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Autore: Enchalott    10/10/2019    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao a tutti! :) Ho deciso di cambiare il nome del fratello di Eudiya da Neyla a Niyla, mi piace di più come suona (non è quindi un errore) ^^ Stesso discorso per l'oasi, che è diventata Zerf. Approfitto dell'occasione per ringraziare chi ancora mi segue assiduamente. Qualcuno è fuggito lungo la strada, spero di non mietere altre vittime. Le recensioni sono la mia benzina, quindi grazie davvero a chi mi lascia anche un solo pensiero. Un bacio!

Contatto
 
Dionissa accese una candela nell’oscurità della propria stanza, spense il lume ad olio e si sdraiò sul letto a baldacchino, guarnito di trasparenti veli bianchi. Subito avvertì il bisogno di avvolgersi in una coperta più pesante e la stese con cura sul telo ricamato che fungeva da lenzuolo. Il disagio non era dovuto alla gravidanza, ma all’aria inconsuetamente fresca della notte, che da qualche settimana era andata ulteriormente incrementando.
Rabbrividì, ma non per il freddo: la sua era paura allo stato puro.
Il gelo ormai stagnante sulle sabbie non era che il sintomo conclusivo della discesa imboccata a precipizio dal creato. C’era stato un peggioramento negli ultimi giorni. Le conseguenze si sarebbero palesate presto.
Non era mai risultata tanto impotente, neppure quando i suoi poteri si erano affievoliti, neppure quando la malattia aveva fiaccato il suo corpo. Il dubbio atroce e doloroso che non sarebbe riuscita a dare alla luce il figlio che attendeva, che la Profezia si sarebbe realizzata prima dell’evento, che Adara non concretizzasse il connubio atto scongiurare la fine la facevano sentire inerme davanti a una realtà che ormai non dipendeva più da lei.
Chiuse gli occhi, rivolgendo una supplica agli dei, affinché assistessero chi le era caro e si trovava lontano dal suo abbraccio, ma non dal suo cuore.
La fiammella sospesa sulla cera arancio ondeggiava lieve, favorendo la meditazione. Era con quel fine che l’aveva accesa. Aveva percepito una presenza, ma non era stato qualcosa di oscuro e temibile. Si era trattato di una sensazione tiepida e gentile, che l’aveva sfiorata in più di un’occasione in quei giorni concitati e che non aveva ancora avuto modo di verificare.
Gradualmente la veggente si assopì, a metà tra il sonno e la trance.
 
L’acqua contenuta nel recipiente di ceramica variopinta che usava per sciacquarsi il viso e le mani iniziò a incresparsi. I petali profumati di rosa sparsi sulla superficie fluttuarono in cerchi concentrici e rapidi nel liquido trasparente.
Nel sopore, Dionissa avvertì un richiamo lontano. Il suo Kalah si attivò, sondando debolmente il potere che cercava di raggiungerla, tentando inizialmente di sottrarvisi. Quell’energia non era negativa, tuttavia. Era acerba e guardinga, ma non aveva nulla di maligno. Niente a che vedere con l’essenza nefasta che lei e la madre avevano percepito nella stanza segreta di Shion.
Principessa
Nel buio del dormiveglia qualcuno la chiamò di nuovo, con delicata impellenza.
Abbiamo immensamente bisogno del vostro aiuto, principessa…
La ragazza aumentò la propria concentrazione, tentando di aprirsi il più possibile al contatto, percependolo sempre più pulito e limpido. Possedeva una vibrazione buona e altruista, ma anche inquieta e difficile da decifrare.
Il Nord è sotto il giogo di un uomo che ha sacrificato il futuro al proprio rancore… niente è riuscito a smuovere il nostro principe dalla propria brama… tutte le speranze sono andate perdute, dissolte nel suo odio inveterato…
“Chi siete?” domandò Dionissa attraverso la contiguità spirituale “Non certo una sacerdotessa del deserto… Dove vi trovate?”.
L’energia ondulò, faticando a mantenere la propria stabilità e la propria chiarezza.
Vi invoco da e per Jarlath… anche se lui è lontano, vi sto contattando a rischio della vita… aiutateci, principessa, vi prego…
“Lui? Alludete al principe Anthos? Ditemi chi siete, perché dovrei fidarmi di voi?”.
