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Giudici e
Giudicati
La
scuola che Arikien aveva tanto sognato era stata terminata e sistemata
in tempi
relativamente brevi. All’inaugurazione, Lucifero aveva
tagliato il nastro con
orgoglio, con accanto l’erede di Alukah ed alcuni maestri che
avrebbero presto
insegnato nella struttura. Molti erano stati i curiosi, accorsi ad
ammirare
quella novità, e molti furono gli iscritti. Su richiesta di
Keros, era stato aperto
un portale che collegava il palazzo reale all’edificio appena
inaugurato. In
questo modo il principe era libero di muoversi fra i due ambienti senza
faticare, impiegarci troppo tempo o dare nell’occhio.
Il
primo giorno di lezione e collegio, i corridoi erano affollati e
rumorosi.
Arikien osservò, dall’alto dell’androne
delle scale, tutti i piccoli demoni che
attendevano di iniziare. Quando furono presenti altri maestri,
l’erede di
Alukah si presentò ai futuri allievi.
“Benvenuti”
esordì, con un sorriso compiaciuto “Io sono
Arikien, appartenente alla stirpa
di Alukah, e vi accolgo nella nuova scuola. Il mio compito
sarà di occuparmi
dei piccoli e di tutti coloro che, non avendo un tetto ed una famiglia,
rimarranno qui a vivere. Accanto a me, invece, potete vedere i maestri
che si
occuperanno della vostra istruzione ed addestramento”.
I
bambini ed i ragazzi osservarono il gruppo di adulti con
curiosità. Qualcuno mormorò
il nome del principe, avendolo riconosciuto fra i maestri. Dopo che
ognuno di
essi ebbe finito di presentarsi, spiegando i vari compiti, i bambini
vennero divisi
fra varie classi e stanze. Keros, che si occupava delle lezioni nel
mondo
umano, quel giorno aiutò Arikien a sistemare i piccoli nelle
camere. Prima di
condurre una classe fra i mortali, dovevano raggiungere un determinato
grado di
conoscenze e non poteva correre rischi il primo giorno. Fra i piccoli
riconobbe
molti dei figli dei rinnegati che aveva incontrato ed aiutato. Si
chiese se,
grazie a quell’istituto, avrebbero potuto trovare delle
famiglie dove crescere.
L’istituto
divenne presto famoso, e molti furono gli iscritti e gli adottati.
Arikien era
fiero della buona riuscita del progetto e perfino Lucifero si era
congratulato,
quella sera a cena, per i rapidi vantaggi che una simile struttura
portava al
regno. Ripensandoci, il vampiro sorriso. Nel buio, l’erede di
Alukah cercava un
libro fra gli scaffali dell’immensa biblioteca del palazzo
reale per poterlo
utilizzare il giorno successivo con i cuccioli. Era solo ed
udì un grido. Subito
scese dall’alta scalinata che conduceva ai ripiani
più alti e si precipitò
fuori. Un’anima, sfuggita al controllo, era sbucata
all’improvviso davanti a
Leonore e la donna aveva urlato, terrorizzata. Le guardie del palazzo
avevano
bloccato l’intrusa e la stavano trascinando via, mentre la
regina si
riprendeva.
“Tutto
bene?” domandò Arikien, raggiungendola
“TI ha ferita?”.
“Tutto
bene…” ansimò lei “Ma
è spuntata così, all’improvviso,
e…”.
“Tranquilla.
L’hanno catturata. Senti?”.
L’anima
urlava disperatamente ed i suoi versi riecheggiavano lungo i corridoi
bui.
Leonore, ancora un po’ spaventata, si lasciò
abbracciare da Arikien. Quel
contatto la fece subito calmare e sorrise, sollevata. Rimasero qualche
istante
stretti l’uno all’altro e poi lei si
congedò, ringraziando. Il vampiro si voltò
e rientrò in biblioteca. Lì, un paio di occhi
velati di rosso lo fissavano nel
buio. Sobbalzò, sorpreso e inquietato.
“Maestà?”
chiese “Siete voi?”.
“Attento,
erede di Alukah” sibilò Lucifero, scendendo
lentamente lungo la rampa di scale
che collegava la biblioteca alle stanze private del re “Non
mettere alla prova
la mia ospitalità”.
“I…
io… non capisco…”.
“Non
capisci?”.
Il
re, con quel passo lento e quegli occhi accesi, incuteva timore ed
Arikien
balbettò confuso. Lucifero, che lo aveva raggiunto, ora lo
fissava minaccioso.
“Il
mio debito è ripagato” sibilò il re
“Ho permesso a progenie sovversiva di
sopravvivere ed ho acconsentito a finanziare il tuo progetto. Mi sembra
di
essere stato piuttosto generoso, no?”.
