What the hell we fighting for?
Just surrender and it won’t hurt at all
You just got time to say your prayers
While your waiting for the hammer, to hammer to fall
Hammer to fall, Queen, 1984
La
battaglia era cessata. Era finita, e i Ribelli avevano perso.
L'angelo
dai capelli rossi se ne stava in ginocchio tra gli altri sconfitti,
il capo chino, gli occhi smarriti accecati dalla luce purissima che
splendeva su di loro non come un segno di benedizione ma piuttosto
come un terribile presagio. Sentiva i suoi compagni di sventura
agitarsi e tremare al suo fianco ma non provava la minima
solidarietà.
Gli
angeli che li avevano combattuti, guidati dall'Arcangelo Michele, si
ergevano in piedi intorno a loro e li circondavano, chiudendoli in un
anello serrato dal quale facevano piovere sguardi di granito e
biasimo verso quei dieci milioni di traditori che si erano lasciati
incantare dalle lusinghe blasfeme di Lucifero e dalla sua smisurata
ambizione di elevarsi al di sopra di tutti loro, equiparandosi
all'Onnipotente.
Ah,
sciocchi! Nessun angelo avrebbe mai ottenuto un tale privilegio.
L'Altissimo era l'essenza stessa della Perfezione inarrivabile, della
Potenza creatrice che permetteva l'esistenza di ogni cosa, compresa
la loro. Egli aveva creato gli angeli, e ora i Suoi stessi figli Gli
si erano rivoltati contro, nel vaneggiante tentativo di essere come
Lui, di appropriarsi indebitamente dei Suoi diritti ed eguagliarLo
nei Suoi poteri, nella Sua infallibilità e onniscenza.
L'ambizioso
Lucifero era stato incatenato e trascinato davanti al gruppo,
lasciato solo a fronteggiare la luce che si faceva sempre più
intensa e vicina, la schiena curva e l'aria rassegnata, spezzata. Il
rosso lo vide fremere di terrore mentre la sua esile figura veniva
inondata di quel bagliore folgorante che pulsava di collera.
Tutto
ciò era tristemente ironico: Lucifero, letteralmente “Colui che
porta la Luce”, ora ne era sopraffatto e atterrito. Un tempo il più
bello, il più risplendente, il Serafino prediletto del Paradiso si
trovava adesso in ginocchio, le ali sanguinanti, le vesti lacerate e
l'aspetto stravolto, quasi restio a credere che tutto ciò stesse
succedendo proprio a lui.
L'angelo
dalla chioma di fiamma si guardava intorno freneticamente con gli
occhi sbarrati, come se sperasse di individuare una fortuita, quanto
inesistente, via di fuga.
Cosa
ci faceva lì? Com'era possibile che un'innocente chiacchierata con
Lucifero, un normalissimo quanto sano scambio di opinioni, l'avesse
trascinato sul campo di battaglia, bersaglio delle armi impugnate dai
suoi stessi fratelli, da coloro che, fino a un attimo prima, avevano
rappresentato la sua famiglia, la sua stirpe, i suoi simili?
Cos'aveva fatto di tanto grave per essere ora additato come feccia,
traditore, sovversivo? Porsi delle domande, dubitare, voler conoscere
l'inconoscibile costituiva veramente un Male così grande? Per questo
lo stavano condannando? A causa della sua sete di sapere e della sua
propensione al dubbio?
Ma
la sequela di interrogativi dell'angelo, destinati con ogni evidenza
a rimanere senza risposta, venne bruscamente troncata dalla voce
incorporea e tonante di Dio che si levò dalla luce e parlò col
timbro più duro e grezzo che ciascuno di loro avesse mai udito,
scevro di ogni grazia, di ogni promessa di perdono o redenzione.
Pronunciò
invece sentenze di rimprovero, delusione, amarezza e, ad ogni frase
perentoria, pareva che la figura di Lucifero si accasciasse un po' di
più a terra, come se quelle fossero state non già parole, ma
pesanti macigni che gli venivano posti sulla schiena, prosciugandolo
di ogni energia residua.
Il
discorso si faceva sempre più inclemente, la voce stentorea
dell'Onnipotente si levava con sempre maggior impeto, furore, ira,
indignazione.
I
Ribelli iniziarono a gemere e si portarono le mani alla testa, nel
tentativo di scacciare quel suono assordante, di mettere a tacere
l'insostenibile baccano che ricordava loro la colpa vergognosa di cui
si erano macchiati.