Sì, al nostro crudele signore. Vorrei avere una risposta adatta a sciogliere i vostri legittimi dubbi… comprendo il vostro timore…
“Mostratevi, sento che il mio potere si sta disperdendo!”
Aiutateci!
La voce arrivò flebile come un alito di brezza, quasi inudibile. Un’immagine sfumata scaturì dal legame mistico, mostrando il volto di una giovanissima donna bionda con gli occhi azzurri come oasi. Poi il contatto si spezzò.
Dionissa balzò a sedere sul letto, senza fiato.
Fece in tempo a vedere i petali dei fiori che ruotavano leggeri, ma ormai era troppo tardi. La comunicazione si era interrotta e lei non aveva la forza necessaria per riprenderla. Evidentemente, anche la controparte aveva effettuato uno sforzo smisurato per raggiungerla.
Probabilmente, la persona che l’aveva chiamata era ricorsa all’incanto dell’acqua come ultima chance perché era disperata. Quel tipo di comunicazione poteva essere tracciabile e comportava dei pericoli. Oppure l’aveva fatto perché la semplice adiacenza mentale con lei, che era terribilmente debilitata, non aveva funzionato le volte precedenti. Era certa che quella voce garbata l’avesse già attirata a sé altre volte dall’inconscio, purtroppo senza risultati.
La persona dall’altra parte aveva lasciato intendere che Iomhar aveva i giorni contati. Per quello stava ricorrendo in extremis all’aiuto di Elestorya.
Evidentemente, come aveva pensato, qualcuno osteggiava il reggente da vicino e, a differenza sua, era intenzionato a difendere ad ogni costo l’integrità del mondo.
Da quel poco che aveva udito, aveva compreso con certezza che Anthos era lontano dalla capitale e che il pericolo, che abbracciava anche il Nord, era di una portata insospettabile. Che il reggente aveva deciso di non intervenire. Ma non aveva potuto domandare se Adara avesse già raggiunto la città, se stesse bene e se con lei ci fosse anche Aska Rei.
Scacciò quel desiderio egoista.
Non era riuscita a chiedere in che modo avrebbe potuto essere d’aiuto, proprio lei che non poteva allontanarsi dal palazzo e che faticava persino a stare in piedi.
Avrebbe cercato in tutti i modi di ricontattare la giovane misteriosa, anche se una parte di lei rifiutava di fidarsi ciecamente di chiunque. Avevano già attentato alla sua vita e quell’esperienza agghiacciante aveva lasciato uno strascico di terrore ancora presente nel suo inconscio.
Però non si sarebbe data per vinta. Avrebbe scoperto l’identità di chi aveva implorato il suo appoggio. L’ultima parola che la fanciulla aveva pronunciato in un sussurro intimorito, prima di sparire, era stato il suo nome: Màrsali.
 

 
Màrsali aprì gli occhi e riprese il dominio completo di sé. Appoggiò i piedi a terra, sollevandosi dalla posizione distesa come per accertarsi definitivamente di essere ritornata alla realtà; trasse un sospiro stanco ma sollevato.
Ce l’aveva fatta. Era arrivata, seppur per una breve manciata di minuti, a interagire con la principessa Dionissa.
Merito dell’acqua, che aveva catalizzato il suo potere, rafforzandolo e convogliandolo nella direzione prescelta. Avrebbe dovuto pensarci prima.
Si affrettò a svuotare la coppa di vetro azzurro, sebbene in quel momento non fosse altro che una suppellettile colma di neve sciolta, e si tranquillizzò gradualmente.
Nessuno aveva intralciato la comunicazione, sperava che fosse passata inosservata. Certo, non avrebbe mai osato tanto se il reggente fosse stato a palazzo. Quell’assenza provvidenziale le aveva regalato del tempo prezioso; qualcosa nel suo cuore di interprete delle stelle la spingeva a credere che, quando lui sarebbe tornato e l’avrebbe convocata a Leu-Mòr, la soluzione che stava cercando sarebbe venuta più rapida. Non più indolore. Di quello era altrettanto consapevole.