“Sì,
certo. Lo siete stato…”.
“E
allora vedi di non farmi pentire delle mie azioni e della fiducia
riposta in
te. Mi auguro che d’ora in poi saprai restare al tuo
posto”.
“Ma
di che cosa… Non capisco…”.
“Questo
palazzo non ha segreti, i miei occhi vi scrutano ogni anfratto. Lei
è mia e
nessun’altro la può toccare. Spero che ora tu
abbia compreso”.
“Oh.
Ma certo! Io… non si ripeterà”.
“Lo
spero. Perché già a malapena riesco ad accettare
il legame fin troppo simbiotico
fra te e Keros, figuriamoci che potrei fare se ti vedo ancora
appicciato alla
mia sposa”.
“Domando
perdono”.
Arikien
comprese che era inutile discutere o ribattere. Si trovava al cospetto
del
demone più potente di tutti e quindi, non potendo fare
altro, si inchinò in
segno di resa. Lucifero annuì, convinto da quel gesto, e
lasciò la stanza per
raggiungere l’amata.
Nel frattempo, Keros si era
fatto consegnare l’anima
fuggita per riportarla nel giusto settore. Nasfer aveva insistito per
accompagnarlo ed insieme si addentrarono per i gironi
dell’Inferno. Sul dorso
della creatura che tanti secoli prima Keros aveva visto schiudere
dall’uovo,
padre e figlio trascinarono l’anima per terreni impervi e
sconnessi. Abbandonare
la città era sempre un’avventura,
perché molti aspetti del paesaggio potevano
mutare con il tempo. Il fuoco, il gelo ed il forte vento modificavano
le rocce
e l’ambiente. Nasfer
si era voltato a guardare
l’anima, legata e costretta a camminare dietro alla bestia.
“Papà…”
aveva domandato timidamente il bambino “Ma chi decide quali
anime devono andare
all’Inferno e quali in Paradiso?”.
“Gli
angeli addetti a questo compito. Fra essi vi è
l’Arcangelo Mihael, che giudica
le situazioni più complesse”.
“E
non si sbagliano mai?”.
“No.
Tutte le anime all’Inferno ci sono perché
è giusto che ci siano”.
“E
come si fa a giudicare? E come si decide in che settore poi devono
andare?”.
“Si
tratta indubbiamente di un processo complesso. I giudici infernali
devono
valutare l’operato del mortale mentre era in vita e stabilire
la punizione più
adatta. A volte è semplice, altre volte vi sono molti
fattori da prendere in
considerazione. Ma in questo caso vi sono i tre giudici più
saggi, che valutano
da millenni ormai e sanno quel che fanno. In ultima istanza, se proprio
non si
raggiunge una soluzione, viene chiesto il parere di Lucifero”.
“Ed
i colori diversi a che servono?”.
“I
colori diversi? Tu vedi i colori diversi delle anime?”.
“Sì.
Perché? Tu no?”.
“Io
sì, ma non è una cosa da tutti”.
“Ah…
no?”.
Nasfer,
aggrappato alla schiena del padre, si guardava attorno abbastanza
perplesso
mentre assieme cavalcavano verso un settore infernale.
“Si
tratta di una dote ereditata da tuo nonno, quello con le
piume” spiegò il
principe “Anche il colore delle anime aiuta a giudicare e
stabilire dove vadano
collocate. Appena nata, l’anima è bianca candida
ma muta di colore,
macchiandosi dei colori dei vari peccati. Gli assassini hanno
l’anima di colore
rosso, come il sangue, per esempio. E più peccati si
commette e più quest’essenza
si scurisce e perde luce. Vedere questa caratteristica rende
più facile giudicare
e punire”.
“Ed
i demoni giudicanti hanno tutti questa capacità?”.
“Sì,
è un requisito fondamentale per tentare di divenire un
giudice degli Inferi”.
“E…
tu perché non sei diventato un giudice, se possiedi questo
dono?”.
“Perché
ho scelto di fare quello che mi piaceva. E tu devi fare lo
stesso”.
Il
bambino annuì, mentre in lontananza vedeva una gran
quantità di anime ammassate,
che venivano smistate dalla lunghissima coda di un demone che si ergeva
al centro
di esse.
“Quello
è Minosse” parlò Keros
“Giudica e poi, con la lunga coda, divide le anime e
altri demoni le portano nei vari settori. Alle sue spalle gli
archivisti
riportano tutte le decisioni prese”.
Il
principe consegnò l’anima fuggita ad uno di quei
demoni e lasciò che la
trascinasse via assieme alle altre. Nasfer rimase ancora qualche
istante ad
osservare il lavoro del giudice e poi rientrò a palazzo
assieme al padre.
