei stessi piedi verso la cucina. Il vetro che avevo rotto, ora sostituito temporaneamente con un pannello in legno, mi riportò alla realtà per un millesimo di secondo. Lui non c'era più. Poi la mia testa accantonò il pensiero. Acqua, mi serviva acqua.

Aprii il frigo afferrando una bottiglia e richiudendo subito l'anta, la vista di tutto quel cibo mi aveva fatto salire la nausea. Stappai la bottiglia iniziando a bere con avidità e rovesciandone un po' sulla maglietta bianca. Sulla sua maglietta bianca.

"Al diavolo"

Mormorai guardando la chiazza prendere spazio sulla maglia, un po' come aveva fatto lui, impossessandosi piano piano di me. Me la sfilai barcollando, buttandola nel tritarifiuti e azionandolo. Vidi la maglietta strapparsi e dilaniarsi, così come lo era il mio cuore. Non appena questa fu totalmente distrutta realizzai. Strabuzzai gli occhi, portandomi le mani ai capelli e iniziando a tirarli. Avevo distrutto il suo unico ricordo, anche se ormai aveva perso il suo odore

"No, no, NO! Perché hai voluto farmi questo?! Perché??!! Perché mi hai abbandonato… perché sei morto…"

Sentivo la mia voce affievolirsi, così come l'effetto della droga assunta qualche ora prima. Mi accovacciai sul pavimento, coperta solo dalla biancheria intima, rannicchiandomi e iniziando a dondolarmi avanti e indietro. Il dolore stava iniziando a tornare. Quel dolore al petto così forte e insistente. Ed ecco il suo volto tornare a popolare la mia mente, tutti i nostri momenti felici, la sua voce così sensuale quando diceva di amarmi…

"VATTENE VIA!"

Urlai prendendomi a schiaffi per levarmelo dalla testa, ma questo fece solo intensificare i miei pensieri.

DING DONG

Il suono del campanello mi fece saltare leggermente in aria. Alzai il mio viso stravolto dalle lacrime e dai graffi, chi poteva essere? Mi alzai lentamente, poggiando la schiena contro il ripiano del lavabo e facendo forza con le gambe. Avanzai lentamente verso la porta d'ingresso, trascinandomi come un corpo morto. Non mi importava chi fosse, in quel momento avrei tanto voluto che fosse un ladro, con una pistola puntata verso di me, pronto a sparare e a spedirmi da lui. Avrei fatto di tutto per rivederlo. Al diavolo i miei, al diavolo Flora, al diavolo Gioia. Non potevo continuare, la stavo rovinando. Lei non si meritava questo, sarebbe stata mille volte meglio senza di me, solo con la zia Flora a sostenerla… non sarei mai potuta guarire, chi volevo prendere in giro? Ormai era troppo tardi per me.

Mi ritrovai davanti alla porta, ferma, impassibile. La mia mano tremava mentre avanzava verso la chiave che serrava la porta. Uno, due tre scatti. La porta era aperta. Dovevo solo girare il pomello e tutto il mio dolore sarebbe potuto terminare all'istante.

Spalancai la porta, trovandomi due sagome di uomini alti e possenti: era arrivato il momento. Chiusi gli occhi facendo un passo indietro e permettendo il loro ingresso, pronta a ricevere il colpo finale

"Hana… c-cosa hai fatto"

Inarcai le sopracciglia, quella voce… quella voce la conoscevo, la conoscevo troppo bene. Spalancai gli occhi e lui era davanti a me

"Sono in paradiso?"

Dissi, prima di svenire. L'ultima cosa che sentii furono delle calde braccia afferrarmi prima che potessi schiantarmi al suolo e delle parole

"Non posso credere di averti fatto questo"

Buio totale

   
 
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