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Autore: Roiben    07/10/2019    0 recensioni
[Arsène Lupin (Maurice Leblanc) – Sherlock Holmes (Arthur Conan Doyle)]
Quando si ha per le mani un caso delicato e la concreta possibilità di fallire, nella migliore delle ipotesi, o di venire arrestati nella peggiore, in che modo risolvere un problema che sembra non avere sbocchi? A chi chiedere un estremo aiuto? Quando un uomo probo è disperato, prende decisioni disperate.
|Revisionata 11.08.2020|
Genere: Avventura, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, John Watson, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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12 - Una passeggiata nei sobborghi 

 

 

 

 

 

Sir Dominick Ashley-Cooper è rimasto diversi istanti a bocca aperta, mentre il conte d'Andrésy gli tende una mano invano. Quest'ultimo, con aria perplessa, si schiarisce la voce e ritira appena un poco la mano e l'offerta annessa. 

 

«Qualche cosa non va, signore?» si risolve a chiedere, sembrando urtato dalla reazione dell'altro. 

 

«Voi... Voglio dire, no, nulla che non vada. E mi scuso per avervi indotto a crederlo. Avevate ragione, comunque: ho già udito il vostro nome sulla bocca di molti» conferma, ancora stupito per quell'incontro. 

 

«Ah, sì, non ne dubito» replica con un certo sarcasmo. «Mi avevano lasciato intendere, amici del continente, che la vostra fosse gente piuttosto riservata. Devo però dire che ho avuto tutt'altra impressione. Frequentando certuni ambienti non ho potuto fare a meno di ricredermi» aggiunge con una nota maliziosa. 

 

Sir Dominick, dopo un momento di attonito sbigottimento, a sorpresa scoppia in una risata allegra. «Ah, che disfatta. Inutile negare, a questo punto: voi ci avete oramai smascherati e non abbiamo più modo di correre ai ripari né fingere allo scandalo, nevvero?». 

 

«Proprio così, e tal riguardo credo che al mio ritorno a casa prenderò da parte i miei falsi informatori e troverò un modo per render loro la pariglia. Ma per il momento mi ritrovo qui, e a parte i malfattori e lo smog, devo dire che mi ci trovo ottimamente. È una città che ha un suo fascino, lo ammetto». 

 

«Sono felice di sentirvelo dire, signore. E di sentire che intendete rimanere da noi ancora per qualche tempo. In effetti era mia intenzione incontrarvi di persona, uno di questi giorni. Ma il caso ha voluto che i miei doveri me lo impedissero. E tuttavia, eccoci qui, voi proprio davanti a me. È una fortuna insperata, pur nella brutta avventura vissuta». 

 

«L'avventura mantiene vivi e attivi signor... Diamine, mi sono reso or ora conto di non conoscere il vostro nome». 

 

«Santo cielo, avete ragione, che sciocco sbadato sono. Il mio nome è Dominick Ashley-Cooper, e vi ripeto che sono lietissimo di potervi finalmente conoscere di persona». 

 

«Il piacere è tutto mio, signor Ashley-Cooper». 

 

Le campagne di St Peter's Church rintoccano le dieci e sir Dominick sussulta. 

 

«Buon Dio, già le dieci! E dovevo essere in ufficio più di un quarto d'ora fa» esclama costernato. 

 

«Ah, mi rincresce di avervi sottratto del tempo prezioso» si rammarica il conte d'Andrésy. Allontanandosi di poco, indietreggia, dando mostra di volergli lasciare il passaggio libero per ripartire e raggiungere finalmente i suoi impegni pressanti. 

 

«No, oh no, signore! Sono stati quei mascalzoni a rovinarmi la mattinata, e poi devo assolutamente approfittare di questa inattesa fortuna per rubarvi un invito» protesta sir Dominick. 

 

«Un invito? Di qual genere?» si incuriosisce. 

 

«Ebbene, fra quattro giorni dovrò intraprendere per lavoro un viaggio all'estero. Ma ho programmato tutto perché la sera prima si possa tenere comunque un ricevimento per il quale avevo già da tempo inoltrato inviti a mezza Londra. Sapete, non si possono certo annullare occasioni simili per dei piccoli contrattempi quali un viaggio di lavoro, capite? Pertanto, poiché la serata avrà luogo, e gli inviti sono già arrivati tutti a destinazione, non mancate che voi all'appello. Ditemi, vi scongiuro, che avrete la compiacenza di accettare». 

 

«Perbacco, signor Ashley-Cooper, come potrei mai rifiutare un invito giunto in modo tanto inusuale?» chiede con tono e sguardo serio che quasi preoccupa il suo interlocutore. Ma le sue labbra si piegano in un sorrisetto ironico e sir Dominick comprende di aver appena ottenuto il suo anelato consenso. 