Appena
arrivati, si accorsero che qualcosa di importante doveva essere
successa perché
vi era gran movimento. Molti erano agitati e correvano voci, che
però non si
riuscivano a comprendere.
“Che
succede?” chiese più volte il principe, senza
ricevere risposta.
Solamente
quando Lucifero lo raggiunse, con un sorriso smagliante sul viso,
riuscì ad
avere risposte.
“Alla
fine è successo!” esclamò il re,
raggiante “Finalmente! Non immagini quanto ne
sia soddisfatto”.
“Ma
di che? Che succede?”.
“È
caduto!” rise Lucifero “Caduto, capisci? Non
è più un angelo!”.
“Ma
chi?”.
“Vieni!
Non ci crederai!”.
Il
sovrano accompagnò il principe lungo i corridoi, diretto ai
sotterranei del
palazzo. Keros trattenne il fiato, temendo il peggio. Quale caduta
poteva
provocare una tale gioia in Lucifero se non quella di Mihael?
Tremò al solo
pensiero ma, dinanzi a sé, legato e rinchiuso in una delle
celle dei
sotterranei, si trovò una creatura che lo stupì
ancora di più: Vehuya.
Il
Serafino era ricoperto di sangue, causato dalle ferite riportate dalla
caduta e
dalle corna che ne avevano sfigurato il cranio.
“Io
non sono un demone!” continuava a ripetere, mentre i diavoli
presenti ridevano
della nuova condizione dell’angelo.
“Non
è meraviglioso?” ghignò Lucifero
“Cazzo, quanto mi è sempre stato sulle palle!
Ora ce l’ho fra le mani e potrò torturarlo a mio
piacimento! Godo al solo
pensiero!”.
“Ma…
che stai dicendo?” esclamò Keros.
Il
re, che ancora sghignazzava, smise quando notò lo sguardo
stralunato del
principe. Senza capirlo, alzò un sopracciglio.
“Come
fai a riderne?” mormorò il principe “Non
ricordi quel che hai provato tu? Non
pensi che stia soffrendo già a sufficienza?”.
“Certo
che no! Ah, Vehuya! Lo senti? Si chiama dolore quel che provi.
È una sensazione
interessante, vero? E non puoi farci niente. La luce di Dio qui non
arriva,
nessuno lenirà la tua agonia, nessuno udirà le
tue preghiere. Ora sai cosa si
prova. Se sopravvivrai, perché non è detto che tu
ci riesca, ti attende un’eternità
all’Inferno. Sei felice? Dai, sorridimi!”.
Keros
era sconcertato. Osservava Lucifero e poi si voltò verso
Nasfer, che rideva a
sua volta.
“Non
c’è niente da ridere!” si
stizzì il principe.
“Ma
papà!” alzò le spalle Nasfer
“Mi hai detto che chi è all’Inferno
è all’Inferno perché
è giusto che ci stia. Perciò lui merita di stare
qui e gli sta bene!”.
“Io
non merito di essere qui!” sbraitò Vehuya,
tentando di liberarsi “Io non sono
colui che ha commesso il peccato più grave.
Perché io vengo punito? Perché io
sì e lui no?”.
“Se
parli di Miky, è presto detto” ghignò
il sovrano “Lui è il cocco di papà. E
poi
sei tu l’invidioso, non Mihael. Invidia, gelosia…
tutte cose che a papà non
piacciono per niente, sai? E rabbia, quanta rabbia hai addosso! Sei un
peccatore!
E Dio non ti vuole più con sé!”.
“Non
è vero!”.
La
voce di Vehuya si era incrinata, per il dolore e la tristezza, e
più di un
demone aveva riso.
“Adesso
basta, però” aveva interrotto la risata Keros, con
un gesto della mano “Non è
mica un animale da circo! Non serve stare qui a ridere di lui!
Lasciatelo in
pace!”.
“E
perché dovrei?” incrociò le braccia il
re, poco convinto.
“Perché
già soffre e continuerà a farlo. Forse la
solitudine lo tormenterà ancora di
più delle tue risate. Avrai molto tempo per stuzzicarlo a
tuo piacimento,
quando si sarà ripreso e magari sarà pure in
grado di ribattere a tono”.
“Piccolo
figlio di sangue bastardo” sibilò Vehuya
“Un giorno il Cielo capirà che ho
ragione io. Capiranno gli angeli che colui che deve combattere i demoni
mai
alzerà un solo dito contro la sua progenie e si
rischierà di perdere la guerra.
Si perderà la guerra per colpa di un padre peccatore che ha
infangato il sangue
puro degli angeli ed ha generato te, le cui ali non meritavano di
essere
deturpate dal tuo abominio”.
