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Autore: Retsuko    04/10/2019    1 recensioni
Durante il ritiro della nazionale juniores, fra nuove sfide e vecchi ricordi, Kaede Rukawa si ritrova a dover condividere la stanza con Eiji Sawakita.  
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Altro personaggio, Kaede Rukawa, Shinichi Maki
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Disclaimer: I personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Takehiko Inoue e degli aventi diritto; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

Intro: eccomi di nuovo con la serie, perché portare a termine le cose se puoi cominciarne altre?!? Ho in testa questa roba da anni (Hanamichi: te sei veramente malata) e alla fine sta venendo fuori. Ovviamente, completamente diversa da quella che speravo. Anche questa storia è legata all’anno pubblicazione del manga, quindi il 1992. 

E’ una Rukawa X Sawakita. 

Povera me.

Buona lettura

 

 


 

Rukawa, ti odio! Hanno scelto te solo perché io non ero disponibile a causa dell’infortunio alla schiena!! 

Di certo è andata cosi!

Hanamichi Sakuragi

Takehiko Inoue, Slam Dunk, capitolo 276, Il club di basket del liceo Shohoku

 

Quando Kaede Rukawa vide Eiji Sawakita sdraiato sul letto pensò subito ad uno scherzo. Sembrava proprio una di quelle scemenze che avrebbero potuto architettare Mitsui e Miyagi per fargli la festa, poi si rese conto che quei due deficienti di certo non aveva l’autorità necessaria a decidere sulla disposizione delle stanze dei convocati.

La seconda cosa che pensò fu quella di fare marcia indietro e andare dal mister a chiedere di cambiare camera, ma prima che potesse fare qualsiasi cosa Sawakita parlò.

«Ciao» disse con un sorriso sornione dipinto in faccia.

«Ciao» replicò lui chiudendosi la porta alle spalle. Buttò a terra il borsone e si sdraiò sul letto rimasto libero senza nemmeno togliersi le scarpe. Avrebbe preferito quello vicino alla finestra, però testa rapata era arrivato prima e se l’era accaparrato lui. 

Kaede sbadigliò, il viaggio in treno fino a Chiba lo aveva stancato più di quanto si aspettasse.

«Non addormentarti, fra mezz’ora dobbiamo essere di sotto per l’accoglienza» si raccomandò Sawakita alzando a malapena lo sguardo dalla rivista che stava leggendo.

«Nh»

«Ehi, mi hai sentito?»

E Rukawa scivolò nel sonno.

 

Una ventina di minuti dopo venne svegliato da leggeri colpetti sulla spalla.

«Ti addormenti sempre così di schianto?» domandò il suo compagno di stanza piuttosto perplesso.

«Si. E non perdono chi disturba il mio sonno, vedi di ricordartelo» replicò Rukawa minaccioso, prima di alzarsi. Andò nel piccolo bagno annesso alla camera grattandosi la testa, si lavò il viso e quando riapparve, Sawakita lo stava aspettando sulla soglia.

«La chiave» disse mollandogliela in mano. Rukawa lo guardò, un sopracciglio alzato come a chiedere “perché dovrei tenerle io?” e Sawakita comprese.

«Se non avessi la testa attaccata al collo perderei anche quella. Tienila tu per favore»

spiegò prima d’incamminarsi verso le scale.

«Come sta il vostro rosso?» esordì l’asso del Sannoh giunti ai primi gradini.

«Schiacciamento vertebrale. E’ in riabilitazione» rispose Rukawa sperando che una risposta secca bastasse a dissuaderlo dal conversare e invece l’altro sembrava proprio aver voglia di continuare.

«Bel casino»

«Ha la pellaccia dura, se la caverà»

«Meglio per voi» commentò aprendo la porta che dava sulla hall dell’albergo, poi fece un cenno con la mano, incoraggiando Rukawa a passare per primo. Kaede indugiò, involontariamente gli sfuggì lo sguardo sull’osceno taglio di capelli di Sawakita, sui suoi occhi dalle palerebbe pesanti e alla fine si ritrovò ad esaminarlo completamente, chiedendosi se il loro corpi si somigliassero davvero, così come berciava Sakuragi.  

«Tranquillo, non è mia intenzione farti lo sgambetto mentre mi cammini davanti» disse Sawakita sogghignando. Il giocatore dello Shohoku emise una specie di breve grugnito ad intendere d’aver compreso, e lo oltrepassò.   