Anche
il rosso emise un lamento disperato. - No, no, no! Perché mi state
facendo questo? Perché? Che cosa ho fatto per meritarmelo? Che cosa
ho fatto?! Ditemelo! -
Gli
angeli intorno a loro non sembravano risentire minimamente di quel
frastuono. Si limitavano a mantenere quella sembianza imperturbabile,
glaciale e sprezzante. Nessun aiuto sarebbe giunto da parte loro;
nessuna misericordia, nessuna compassione li avrebbe mossi in
soccorso degli insorti, che un tempo chiamavano fratelli e che ora
ripudiavano.
La
collera divina stava raggiungendo l'apice, l'angelo dai capelli rossi
poteva sentirlo: presto la punizione dell'Onnipotente si sarebbe
abbattuta su di lui e si sentì afferrare da un panico raggelante che
non aveva mai conosciuto prima di allora e che mai avrebbe potuto
dimenticare nei millenni a venire. Da un momento all'altro, il
Martello avrebbe colpito.
Ormai
la luce era così intensa da non riuscire a scorgere quasi nulla
intorno a sé, ad eccezione di un'unica sagoma: un angelo dai corti
capelli biondi chiarissimi in piedi poco distante da lui che
impugnava una spada di fuoco e guardava il gruppo di traditori con
un'insolita espressione ambigua. Disagio, forse? Dispiacere?
Proprio
in quell'istante, il biondo diresse provvidenzialmente lo sguardo
verso di lui e intercettò i suoi occhi verdi imploranti e grandi di
terrore.
-
Aiutami. - sussurrò il rosso con la voce ridotta a un flebile
gemito. - Aiutami, ti supplico. -
Forse
fu solo la sua disperazione che lo indusse in una vana illusione, ma
egli credette di veder balenare un lampo di pietà nelle iridi
cristalline di quell'angelo che, malgrado la spada di fuoco che
ardeva minacciosamente nella sua mano, emanava un'aura pacifica,
lontana dalla bellicosità che invece sembrava caratterizzare i suoi
compagni d'armi.
E
poi accadde. Il baratro si aprì sotto i Ribelli, inghiottendoli tra
le proprie fauci oscure. Ci furono strepiti, grida di orrore,
preghiere di perdono tanto appassionate quanto inutili.
L'angelo
dai capelli rossi emise un urlo terribile che andò a confondersi con
gli altri in una cacofonia agghiacciante. Un coro di dieci milioni di
voci che, all'unisono, intonavano il canto di un'agonia straziante,
di una ferita sempiterna che non avrebbe mai smesso di sanguinare.
Precipitava
a una velocità indicibile, incalcolabile, trascendente ogni legge
della fisica. Sembrava che la Caduta non dovesse mai avere fine.
A
un tratto avvertì una sensazione di dolore bruciante e si accorse di
essere circondato da fiamme altissime. L'etere stesso attraverso il
quale stava Cadendo sembrava essersi fatto incandescente. Il fuoco lo
lambiva, lo mordeva, lo feriva senza requie; riscriveva ogni sua
cellula, annientava ciò che era per trasformarlo in qualcosa di
completamente diverso. Forse sarebbe stato meglio arrendersi e
lasciare che il rogo lo divorasse, consumandolo fino all'ultimo
brandello della sua anima squarciata; forse avrebbe sofferto meno e
tutto sarebbe finito più in fretta.
Non
c'era nulla che egli potesse fare, tranne continuare a gridare con
quanto fiato avesse in gola, ben consapevole che nessuno l'avrebbe
mai udito...
-
Crowley, caro. Crowley, svegliati! Per l'amor di Qualcuno,
svegliati! -
Il
demone spalancò gli occhi e la visione della Caduta nel
fiammeggiante abisso infernale svanì, sostituita dall'immagine di
Aziraphale chino su di lui con l'aria preoccupata e una mano posata
delicatamente sulla sua spalla.
-
A... angelo? - esalò, il respiro affannoso, ancora profondamente
scosso dalle vivide impressioni dell'incubo.
Aziraphale
prese una sedia e sedette di fronte a lui, spostando la mano dalla
spalla del demone al suo ginocchio in un gesto amorevole e
tranquillizzante.
