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Autore: Fabio Brusa    09/10/2019    1 recensioni
"Fenrir Greyback è un mostro. Un assassino. Un selvaggio licantropo. Approcciare con cautela."
Quello che il mondo vede è solo il prodotto di ciò che mi è stato fatto.
La paura li ha portati a ritenerci delle bestie, dei pericolosi predatori da abbattere. E la vergogna per non averci aiutati li spinge a tentare di cancellare la mia stessa esistenza.
Forse finirò ad Azkaban. Più probabilmente, qualcuno riuscirà a uccidermi, prima o poi.
Non mi importa.
Non mi importa, fintanto che sopravvivrà la verità su come tutto è iniziato e sulla nostra gente.
Sui crimini del Ministero e sull'omertà di uomini come Albus Silente.
Su come il piccolo H. sia morto e, dalle sue ceneri, sia venuto al mondo Fenrir Greyback.
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GREYBACK segue la storia del famoso mago-licantropo. Attraverso vari stili narrativi, dai ricordi di bambino ad articoli di giornale, dagli avvenimenti post ritorno di Voldemort a memorie del mannaro a Hogwarts, in 50 capitoli le vicende dietro il mistero verranno finalmente portate alla luce.
Genere: Dark, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Fenrir Greyback
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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18/50

***

26 Dicembre 2008

Villaggio di Glamis - Contea dell'Angus

Scozia

Scelsero una notte buia e senza luna per avvicinarsi a quella che, tra i colleghi dell'Ufficio Auror, già era stata soprannominata Wolfhome. Eric Dean amava dare nomi alle cose, dare vita a voci di corridoio e, quando era fortunato, a qualche nuova tradizione. La scaramanzia gli era rimasta appiccicata addosso dai tempi del G.U.F.O., quando batteva con il piede per terra tre volte prima di intingere la penna nel calamaio. In qualche modo il bagaglio di riti e tic nervosi che aveva accumulato si erano rivelati efficaci. Era diventato un Auror e finalmente partecipava a un'azione sul campo.

«Sarebbe stato meglio se fosse venuta anche Lizbeth.» Sam Roland si drizzò il colletto del cappotto, guardandosi attorno circospetto, teso come una corda di violino.

«Sei proprio uno stronzo, Sam.» Clarity fece cenno con la testa verso la capitana. Qualsiasi fosse stato il motivo che aveva spinto il Capo Dipartimento ad assegnare la Despins alla squadra Auror di Lizbeth Urquart non era affar loro. Certo, le due non potevano convivere: la guida della missione era stata semplicemente sostituita.

Eric batté tre colpi su un palo della luce. Le strade del paesino ghiacciato erano deserte, schiacciate sotto un cielo nero come le ali di un corvo. 

«Fa silenzio, dannato imbecille» lo apostrofò Clarity, stupendosi della propria reazione. Non era mai stata tanto tesa in sei anni di servizio. Forse le prime volte, durante i primi arresti di criminali comuni, ma era un tipo di sensazione diversa. Ora aveva paura. Paura di incontrare i bersagli. Mentre l'aria fredda gli scendeva nei polmoni e una nuvoletta di vapore cristallizzava davanti alle labbra truccate di viola, sperò con tutto il cuore di essersi messa la divisa solo per scoprire una vuota catapecchia diroccata.

Eric non badò a nessuno. Teneva le orecchie tese e la bacchetta di frassino nella mano guantata. Una sola: sull'altra aveva bisogno della sensibilità della nuda pelle. Il motivo non gli era chiaro, dipendeva forse da una forma di claustrofobia localizzata, ma era pienamente accettabile fintantoché non inficiava in alcun modo le sue abilità. Seguiva la Despins a pochi metri di distanza, lungo la carreggiata umida per le deboli piogge del pomeriggio.

Le suole delle scarpe dialogavano incessantemente con l'asfalto grigio. Fu Sam a incantare con il silenzio, in un rapido gesto, i passi dei compagni.