 

«Grazie, mille volte grazie! Ora, perdonatemi, devo proprio scappare, o temo verrò scuoiato vivo dai miei capi per questo mio mostruoso ritardo. Vi farò avere tutti i dettagli entro questa sera, lo prometto. E grazie ancora» esclama pieno di soddisfazione e di una fretta folle, correndo via a tutta velocità per raggiungere i suoi impegni prima che questi lo sommergano di scartoffie. 

 

«Oh, ma non c'è di che, mio caro segretario» mormora il conte Bernard d'Andrésy, per la Sûreté di Parigi Arsène Lupin. 

 

 

 

Trascorrono alcuni minuti che occupa passeggiando con calma fino al limitare del parco, raggiunto il quale viene affiancato da Cyril che lo scruta con ansia. 

 

«È tutto a posto, signore?». 

 

Annuisce. «Oui, è andato tutto a meraviglia, e ho ottenuto ciò che mi premeva». 

 

«Siete stato invitato, dunque» deduce il cameriere personale, seguendo il padrone lungo la via. 

 

«Finalmente. C'è voluta una bella spintarella per ottenere questo risultato. I ragazzi stanno bene?» si accerta. 

 

«Sì, signore. Niente di rotto, solo qualche lieve contusione. Mi sono parsi soddisfatti e allegri». 

 

«È stato piuttosto spassoso, in effetti. Credo abbiano apprezzato il programma di oggi più di quello dei giorni scorsi». 

 

«Senza dubbio» conferma Cyril. «Andrete da lei, ora? Siete proprio deciso?». 

 

«Naturalmente, mio Cyril. L'ho giurato a me stesso, e sai quanto detesto rompere le promesse». 

 

Cyril piega le labbra in una smorfia contrita. «Farete attenzione, però? C'è della gran brutta gente, laggiù» gli ricorda, nonostante sappia che non è necessario. 

 

«Non più di quanta ce ne sia in parlamento, mon ami» scherza, contento. Svolta stretto un angolo e si ritrovano in una strada chiusa. «Forza, vediamo di farci belli per la piccola Principessa» mormora con un sorriso sulle labbra. 

 

In verità Cyril ha portato con sé degli abiti più consoni a un quartiere come Shoreditch, poiché l'abbigliamento che sfoggia al momento è maggiormente adatto a un incontro di gala che non ai quartieri periferici e più poveri della città. Gli porge anche un revolver, sperando contro logica che il padrone decida di accettare l'offerta, ma come immaginava egli scuote la testa, fissandolo diritto negli occhi con serietà. 

 

«Sai bene che si tratterebbe di un errore. Sarei tentato di adoperarla, e l'ultima cosa che mi serve ora è qualche sciocco capo banda morto stecchito sulle spalle. Non si può fare, mio Cyril. So che pensi alla mia incolumità, e te ne sono grato, ma preferisco correre qualche rischio in più che gettare alle ortiche tutto il lavoro fatto fino a questo momento, tu comprends?». 

 

«Sì, signore» replica Cyril, tremante. «Posso almeno venire con voi?» chiede come estrema possibilità. 

 

«No, non puoi» rifiuta secco, mandando in fumo le ultime speranze dell'altro. «Ma puoi invece farmi un favore». 

 

«Quale, signore?» chiede un po’ avvilito. 

 

Arsène Lupin si avvicina al suo cameriere personale e abbassa un poco la testa, piegandola di lato per incontrare lo sguardo basso dell'uomo che gli sta di fronte. Sorride, piano. «Puoi fidarti di me». 

 

Schiude le labbra. Sgrana gli occhi. Freme. «Lo faccio, signore. Lo faccio ogni volta» soffia, sgomento. 

 

«Bien, mio Cyril. Tornerò presto, lo prometto». Si infila in fretta la giacca di stoffa rigida e ruvida, un po’ frusta, che gli ha porto il suo cameriere, si avvolge il collo in una sciarpa di lana a righe, sistema in testa un berretto ammaccato e scolorito, si dà una veloce occhiata sul vetro di una finestra e con un'ultima strizzata d'occhio parte per la sua prossima spedizione, salutando con un allegro svolazzo della mano. 