Tese l’orecchio e non colse alcun rumore dissonante da quelli cupi e familiari delle carceri: se Urien avesse intercettato il suo contatto mentale con la veggente di Erinna, sarebbe comparso immantinente davanti alla porta del guardiano della prigione in tutta la sua tetra oscurità e non l’avrebbe risparmiata.
Ma il potere di Màrsali, come quello di Dionissa, era un dono e non aveva nulla a che vedere con la magia. Dunque, nonostante i comprensibili rischi, aveva il pregio di passare inavvertito ai più.
La principessa di Elestorya le era sembrata delicata e bellissima, così come aveva sentito narrare da chi l’aveva conosciuta di persona. Contemporaneamente, aveva anche ricevuto conferma del suo stato di pesante debolezza. La giovane non era quasi riuscita a reggere il legame e aveva compiuto una fatica indicibile per non perdere il controllo del proprio Kalah, che era potentissimo ma rispondeva come se fosse schermato.
Màrsali aveva percepito la sua debilitazione fisica, che si riverberava conseguentemente sulla dimensione spirituale, impedendole di padroneggiarla come aveva sempre fatto, e aveva avvertito chiaramente l’ombra nera e pesante che le si era posata sulle spalle.
Provò una stretta al cuore per la dolce sacerdotessa del deserto e una rabbia profonda per chi le aveva fatto del male. Perché chiaramente si trattava dell’intervento esterno di un essere malvagio, sulla cui identità c’erano pochi dubbi a suo parere.
Immaginò la sofferenza di Dionissa per quella menomazione e si disse che sarebbe stato arduo convincerla a fidarsi a causa di ciò che aveva subito e che stava vivendo. Eppure, la principessa aveva l’animo pieno di speranza e la sua luminosità irradiava, chiara e trasparente, nonostante la terribile condizione in cui era venuta a trovarsi.
Se lei avesse avuto sulle labbra le parole giuste o l’esperienza, se solo avesse conosciuto un dettaglio utile a dimostrare che era sincera e pulita!
Il rumore cigolante dell’uscio che si apriva interruppe le sue elucubrazioni.
“Kesthar!” esclamò con gioia.
Il demone delle carceri rispose con un sorriso aperto e spontaneo a quello pago e accogliente della moglie, gettando sul tavolo il pesante mazzo di chiavi, come a volersi liberare del proprio ingrato compito almeno oltre la soglia di casa.
In quei mesi, l’uomo si era rasserenato ed era divenuto meno reticente a manifestare le proprie emozioni, nonostante il temperamento schivo e taciturno, che restava comunque la sua caratteristica principale.
Màrsali si avvicinò, aiutandolo a sfilarsi la cappa di lana nera e prendendolo affettuosamente sottobraccio. I suoi occhi azzurri luccicarono felici.
“Non dirmi che…” fece lui, inarcando un folto sopracciglio e fissando i dehalbh blu tracciati di fresco sulla pelle candida delle mani di lei.
“Sì! Ci sono riuscita!”
“Per tutti i diavoli…” commentò l’omone con un lieve tono di rimprovero, passandosi la mano tra i capelli arruffati “È difficile incontrare una persona più ostinata di te”.
La ragazza ignorò il bonario richiamo, invitandolo a sedersi sulla sponda del letto e rannicchiandoglisi accanto. Al suo fianco sembrava una fragile bambina, tuttavia si sentiva più forte e protetta che mai.
“È stato per pochissimo, ma ha funzionato! L’incanto dell’acqua era proprio la via giusta! Ho potuto inviare la nostra richiesta di soccorso!”.
“Mmh” borbottò Haffgan, impensierito “Purché sia giunta senza transitare attraverso orecchie indiscrete. Lo sai che quaggiù non è sicuro. E poi ultimamente c’è sempre quell’Urien che bazzica per i corridoi, neanche fossero il suo pied-à-terre! Va a controllare costantemente il prigioniero, la cosa mi preoccupa parecchio!”.
Màrsali assentì concorde. Il misterioso ostaggio doveva essere davvero fondamentale per il braccio destro del reggente. Peccato non essere ancora venuti a conoscenza della sua identità.
“I pensieri non possono essere ascoltati” rispose “L’unico in grado forse di percepire che qualcosa sta fluttuando attraverso il canale della visione è ancora lontano. La magia di Anthos è strana, non sono riuscita a identificarla…”.
