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Autore: Lila May    04/10/2019    4 recensioni
[Petronio♥Gabriella] [Orion no Kokuin] [After ep. 46]

Petronio allora cambiò volto. La sua dura espressione di disappunto divenne una smorfia di indecisa titubanza. Le sopracciglia oscurarono gli occhi, il naso si arricciò. «Perché..» ripeté, come a non aver capito bene la domanda di Gabriella. «Perché avrei voluto proteggerti, Gabriella, ecco perché.»
«Non posso essere protetta. Nessuno di noi può.»
«Avrei voluto.»
«Vorresti sempre proteggere tutti, tu. La cosa non mi stupisce più di tanto.»
«Gabriella, per piacere..»
«Ho fatto la cosa più giusta.»
«Per me in quell'istante metterti al sicuro era l'unica cosa importante. Non vincere. Non perdere. Non fare la cosa giusta.»
«Non avrebbe dovuto importarti di niente, invece.»
«E invece di te mi frega, Gabriella, cazzo! Lo vuoi capire?!»
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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(per non avermi dato retta)

    
 
[PetronioGabriella]
[Orion no Kokuin] [After ep. 46]

 


    Tutto ruotava, intorno a lei.
Pareva sul punto di cascare e rompersi in mille frammenti, il vaso di calendule posto sullo scaffale sotto la finestra, e le faceva paura; temeva che, qual'ora il disastro si fosse realmente verificato, una scheggia di vetro sarebbe potuta arrivarle in viso e scarnificarle l'intera guancia. Temeva, Gabriella Amati, di provare altro inevitabile dolore.


Guardò impanicata le imposte, come a voler scappare da un buio tutto suo, ma la luce opalescente di quella mattina senza sole le investì le sofferenti iridi perlacee di un'etere che seppe donarle solo fastidio fisico. Allora, a quel punto della fiaba, scese una lacrima. Una sola, che audace si gettò giù per lo zigomo pallido, le lambì il mento tremulo, le si infilò sotto la camicia verde menta. Le altre si seccarono ancora prima di poter prendere forma.
Amati non avrebbe più permesso alla debolezza di vincere così su di lei.

Era passato solo un giorno, dalla partita Italia contro Giappone, eppure i medicinali, il dolore, l'adrenalina conseguente la rottura dell'osso del braccio non avevano fatto altro che incrementare in lei la terribile idea fossero passati degli anni. Si sentiva più vecchia, così immobile, vecchia, stupida e sola.
La cacofonia delle trafficate strade russe sotto l'ospedale di Mosca era stata ciò che l'aveva destata quella mattina, e forse, era stata anche l'unico suono che era riuscita ad udire dopo la voce di Petronio.
Petronio, il Capitano, che in quella frazione di secondo prossimo al dolore non aveva fatto altro che correre in sua direzione, chissà spinto da quali assurde speranze, e si era messo a chiamarla. Aveva gridato il suo nome con quanta forza aveva posseduto nei polmoni, l'aveva guardata, aveva cercato di incrociare le sue iridi, invano. Si era preoccupato per lei, come faceva con tutti. Poi le aveva ordinato "fermati, fermati, Gabriella, non farlo."

"Non farlo, Gabriella."

 
Ma Gabriella lo aveva fatto.
Perché era sempre andata così, tra loro due: Petronio diceva una cosa e lei ne faceva un'altra. Perché lei era sempre stata troppo testarda, forse, e lui troppo accondiscendente.
Perché in quell'istante, in quell'attimo di panico più totale, qualsiasi opzione alternativa sarebbe stata portatrice di sciagure ben peggiori, sia per lei che per Petronio.
Gabriella aveva agito in grande. Aveva messo in conto quello che lui aveva pensato fosse meno importante, e si era sacrificata. Ne andava fiera? La verità? Sì.
Era arrabbiata con lui? Mah. Forse sì, forse no.
Non lo capiva. Non capiva il rancore che provava dentro adesso, quel vuoto allo stomaco, quel continuo bisogno di piangere fino a sfinirsi. Se il suo malessere altalenante fosse legato a Petronio, o magari a Irina.
Comunque, poco importava.
Loro, tutti quanti loro, erano della Regina. Incluso Petronio. Erano vittime mediocri di un solo, unico, insormontabile carnefice, che lo volessero o meno. Era il loro destino, quello.
Gabriella, il suo dovere, lo aveva fatto. Proteggendo la porta tricolore, anche se alla fine si era spaccata il braccio.
Lasciando semplicemente accadere l'inevitabile. Perché era così che sarebbero dovute andare le cose, fin dall'inizio. Lo aveva saputo lei, e lo aveva saputo anche Petronio – e allora perché. Perché proteggerla, quando Gabriella Amati non poteva essere protetta.
Perché far vincere gli avversari, quando avrebbe dovuto vincere solo l'Italia.
«E' permesso?»