“Le
mie ali stanno benissimo” mormorò Keros, non
cambiando espressione e spalancandole
“A differenza delle tue. Non comprendo il disegno di Dio, e
non mi interessa di
comprenderlo, ma fossi in te non mi ci soffermerei troppo sopra. Qui la
voce di
Dio non si può sentire. Eri Serafino, diverrai demone
potente, se sarai in
grado di affrontare la realtà. In caso contrario, non
incolpare me o mio padre.
Incolpa piuttosto te stesso o il Dio che tanto preghi”.
“Non
nominare Dio. Tu non lo puoi fare!”.
“Lui
ignora me, io ignoro lui. E dovrai imparare a fare lo stesso,
temo”.
Vehuya
ringhiò, dimenandosi. Keros si voltò,
allontanandosi. Altri rimasero lì,
deridendo il Serafino caduto e compiacendosi di quanto successo, fino a
quando
il nuovo demone non si addormentò sfinito.
Il
principe tornò dal prigioniero qualche ora più
tardi, quando fu sicuro di
trovarlo da solo. Gli portò del cibo ed un po’
d’acqua, non aspettandosi alcun
tipo di ringraziamento. Vehuya lo fissò, rimanendo immobile
e steso a terra.
“Cerca
di mangiare” lo incoraggiò Keros “Hai
perso molto sangue, devi rimetterti in
forze”.
“Così
potrete torturarmi con più soddisfazione, tu e Lucifero?
Dico bene?”.
“Così
non morirai. Ma la vita è la tua…”.
“Ed
a te che importa?”.
Il
principe, con ancora le ali argentee ben visibili, sospirò.
La rivalità ed il
sospetto continuo erano cose che iniziavano a stancarlo già
da un pezzo. Fissò quella
creatura, un tempo un meraviglioso Serafino, e provò una
stretta al cuore. Insanguinato,
con le vesti stracciate ed il corpo contorto per il dolore, Vehuya era
quasi
irriconoscibile. I capelli, del tipico color biondo degli angeli,
andavano
gradatamente scurendosi e lo stesso accadeva agli occhi di colui che
aveva
perso il Cielo. L’odore del sangue era intenso,
così come quello della paura.
Il principe si accorse che una lacrima gli scivolava lungo le guance
mentre
osservava Vehuya ed il caduto la notò.
“Non
mi serve la tua pietà!” sibilò il nuovo
demone “Non mi servono le tue lacrime!”.
“La
pietà è una delle cose più rare, qui
all’Inferno. E di lacrime dubito che ne
vedrai altre, poiché solo io sono in grado di piangere in
questo mondo. Volevo solo
aiutarti, ma la scelta è tua. Se vuoi, me ne vado
immediatamente”.
Il
mezzosangue si voltò, con l’intento di
allontanarsi, ma riuscì solo a compiere
pochi passi prima che Vehuya lo fermasse. Avvilito, il nuovo demone
sospirò.
“Che
ne sarà di me?” domandò, mogio.
“Dipende
da te” rispose Keros, tornando dinnanzi alla cella ed
osservando il prigioniero
“Se saprai trovare un modo per risollevarti ed accettare
questa tua vita,
potrai essere e fare diverse cose. Qui vengono puniti i peccatori,
coloro che
disobbedirono alla legge di Dio, e potresti quasi provare soddisfazione
nel
torturarli. Potresti divenire archivista, sorvegliante,
messaggero… Qui i ruoli
non vengono prestabiliti, ognuno può impegnarsi per divenire
ciò che aspira
essere”.
Vehuya
non sembrava convinto. “Lucifero mi
torturerà?” era il suo peggior timore.
“Se
ti dimostrerai a lui fedele, non lo farà”.
“E
se non mi dimostrassi tale?”.
“Allora
ti sottometterà, come ha fatto con tutti colori che non
hanno voluto obbedire. Qui
comanda il più forte”.
“E
tu? Ha sottomesso anche te?”.
“Io?
Sono stato sconfitto da lui, come qualsiasi altro demone. Lucifero
è il sovrano
per una ragione”.
“E
se volesse uccidermi?”.
“Lucifero
non uccide a caso. Lo farà se sarà necessario, ma
solitamente preferisce
aumentare il numero di demoni ai suoi comandi e non
sterminarli”.
“Così
da averne di più quando marcerà per riconquistare
il Paradiso. Quando verrà la
fine del Mondo!”.
“Di
questo io non voglio parlare. Mai. Ora cerca di mangiare e riposare.
Vedrò di
farti liberare quanto prima. Benvenuto all’Inferno”.
Il
caduto gemette a quelle parole. Vide Keros allontanarsi, mentre le
guardie
poste all’ingresso dei sotterranei si inchinavano mentre
passava.