«Ehi, Clarity,» bisbigliò sottovoce Sam, mettendosi in linea con lei come se andassero incontro a un duello all'americana, «Potter che ha detto? Vivi o morti?»

L'Auror di Cardiff si levò i guanti. Le mani tatuate, minute come le ali di un cardellino, afferrarono saldamente la bacchetta. «Il Capo del dipartimento ha dettato una linea chiara. Niente passi falsi. Dobbiamo riportarli per il processo.»

Avrebbe voluto dire di più, spiegare a Sam che questa volta non avrebbe potuto fare l'idiota, senza Lizbeth a coprire gli eccessi. Ma il pensiero non arrivò alla bocca.

«E così, accade di nuovo!» Il cupo ringhio di disprezzo rimbalzò fra le case di legno e mattone, rompendo la calma spettrale, frantumandola in mille pezzi impossibili da ricomporre. L'ombra avanzò, un'ombra dal volto umano, appena rischiarata dalla tenue luce dei lampioni. Le sopracciglia ispide e folte si strinsero sulla fronte, lineamenti di un volto selvaggio spinto fra spalle massicce. «Mandati dal Ministero a reprimere e distruggere. Schiavi di una società malata, che guarda altrove per rimanere pura, mentre manda i sicari a estirpare i figli meno amati.»

Eric si bloccò, esattamente come Driade Despins. Al loro fianco, sulla linea immaginaria dell'orizzonte degli eventi, Sam e Clarity puntarono le bacchette verso la figura che si era piazzata in mezzo alla strada per bloccare loro il passo.

Sam parlò con autorità. «Dobbiamo presumere di avere di fronte...»

«Hati.» Fu un sussulto quello di Driade, nel trovarsi faccia a faccia con il licantropo ricercato. I capelli bianchi come la neve le incorniciavano un viso ormai invecchiato, eppur liscio e bellissimo come un tempo. Le labbra di rosa erano diventate dure, ma pur sempre petali dopo anni di danze alla luce del sole e della luna. Impugnava la bacchetta, puntata a terra, dove le scarpette con il tacco quadrato si aggrappavano all'asfalto per non farla cadere. Driade Despins sembrava sul punto di svenire.

Hati tolse le mani dalle tasche, lo stesso gesto che avrebbe fatto un fumatore, alla ricerca del pacchetto, dell'accendino e della voglia di avvelenarsi la vita. «Sei venuta, alla fine.»

«Hati, non è la fine. Possiamo ancora porre rimedio a quello che hai fatto. Insieme.»

«Quello che ho fatto? Che IO ho fatto?» L'uomo buttò la testa all'indietro, liberando una risata terribile e spaventosa.  «Ma guardatevi! Siete qui di fronte a me, tremanti come foglie. Esattamente come era stato all'ora. Come con mio nonno. Come con tua madre! E vieni a dirmi che si può porre rimedio? Vallo a spiegare a quelli che avete fatto ammazzare, nel fango, nella paura, nel dolore...»

«Basta» urlò Sam Roland. Era pronto a lanciare da quando aveva visto il bersaglio. «Hati Greyback, sei accusato di rapimento, omicidio, uso delle Maledizioni Senza Perdono, cospirazione e, non ultimo, di essere un lupo mannaro. In nome del Ministero della Magia e del Capo del Dipartimento Auror, Harry Potter, ti dichiaro in arresto.»

Il cielo cupo raccolse l'intero mondo sotto la propria cappa. Non esisteva più nulla: solo quattro Auror, in mezzo alla strada di un villaggio scozzese, pronti a uno scontro violento pur di assicurare alla giustizia un mostro; dall'altra parte, Hati, ingobbito e con i denti sporgenti, senza la minima intenzione di cedere di un passo. Hati e un compagno, sbucato dall'angolo del caseggiato. Due compagni, dopo che una ragazza dalla pelle ramata, alta come un lampione, si materializzò a fianco del proprio capobranco.