Riconobbe la voce dell'infermiera, e rispose con un miagolio appena percettibile, issando meglio le scapole sul cuscino.
Entrò, tuttavia – e con grande sorpresa di Gabriella –,  la sua compagnia. Entrò Alice e la sua faccia di bambina, Diana, seria in viso, entrarono Matteo e Luca, Carlos, Tsuku, la giapponese, e si affollarono in massa davanti alla porta spalancata di quell'asettica stanza d'ospedale. Lì, insieme. Per lei.
Gabriella non poté credere di averli davanti. Non li vedeva da ieri, dalla sua uscita in campo. Non aveva avuto la possibilità di mettersi in contatto con loro, né di chiamare anche solo uno di essi. Le venne da piangere, forse per la rabbia, forse per l'emozione.   
«Ciao Gab.» mormorò Alice con un sorriso dolce. Teneva un pacchetto di pennarelli tra le mani, e nonostante la stanchezza visibile, sembrava che niente, niente e nessuno avrebbe ptotuto cancellarle il sorriso dal viso. «Pensavi che ti avessimo dimenticata?»
Gabriella non riuscì a replicare.
Risposero per lei i rantoli affannati di chi ha sentito troppo la mancanza dei suoi cari, la vista improvvisamente nebulosa. La stanza smise di vorticare, ora che aveva trovato undici pilastri ai quali aggrapparsi. E Gabriella sapeva che solo loro avrebbero potuto fermare l'idillio di confusione che le si era annidato dentro.
Alice si avvicinò al letto, e così tutti gli altri membri dell'Italia. Sorridevano farlocchi, come a voler mascherare qualcosa di più grande.
Amati iniziò subito ad indagare. «Abbiamo perso...?»
«Ti piacerebbe.» disse Matteo, ironico. «Stiamo parlando del Giappone, mica di una qualche super squadra–
Alice gli tirò una gomitata debole contro il costato, facendolo smettere. «No, non è andata così, piantala.»
«Ragazzi... quindi?»
«... la partita è stata interrotta – non eravamo più in grado di giocare, Gab.»
«Come ti senti, Gabri?»
Avrebbe voluto replicare tante cose, in realtà. Che era orribile aver perso così. Che era orgogliosa di loro, o forse non lo era per davvero. Che il braccio le doleva, ma preferiva non pensarci. Che si sentiva perplessa, perché sembrava che tutto fosse andato male, e che la situazione stesse peggiorando secondo dopo secondo. «Lo chiedo io, a voi.»
«Gabriella, non ti preoccupare.» una voce dal fondo, cupa.
Una voce che Gabriella avrebbe potuto riconoscere tra mille tutte uguali.

Quella di Petronio.