 

La Commissione Nazionale per lo Sport e le Discipline Atletiche li aveva radunati nell’auditorio dell’albergo in stile occidentale in cui alloggiavano per una presentazione ufficiale. C’erano persino alcuni giornalisti e, con sommo orrore di Rukawa, quella tizia assurda della televisione scolastica che aveva preso l’abitudine di seguirlo ovunque. Sawakita raggiunse Kawata e Fukatsu, gli altri due convocati del Sannoh mentre lui si sistemò in ultima fila, vicino ad un ragazzo che non riusciva a riconoscere. Poco dopo gli si sedette affianco Hiroshi Morishige, incastrandosi a stento sulla poltroncina blu.  

«Te sei quello di Kanagawa giusto?» chiese il pantagruelico centro del Meihou e Kaede annuì «Sai siamo le uniche due matricole convocate. Senti se mi addormento, mi svegli?» 

Decisamente stava chiedendo alla persona sbagliata. Inaspettatamente, però, Rukawa riuscì a mantenersi sveglio per l’intera durata dell’incontro, un pò perché stare schiacciato fra lo sconosciuto e Morishige era scomodissimo, e un pò perché sentiva uno strano bisogno di restare vigile. Si dovette sorbire i discorsi dei presidenti di quello e di quell’altro e rifilare un paio di gomitate ad un russante Morishige, prima di poter ascoltare l’intervento del coach, l’unico che gli suscitasse un minimo d’interesse. All’apparenza l’allenatore Mhiamotho Kaneda era il tipico ex atleta sulla quarantina. Alto, folti capelli scuri, indossava un completo blu e camminava sul palco disinvolto, con la sicumera di coloro a cui piace stare al centro dell’attenzione. La maggior parte del suo discorso risultò banale e ritrito, eppure riusciva a mantenere alto l’interesse del pubblico  alternando perfettamente le pause alle parole. Indubbiamente si trattava di una persona intelligente, dotata di una grande eloquenza, ma Rukawa non fu particolarmente convinto dal suo stile, più che un’allenatore di una nazionale sportiva giovanile sembrava una via di mezzo fra mental coach e un venditore di pentole. 

Arrivarono alla consegna delle divise che ormai si era fatta ora di cena e nella sala cominciavano a sentirsi chiaramente i borbottii degli stomaci di dodici adolescenti.

 

In mensa il tavolo del buffet fu svuotato in un paio di secondi. Rukawa lasciò perdere i piatti singoli, optando per un bento a base di pesce e riso, poi si guardò intorno, alla ricerca di un tavolo passabile in cui collocarsi. Normalmente non si sarebbe fatto scrupoli a sistemarsi da solo in un tavolo qualunque, ma quello era un contesto diverso dalla normalità. Lì le cose si facevano serie. Lì era l’ultimo arrivato, un semplice novellino e tanti cari saluti al brillante campione. Anche se non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto la peggiore della torture, Kaede sapeva, intimamente, che quella sensazione di allerta era dovuto ad una sorta di timorosa soggezione. Insomma, Kaede Rukawa era abbastanza nervoso da sentire il bisogno di qualche riferimento, forse addirittura di una rassicurazione, e c’era un’unica persona in quella stanza di cui vagamente si fidasse.

«Ciao, posso?» domandò affiancandosi al tavolo di Shinichi Maki. 

«Ohi, ciao Rukawa! Certo» rispose l’altro sorridendo. Kaede ringraziò con un veloce cenno del capo e si sedette di fronte al capitano del Kainan. Vennero immediatamente raggiunti da Dai Moroboshi, che a malapena salutò, era impaziente di aggiornare Maki su una questione che gli stava molto a cuore.

«Natsumi ed Eri» esordì pimpante posando il vassoio sul tavolo.

«Chi?»

«Come chi? Le ragazze della reception» chiarì prima di infilarsi in bocca un onigiri e ingoiandoselo praticamente intero «sono matricole della facoltà di lingue a Chiba e lavorano qui per un stage estivo».

«Non posso credere che tu sia già andato ad importunarle» disse Maki, sebbene avesse l’aria di crederci benissimo «Moroboshi, due ragazze universitarie non usciranno mai con un liceale»

«Ed è qui che ti sbagli vecchio mio. Hanno già accettato. Merito del mio fascino animale» ribatté l’altro rigirandosi le bacchette fra le dita, mostrando un sorriso sfavillante che forse sarebbe stato più efficace se non avesse avuto dei residui di riso fra i denti. 