“Meno distante di quanto credi. Il principe sta tornando. Potrebbe essere di rientro addirittura domani notte. Ho sentito le guardie su alle mura che ne parlavano con una certa sicurezza. Quindi ti prego di non tentare nuovamente l’azzardo. Sono già abbastanza inquieto per la sua insolita richiesta…”.
“Io mi preoccupo ogni volta che metti piede oltre quella porta, Kesthar” ammise lei arrossendo “Ma so che è quanto devi fare. Allo stesso modo, anch’io ho un ufficio da assolvere e tu sai bene quanto vorrei che esistesse un altro sistema. Ma è tutto ciò che abbiamo ed è necessario trascurare la paura”.
Lui annuì, rassegnato, ma non abbandonò l’espressione estremamente seria e tesa. La lunga cicatrice che gli attraversava la guancia appariva come un sorriso tirato. Si grattò la barba, irrequieto.
“Come sta la principessa Dionissa?” domandò.
“Male. Le voci sulla sua malattia erano autentiche. Mi dispiace infinitamente per lei”.
“Questo complica le cose, vero?”.
“Sì. Purtroppo sì”.
Il guardiano sospirò, prendendo coscienza dell’ulteriore elemento che giocava a loro sfavore. Pareva un perfido gioco della sorte, in cui loro erano sempre destinati a perdere. Rigirò nervosamente l’anello d’oro che portava al dito.
“Devi essere in grado di difenderti a Leu-Mòr. Non oso immaginare che cosa ci sia là dentro e io sarò lontano. Preferirei che tu portassi con te questo”.
Trasse dalla cintura uno stiletto metallico lungo e sottile, dotato di un’aderente guaina di pelle leggera e di un’impugnatura argentata, decorata con dei fiori celesti.
“Puoi nasconderlo facilmente, sembra uno spillone di quelli che usano le ragazze per acconciare i capelli…” continuò porgendoglielo goffamente “Non darà nell’occhio”.
“Io non voglio una cosa del genere…”.
“Tu lo prenderai senza obiezioni, invece” ribatté lui duro “E lo userai, se necessario”.
“No, Kesthar. Portare un’arma mi fa orrore, non posso neppure pensarci”.
Lo sguardo dell’uomo divenne ancora più severo. Lo sollevò su di lei.
“Non sono disposto a transigere, Màrsali. Prendilo”.
Era la prima volta che si comportava in modo così fermo con lei, che la trattava come se fosse una ragazzina cocciuta e disobbediente. La veggente si sentì confusa e turbata da quell’insolito tono autoritario. Non era da lui.
“Ma io non…”.
“Tu cosa?!” esclamò lui, abbandonando definitivamente la calma “Tu cosa credi, Màrsali, che sia un passatempo salire sulla Torre?! Che tutti saranno amichevoli con te, che saranno leali e disinteressati, che Anthos ti accoglierà nella sua tana come una vecchia amica? Per tutti gli dei, l’ultima volta che l’hai incontrato mi ha ordinato di stuprarti! Questo te lo ricordi, vero!? Pensi che sia cambiato qualcosa da allora per lui? Prendi questo maledetto pugnale senza discutere e prega che sia sufficiente!”.
Le afferrò la mano e le pose l’arma nel palmo.
La ragazza sbarrò gli occhi davanti a quell’impeto e il cuore prese a batterle forte per il dispiacere. Un nodo le serrò la gola, si sentì parimenti incompresa e sciocca, perché era evidente che lo sfogo di Kesthar era dettato da una preoccupazione soverchiante e non dalla collera dovuta al suo rifiuto. Tuttavia, lei…
Una lacrima le cadde lentamente lungo la guancia.
Haffgan si bloccò, osservando la goccia trasparente scendere sul suo viso. Si prese la testa tra le mani, sospirando pesantemente. Non avrebbe mai voluto ferirla. Mai essere causa del suo pianto, ma gli era insopportabile solo il pensiero che lei, lassù…
“Io…” balbettò sottovoce “Mi dispiace… io non posso accettare che tu rimanga indifesa in quel posto maledetto… non posso tollerare la sola idea… di perderti!”.
“Kesthar…” sussurrò lei, accorata, appoggiando la testa al suo braccio vigoroso.
Lui si ritrasse, a disagio.