-
Va tutto bene, caro. Ti sei appisolato e hai fatto un brutto sogno. È
finita adesso. -
Crowley
si accorse di aver istintivamente artigliato le dita ai braccioli
della poltrona sulla quale si era assopito; vi aveva conficcato le
unghie fino a farsi sbiancare le nocche come se, nel suo sonno
agitato, a un certo punto avesse avvertito la necessità di
aggrapparsi a qualcosa di solido che potesse arrestare il suo
precipitare.
S'impose
di rilassare i muscoli della mano e lasciò la presa, dopodiché
gettò un'occhiata febbrile intorno a sé e riconobbe il famigliare e
caotico arredamento della libreria di Aziraphale.
Quel
pomeriggio era passato a trovarlo in negozio ma l'angelo era
impegnato con un cliente e così Crowley si era seduto nel retro ad
aspettare che si liberasse per scambiare quattro chiacchiere. Aveva
abbassato le palpebre per qualche secondo e doveva essere scivolato
nel sonno senza neanche accorgersene, quella maledetta poltrona era
così comoda!
Realizzò
con orrore che gli occhiali scuri gli erano scivolati di traverso,
lasciando scoperti gli occhi serpenteschi che, immaginava, in
quell'istante dovevano essere uno specchio riflettente sgomento e
angoscia.
Si
affrettò a rimetterseli a posto, prima che quel senso di sgradevole
nudità potesse metterlo ancora più a disagio e, nello sfiorarsi la
pelle, si rese conto di avere il volto madido di sudore gelido.
Maledizione!
Era
consapevole della mano calda di Aziraphale ancora appoggiata con
garbo sul suo ginocchio e anche dello sguardo ansioso con cui lo
stava scrutando, ma, per quanto la sua presenza gli fosse di
conforto, non era sicuro di volersi mostrare tanto vulnerabile di
fronte all'amico.
Crowley
cercò di assumere una posizione più dignitosa tra i vaporosi
cuscini della poltrona, curandosi di non incrociare lo sguardo ancora
fastidiosamente allarmato di Aziraphale e pensando ad una qualsiasi
frase che potesse far cessare quel silenzio insopportabile e
alleggerire l'atmosfera tesa, ma l'altro lo precedette. - Ti senti
bene? Sei così pallido. -
Crowley
sbuffò. “No, angelo! Non mi sento bene! Ho appena rivissuto in
sogno il tremendo istante della mia dannazione eterna e la Caduta in
quell'orribile pozzo di zolfo. E dopo millenni mi sembra ancora di
essere lì, come se si ripetesse tutto quanto da capo. Quindi no che
non sto bene! Non sto bene affatto!”
Invece,
il demone si appellò a tutta la sua capacità di autocontrollo e al
suo sangue freddo di serpente e scosse una mano con fare seccato. -
Sì, sì, angelo, sto benissimo. Non serve che tu mi guardi in quel
modo. Era solo uno stupido sogno. Niente per cui valga la pena fare
tante storie, davvero. -
Crowley
sperò con tutto il cuore che Aziraphale non si fosse accorto del
tremito che gli intaccava la voce, minando di molto la credibilità
delle sue asserzioni che altro non erano se non un mucchio di
spudorate bugie.
-
Che cosa stavi sognando, caro? Vuoi dirmelo? - chiese l'angelo,
gentilmente.
Malgrado
la situazione per nulla confortevole, il demone apprezzò quella sua
vena discreta: Aziraphale non gli stava imponendo nulla, si era
offerto semplicemente di ascoltarlo nel caso avesse deciso di
esternare lo spiacevole ricordo onirico e condividerlo con il suo
migliore amico... e la cosa strana era che ne aveva davvero
voglia. Per una volta, aveva desiderio di confidarsi, di
togliersi quel peso dal petto, di rendere egoisticamente partecipe
l'angelo delle sue sofferenze.
Non
era cosa rara che il ricordo della Caduta tornasse a perseguitarlo in
sogno, ma, solitamente, quando ciò accadeva, Crowley si risvegliava
di soprassalto nel suo letto, troppo grande per lui, completamente
solo e tutto ciò che poteva fare era rimanere disteso al buio, in
attesa che il batticuore si placasse e il respiro affannoso
rallentasse per tornare alla normalità. Ma quel giorno poteva
scegliere, non era costretto ad affrontare in solitudine quel
gigantesco spettro di paura e dolore che periodicamente tornava a
fargli visita. Non necessariamente.