«Probabilmente si sono impietosite»

«Che ci sarebbe di male nella pietà? La pietà sta alla base di molte  relazioni!» fece una pausa per bere un bicchier d’acqua «però dobbiamo trovarci altri due, perché loro si porteranno dietro le sorelle più piccole.»

Detto ciò Moroboshi ispezionò la sala con gli occhi, passò in rassegna i tavoli e si fermò su Rukawa, che aveva seguito quello scambio di battute in religioso silenzio, continuando a mangiare, indifferente agli altrui piani di conquista. 

«Tu potresti fare al caso nostro, sei carino. Che dici Maki, svezziamo il ragazzino?» domandò tamburellandosi l’ indice sulle labbra e Maki alzò un angolo della bocca in un mezzo sorriso.

«Non saprei, Moroboshi, sarebbe rischioso. Questo qui fa bagnare un sacco di ragazze, finirebbe con l’attirare troppa attenzione» commentò tranquillo il veterano di Kanagawa guardando il super rookie, che restituì lo sguardo, scioccato. 

Vecchiaccio maledetto, e lui che si era fidato. 

«Mh dici? Sembrerebbe proprio uno di quelli che se lo tira fuori solo per pisciare.»  

A quel punto Rukawa giunse al culmine, era stanco di sentirli chiacchierare di lui come se non fosse stato presente, e poi, stella di Aichi o no, quel Moroboshi era un pò un’idiota.

«E voi sembrate proprio due che si sentono minacciati dall’ultimo arrivato» disse truce. 

«Ehi marmocchietto!» eruppe, improvvisamente alterato, Moroboshi, cercandosi di alzarsi. 

Maki lo trattenne seduto, premendogli una mano sulla spalla. 

«Lascia perdere, abbiamo cominciato noi a provocare. Scusaci Rukawa» tagliò corto, usando lo stesso tono di voce profondo che aveva quando doveva placare Kiyota. 

Moroboshi e Rukawa continuarono a studiarsi a vicenda per altri lunghi secondi, poi il giocatore dell’Aiwa si scrollò di dosso la mano dell’amico e sospirò rumorosamente.

«Si, si ok» biascicò «Allora, ci viene con noi?» 

«No grazie» rispose alzandosi «buona serata.»  

Portò il bento vuoto alle rastrelliere sistemate in un angolo e si diresse a grandi passi verso l’uscita. 

 

Quando Sawakita tornò in camera Rukawa aveva già svuotato la valigia e, seduto sul letto a gambe incrociate, stava leggendo il programma giornaliero del ritiro, consegnato loro insieme alle divise. Erano quindici giorni decisamente intensivi, descritti nel dettaglio e in una lettera di raccomandazione-minaccia allegata dal mister.

Sveglia alle 7 e mezza, avete un'ora di tempo per prepararsi e fare colazione, poi si scende in campo, per le 09:30 vi voglio tutti pronti per cominciare la prima seduta di allenamento. Chi ritarda dovrà recuperare, in che modo lo deciderò io di volta in volta. Al mattino solitamente si cura la parte fisico-atletica, utilizzando anche i macchinari della palestra. Si sta in campo fino a mezzogiorno, dopo la doccia il ritorno in albergo per il pranzo delle 13. Sarete liberi fino alle 15, io vi consiglio di ritirarvi nelle vostre camere a riposare, ma non è obbligatorio, dovrete però restare nei pressi dell’albero e non fare casino. In caso non rispettiate queste due semplici regole sarete puntiti. Quindi di nuovo in campo per l'allenamento pomeridiano, dalle 15.30 alle 18.30. Questa volta il lavoro sarà più incentrato sul gioco, tecniche e tattica. Si cena alle 20.00, poi tutti nelle proprie camere entro le 23.00. Chiunque verrà beccato fuori dai letti dopo quell’ora verrà gentilmente riaccompagnato in stanza a fare le valigie in vista della ripartenza forzata del giorno successivo. Lunedì mattina libero, salvo comportamenti scorretti da parte vostra. 

Inoltre erano state fissati amichevoli con due squadre universitarie. Rukawa sperò che Maki e Moroboshi fossero abbastanza svegli da non farsi scoprire a progettare fughe notturne, altrimenti avrebbero dovuto affrontare la Shintai decimati dai playmaker. 