“Sono un egoista, lo so. Sto pensando unicamente a me stesso, pur consapevole che non posso tenerti in una bolla di cristallo, ma che sei al servizio del bene comune. È difficile consentire che tu vada, impossibile accettare che tu possa non tornare da me, anche se non sei… mia! Io non sono capace di esprimere ciò che provo e, se anche fossi in grado, sarebbe terribilmente ingiusto, Màrsali!”.
Si coprì il volto con le mani, provato dall’eccessiva emozione, incapace di continuare.
La veggente lo strinse, senza riuscire a circondarlo completamente con le braccia e captò l’affanno contenuto nel suo petto solido.
“Non dire così, Kesthar… tu sei l’uomo più generoso che io conosca” sussurrò “Non esiste nulla di più spaventoso che saperti in ansia per me… perciò dovrai perdonarmi se presto sarò costretta a infliggerti ogni giorno questa apprensione. Comprendo perché ti sei tanto inquietato, non devi scusarti per…”.
“No!” enfatizzò lui con un dolore soffocato nella voce “No, tu non puoi capire… io sento il cuore che si ferma ogni volta che non ti trovo qui! Mi pare di ammattire e forse è così, sono solo un pazzo che osa ciò che non è consentito…”.
Màrsali trattenne il fiato, incerta, ma non lo lasciò fuggire né fisicamente né nell’anima. La sua piccola mano si insinuò tra le dita enormi e contratte di lui, ricevendone il calore.
“Perché parli così…?”
L’uomo sollevò su di lei uno sguardo affranto, le iridi petrolio che luccicavano per la prolungata tensione del momento. Ma non era solo quello, c’era di più.
“Perché senza di te potrei morire. Diventare Haffgan e soffocare Kesthar. Perdermi per sempre nel demonio che si pretende che io sia”.
“Non accadrà mai! Haffgan è solo uno stupido soprannome! Io conosco la tua vera natura, Kesthar, perché l’ho vista scintillare di purezza e di dolcezza. Io sento chiaramente il tuo valore di uomo, percepisco le tue qualità preziose, il tuo coraggio, la tua resistenza, la tua capacità di infondermi fiducia. Io avverto la tua reale essenza e sono orgogliosa di averti come amico, fiera di dividere la mia vita con te…”.
Lui scosse la testa, come se non fosse convinto di ciò che aveva appena ascoltato.
“È questo ciò che intuisci, Màrsali? È davvero tutto?” mormorò pacato “Forse perché alle veggenti non è consentito andare oltre?”.
Ma, prima che lei potesse riflettere o rispondere, lui terminò.
“L’unica cosa che io so, con arrogante certezza, e per la quale verrò punito dagli dei è che ti amo. Ti amo, Màrsali!”.
 

 
Quella sera l’oasi di Zerf brulicava insolitamente di gente e i fuochi notturni si erano moltiplicati da quando i Thaisa avevano raggiunto gli Aethalas in uno dei punti più remoti del deserto.
Stelio sedeva a gambe incrociate tra i cuscini variopinti, armoniosamente disposti sotto il padiglione riservato agli ospiti di riguardo e riccamente ornato per l’occasione.
I teli color ocra dell’entrata erano stati calati, per evitare l’ingresso dell’umidità notturna e le lampade ad olio ardevano come un piccolo tramonto, spandendo nell’aria il loro aroma d’incenso ed erbe.
Il sovrano era stato costretto a indossare il mantello più pesante, rosso come il sole sorgente, che gli evidenziava le spalle larghe e faceva risaltare gli occhi verdi ancor più delle luci sfavillanti della tenda principale.
Sulla sua fronte abbronzata, la fascia dorata che indicava la reggenza in vece del Diadema mandava bagliori tenui, che incutevano rispetto. Indossava una casacca nocciola, con i bordi ricamati in una sfumatura più scura, e una fascia bruna in vita, intrecciata ad un’altra più sottile tinta carminio. I pantaloni aderenti avevano la stessa tonalità di beige vivace ed erano infilati in un paio di stivali marroni, che gli arrivavano a metà polpaccio. I bracciali in rame con la pietra focaia, identici a quelli di sua moglie, gli ornavano i polsi come ogni giorno da quando lei era diventata la sua metà.