Hati, guardando negli occhi Sam e penetrando gli anni di addestramento, di test sul campo, di esperienza e persino quel poco di coraggio che credeva di avere, parlò per l'ultima volta: «Provaci.»

Il compagno del licantropo, un ragazzo con la testa rasata a metà, alzò il braccio grassoccio verso il cielo. La manica degli ampi abiti gli ricadde fino al gomito, svelando sì del grasso, ma duro e compatto come il ramo di un albero.

Il ragazzo bisbigliò.

Nel cielo notturno, cupo e tenebroso, d'improvviso splendeva la luna piena.

Sam non distolse lo sguardo, pronto all'attacco. Aspettava solo un segno del comandante Despins, che ancora sembrava troppo indecisa. "Se ci fosse stata Lizbeth" pensò fra sé "avremmo già sbattuto questi pagliacci con il culo per terra". Forse Eric sarebbe stato d'accordo, se gli avesse letto nel pensiero. Ma era concentrato su altro: mosse la bacchetta nell'aria e recitò: «Protego Horribilis».

Fu Clarity a rendersi conto per prima (per fortuna, o sfortuna, o semplice attitudine a cogliere in fretta i dettagli) di quanto stava accadendo. Spalancò la bocca, lottando contro il panico incombente, nel vedere gli spasmi corrompere le carni dei tre criminali che aveva di fronte. Uno scossone, incontrollabile come il battito del cuore, poi un ringhio.

Il primo ad abbassarsi, il più veloce di tutti, fu Hati.

I muscoli esplosero in una nube di pelo e ferocia sbavante, mentre già il licantropo avanzava a balzi ferini verso gli Auror. Il cranio di allungò in fauci aguzze, con denti lunghi quanto una bacchetta, affilati, ingialliti, famelici. Coprì la distanza fra lui e Sam nel tempo che gli altri due compagni completarono la trasformazione. Poi fu il caos.

«Stupeficium!» Driade reagì con straordinaria rapidità, colpendo in pieno l'enorme lupo mannaro. La figura umanoide dalle zampe artigliate, ricoperta di pelo scuro e malandato, era un incubo fatti carne. Eppure Driade mise tutta la propria forza, la propria preparazione e potenza nell'incantesimo, schiantandolo. 

Lo spostò a sufficienza da far passare la zampa artigliata a pochi centimetri dal viso di Sam. Lo spostò, Hati atterrò, e fu come se non avesse nemmeno sentito il colpo.

Gli altri due licantropi attaccarono come un branco feroce, abituato a predare per sopravvivere. La lupa dal pelo di bronzo si scagliò su Driade, con un balzo inumano. Eric, trattenendo il respiro (e battendo il piede tre volte), scaricò la propria forza a protezione della vecchia Auror. Bestia e donna rotolarono lungo la strada bagnata, entrambe vive, entrambe in preda alla frenesia.

«Confringo!» urlò Clarity, puntando l'enorme capobranco, fra lei e Sam. Sembrava impossibile che avesse incassato uno schiantesimo dalla Despins senza nemmeno battere ciglio. Quella bestia fremente, invece, era atterrata sulle zampe e aveva scartato di lato, con agilità sovrumana. L'incantesimo andò a vuoto, troppo lento.

La strada si illuminò di potere magico. Sam fece le sue mosse con maestria e un muro di fuoco si alzò a ripararlo dallo sguardo mortale di Hati. Sui campi di battaglia aveva rimediato più di una cicatrice, oltre a qualche chiodo per intombare definitivamente la poca bontà di cui era stato capace. Se non possedeva l'animo più diplomatico della squadra, forse guidava la mente più letale. Così, separò il fuoco dopo pochi istanti e, senza esitazione, puntò oltre: «Avada Keda...!»

