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Autore: NPC_Stories    03/10/2019    6 recensioni
Collezione di oneshot fantasy a tema "fairy", come indicato nella lista di Inktober che io e la mia affezionata illustratrice Erika abbiamo scelto (no, non Erika la webmaster, un'altra Erika). Io scrivo, lei disegna... speriamo di tenere il passo!
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Alcune di queste storie saranno ambientate nel nostro mondo, alcune altre nell'ambientazione del fandom in cui sono più attiva, Forgotten Realms, e altre ancora saranno ambientate in mondi di mia creazione o di fantasy generico, o parodistico.
Alcune di queste storie vi faranno ridere (spero), altre vi faranno piangere (mh, forse sto esagerando), ma in ogni caso mi auguro che tutte vi piacciano.
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Che la vostra vita possa essere piena di momenti di piccola meraviglia!
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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3. Unseelie King


Sotto-genere: dark fantasy
Ambientazione: Forgotten Realms


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1340 DR, Phlegethon, Profondità Ventose del Pandemonium

Lorne rimase in piedi a testa alta, onorando il silenzio tombale della grande sala fredda. Accanto a lui, il corpo quasi morto del suo ultimo rivale si stava ancora contraendo negli ultimi spasmi prima dell’oblio.
L’abile shadar-kai era stato il più pericoloso degli sfidanti, e infatti era stato l’ultimo a essere sconfitto. Aveva combattuto con… be’, non con onore, ma aveva fatto onore alla cupa nomea del suo popolo… però non era stato all’altezza di uno come Lorne.
Il malvagio gloura piegò le labbra in un sorrisetto affilato, ricordando come il folletto dell’ombra avesse schivato spasmodicamente i fendenti della sua spada, credendola avvelenata. Non immaginava che Lorne avesse sparso il veleno sulle borchie del piccolo scudo da braccio. Era bastato un energico pestone sulla faccia dello shadar-kai, un piccolo graffio causato dalle borchie e il veleno era entrato in circolo. La faccia del nemico morente era gonfia e tumefatta a causa del veleno, un’altra sottile soddisfazione per il vincitore.
All’inizio di quella competizione, nessuno avrebbe scommesso su Lorne. I gloura di solito hanno un animo pacifico, perfino buono. Gli individui malvagi erano considerati una rarità in quel popolo, quasi soffrissero di un difetto di nascita. Lorne odiava questa fastidiosa nomea, odiava il suo aspetto innocuo, i grandi occhi neri che ispiravano tenerezza, le ali da falena, l’incarnato argenteo e i suoi miseri cinque piedi d’altezza. Odiava tutto del suo aspetto fisico, anche se lo considerava funzionale ai suoi scopi: esteticamente era passabile, e questo era necessario per poter sperare di diventare il sovrano delle fate unseelie, consorte della favoleggiata regina Mab.
Ma se l’aspetto era un requisito necessario, ancor più lo era l’intelligenza, l’intraprendenza, la forza di imporsi sui rivali e trionfare. Una serie di sfide aspettavano i pochi coraggiosi che si candidavano per quel titolo, e Lorne le aveva superate tutte.
Adesso restava soltanto la Cerimonia del Dono, l’ultima formalità.
Prima di assumere ufficialmente un consorte, la regina Mab avrebbe richiesto al fortunato vincitore un ultimo sacrificio: donarle la cosa a cui teneva di più al mondo.
Molti sciocchi erano caduti a causa di quell’ultimo tranello: erano morti, oppure si erano tirati indietro a un passo dal traguardo. Lorne sapeva che a lui non sarebbe successo.

La regina lo guardò con un sorrisetto lieve, affilato, soddisfatto eppure malvagio, dall’alto del suo meraviglioso trono. Riconobbe la sua notevole vittoria solo con un leggero cenno del capo. Poi, con appena un gesto delle belle dita pallide, il gloura fu congedato. Lorne ingoiò l’orgoglio e chinò il busto: era l’ultimo giorno in cui avrebbe dovuto tollerare questo trattamento, da domani lui e la sua regina si sarebbero guardati negli occhi da pari a pari. Re del popolo unseelie, finalmente.

