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Autore: NPC_Stories    06/10/2019    2 recensioni
Collezione di oneshot fantasy a tema "fairy", come indicato nella lista di Inktober che io e la mia affezionata illustratrice Erika abbiamo scelto (no, non Erika la webmaster, un'altra Erika). Io scrivo, lei disegna... speriamo di tenere il passo!
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Alcune di queste storie saranno ambientate nel nostro mondo, alcune altre nell'ambientazione del fandom in cui sono più attiva, Forgotten Realms, e altre ancora saranno ambientate in mondi di mia creazione o di fantasy generico, o parodistico.
Alcune di queste storie vi faranno ridere (spero), altre vi faranno piangere (mh, forse sto esagerando), ma in ogni caso mi auguro che tutte vi piacciano.
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Che la vostra vita possa essere piena di momenti di piccola meraviglia!
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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6. Gnomes


Sotto-genere: introspettivo
Ambientazione: Forgotten Realms
Nota: sequel di Senza motivo


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1375 DR, Grande Foresta

Gimli spalancò gli occhi di colpo e si sollevò seduto, respirando a pieni polmoni. La morsa della paura gli stringeva ancora la gola, un velo di sudore gli bagnava la fronte.
L’aria profumava di terra umida, di foglie cadute e di quella frescura tipica dei luoghi che non vengono mai del tutto inondati dal sole. Questo fu sufficiente a ricordargli che si trovava in un bosco, non sottoterra.
Un altro incubo, pensò lo gnomo, passandosi il dorso di una mano sulla fronte. Non è successo niente. Non a me, comunque.

Gli incubi avevano sempre fatto parte della sua vita, da quando era piccolissimo. Non sempre erano così brutti. A volte erano solo vaghi sogni di luoghi lontani, persone che credeva di conoscere e invece no, segreti sussurrati in lingue che capiva in sogno ma non avrebbe saputo parlare da sveglio. Anche i sogni però erano inquietanti, a causa di quella loro fuggevolezza. Lo gnomo del sussurro si sentiva come se una grandissima parte della sua vita fosse appena oltre la portata della sua memoria.

Gimli non era sempre stato uno gnomo. Fino a pochi mesi prima, in effetti, era uno gnoll. Era nato gnoll, nella foresta Wealdath. La sua vita si prospettava semplice: avrebbe dovuto crescere nel suo branco, imparare a cacciare e a uccidere. Sarebbe stato un normalissimo gnoll, un uomo-iena, una creatura né umana né bestia. Sarebbe diventato un sanguinario assassino con il cervello di un’arachide, come tutti quelli della sua specie.
Poi il suo branco era stato ucciso, e un piccolo gruppo di avventurieri l’aveva trovato abbandonato nella sua tana. Anziché ucciderlo, l’avevano preso con loro nella speranza di poterlo crescere con principi più sani.
All’inizio il cucciolo di gnoll non aveva per niente collaborato. Mordeva la mano che lo nutriva, segnava i loro zaini con la sua urina, cercava di scappare a ogni occasione. Poi, mentre quegli avventurieri erano in visita in un luogo benedetto, Gimli era riuscito a mangiare una ghianda di un albero molto particolare, una quercia-anima. La quercia era la tomba di un eroe amico degli elfi, e una pallida impronta della sua anima risiedeva ancora nell’albero. Mangiando la ghianda, la mente animalesca di Gimli era stata investita da una marea di ricordi di una vita non sua. Quasi duecento anni di ricordi, nella mente di una creaturina che aveva poche settimane di vita.
Gimli si era trovato dal nulla a parlare (male) una decina di lingue, conoscere le basi del combattimento con la spada (pur senza essere in grado di tenere in mano una spada), e ricordare i volti di persone che non aveva e non avrebbe mai conosciuto. Ma soprattutto, la sua mente si era espansa contemplando nuovi concetti, nuovi pensieri, valori e ideali.
La sua natura di gnoll e la sua mente civilizzata erano state forzate a convivere in uno spazio tremendamente ristretto.
Per fortuna i cuccioli hanno una capacità di adattamento che agli adulti manca. Gimli era lentamente riuscito a venirne a capo. Aveva faticato molto per bilanciare i suoi pensieri, i pensieri che non erano suoi, e i suoi istinti animali. In qualche modo era riuscito a prendere tutte le parti di cui era composto e unirle insieme in qualcosa di più o meno armonico.
I suoi amici erano stati d’aiuto. Gli avventurieri che l’avevano raccolto non potevano tenerlo per sempre, ma avevano trovato qualcuno a cui affidarlo, e dopo un paio di passaggi di mano Gimli aveva finalmente trovato un branco degno di questo nome.
Era andato a vivere nella Grande Foresta, adottato da una driade e dal suo amante, un elfo druido che si fingeva un ranger. O meglio, Gimli aveva accettato per fede il fatto che fosse un elfo, perché ormai la sua anatomia non era più distinguibile come un tempo: settant’anni prima si era sottoposto a un rituale che lo aveva trasformato in una creatura boschiva, praticamente una pianta la cui forma ricordava abbastanza quella originale.
Era senza dubbio uno stranissimo branco per uno gnoll, ma anche lui era uno stranissimo gnoll.

Poi era stato ucciso. Qualche mese prima, un guerriero elfo di passaggio aveva deciso che gli gnoll non meritano fiducia, e l’aveva aperto in due con il suo spadone.
Una fine ingloriosa per qualcuno che, ogni tanto, aveva ancora incubi su ondate di orchi e goblin che lo assalivano e lo uccidevano mentre difendeva una foresta di elfi.
Non erano ricordi suoi, erano ricordi della quercia, ma comunque gli incubi se li beccava lui.
Era difficile non prenderla sul personale.