Zheule gli spedì un sorriso fugace, schermato dalla barba ormai striata di bianco e continuò a discorrere amabilmente con Varsya, come se non si fosse recato in quel luogo sperduto tra le dune con un fine ben diverso dal banchetto in corso.
Niyla, fratello di Eudiya, sedeva accanto al padre in qualità di futuro bailye; la sua somiglianza con la regina di Elestorya era tale che avrebbe potuto essere scambiato per il suo gemello, sebbene fosse minore di cinque anni. Pareva immerso nei suoi pensieri, mentre sbocconcellava una manciata di datteri cotti sulla pietra, ma Stelio sapeva bene che non si stava perdendo neppure una delle parole pronunciate dai presenti. Era un uomo attento e intelligente, ma anche umile e assennato, come più volte aveva avuto modo di dimostrare.
Il terzogenito del capotribù Thaisa, Ilyon, era passato a salutare il cognato e non si era fermato al convivio, in segno di rispetto per il proprio ruolo di semplice familiare: però gli aveva stretto calorosamente gli avambracci, strizzandogli l’occhio con un che di furbesco, come a garantire che tutti loro erano pronti ad agguantare l’osso degli Aethalas per non mollarlo più. Se Niyla assomigliava fisicamente alla sorella, Ilyon ricalcava il suo carattere ribelle ed estroverso, quasi fosse ancora un ragazzino smaliziato nonostante i trent’anni compiuti.
“Quindi non è solo un problema di questa zona” disse Varsya, meditabondo “Tutto il deserto sta vivendo un cambiamento e, a quanto pare, è più rapido del previsto”.
“Tutto il Sud per la precisione” affermò Zheule, sollevando il bicchiere di chae tiepido “Mia figlia mi comunica che anche la capitale è stata testimone di fenomeni climatici estremi e non solo. C’è una magia oscura che vuole ostinatamente prendere il controllo del Regno, eliminando gli ostacoli senza compromessi. Sai bene a cosa alludo. Non possiamo più ignorarlo”.
“Ho chiesto alle sacerdotesse Kalah di indagare sulla sparizione del principe Shion” disse Varsya, sinceramente rammaricato “Ma finora non è emerso alcun dettaglio”.
“Non mi stupisco” interloquì Niyla “L’oscurità sta diventando forte. Qualcuno ha scientemente messo fuori gioco Dionissa e, senza la sua guida, brancoliamo nel buio. Ma questa non può diventare una scusa per restare a guardare”.
“Il Nord è la chiave” asserì Stelio con fermezza “Il Nord potrebbe essere anche la soluzione. Ho fiducia in Adara, anche se è già stato dato per assoluto, senza riscontri, che Anthos non si schiererà al nostro fianco. Voglio concedergli il beneficio del dubbio e lasciare che mia figlia gli parli”.
“Iomhar sta vivendo la stessa situazione, ma rovesciata” affermò Zheule “Il gelo si è eccessivamente attenuato e i ghiacci si stanno sciogliendo velocemente. L’unico porto ancora attivo è Neirstrin, gli altri sono stati ormai invasi dal mare. Questo è quanto riportano i mercanti che ho incontrato”.
“E il reggente non interviene!” ringhiò Niyla, adirato “Questo risolve già qualche dubbio sulle sue reali intenzioni!”.
“Forse non è in grado di arginare l’apocalisse, nonostante la sua famosa magia. A conti fatti, anche noi non stiamo arrestando il freddo, giovane bailye” considerò pacatamente il portavoce degli Aethalas.
“Forse” confermò Zheule, con un guizzo negli occhi scuri “Ma state trattenendo presso le vostre tende il nostro sovrano. Che invece vorrebbe intervenire. A questo c’è rimedio immediato”.
Stelio inarcò un sopracciglio e contenne a forza un sogghigno nel sentire l’affermazione tanto diretta del suocero. Si augurò che la scarsa diplomazia con cui aveva evidenziato la questione non sortisse effetti deleteri.
A Varsya andò quasi di traverso il chae.
Persino Niyla spalancò gli occhi per la dichiarazione graffiante, piazzata con nonchalance in mezzo a un discorso di comune interesse.
