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Autore: NPC_Stories    07/10/2019    5 recensioni
Collezione di oneshot fantasy a tema "fairy", come indicato nella lista di Inktober che io e la mia affezionata illustratrice Erika abbiamo scelto (no, non Erika la webmaster, un'altra Erika). Io scrivo, lei disegna... speriamo di tenere il passo!
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Alcune di queste storie saranno ambientate nel nostro mondo, alcune altre nell'ambientazione del fandom in cui sono più attiva, Forgotten Realms, e altre ancora saranno ambientate in mondi di mia creazione o di fantasy generico, o parodistico.
Alcune di queste storie vi faranno ridere (spero), altre vi faranno piangere (mh, forse sto esagerando), ma in ogni caso mi auguro che tutte vi piacciano.
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Che la vostra vita possa essere piena di momenti di piccola meraviglia!
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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7. Robin Redcap


Sotto-genere: drammatico
Ambientazione: Scozia, XIX secolo


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“Le fate non esistono, Robin” borbottò il ragazzino, mimando il tono del suo insegnante con una smorfia e una voce gracchiante. “Resta con i piedi per terra, Robin. Bah! Maledetto prete!”
Robin diede un calcio a un sasso, mandandolo a cadere in un fosso. Stava procrastinando il più possibile il momento di tornare a casa, barcollando lentamente nella luce del tramonto. Si portava sulle spalle i libri di scuola tenuti insieme da una cinghia. Se fosse stata primavera, avrebbe dovuto correre nei campi ad aiutare suo padre, ma era inverno e non c’era molto da fare in campagna. Il sole calava molto presto, d’inverno, e quindi appena uscito dalla scuola parrocchiale Robin doveva tornarsene a casa, prima che facesse buio.
Un gatto gli tagliò la strada. Robin, tutto ingrugnito, calciò un altro sasso in direzione dell’animale. Il gatto schivò il colpo con un balzo, soffiò e scattò via, ma Robin trasse un po’ di soddisfazione dal fatto di aver condiviso il suo malumore con qualcuno.
Nella sua mente immaginò di poter tirare un sasso anche al suo maestro. Era un pensiero piacevole, quasi esaltante. Robin non si considerava un ribelle, ma aveva sempre avuto una vena di sadismo e di violenza. Era sempre stato così fin da quando aveva memoria, gli piaceva sistemare il veleno per topi e gli piaceva sezionare piccoli animali a scuola.
Però non odiava gli animali, dopotutto. Odiava di più i suoi compagni di classe, e perfino i suoi fratelli più grandi, che si credevano tanto più in gamba di lui. Avevano riso tutti, quel pomeriggio, mentre il maestro lo umiliava ripetendo che non esistono le fate. Robin però ci credeva. Tutte le storie che gli aveva raccontato suo nonno non potevano essere menzogne, il vecchio era l'unica persona che gli avesse voluto bene, quindi non poteva avergli raccontato fesserie.
"Le fate esistono eccome, e anche i folletti, gnomi, i coboldi e tutti gli altri Buoni Vicini" borbottò, lasciando sobbollire la sua rabbia. "Un giorno ve lo farò vedere!"
Le risate dei suoi compagni di classe continuavano a infestare i suoi ricordi, gli sembrava quasi di sentirle ancora come se quegli odiosi pidocchi fossero lì. Poi si accorse che non si stava ingannando, c'era davvero qualcuno che rideva. Una strana voce acuta, come se qualcuno lo stesse prendendo in giro.
Rosso di rabbia, il bambino si guardò intorno, cercando il buontempone per prenderlo a pugni. Non c'era nessuno.
"Quaggiù!" Lo chiamò una vocetta, quando ormai si era quasi convinto di avere avuto un'allucinazione. "Guarda bene nel fosso!"
Robin si avvicinò al fosso che costeggiava il bordo strada, e vide con sua enorme sorpresa che c'era un ometto accucciato laggiù sul fondo, dove la luce del sole non riusciva a sciogliere la brina. Era un piccoletto con abiti fuori moda e un berretto rosso; era difficile capire le sue vere dimensioni visto che se ne stava accucciato, ma sembrava tozzo e squadrato. Era anziano, con una lunga barba bianca, le dita quasi scheletriche, come quelle di certi vecchi che non mangiano più molto a causa della mancanza di denti. Lui invece i denti ce li aveva, eccome. Moltissimi denti, affilati come rasoi. Quando sorrise a Robin, il suo ghigno sembrava più pensato per minacciare che per mostrare amicizia.
“Caro ragazzo…”
Robin sentì un brivido lungo la schiena. Gli occhi malevoli iniettati di sangue, i denti aguzzi, il cappello vermiglio… aveva sentito abbastanza storie da riconoscere un Redcap al primo sguardo.
Sapeva che avrebbe dovuto scappare, ma vedere un vero goblin in carne e ossa era troppo… semplicemente troppo per poter voltare le spalle e fuggire verso la banalità della sua casa.
“Non aver paura, fanciullo” disse quella creatura tutta denti, cercando di suonare rassicurante. “Così pochi umani credono ancora in noi! Tu sei prezioso per noi Buoni Vicini, non sei una mia preda. Anzi, sono qui per ricompensarti per la tua lealtà. Sono qui per farti un dono.”
Alla mente di Robin si affacciò un ricordo lontano: suo nonno, che gli raccomandava di non accettare doni dalle fate. Ma era consentito accettare dei premi, c’erano molte storie di fate travestite da povere anziane, che ricompensavano gli umani che le trattavano con gentilezza. Ora il Redcap aveva detto di volergli dare qualcosa come premio per la sua lealtà, quindi non era esattamente un dono.
“Di che cosa si tratta?” Domandò Robin, un po’ dubbioso ma anche emozionato.
“Vedo che non hai un cappello, e sta venendo l’inverno” notò il Redcap.
“Non è che non ce l’ho, me l’hanno tolto per darlo a mio fratello piccolo. Mia madre me ne sta cercando un altro” raccontò, un po’ inviperito. La sua vita era sempre stata così: indossare abiti di seconda mano, e poi doverli passare a suo fratello minore.
“Mi piacerebbe darti il mio cappello. Non sarà nuovo di pacca e nemmeno tanto bello, ehi, ma è magico!” il goblin ghignò in un modo molto poco rassicurante.
Robin per qualche ragione non ebbe paura di quel ghigno, anzi, cominciò a percepire che forse lui e quella creatura erano simili.
“Poteri magici? Non so, mi sembra troppo, dov’è la fregatura?” Robin poteva vederlo come un suo simile, ma questo voleva dire che, anche se gli faceva simpatia, non poteva fidarsi. Non si sarebbe mai fidato di se stesso.
“Nessuna fregatura! Amico mio, noi siamo rimasti in pochi. Ecco cosa farà questo bel berretto rosso: quando morirai… fra molti anni, quando sarà il tuo momento… non morirai davvero, ma ti trasformerai in uno di noi. Apparterrai al popolo dei folletti. L’idea ti garba?” Lo tentò, con un sorriso a centoquaranta denti.
“Se mi garba? Perbacco, sì!” Esclamò il ragazzetto, facendo quasi un salto.
Il piccolo goblin si alzò in piedi (era davvero basso, come un bambino che non va ancora a scuola), si tolse il cappello e lo lanciò fuori dal fosso. Robin lo acchiappò al volo. Era di stoffa pesante, e il rosso era in realtà un color mattone. Ricordò la leggenda secondo cui il cappello dei Redcap era rosso perché lo immergevano nel sangue delle loro vittime, e rabbrividì. La stoffa però non sembrava impregnata di sangue, forse quella parte della leggenda era falsa.
“Grazie, oh, grazie infinite, signor…” abbassò lo sguardo per cercare il goblin, ma la creatura leggendaria era scomparsa nel nulla.
Questo non lo scoraggiò, anzi, aggiunse solo altra magia a quell’incontro. Aveva parlato con un vero folletto, e il cappello ne era la prova. Non se ne sarebbe separato mai.