Nel frattempo Sawakita stava riponendo i suoi vestiti nell’armadio con una pignoleria estrema, sistemando ogni maglietta in una gruccia diversa. Lo guardò di sottecchi tirar fuori le mutande da una tasca laterale del borsone, praticamente erano tutte colorate, a righe o decorate con motivi strani. Kaede pensò alle sue; quelle più fantasiose che possedeva erano grigie con le cuciture verdi. 

«Ma che caz…» sbottò ad un certo punto Sawakita, trovandosi fra le mani un paio di slip particolarmente appariscenti. Cercò di ricacciarle in valigia, ma i suoi riflessi furono meno pronti del solito. 

«Hai le mutande di Superman?» chiese sfottendolo il compagno di stanza, che aveva fatto in tempo ad adocchiare l’orrido capo d’abbigliamento. 

«Deve averle messe mia madre per sbaglio, di solito non le indosso» pigolò l’asso del Sannoh diventando della stessa tonalità di rosso della S disegnata sulle mutande. 

«Hai le mutande di Superman e ti fai fare la valigia dalla mamma? Cos’hai 5 anni?» infierì l’altro, sogghignando.

«No che non mi fa la valigia, intendevo dire che le avrò prese io senza accorgermene» farfugliò, cercando di ritrattare «comunque sono un regalo.»

«Di Clark Kent?» continuò Rukawa. Si stava divertendo da matti a stuzzicare il rivale.

«Di un’ammiratrice, ne ho diverse» ribatté Sawakita incrociando le braccia al petto, in segno di sfida, ignaro del fatto che sfidare il bel giocatore di Kanagawa in fatto di ammiratrici pazze fosse una gara persa in partenza. 

«A me hanno regalato anche biancheria intima femminile, ma di certo non la tengo» disse Rukawa facendo spallucce e Sawakita divenne impossibilmente ancora più rosso. 

Ammutolì e si lasciò andare seduto sul letto.

«Come si può pensare di conquistare un ragazzo regalandogli la propria biancheria intima?» chiese meditabondo, cominciando a giochicchiare distrattamente con la cinghia del borsone. Quando aveva visto il ridicolo pezzo di pizzo dentro il pacchettino, Rukawa si era posto la stessa identica domanda, poi aveva liquidato la riflessione con un “puah” disgustato, e gettato il pacchetto semi aperto nella spazzatura, attento a non sfiorare nemmeno una porzione della stoffa. Da allora aveva sempre buttato via ogni regalo senza più lasciarsi tentare dalla curiosità di aprirlo.

«A proposito, di sotto ho incontrato Moroboshi» interloquì Sawakita «nemmeno a me sta particolarmente simpatico» aggiunse vedendo la smorfia sul viso dell’altro «mi ha fermato per chiedermi se sono interessato ad uscire domenica sera con lui, Maki e delle ragazze. Lo hanno chiesto anche a te?» chiese piegando leggermente la testa da un lato e Rukawa annuì.

Quindi testa rapata lo aveva osservato durante la cena. 

«E andrai?» 

«No»

Ci fu un momento di stallo. Sawakita stiracchiò la bocca, lasciò scivolare il labbro inferiore sotto quello superiore, nascondendolo, cosi facendo i suoi occhi sembrarono più grandi. Kaede aveva già visto quell’espressione sul viso di Sawakita, era lo stesso cipiglio che assumeva quando si metteva in posizione di difesa sul campo, e si chiese cosa lo spingesse a mettersi sulla difensiva proprio in quel momento. 

«Se tu vuoi andarci, io mi farò i cazzi miei. Però se vi becca il mister non aspettarti che ti copra» chiarì, prima di sdraiarsi sul materasso.

Aveva già parlato abbastanza per l’intera settimana.

«Non ci voglio andare, io...»

La frase rimase lì, ad aleggiare sospesa nell’aria. Sawakita ebbe il buon senso di chiudere la bocca altro e Rukawa lo vide con la coda dell’occhio scrollare la testa, recuperare un beauty case nero e andare in bagno.

Le mutande di Superman erano ancora sul suo letto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note: la pazza della tv scolastica è Mari Kawai, personaggio esistente solo nell’anime. 

 Stavo pensando di pubblicare capitoli un pò più lunghi accorpandoli. O di darmi all’ippica. 

Non so.  

 

Un abbraccio a tutti e tutte 

A presto 


  
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