Aziraphale
aspettava paziente che l'amico giungesse a una decisione. Capiva che
era combattuto. Non l'avrebbe forzato a raccontargli in cosa
consistesse l'incubo che l'aveva tanto sconvolto, ma sperava davvero
che Crowley optasse infine per metterlo a parte dei suoi tormenti.
Quantomeno, avrebbe potuto tentare di fare qualcosa per confortarlo,
qualunque cosa pur di vedere attenuarsi quella pena e il panico
abbandonare i suoi occhi.
Il
demone sollevò uno sguardo esitante verso l'amico in una muta
domanda; voleva accertarsi che Aziraphale fosse davvero convinto di
voler prendere su di sé parte del dolore che lo mordeva con ferocia
dopo ciascuna di quelle orribili esperienze. L'angelo intuì il
silente interrogativo e annuì, incoraggiante.
Crowley
inspirò a fondo, come a voler trarre dall'etere la forza necessaria
a convertire in parole le immagini terrificanti che ancora gli
invadevano la mente.
-
La Caduta, angelo. È sempre la Caduta. Ogni dannata volta. -
Aziraphale
non disse nulla e, dopo aver preso un altro lungo inspiro, il demone
riprese. - Siete tutti lì, voialtri, in piedi intorno a noi
inginocchiati e stretti gli uni addosso agli altri. Ci fissate in un
modo che mi fa sentire di pietra, mentre mi domando come accidenti
sia possibile che io sia finito in quella situazione. E poi
l'Onnipotente che parla con una voce più dura del marmo, più fredda
del ghiaccio, la luce che si fa sempre più accecante, e infine il
baratro che si apre sotto di me, l'abisso che mi inghiotte e il fuoco
che mi divora l'anima, che mi brucia le ali e le annerisce,
riducendole in cenere... -
Crowley
scoprì di non poter proseguire oltre; la voce gli si spezzò, le
parole bloccate da un nodo alla gola che gli impediva di continuare a
parlare. Avvertì la stretta della mano di Aziraphale farsi più
forte sulla sua gamba e vide le iridi celesti dell'angelo incupirsi,
come se dietro di esse fosse calato uno schermo opaco.
-
Mi dispiace tanto, caro. - esalò. - Se solo a quel tempo avessi
potuto fare qualcosa... -
Crowley
scosse la testa seccamente e proruppe in una risatina amara. - Non
avresti potuto fare proprio niente, angelo. Nessuno avrebbe potuto. -
Un
velo di dolore oscurò il volto di Aziraphale e Crowley si pentì
all'istante dell'asprezza con cui gli si era appena rivolto.
-
Senti, - cominciò, addolcendo il tono di voce. - anche se avessi
voluto aiutarmi, non ti sarebbe stato permesso. Con ogni probabilità,
saresti stato dannato anche tu. -
-
Forse sarebbe stato meglio così. Saremmo stati insieme. Ci saremmo
presi cura l'uno dell'altro. - sbottò l'angelo con voce roca e
appassionata.
A
quel punto, Crowley scattò in avanti con un movimento fulmineo degno
del serpente che era stato, gli afferrò i lembi della giacca con le
mani tremanti e si portò il viso di Aziraphale a un soffio dal
proprio. Poteva scorgere il suo riflesso in quelle pupille circondate
di limpido azzurro.
-
Non dirlo mai più, angelo! Mai più! - scandì, digrignando i denti,
le labbra contratte in una smorfia di rabbia mista a orrore. - Tu non
hai idea di cosa sia stato per me. Non sai cosa voglia dire Cadere e
prego chiunque Lassù e Laggiù che tu non debba
mai scoprirlo. Sarei distrutto alla sola idea che tu possa patire la
stessa sorte toccata a me, quindi non provare mai più a sparare
certe stronzate! -
Il
demone lasciò andare Aziraphale con malagrazia, quasi respingendolo
lontano da sé, dopodiché si accasciò sulla poltrona con un sospiro
esausto e si passò una mano sul volto, cercando di arrestare il
tremore che lo scuoteva da capo a piedi. Quello sfogo, unito
all'esagitazione del sogno, l'aveva provato pesantemente.
L'angelo
rimase ammutolito per qualche secondo, tenendo lo sguardo basso e
riflettendo con mestizia su ciò che Crowley gli aveva appena
rivelato, forse lasciandosi sfuggire anche più di quanto avrebbe
voluto.