Guardò in direzione della porta e lo trovò appoggiato contro la maniglia, le braccia incrociate al petto, l'aria assorta. Schiuse le labbra quando lui sollevò le iridi per fissarla, e non trovò neanche la forza di commentare. Era serio. Sembrava arrabbiato – arrabbiato a morte.
Sembrava bisognoso di parlarle, eppure stava lontano, in attesa.
E la guardava, con quei suoi occhi fluorescenti, il mento squadrato puntato dritto verso di lei. Una tenaglia che non sapeva lasciarla andare.
Gabriella tornò ad Alice. Il cuore pareva aver improvvisamente accellerato. «S-sto bene. Mi rimetterò... a-almeno credo.»
«Non parliamone, dai! Basta.» Berardi aprì la scatola di pennarelli, e così il discorso venne chiuso.
Almeno, questo fu quello in cui tutti sperarono.
«Possiamo firmarti il gesso?»
Prima che la bionda potesse rispondere, ciascun membro aveva già preso un colore diverso nella mano, pronto a lasciare il proprio segno sulle fasce dure che le circondavano il braccio. La prima a scrivere fu Alice, col rosa, susseguita poi da tutti gli altri; alcuni tracciarono il proprio nome, altri semplici scarabocchi d'auguri. Matteo le disegnò un pene – il solito scemo –, Luca una fragola.
E così via.
Per Gabriella, in quel momento, ogni cosa assunse un significato speciale, pure quella fragola. Erano le firme dei suoi amici. Erano loro, venuti lì apposta per lei, che insieme avevano scelto di mettere da parte le difficoltà per ricreare insieme una situazione che fuori da lì sarebbe stata impossibile.
Parteciparono tutti, tutti eccetto Petronio, al quale però fu lasciato un piccolo spazio da poter decorare. «Tony, vieni qui» esclamò Matteo voltandosi a cercarlo. Petronio sorrise. Gabriella lo fotografò con gli occhi, quel sorriso. Non sapeva quando ne avrebbe rivisti altri, e se lo tenne stretto per sé. «Tu sei bravo a disegnare.»
«Proprio.»
«Almeno vieni a scrivere il tuo nome!»
«Magari dopo. Adesso, vorrei fare due chiacchiere con Gabriella.»
«E che stai aspettando, scusa?»
«Che ve ne andiate. Così potrò parlare da solo con lei.»
Silenzio. Gabriella arrossì e guardò in basso mentre gli altri, percepito il bisogno del loro Capitano, si allontanavano in direzione della porta. «Gab, torniamo anche domani, non ti preoccupare.» le disse Alice. Poi le mollò un buffetto sulla guancia e sparì insieme agli altri, fuori dalla porta, lasciando lì i pennarelli.
Rimasero solo lei e Petronio, allora.
Una condizione che, se accaduta in contesti migliori, avrebbe devastato di imbarazzo entrambi. Gabriella si mise immediatamente sulla difensiva. «Immagino tu voglia sgridarmi. Immagino tu sia qui per questo, ci scommetto.»
Patti finalmente staccò le spalle dalla porta. Si limitò però solo ad avvicinarsi al letto, cauto, e una volta di fronte al braccio ingessato della ragazza, prese in mano l'immensa scatola di pennarelli. Ne era rimasto uno, il viola, scelto per lui col metodo dell'esclusione. Lesse il retro, una ruga confusa si formò tra i folti sopraccigli rosso vino. Era in russo. Era in una lingua molto diversa, dal suo italiano, e non provò a capirla. Non la conosceva, ecco tutto. Come non conosceva che fine avrebbero fatto loro, continuando a distruggersi così.
Ripose la scatola e aprì il pennarello.
Col tappo in bocca, firmò il braccio di Gabriella, tenendoglielo fermo.
La bionda rispose con un singulto appena percettibile. Il tepore delle dita di Tony riusciva ad irradiarsi fino alla frattura. Era dolce. Era buono. Era un lusso che in quel momento la destabilizzò e accigliò al contempo.
Cercò comunque di rimanere rigida. Di fare finta di nulla, come sempre da quando si conoscevano e lui, dal nulla, senza motivi, trovava sempre la scusa perfetta per toccarla. «M-mi dispiace, Petronio. Sapevi che sarebbe andata a finire così.»
«Sì, lo sapevo» mormorò Petronio languido. E dopo aver richiuso il pennarello, la guardò grave negli occhi.
Gabriella vide la mandibola scattargli. I pugni stringerglisi, come a voler afferrare un'alternativa immaginaria che conosceva solo lui. «Ma non avrei mai voluto vederti qui, Gabriella»
Sgranò le iridi. «Petronio...»
«Non farlo mai più, Gabriella–
«Che avrei dovuto fare?! Che avrei dovuto fare, allora, dimmelo!» gridò Gabriella d'improvviso, così forte che Petronio dovette arrestarsi e fissarla a labbra sigillate, disapprovatorio. «Darti retta?!»
«Ti avevo ordinato di fermarti! Di non farlo
«Non avevo chance! Non potevo scappare... che avrei dovuto fare?! Rispondimelo!! Spostarmi, far segnare il Giappone?»
«Me ne sarei occupato io.»
«Sono io il portiere titolare, non tu, Petronio!»
«E infatti guardati, sei titolare, eppure sei in ospedale.»
«Qualcuno doveva averlo, un po' di spirito di sacrificio, non credi...? O preferivi esserci tu, Capitano, qui, in ospedale?»
«.» disse semplicemente Petronio, e quell'affermazione per la bionda fu peggio di uno schiaffo in bocca. Sentì la pancia fare male, il cervello spegnersi di dolore. Sentì gli occhi del ragazzo che amava bruciare, mentre la guardava, d'un verde quasi fluorescente, e le venne di nuovo da piangere.
Petronio le posò delicato una mano grande sul gesso, laddove aveva depositato la sua morbida firma. Fu un gesto affettuoso, delicato. Eppure, sul cuore di Gabriella si incise meglio dei nomi dei suoi compagni sul rude gesso color sasso.
«Avrei preferito esserci io qui.»
«Petronio...»
«Non farlo mai più
«Perché?»
Petronio allora cambiò volto. La sua dura espressione di disappunto divenne una smorfia di indecisa titubanza. Le sopracciglia oscurarono gli occhi, il naso si arricciò. «Perché..» ripeté, come a non aver capito bene la domanda di Gabriella. «Perché avrei voluto proteggerti, Gabriella, ecco perché.»
«Non posso essere protetta. Nessuno di noi può.»
«Avrei voluto.»
«Vorresti sempre proteggere tutti, tu. La cosa non mi stupisce più di tanto.»
«Gabriella, per piacere..»
«Ho fatto la cosa più giusta.»
«Per me in quell'istante metterti al sicuro era l'unica cosa importante. Non vincere. Non perdere. Non fare la cosa giusta.»
«Non avrebbe dovuto importarti di niente, invece.»
«E invece di te mi frega, Gabriella, cazzo! Lo vuoi capire?!»
Gabriella tacque e sfuggì al suo sguardo.
Era spaventata.
Spaventata da sé stessa, spaventata per quello che le sarebbe potuto succedere se gli stimolatori l'avessero esortata a dare ancora di più di quello che aveva usato. Spaventata da un possibile ribaltamento degli eventi. Se fosse stato Petronio, ad intervenire, a farsi male per lei, forse non se lo sarebbe mai perdonata.
Forse, era meglio così.
«Mi dispiace, Gabriella...»
Scosse il capo, con le lacrime agli occhi.
«Avrei voluto solo–
«Sono io che devo chiederti scusa.»
«Ho agito d'istinto. Avrei solo voluto prendere il tuo posto, in quel momento. Farmi a carico del tuo dolore. Toglierti via da lì
«Scusami...»
Si abbracciarono, forte, come due amanti, anche se amanti non lo erano. Gabriella avvolse le spalle di Petronio e nascose il viso contro il suo collo, alla ricerca dell'unico luogo sicuro in cui poteva dare sfogo alle sue frustrazioni. Lo costrinse a venirle vicino, a posare il ginocchio contro il letto, mettersi comodo per lei, stringerla. Ma senza farle male.
Così finirono a farsi l'uno l'appoggio dell'altra, e in silenzio si misero ad ascoltare l'orologio battere veloce i secondi, immobili. Non era mai successo prima, eppure a nessuno dei due importava, adesso. Non importava a Petronio, che non abbracciava mai una ragazza senza prima essere sicuro dei suoi sentimenti, e non importava a Gabriella, che pur di non farsi abbracciare da colui che amava sarebbe volentieri scappata.
Erano entrambi sulla stessa barca, vicini allo stesso buco. E sapevano che prima o poi sarebbero affondati.
Ma erano insieme. Contava qualcosa più di quello? C'era rimasto qualcosa di più umano che quello, dopo le sevizie e il dolore che avevano affrontato sulla loro pelle?
«Gabriella» la voce di Petronio risuonò profonda contro di lei. Le ispezionò il cuore. Le risvegliò la voglia di vivere. «non hai di che scusarti, con me.»
«Io...»
«Ti ringrazio
Gabriella s'irrigidì. Il braccio gridò vendetta, insieme al dolore.