 

 

 

Ha preso un omnibus per avvicinarsi alla sua meta, ma ci deve giungere a piedi, infine, poiché il posto non è servito da nessun mezzo pubblico. Di fatti nota molte biciclette e anche qualche cavallo che vanno e vengono dal quartiere a cui è diretto. Le case e le costruzioni (per lo più fabbriche) sono più alte ma meno raffinate; hanno l'apparenza di scatole il cui unico scopo è quello di contenere, gente o mercanzia (o entrambe le cose assieme). Il giorno precedente ha mandato avanti alcuni dei suoi uomini, così da accertarsi che si tratti del luogo giusto e che ciò che cerca sia a portata di mano, ma una volta giunto sul posto, molti minuti dopo, si rende conto che di fronte ai suoi occhi lo spettacolo è peggiore di quanto ci si potesse attendere. Storce le labbra in una smorfia disgustata, anche se non è chiaro a chi sia diretta, e prosegue inoltrandosi nei vicoli, fino a costeggiare edifici che più che di restauro avrebbero urgente bisogno di essere demoliti e rimpiazzati con qualcosa di più idoneo a essere definito abitazione. 

 

Il suo passo, avanzando, si fa più cauto e i suoi occhi più vigili. È vero che non ha intenzione di portarsi a casa un cadavere, ma è pur vero che in quel modo rischia facilmente di fare una fine sventurata, proprio come lo sono gli abitanti di quel quartiere. In certuni momenti freme, scoprendosi a riflettere se sia stata un'idea saggia recarsi di persona in quel luogo, per di più da solo. Ma una promessa è una promessa, anche se fatta a qualcuno che non ne è informato. 

 

«Piantala di distrarti, Lupin, e presta attenzione, o finisci nel primo canale di scolo a portata di mano» si ammonisce a voce bassa, quasi inudibile a lui stesso. 

 

Un trambusto, proveniente da qualche punto imprecisato di fronte a lui, gli suggerisce di attendere qualche momento per accertarsi che la via sia effettivamente sgombra. Ma non trascorre neppure un minuto che uno stretto uscio a pochi passi sulla destra, solo un istante prima chiuso, si spalanca con violenza e ne vola fuori una figura umana che va a schiantarsi sul vicolo dal lato opposto. Sgrana gli occhi e fa un cauto passo indietro, rimanendo a osservare l'evolversi della situazione. Infatti poco dopo dalla stessa porta sbuca la testa calva di un uomo corpulento e dalla pelle scura che occhieggia con sprezzo la figura umana accartocciata in mezzo alla strada, poi senza un secondo sguardo si volta e richiude la porta sbattendosela alle spalle. 

 

Lupin, ancora fermo al suo posto, sbatte le palpebre alcune volte nel tentativo di schiarirsi le idee, infine, appurato che l'essere di poco prima non ricomparirà a breve, si avvicina a lievi passi alla figura ancora scompostamente rannicchiata a terra e, raggiuntala, gli si china sopra, studiandola con un cruccio che, poco più tardi, diventa pena. 

 

«Morto» soffia con una nota attonita nella voce. 

 

Solleva gli occhi al fondo del vicolo e stringe le labbra. Dopo un ultimo sguardo al disgraziato ai suoi piedi, riprende il cammino, augurandosi di non dover scoprire che quella ragazza abbia fatto la stessa ignobile fine dell'uomo appena lasciato. Ma tutto è gravoso silenzio, ora, quasi che le sorti di ogni anima vivente siano celate appositamente agli occhi di uno spettatore esterno. Poi volta l'occhio e poco al di sopra del capo individua una finestrella dagli infissi scrostati che un tempo dovevano essere verdi come i prati inglesi più rigogliosi, ma che ora sono intaccati dalle intemperie e del colore della salvia avvizzita. Secondo le indicazioni dategli, quella è la sua meta, e verso essa fa vela, controllando con scrupolosa cura che nessuno segua i suoi passi e le sue intenzioni. 

 

La malandata porta che conduce all'abitazione interessata è chiusa a chiave. Inarca un sopracciglio e sbuffa, ma non è un fatto da creargli intoppo, tant'è che da un astuccio in cuoio sfilato dal cappotto recupera un paio d'utensili atti all'uopo e, armeggiando pochi secondi, ha ragione della rozza serratura e può in tutta tranquillità lasciarsi l'inutile barriera alle spalle e salire a passo svelto le malconce e sbeccate scale che lo conducono al piano superiore. 

 

Storce il naso, ché l'olezzo non è dei migliori, neppure per una taverna di terz'ordine; ha più il tanfo di latrina, e non apre le finestrelle dei corridoi per evitare di attirare indesiderate attenzioni, ma certo sarebbe un buon miglioramento farlo, considerato che dentro non è di certo più caldo rispetto a fuori. 

 

«Umanità degradata» borbotta piano, gli occhi fissi davanti a sé, attento ai movimenti che potrebbero rivelargli presenze estranee e non necessariamente gradite. 