Per fortuna l’amico druido si trovava nei paraggi, e l’aveva immediatamente riportato in vita… ma con un incantesimo da druido, Reincarnazione, che l’aveva fatto tornare ma con il corpo di una creatura diversa.
Uno gnomo del sussurro.

Dopo aver passato tre anni a cercare di far convivere la sua doppia natura, Gimli di colpo aveva perso tutti i suoi istinti gnoll, la sua natura impaziente e aggressiva, il suo prodigioso fiuto, la sua stazza imponente… ancora una volta era diventato un’altra persona, né più né meno.
Come se non bastasse, i ricordi della quercia stavano diventando sempre più ovattati e confusi. Il suo amico druido, Duvainion, aveva ipotizzato spiegazioni da druido come “tutto ciò che è parte di te un po’ alla volta fluisce e torna a fare parte del mondo”, che secondo Gimli era l’equivalente aulico di “te la stai cacando fuori”.
Secondo Adòla, che aveva un animo poetico come la maggior parte delle driadi, Gimli aveva ricevuto il messaggio della quercia quando gli serviva e ora non ne aveva più bisogno.

Di che cosa avesse bisogno adesso, invece, non era molto chiaro.
Gimli si ributtò a terra, sdraiandosi sul suo giaciglio. Quando era uno gnoll, anche con i ricordi confusi, la vita era più semplice. Era strano essere uno gnomo.
Tutti dicevano sempre che gli gnomi erano gioviali e spensierati, anche se molto intelligenti. Gimli non sentiva alcuna spinta alla frivolezza. Non era gioviale. Non era festaiolo, né gli veniva mai voglia di fare scherzi.
In realtà stava sviluppando una personalità abbastanza cupa. Non cupa quanto lo era stato il tizio che era morto ed era stato sepolto sotto la quercia, no, quel livello di cupezza poteva raggiungerlo solo qualcuno che fosse cresciuto senza vedere la luce del sole. Piuttosto, Gimli era portato a pensieri malinconici, pessimisti. Il suo corpo in un certo senso sembrava adattarsi bene a quello stato d’animo: la sua pelle grigiastra gli dava un’aria malsana, la sua struttura fisica era sottile e segaligna, i suoi occhi avevano assunto uno slavato colore ceruleo.
Era così tanto meglio essere uno gnoll.

Però, questo era innegabile, essere uno gnomo aveva dei vantaggi dal punto di vista sociale. Nessun elfo l’aveva più attaccato a prima vista. Era una considerazione triste, ma Gimli sapeva essere concreto.
Poi ormai si stava abituando a quel nuovo corpo. Aveva perso la forza della sua corporatura massiccia, ma aveva guadagnato un’agilità che prima di allora poteva solo sognare.
Gimli rimase a lungo a fissare le stelle, in quel brandello di cielo che si vedeva oltre le cime degli alberi. Proprio ora che aveva un corpo che gli avrebbe permesso di replicare lo stile di combattimento dell’anima nella quercia, stava cominciando a dimenticare i suoi ricordi.
Si alzò, afferrò le sue spade corte e si mise a fare un po’ di esercizio, per scaldarsi nell’aria fredda della notte. Non era in grado nemmeno di stimare quanto fosse competente come guerriero. Allenarsi il più possibile sarebbe stato cautelativo.
Soprattutto ora che non sapeva proprio cosa aspettarsi dal futuro.
Duvainion l’aveva convinto a tentare un approccio verso altri gnomi, per capire se magari potesse trovarsi più a suo agio in loro compagnia.
La città di Silverymoon distava pochi giorni di cammino dal bordo settentrionale della Grande Foresta, ed era una città multietnica, con una piccola comunità di gnomi.
Duv, Adòla e Gimli vivevano a molte miglia di distanza, nella zona meridionale del bosco; ci sarebbero volute settimane di cammino per arrivare al confine con le Lande d’Argento, specialmente alla lentezza cui si muovevano, ma forse ne sarebbe valsa la pena.

Il mattino arrivò, lo gnomo se ne accorse perché il cielo si stava schiarendo lentamente. Quando Duv emerse dal suo riposo notturno (essere una pianta aveva un po’ cambiato i suoi ritmi vitali), vide che l’amico era già vestito, armato e pronto a partire.
“Ansioso di incontrare altri gnomi?” Lo punzecchiò, con un sorriso che si intuiva più dalla voce che dai lineamenti.
“Ansioso di dimostrarti che sei una testa di legno, non si va d’accordo solo sulla base della razza!” Gimli aveva sempre la risposta pronta, e la sua lingua sapeva essere affilata, ma in quel periodo si stava dando un contegno perché capiva che i suoi amici volevano solo il suo bene.
“Io invece vorrei dimostrarti che puoi vivere in mezzo alla civiltà, e che puoi avere più di due amici” ribatté il druido, stiracchiandosi e tendendo le braccia verso il cielo. Era ora di colazione anche per lui, e poteva trarre una piccola parte del suo sostentamento dalla luce solare.
“Ma va’, figuriamoci. Non sono come gli altri gnomi. Diranno che sono un musone asociale e antipatico.”
“Non puoi saperlo in anticipo. Dai a te stesso almeno una possibilità.”
Gimli si strinse nelle spalle, perché non aveva senso discutere ancora sulla questione. Si erano già messi in viaggio. Non aveva il cuore di dire a Duv che per lui fra gnomi, elfi, umani, nani, non faceva nessuna differenza. Si sentiva un alieno rispetto al mondo, e forse sarebbe stato sempre così.

   
 
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