Tredici anni dopo

Le assi scricchiolavano sotto il suo peso, eppure Robin non era un uomo grasso. Era sempre stato smilzo, atletico ma asciutto, come se non riuscisse a mettere su peso. Negli ultimi dieci giorni, il cibo della prigione non aveva fatto molto per saziarlo. Ma che importanza poteva avere? Era solo un morto che camminava.
Qualcuno gli sistemò il cappio intorno al collo, dando uno strattone al nodo per accertarsi che la testa non si sfilasse nella caduta.
“Nell’anno del Signore milleottocentosessantuno” cominciò il banditore, catturando l’attenzione della gente in piazza, “il pluriomicida Robin MacFinley, noto come Robin Redcap, è stato…” un boato corale dalla folla lo costrinse a fermarsi un momento. Qualcuno lanciò uova marce addosso a Robin, ma lui non se ne curò più di tanto. Si annotò bene quei volti, piuttosto. Per dopo.
“Robin MacFinley è stato giudicato colpevole di brigantaggio, furto, assassinio di almeno undici persone, e per i suoi crimini è stato condannato a pendere dalla forca fino a che morte non sopraggiunga. Verrà ora eseguito l’ultimo desiderio del condannato.” Il banditore fece un cenno al boia, che mise una mano nella tasca di Robin e ne tirò fuori un berretto di stoffa rossa, stropicciato.
La gente ricominciò a rumoreggiare. Il famigerato Robin Redcap era stato il terrore del paesino di Drochaid Èireann in un primo momento, e poi dei villaggi nei dintorni, fino a destare la preoccupazione della città di Perth. Il suo cappello rosso era diventato il simbolo della sua depravazione, e quando il boia glielo mise sulla testa, la folla esplose e ricominciò a lanciare uova.
Per fortuna quella vista disturbante durò solo un attimo, poi sul volto del condannato fu calato un cappuccio nero. Pochi si accorsero che quel cappuccio stava coprendo un ghigno soddisfatto, non una smorfia di paura.

Se Robin MacFinley sia davvero diventato una creatura fatata dopo la morte, questo non si sa. Di certo era stato violento quanto un vero Redcap quando era in vita.
Ad ogni modo, nella sua nuova esistenza, Robin non avrebbe ricordato nulla di quando era umano.
Le promesse dei Buoni Vicini sono sempre un po’ nebulose.



**********
Nota: ho dovuto fare un po’ di ricerche per scrivere questa storia e ci tengo a condividerle:
- I dintorni di Perth sono effettivamente una zona agricola, nell’odierna contea del Perthshire, nelle Highlands. Il villaggio di Drochaid Èireann esiste davvero, ma in inglese si chiama Bridge of Earn. I cognomi (patronimici) che iniziano con Mac- sono tipici delle Highlands, mentre nelle Lowlands si usa il suffisso -son.
- Le scuole parrocchiali sono state promosse in Scozia, anche nei distretti rurali, grazie a una riforma del 1834, pochi anni prima dell’inizio di questa storia. Le esecuzioni pubbliche in Gran Bretagna sono state comuni fino al 1868, poi abolite in favore di esecuzioni chiuse al pubblico, mentre la pena di morte per omicidio è stata abolita solo nel 1999.
- Il Redcap è davvero una figura folkloristica scozzese, ma a onor del vero appartiene più alla zona di confine fra Scozia e Inghilterra.

   
 
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