Clarity si strappò la voce nel tentare di fermarlo. Potevano ancora farcela, ne era fermamente convinta. Catturare, assicurare alla giustizia, non uccidere indiscriminatamente. Anche se gli avversari erano di tale ferocia e con una formidabile resistenza alla magia. Ma non ci riuscì. Una delle creature della notte, il lupo grasso, prese Sam al fianco mentre recitava la formula.

Le fauci della belva si chiusero sotto l'ascella, serrando i denti fra milza e polmoni. Il peso del licantropo sbalzò Sam a terra. Sputò sangue. Il lupo morse ancora, con più forza, fino a sentire il suono delle ossa che cedevano. Per Clarity fu come guardare un uomo rompere una noce con il pugno. Una noce piena di sangue.

Totalmente fuori controllo, la lupa di bronzo non si accorse della spessa corda che l'avvolse come un serpente strangolatore. Driade fu rapida nel respingere gli schiocchi delle zanne, un colpo dopo l'altro, fino a quando Eric le fornì l'opportunità di contrattaccare. 

«Eric! Continua a lanciare, o l'incantesimo incarcerante si spezzerà!» Driade balzò in piedi, trascinandosi fuori dalla portata della ragazza licantropo.  Doveva aiutare gli altri, doveva... tentare di porre fine a tutto.

Allungò le gambe, come una danzatrice, proprio come faceva cinquant'anni prima. Compose i movimenti delle braccia con precisione e delicatezza, tenendo lo sguardo fisso sul mostro intento a sbranare Sam Roland. «Bombarda

La violenza del colpo sbalzò il mostro a metri di distanza. Questa volta non atterrò sulle zampe, ma fu costretto a rotolare e ribaltarsi come giù per un dirupo scosceso.

«Driade!» chiamò Clarity «Aiuto!»

Hati si era alzato sulle zampe posteriori. Con la mano artigliata stringeva il polso dell'Auror. Lei resistette con la bacchetta finché poté. Il polso si frantumò e l'unica arma che possedeva cadde inerte ai suoi piedi.

Clarity cominciò a piangere. La testa di lupo la guardava con gli occhi del predatore, persi nella furia. Non c'era nulla lì dentro: né pietà, né malvagità, né scelta. Il tremolio delle pupille dilatate non si arrestò nemmeno per un istante.

Hati la azzannò al collo.

E strappò.

«Fermo, Hati! No!» Le preghiere di Driade rimasero inascoltate.

Non era la prima volta che Driade Despins vedeva una persona venire squartata di fronte ai propri occhi, con brutalità cieca, ma non era qualcosa a cui ci si potesse abituare. I fluidi della ragazza si mischiarono in una fontana oscena. Le lacrime e il sangue cadevano a terra in una pioggia di morte, insieme al lento sgocciolare del piscio che colava lungo la gamba. Scalciava ancora.

Qualcuno urlava, ma Driade non riusciva più a distinguere un suono dall'altro. Chi era ancora in piedi? Chi li minacciava? Quanto ancora sarebbe durato quell'incubo? Perché? Perché? Perché?

Voleva parlare, credeva di poterne avere l'autorità: per questo aveva insistito a farsi mandare. Lei poteva farcela. Lui doveva ascoltare.

«Hati» sussurrò con un fiato.

Il licantropo, avanzato, la afferrò per il collo. Strinse con le dita ruvide, sollevando di peso l'Auror fino a guardarla negli occhi.

Driade lo vide. «Sei ancora lì. Lo so che ci sei. Ti prego.»

La bestia soffiava. Il petto si ingrandiva come un mantice carico, intendo ad alimentare una fame senza fine.

«Hati» disse ancora Driade, con un rantolo «fermati. Fermati fin che puoi, piccolo mio.»

Il lupo grasso mostrò i denti ad Eric, che ancora teneva intrappolata la lupa dal pelo di bronzo. Mentre il gigantesco capobranco spalancava la bocca, Eric fece l'unica cosa da fare: batté il piede a terra tre volte e si smaterializzò.

 

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