Che
gli piacesse o no, era la triste verità. Non poteva conoscere nel
dettaglio ciò che l'esperienza della Caduta avesse significato per
il demone. Era una parte della sua esistenza dalla quale egli sarebbe
sempre stato escluso e non poteva arrogarsi il diritto di stabilire
che, se fossero stati dannati entrambi, le cose sarebbero state più
semplici. La reazione grave ed esasperata di Crowley gli aveva fatto
comprendere quanto quell'esternazione fosse suonata stupida e
incosciente da parte sua, e se ne vergognò profondamente.
-
Hai ragione. - iniziò, sollevando gli occhi e tornando a guardare il
suo migliore amico ancora sprofondato tra i cuscini e pallidissimo,
come un malato privo di forze. - Sì, all'epoca mi sarebbe stato
impossibile impedire ciò che ti è accaduto, e purtroppo non ho il
potere di cambiare il passato e far svanire i ricordi dolorosi. -
fece una pausa prima di riprendere a parlare infondendo una potente
carica di decisione alle sue parole risolute. - Ma non vuol dire che
non possa fare qualcosa adesso. -
Il
demone lasciò ricadere la mano che gli nascondeva parte del viso e
lo guardò, stupito. - Che cosa? -
Aziraphale
gli rivolse un sorriso infinitamente dolce. - Posso esserci per
portare insieme a te questo fardello. Posso ascoltarti, posso
alleviare il tuo tormento, anche se in minima parte. Per esempio,
adesso potrei cominciare col prepararti una bella tazza di cioccolata
calda. Lo sanno tutti che il cioccolato aiuta a scacciare il dolore e
la tristezza, come in quel libro, ricordi? Quello con il mago con gli
occhiali e la cicatrice... -
Crowley
inarcò un sopracciglio. - Vuoi dire Harry Potter? -
-
Esatto! - confermò l'angelo, sforzandosi di adottare un
atteggiamento allegro, mentre trafficava con un pentolino di latte ai
fornelli e tirava fuori dalla credenza una busta di cioccolata alla
nocciola. - Ricordo di un passaggio in cui arrivano queste creature
mostruose, questi vampiri della felicità... oh, come si chiamavano?
I disseccatori? No, i dissodatori... -
Il
demone non poté fare a meno di sorridicchiare. - Dissennatori,
angelo. Si chiamano Dissennatori. -
-
Proprio quelli. - affermò l'amico, armandosi di un cucchiaio di
legno col quale iniziò a mescolare la cioccolata.
Crowley scosse la
testa senza smettere di sorridere: Aziraphale si stava davvero
impegnando per fargli ritrovare il buonumore. Ciò che lo sorprendeva
di più, era che i suoi tentativi stessero funzionando sul serio.
Il gelo rimastogli
incastrato nel cuore si stava pian piano sciogliendo, l'angoscia
recedeva, le visioni spaventose del sogno venivano scalzate e
soppiantate da quella del suo migliore amico impegnato a preparargli
la cioccolata mentre fingeva di non ricordare il termine esatto di un
libro al fine di distrarlo e risollevargli il morale.
Quando Aziraphale
gli porse la tazza colma fino all'orlo di cioccolata fumante, Crowley
gli regalò un sorriso grato che valse tutta la riconoscenza che non
sarebbe mai riuscito ad esprimere a parole.
Si irrigidì quando
l'angelo gli depose una mano tiepida sulla guancia ancora umida di
sudore freddo, e forse anche di lacrime sfuggitegli dalle palpebre
durante il sonno, ma non si sottrasse a quel contatto, lo accolse
invece con indescrivibile sollievo.
- Non devi più
affrontare tutto questo da solo, caro. - mormorò Aziraphale. - D'ora
in poi ci sarò io. Ci sarò sempre per te. -
Nota:
Per quanto abbia
cercato di documentarmi, non ho trovato nessuna narrazione
particolarmente dettagliata della Caduta di Lucifero e degli angeli
Ribelli. Teoricamente, dovrebbero essere entità incorporee quindi la
questione dell'aspetto fisico, del sangue, delle ferite e tutto il
resto non avrebbe senso; ma sarebbe stato troppo complicato
presentare la situazione in questo modo quindi ho preferito scrivere
come se fossero dotati di un corpo materiale, anche se non lo sono.
La rappresentazione
che ho dato della Caduta è quella sognata da Crowley, che dunque è
soggettiva e non è detto che corrisponda a quella “vera”.