Lorne era sempre stato malvagio, da che ricordava. Non che all’inizio l’avesse fatto apposta; lui era quello che era, semplicemente, e sarebbe stato contento di vivere la sua vita a spese del prossimo, secondo la via di minor resistenza. Una vita facile, da parassita.
Ma i suoi simili, no. Loro dovevano coinvolgerlo a tutti i costi nella loro vita comunitaria, nelle danze, negli incontri diplomatici con altre razze, perfino nei rituali di guarigione.
Che schifo. Era tutto così innaturale per Lorne, così spossante.
Ogni parola gentile era come uno spillone conficcato nei suoi nervi. Ogni volta che uno dei suoi fratelli pretendeva che lui si comportasse da persona buona, era una piccola spinta verso un baratro di rabbia e di desiderio di distruzione.
Lorne da giovane voleva solo essere lasciato in pace, ma così non era stato, e ora la pace sarebbe stata solo un ricordo per il suo popolo.
I gloura erano fate del sottosuolo, sia nel mondo degli umanoidi che nel mondo dei folletti. In entrambe le dimensioni esisteva una vasta rete di cunicoli sotterranei, e in entrambe le dimensioni era abitata dai gloura. Nessuno sapeva come mai una razza sotterranea fosse basilarmente buona. Era un controsenso, una cosa assurda. L’oscurità dei luoghi richiama l’oscurità nei cuori, era sempre stato così, era naturale.
Le leggende dicevano che i gloura avessero dei lontani legami con la corte unseelie, la fazione malvagia del regno delle fate. Lorne si era chiesto spesso se quelle leggende fossero vere, e se questo non significasse che era lui il gloura normale, dopotutto, non gli altri. Erano loro i deviati, corrotti da pensieri di pace, rammolliti. Lui era uno dei pochissimi fortunati a essere immune al lavaggio del cervello.
“Ma tutto questo finirà domani” mormorò fra sé, sorridendo come un folle. “Con i miei studi sulla magia della musica e sull’utilizzo della voce, e con il potere della regina a sostenermi, riuscirò a riconvertire il mio intero popolo alla sua natura originaria. Questo sarà il mio dono di nozze: migliaia di nuovi seguaci per la mia sposa, che metteranno al nostro servizio la più potente magia bardica!” Le sue dita si agitavano di loro iniziativa, il gloura non riusciva a contenere l’emozione.
Raggiunse la sua stanza nel grande palazzo della sua ospite, sgusciò oltre la porta che sembrava fatta di oscurità cristallizzata, e finalmente si sentì al riparo da sguardi indiscreti.

Mezz’ora più tardi, incapace di rilassarsi anche se era stanco e dolorante per il combattimento, Lorne camminava avanti e indietro misurando a grandi passi la sua stanza.
Nella sua mente ripassava ancora e ancora tutti i preparativi e tutte le precauzioni che aveva preso finora.
Non sapeva quale dono la potente regina avrebbe preteso da lui.
Il suo libro di incantesimi e ricerche arcane? Era una cosa che aveva previsto, e aveva creato tante copie parziali, in modo che nessun altro grimorio, preso singolarmente, avesse altrettanto valore dell’originale. Le copie però gli avrebbero permesso di conservare il suo lavoro.
La sua vita? L’astuto folletto aveva già pronto un clone, un corpo vuoto che sarebbe stato un ricettacolo per la sua anima nel momento in cui il suo vero corpo fosse stato ucciso.
La sua anima? In quel caso non c’era nulla che potesse fare, ma era improbabile che la richiesta fosse così scontata.
Più ci pensava, più si convinceva di aver messo una toppa a tutte le possibili falle.
Qualche ora più tardi finalmente riuscì a calmarsi e a meditare un po’. L’indomani avrebbe dovuto essere in forma smagliante.