 
«Grazie, per non avermi dato retta.»



 
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note.
ciao. un po' di spiegazioni prima di iniziare l'angolino
la suddetta ff è ambientata nell'universo di Orion: i protagonisti sono Gabriella Amati, portiere della nuova nazionale italiana, e Petronio Patti, il Capitano. Gli altri personaggi che appaiono fanno sempre parte dell'Italia, Alice Berardi, Diana, Matteo e Luca.
Detto ciò...
riciao! *ricalcolo funzioni cerebrali*
im back, but this time... con Petronio. Sì. MY BELOVED PETRONIO. Il mio secondo husbando dopo Gianluca èwé, lo adoro troppo. Tralasciando tutti i perché dei perché dei perché come mai io shippi all'infinito Petronio con Gabriella - sono la mia nuova OTP, sono riusciti a battermi Rococo/Hector e Natusmi/Nelly, volo ♥♥♥♥♥♥♥ -, la fanfiction prende spunto dagli avvenimenti accaduti durante la partita Italia Giappone, che ha visto l'Italia SFRACELLARSI, letteralmente, per colpa degli stimolatori a gomiti e ginocchia (ed è per questo che pur avendo "vinto", vengono ritirati, perdendo a tavolino). Quando Gabriella cerca di parare un tiro, questi stimolatori la portano ad abusare di un quantitativo enorme di energia - che non è assolutamente pari alla sua forza naturale -, e nel momento in cui lascia andare la mano sul pallone si sente il braccio fare "CROC", tipo patatina(?). (anche se alla fine compare come se non le fosse accaduto nulla, dafak)
E Petronio: GABURIERAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHH(?????).

E da quel momento per me fu ship (poi sono quasi sempre vicini, aw. PURE NEGLI SPALTI DELLA FINALE).
Ecco tutto.
Storia senza pretese, come tutte le mie storie, ormai mi conoscete.
Torno a studiare! (lo giuro.)
Ringrazio già chi vorrà passare a recensire o semplicemente chi leggerà silenziosamente il tutto!
Intanto, ciauciau!

XOXO
Lila
   
 
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