 

Ancora corridoi polverosi, cartoni sparsi, qualche coperta, della legna, scarpe, una quantità di entrate, alcune chiuse da usci di poco conto, altre riparate da tende lacere. Conta i passi e le entrate che si spalancano grigie e poco attraenti al suo sguardo. La sesta a sinistra dev'essere quella buona, tiene a mente; ma le altre cosa nascondono? Vale la pena di saperlo? Chiederselo cambierà qualcosa? Scuote la testa e continua ad avanzare, deciso a non farsi distrarre da false piste. La sesta a sinistra possiede una porta, di legno e perfino dotata di maniglia e serratura; un gran lusso, visti i precedenti. Fa spallucce, prova la maniglia: la porta è chiusa a chiave. Seccante. Che fare?  Bussare è fuori discussione. Scassinare la serratura non è una presentazione che faccia buona impressione. Non che buttar giù una porta quasi intatta e discretamente funzionante farebbe migliore impressione, ben inteso. Dunque? 

 

«Non potevano lasciarla aperta? Borseggiatori che si chiudono dentro a chiave, questa è da ridere» borbotta piano fra sé. «Forse hanno l'abitudine di fregare il maltolto alla concorrenza» riflette, ripensando al primo incontro con la ragazzina. «Bah!» sbotta, risolvendosi a manomettere anche questa serratura ed entrare in punta di piedi. 

 

Socchiude le palpebre, cercando di abituarsi in fretta al poco chiarore che filtra attraverso le imposte chiuse. All'apparenza il posto non sembra abitato. O meglio, sembra attualmente deserto. Che siano fuori a lavorare, i suoi abituali occupanti? A ogni modo, dopo aver curiosato in giro e non aver trovato altro che poche carabattole di probabile appartenenza della ragazza che cerca, si decide ad attenderne il ritorno, sperando di non dover aspettare troppo a lungo, o finirà con l'annoiarsi, e quando Arsène Lupin si annoia tendono a verificarsi situazioni incresciose (per ulteriori delucidazioni in merito chiedere a Cyril). 

 

È seduto sul davanzale, buttando di tanto in tanto l'occhio al vicolo che intravede attraverso le fessure dell'imposta, quando un piccolo crocchio di persone turba il silenzio tombale di quella sera. Afferra al volo la moneta che aveva lanciato in aria per l'ennesima volta cercando di far trascorrere il tempo più velocemente e si fa più accosto all'imposta, tentando di individuare i nuovi arrivati e sperando di riconoscere nel gruppo colei a cui è interessato. Purtroppo dal suo punto di osservazione non è in grado di scorgere molto e può limitarsi solo a discernerne le caratteristiche attraverso le voci che riesce a udire. Vi sono alcuni ragazzini molto giovani, prossimi all'adolescenza forse; almeno un paio di donne mature e dal linguaggio rude e volgare. Le voci però si confondono una volta superata la finestra; alcune sembra abbiano continuato diritto, ma c'è qualcuno che sale le scale del palazzo in cui si trova poiché ne ode i passi in modo distinto: due paia, quindi due persone. Che una di esse sia proprio la ragazza che attende? Scivola giù dal davanzale e si accosta all'uscio, rimanendo in un punto cieco della stanza; prima di farsi avanti ha intenzione di assicurarsi di essere al cospetto della persona giusta, poiché sono già troppi i rischi che corre in quel posto e di infilarsi in altri sconosciuti non ha per nulla voglia. 

 

I passi montati fino al corridoio si sono divisi: uno dei due ignoti personaggi si è fermato qualche entrata più indietro, l'altro è proprio di fronte alla porta dietro la quale attende. Sente la chiave scorrere con clangore metallico nella serratura e spalanca gli occhi, acquattandosi meglio nell'ombra e respirando in silenzio. L’uscio si schiude sulla camera, oscurandogli la visuale sulla persona che sta entrando per secondi che paiono eterni. La porta poi si richiude con un leggero tonfo e finalmente può distinguere la silhouette dell'occupante della camera che si sofferma a richiudere a chiave. Ancora non si muove, quasi non respira, concentrato e attento. La figura ancora in ombra si avvicina al letto malconcio e vi getta sopra il berretto di lana, liberando con quel gesto una gran massa di ricciuti capelli rosso fiammante. Si appresta ora evidentemente a fare buona compagnia al copricapo, ma i suoi progetti incontrano un intoppo: qualcosa si è mosso poco oltre il suo campo visivo; un'ombra che, senza che se ne rendesse ben conto, gli si è fatta incontro. Ha appena il tempo di spalancare gli occhi e socchiudere le labbra per un grido di sorpresa e spavento che quella stessa bocca viene serrata da una mano grande e decisa. 

 

«Non urlare, bambina mia, o ci sentirà tutto il quartiere» mormora Lupin, ammiccando contento e arricciando le labbra in un sorriso malizioso. 

  
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