La mattina seguente, quando il gloura fece il suo ingresso fiero e impettito nella sala del trono, l’intera corte unseelie sembrava essersi riunita lì per assistere alla cerimonia. Lorne si aspettava… se non devozione, almeno un po’ di rispetto. Gli sarebbe andato bene anche un terrorizzato silenzio, dopotutto lui aveva vinto la competizione, sbarazzandosi di una dozzina di contendenti. Invece la gente intorno a lui lo guardava di sottecchi, con strafottenza, qualcuno ridacchiava perfino.
“La Cerimonia del Dono” sussurrò fra sé e sé, per farsi coraggio. “Non sarò il loro re finché non avrò superato l’ultima prova.”
La Regina dell’Aria e dell’Oscurità, la possente Mab, restò comodamente seduta sul suo impressionante trono nero, scolpito a foggia di drago. Si favoleggiava che il trono fosse magico, anzi tutti lo davano per certo, anche se i suoi veri poteri erano noti solo alla Regina.
Quel che era sicuro, era che nessun maschio poteva sedere su quel trono. Il Rituale di Passaggio, l’atto con cui un erede saliva al trono alla morte (di solito violenta) di una Regina, finora aveva sempre accettato solo eredi femmine, riconfermando la monarchia matriarcale. Il Re Unseelie poteva avere solo un ruolo da consorte.
La Signora non aveva mai preso marito finora, e a sottolineare ciò, non esisteva un trono per un re consorte. Lorne aveva già pensato a come farsene costruire uno. Non sarebbe stato più grande di quello della regina, questo era proibito, ma sarebbe stato altrettanto impressionante.
Sostenuto da quei pensieri allettanti e dal suo smisurato orgoglio, il malvagio gloura avanzò a testa alta lungo il salone. Quando arrivò ai piedi dei gradini che portavano al trono, si inginocchiò in segno di deferenza.
La regina si alzò, silenziosa come la brezza invernale. Il suo sorriso si fece più luminoso, ma in un modo famelico.
“Ah, il mio campione. Puoi alzarti. Non è degno di un re inginocchiarsi, nemmeno davanti alla regina. E tu sarai re… non appena avrai confermato il tuo impegno.”
“Sì, mia signora” Lorne si alzò, rigidamente, badando bene a tenere chiuse quelle ali che tanto disprezzava. Se riusciva a evitare movimenti involontari, potevano quasi passare per un mantello. “Chiedete e vi sarà dato.”
La regina scese con calma i pochi gradini che li separavano. Era un messaggio anche quello: non intendeva farlo salire sulla pedana del trono finché non si fosse dimostrato degno.
“Dovrai darmi la cosa a cui tieni di più” gli ricordò lei, con voce maligna. Ecco, dunque. Il momento della verità. Lorne pregò di aver fatto abbastanza per stornare il pericolo di un disastro.
“Dovrai darmi la tua voce.”

Lorne batté le palpebre un paio di volte, sconcertato.
“Ma… mia signora, la mia magia si basa interamente sulla mia voce. Tutte le mie ricerche sul potere della voce dei gloura…”
“Questo è esattamente il punto, non ti pare?” L’infida sovrana sorrise come un gatto davanti al topo.
Lorne cadde in ginocchio, in un estremo tentativo di dichiarare la sua fedeltà. “Mia amata regina, era mia intenzione mettere al vostro servizio la mia magia e quella del mio popolo. Sono infinite le cose che potrei fare per voi, se solo me ne deste occasione…”
“Commovente” scandì lentamente la fata, per nulla impressionata. “La tua lealtà è così grande che hai bisogno di farti re per degnarti di essere mio servo?”
In quel momento Lorne realizzò con chiarezza il suo madornale errore.
Non ci sarebbe mai stato un re. Ogni sette anni la regina dava la possibilità, a chiunque volesse candidarsi, di concorrere per il titolo. Ma nessuno mai avrebbe vinto. Era un modo per liberarsi dei maschi con eccessiva ambizione.

“Vi domando perdono per aver sprecato il vostro tempo. Avete ragione, io vi devo servire perché sono un vostro suddito, non per avere una ricompensa. Permettetemi di continuare le mie ricerche, da mago e cantore quale sono, perché non sono degno di essere re.”

La regina lo guardò andare via, in silenzio, dall’alto del suo trono. La sua posa era più casuale adesso, con un gomito sul bracciolo, il viso sostenuto da una mano. Il suo sorrisetto era malizioso, ma non più crudele. Lo aveva lasciato vivere, dopotutto.
Gli altri cortigiani non avevano la sua classe, e non risparmiarono le risatine mentre il gloura umiliato lasciava la stanza.

   
 
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