“Mi duole essere stato frainteso…” balbettò il capotribù “Noi non intendiamo…”
“… provare che mio genero non è il Traditore del sangue, dal quale una parte della Profezia ci mette in guardia e che le vostre veggenti indicano come membro della famiglia reale? Dimentico qualcosa?”.
Le iridi color kaki di Varsya si spensero. Si passò una mano tra i capelli, sfilandosi la fascia rossa e oro, abbassando lo sguardo, prostrato.
Stelio avvertì una fitta di compassione per quell’uomo corretto e caparbio, che non aveva rinunciato a essere il leale riferimento della sua gente neppure nel momento più drammatico della storia e, soprattutto, della sua vita.
“Ti chiedo di capirmi, Zheule, così come il nostro reggente ha avuto la delicatezza di fare. Non ho altra scelta, è compito dei Guardiani del Mare accertare la questione”.
“Così come quello dei Thaisa è di mediare” rispose lui “Da quanti mesi il sovrano è tuo prigioniero ormai? Davvero in tutto questo tempo non avete ancora compreso che non è certo lui il Traditore? Veramente desideri sfidare così a lungo la pazienza di Eudiya? Sono anzi sorpreso che non ti abbia già scatenato contro una guerra, magari il tempo ha mitigato il suo temperamento focoso. O probabilmente è troppo occupata a consumarsi la voce nel pregare gli dei per la sorte dei suoi figli. La tua ostinazione vi condannerà e ci perderà tutti. Non lo posso permettere!”.
Varsya annuì lentamente, rigirando tra le dita la stoffa a due colori.
“Lascia che io torni a palazzo, Varsya” intervenne Stelio con gentilezza “Il mio posto è quello. Sono disposto a morire per Elestorya, lo sai anche tu che non sono l’essere infido che state cercando. Permetti a Phylana di tornare a casa. Sono certo che voglia restare accanto a te… e tu a lei, qualunque destino incomba sui Due Regni”.
Nessuno ebbe cuore di nominare Narsas, scoperchiando il dolore atroce di un padre. Un ruolo affettivo che tutti loro ricoprivano e comprendevano pienamente.
“La decisione non è unicamente mia…” sospirò il bailye, provato.
“Parlerò io con gli Aethalas, se necessario” disse Zheule “Mi assumerò la responsabilità della fiducia accordata al re”.
“No. Diranno che sei di parte. Non funzionerà”.
“Allora sarò io a farlo” decise Stelio “Chiunque si dimostrasse contrario, dovrà fornire delle prove evidenti a questo punto. Non tocca più a me discolparmi per qualcosa che non sono. Il tempo è stato più che sufficiente per provare la mia posizione”.
“Varsya?” rimandò Zheule, categorico.
“Sì… sì, non c’è motivo per non tentare. La mia gente vi ammira e vi ama, maestà. Sarà lieta di ammettere l’errore”.
Gli occhi verdi di Stelio luccicarono di risolutezza.
Fece per alzarsi, ma la campanella legata all’entrata principale del padiglione risuonò nitida, segno che qualcuno aveva urgenza di vedere il capotribù.
“Prego, entrate” concesse Varsya, un po’ stupito per l’interruzione.
Un arciere sollevò il drappo d’ingresso e si inchinò rispettosamente. Nel suo sguardo, nonostante l’impassibilità cui era uso, si leggeva un’impellenza estrema.
“Perdonate, bailye” mormorò deferente “Anshar, il portavoce dei Rhevia, desidera parlare con voi. Temo sia per una grave congettura”.
“Anshar? Il capotribù è Issidar, se non ricordo male…” obiettò lui dubbioso.
“Anshar è il successore” proseguì il guerriero “Il padre è morto pochi giorni fa”.
“Cosa?” proruppe Zheule, contrariato “Come sarebbe? Nessuno ci ha comunicato il lutto, che razza di insolenza è mai questa?”.
“Credo non ce ne sia stato il tempo, signore…” suggerì il giovane messaggero.
Stelio aggrottò la fronte, in preda a un pessimo presentimento.
“Parla, per le sacre dune!” sbottò Varsya, ansioso.
“Sono stati attaccati dagli Anskelisia. Anshar ha guidato i superstiti per tre giorni nel deserto, senza mai fermarsi. I Rhevia sono qui, mio signore. Tutta la tribù”.
   
 
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